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Posts Tagged ‘Inter in Wonderland’

Inter in Wonderland: subbuteo vincente

10 Aprile 2011 1 commento

I nerazzurri reduci da due batoste con cui hanno buttato nel cesso due dei tre obiettivi ancora in gioco devono tornare a vincere, per raggiungere almeno il premio di consolazione e soprattutto per ringraziare quei tifosi (tanti) che martedì non hanno abbandonato lo stadio e che martedì come oggi hanno continuato a incitarli e a cantare per loro con tutto il cuore.

Finalmente si vede Mototopo titolare insieme a un Kharja con cui dominano la fascia sinistra dell’Inter con tanta voglia di fare e tanta, tantissima corsa. Viene il dubbio che il nipponico non sia stato impiegato nelle gare precedenti a quella odierna per non indispettire a umiliare le belle statuine che compongono quasi per intero il resto della rosa.

Nonostante un Chievo decisamente rinunciatario e ormai con la pancia piena di chi ha centrato i suoi traguardi stagionali, il primo tempo passa con ben poche emozioni. Almeno però i giocatori in campo sembrano esseri umani normodotati dal punto di vista locomotorio. Perché il secondo tempo sembra una partita di subbuteo con pedine a grandezza naturale. Manca solo di vedere scendere un’enorme mano che colpisca le basi invisibili dei nerazzurri. Una staticità francamente imbarazzante: quando i migliori in campo sono il tuo Capitano 38enne e un imberbe terzino giapponese che hanno corso più di tutto il resto della squadra messa insieme vuol dire che c’è qualcosa di veramente sbagliato in come sta funzionando il tuo team.

Ironia della sorte a decidere il match sono il Re delle Belle Statuine di Sale, il Cuchu, e un nostro difensore in prestito, Andreolli, il centrale più scambiato della serie A. Era anche ora che i nostri giocatori con altre casacche la smettessero di remare contro il club proprietario del loro cartellino! Dopo altri venti minuti in cui comincia la fase cosiddetta “a schiaffoni” delle partite con il 4-2- fantasia di Leopardo (oggi agghindato in realtà a rombo per larghi tratti della gara e ad minchiam nella parte finale del match in cui rimane in campo il solo Principe come punta), Maicon suggella con un gol l’ennesima prestazione deludente: se non ha problemi fisici la situazione è drammatica, qualcuno lo svegli o mi svegli dal mio incubo (maledetto Caliendo!).

La vittoria nasconde molti problemi. Siamo una squadra fisicamente defunta, a cui la pausa delle nazionali ha dato il colpo di grazia. Siamo una squadra che paga moltissimo gli sforzi fatti fin qui, prima di tutto a livello di tenuta nervosa e di serenità mentale. Siamo una squadra in cui si corre solo con la palla ai piedi e in cui Mototopo viene mobbizzato per non far sfigurare i propri compagni che viaggiano almeno a due ordini di grandezza inferiori in termini di velocità. Con un Chievo appagato e privo di necessità agonistiche è bastato. Ma non senza difficoltà. Almeno è stata una partita di subbuteo in cui abbiamo vinto. Ultimamente era andata peggio.

La Lega dei Citroni: contro la mediocrità

5 Aprile 2011 25 commenti

Essere interisti significa non assaporare mai una versione insipida della vita.
Siamo condannati a non conoscere il significato della parola normale. Per cinque anni sono stati trionfi incredibili e tripudi di gioia. Adesso siamo la maestosità sublime di un tuffo nel vuoto oscuro.

Inter in Wasteland: no brain and no balls make big players small

3 Aprile 2011 2 commenti

Arriva il derby. Arriva il match che può sancire un clamoroso sorpasso. In campo una squadra entra con la rabbia e la determinazione di chi vuole vincere a tutti i costi. Purtroppo non è quella con i colori giusti. Quella con i colori giusti è diventata la squadra dell’amore e della generosità, e alla fine della fiera ci lascerà le penne.


Leopardo manda in campo la squadra dei senatori con pandev al posto di un deki il cui dinamismo in mezzo ci sarebbe servito come il pane (oltre che la sua grinta nei derby): il duo Motta-Cuchu dimostra di non essere adatto a giocare partite di livello, con la sua staticità e l’incapacità di reggere entrambe le fasi. A questo si aggiunge una serata decisamente no per Maicon, colto da ciuca triste per colpa di Dani Alves, e una stanchezza che ormai sembra atavica nelle gambe.


Dopo neanche un minuto siamo sotto di un gol, con un Robinho abbandonato al suo lieto destino dal Colosso e un rimpallo che finisce proprio sui piedi dell’avversario più pericoloso: il nuovo cocco di casa Berlusconi, Pato. I nerazzurri si accasciano e rischiano di prenderne un secondo, ma poi capiscono di poter dire la loro e per i venti minuti finali del primo tempo pressano e spaventano un Milan in versione Lecce all’ultima giornata: la puntata del Pazzo finisce su Abbiati, la testata di Motta finisce quasi dentro, il Leone si mangia un altro gol pesante come quello di Torino, riempiendo gli occhi di milioni di interisti di lacrime di rabbia.


Rientriamo per i secondi 45 minuti senza cambiare un Pandev che non ha visto una boccia e senza dare segnali alla squadra. La partita sembra equilibrata, ma Chivu infilato per l’ennesima volta in contropiede per la scarsa protezione dei mediocampisti e un intervento solo abbozzato di Ranocchia non si ferma e si presta ad un rosso diretto per abbattimento in corsa di Pato. Dopo pochi minuti un cross sbagliato da Abate si stampa sulla testa di Pato per il 2-0: ci fosse l’Inter che abbiamo conosciuti in questi anni la reazione sarebbe stata veemente, mentre questa Inter si accascia e aspetta solo il fischio finale. E vedere milionari che fanno i bambocci in mezzo al campo per far passare i minuti senza stancarsi troppo come se fosse normale perdere il derby è una roba da far uscire di testa anche Gandhi e trasformarlo nel colonnello Kurz. Nel frattempo riesce anche a prendere il terzo gol da un Cassano che mostra al mondo la sua brillante intelligenza facendosi espellere per doppia ammonizione a partita finita. E solo Julio Cesar ci risparmia l’umiliazione di un altro 6-0. E loro al contrario di noi, non si sarebbero fermati. Uno spettacolo indignitoso.


C’è poco da dire: se perdi due scontri diretti su due e negli scontri con le prime quattro hai fatto in tutto 7 punti nell’anno calcistico, se non perdevi due derby da otto anni, se per due volte quando hai il destino nelle tue mani perdi malamente senza mai essere veramente in partita, vuol dire che non è il tuo anno. O meglio: che quest’anno hai panza e testa piena di molte, troppe altre cose. Io non ho mai voluto essere la squadra dell’amore: ho passato anni a prendere per il culo milanello bianco e se il risultato è che con l’amore si arriva sempre a un passo dalla vittoria finale, questo nobile sentimento i giocatori e l’allenatore (?!) dell’Inter se lo possono tenere in saccoccia.


Poteva essere trionfo, invece è la Terra Desolata, l’abisso della tua insufficienza, dell’ultimo passo mai davvero compiuto per andare fino in fondo. E considerato che Leo ha fatto lo stesso l’anno scorso con il Milan, è anche la dimostrazione che è a lui che manca la cattiveria dell’ultimo passaggio, perso com’è nell’estetica della propria esperienza di vita. Abbiamo perso e una squadra con 7 gare al passivo in un anno non merita lo scudo. I nostri odiati cugini hanno dimostrato di tenerci di più (anzi a dire il vero da come hanno gridato per le strade di Milano di essere disperati all’idea di perdere anche quest’anno). E’ andata così. Ma l’anno prossimo non partiremo con l’handicap. Perché non sarebbe accettabile per chi vive e colora di passione i colori nerazzurri. E perché io mi sono già bello che rotto i coglioni di rendere il campionato italiano interessante: lo preferivo noioso come negli ultimi 4 anni.

Inter in Wonderland: cogli la prima mela

20 Marzo 2011 2 commenti

Eccoli, entrano in campo con la possibilità di recuperare i tre punti agli odiati cugini. Eccole, le fiere nerazzurre. Tutti i tifosi chiedono solo una cosa: gli occhi di tigre. Strizzano gli occhi dagli spalti, aguzzano la vista: facciamo gli occhi del tigrotto. Squadra quasi titolare, passano 30 minuti e zero tiri in porta. Facciamo almeno lo sguardo del gatto selvatico in amore. Niente. Per i primi 45 minuti controlliamo gioco, palla e partita, ma non ci facciamo praticamente vedere dalle parti di Rosati.


Di fronte a noi un Lecce rintanato dietro la linea della palla per poi ripartire a pieni ranghi e cercare il gol in contropiede. Nessuno si capacità della svogliatezza con cui alcuni giocatori interpretano la gara: che Pandev faccia quello che può passi, soprattutto dopo il match point di martedì sera, ma che Maicon non abbia smaltito la sbornia per la sconfitta rossonera della sera precedente è inaccettabile. Colosso, di fronte non hai Robben o Ribery, ma un Mesbah qualsiasi.

Fortunatamente, al settimo del primo tempo dopo essersi mangiato un gol fatto solo da spingere in porta, il Pazzo caccia in fondo al sacco il gol del definitivo e finale 1-0 che ci porta a -2 dalla capolista. Leo coglie la prima mela, ma come al solito non coglie i suggerimenti che da tutto lo stadio gli piovono addosso per togliere qualche giocatore senza fiato in mezzo al campo per sostituirlo con qualcuno con un po’ di ossigeno e un po’ di gamba. Lo fa solo al settantesimo, poi all’ottantaduesimo, e poi al novantatresimo. Un po’ tardi considerato che la squadra è in apnea a centrocampo dal sessantesimo.

Alla fine però, l’importante era vincere, fare i tre punti, e i nostri eroi lo hanno fatto, rischiando di farmi venire un infarto come al solito. Il vero neo del match è il giallo (meritatissimo) a Lucio e i non gialli (che avrebbero ampiamente meritato) ai salentini, ma si sa che con Orsato non siamo fortunati. Partita chiusa con due tiri e un gol e con una paratissima di Julio Cesar che ci salva per l’ennesima volta. Fossi stato io l’allenatore avrei tolto qualcuno al trentesimo per scuotere la squadra, ma chi vince ha sempre ragione. E se cogli la mela, scopri il peccato e con esso il godimento.

La Lega dei Citroni: non mollare mai!

16 Marzo 2011 2 commenti

L’Inter entra in campo credendoci fino in fondo. Il Capitano da forfait e siamo obbligati a schierare i tre gladiatori Motta Deki Cuchu, tutti e tre in condizioni decisamente precarie. Il resto è tutto come previsto. Di imprevisto c’è il lampo di Eto’o che porta in parità i match di San Siro e Allianz Arena dopo soli 4 minuti. La partita sembra mettersi molto bene, e controlliamo un Bayern tutto fumo e niente arrosto cercando di colpire alla prima occasione.

Purtroppo succede l’incredibile: Julio Cesar, colui che l’anno scorso con la sua mano fatata ha tolto le castagne dal fuoco più di una volta spedendoci a Madrid, ne combina un’altra. Non trattiene, sbuccia un pallone che Gomez, in una stagione in cui ogni palla che tocca finisce in porta, infila in fondo al sacco. Frastornati dall’inaspettato pareggio iniziamo una fase in cui ognuno gioca un po’ per sé, ci disuniamo, Motta e Cuchu ricominciano a fare passaggi di un metro al massimo, e soffriamo sulle fasce. Negli ultimi 30 minuti del primo tempo il Bayern potrebbe segnarcene quattro o cinque, ma il palo, i recuperi in extremis e le manone di Julio evitano il peggio. Ne fanno solo un altro.

Andiamo negli spogliatoi con il morale sotto i tacchi e i tifosi vedono lo spettro di una umiliazione immeritata. Ma non hanno fatto i conti con una squadra che non molla mai e in cui i fuoriclasse contano davvero: Samuel Eto’o si carica la squadra sulle spalle e la porta a un secondo tempo fantastico per determinazione, mentre dall’altro lato un Van Gaal tutto chiacchiere e distintivo butta nel cesso la qualificazione quando dopo il siluro di Wesley Sneijder toglie Robben (che aveva fatto a fette Motta per tutto il primo tempo, vedere l’azione del secondo gol bavarese) per Altintop e Van Buyten per Badstuber. Sarà la mossa decisiva.

Un Bayern che arretra ancora di più per difendere il due a due (alla faccia del gioco d’attacco) e l’Inter ci prova in tutti i modi, ma la palla sembra non entrare mai. Leonardo dopo aver cambiato Coutinho – complimenti, entrare dopo 4 mesi senza vedere il campo con la tua squadra che deve rimontare due reti e non farsela sotto è già una gran cosa – per Deki (strano che si sia fatto male), mette dentro Mototopo per l’assalto finale al posto di un Chivu che ha dato tutto. Sarà che porta culo, però tempo un minuto ed Eto’o ruba l’ennesima palla credendoci ciecamente, appoggia su Pandev che fino a quel momento ha fatto un gran lavoro tattico e un pessimo lavoro balistico, mentre Badstuber canna alla grande la diagonale: il macedone spara un missile nel sette imparabile. E’ il 2-3 che completa l’opera.

Gli ultimi quattro minuti tre fantastiche ammonizioni per far passare il tempo con la cattiveria giusta e portare a casa una qualificazione su cui pochi avrebbero scommesso, soprattutto dopo i primi terribili 45 minuti. Non pronuncerò la parola che comincia per “r” e finisce per “ada” perché porta una sfiga pazzesca, ma noi l’abbiamo fatta al contrario di altri che si dilettano di video e proclami. Una squadra fatta di uomini che non mollano, ben preparata all’inizio da Leo e poi persa per strada, e recuperata con la determinazione e la classe dei campioni che abbiamo in squadra.

Non è che non ci siano stati errori stasera, ma quando poi concludi un match in tripudio, tutto passa in cavalleria. Ed è giusto così. E’ giusto godere. Punto e basta.

Inter in Wonderland: black out leo, game over inter

12 Marzo 2011 1 commento

I nerazzurri scendono in campo contro una squadra con un piede in serie B con una formazione tutto sommato sensata se non per il fatto di obbligare Deki e il Capitano a correre come dei muli per tutto il centrocampo, tra l’altro entrambi per novanta minuti nonostante la palese situazione di semi-infortunio e stanchezza (rispettivamente). Gli altri elementi di perplessità non sono tanto legati alla scelta degli uomini o dello schema, quanto a quella di dare licenza di girare per tutto il campo e di giocare come e dove vogliono a due dei nostri fuoriclasse: Wesley e Eto’o. Li ritroviamo un po’ ovunque, il primo un po’ (troppo) isterico dopo non aver giocato praticamente fino a febbraio, il secondo lievemente compassato, ma indiscutibile.

Tanto che il gol che ci da il vantaggio è proprio suo. Niente da dire. Nonostante un Maicon che gioca con il freno a mano – come ogni match pre lega dei citroni – e i limiti di organizzazione del gioco, siamo in vantaggio. E il Brescia non vede quasi mai la porta se non grazie a nostri involontari assist: clamoroso quello di Deki per Caracciolo che poi lo stesso Deki sventa con strattonamenti ai limiti del regolamento.

Quando la squadra entra negli spogliatoi tutti ci aspettiamo che il serbo venga fatto rifiatare, ma come al solito un cambio prima del 60esimo è pura utopia con Leopardo. E’ venerdì, e da quando ho memoria è un giorno che ci ha sempre portato sfiga (per non parlare del fatto che è anche l’11 marzo): negli ultimi anni abbiamo vinto solo con il Genoa e facendo mezzo tiro in porta che è entrato solo grazie alla papera di Eduardo. Per il resto: derby del 6-0, partita con la lazio persa, il match di Catania dell’anno scorso con il record di Muntari di due gialli più rosso più rigore più zero palle toccate in 35 secondi. Insomma una giornata in cui aiutare la fortuna e non sperarci troppo a lungo.

In ogni caso la squadra rientra e dei cambi nemmeno l’ombra: Pandev – che peraltro non ha giocato una brutta partita – inizia la sua sequela di gol sbagliati a tu per tu con Arcari (che stanotte farà meglio ad accendere un cero alla Madonna) e di palle fermate o smorzate appena prima che arrivino sui piedi di qualche compagno pronto a spararle in porta (di solito l’isterico olandese). I tre gol mangiati davanti al portiere alla fine del match peseranno come macigni. Quando finalmente inizia la girandola dei cambi nerazzurri, viene da pensare che Leo li faccia per far smettere ai tifosi di invocarli: fuori Lucio e dentro Matrix (vabbé vorrà preservarlo); fuori il Pazzo per Kharja (ok, da fiducia a Pandev). E poi il capolavoro, il blackout che ci costerà partita e campionato (ok, non l’abbiamo perso stasera, ma a me rimarrà impresso per sempre): dentro Cordoba per Nagatomo, che stava facendo bene. Due difensori in campo, come messaggio alla squadra di chiudere la partita con un secondo gol non c’è male.

Da quando entra Sciagura Cordoba mette sempre sistematicamente la palla sui piedi dei centrocampisti e degli attaccanti bresciani. La scena madre che spiega bene la fase dell’inter alla fine della partita è quella in cui una punizione dalla tre quarti viene battuta dal colombiano per appoggiare a Matrix che spara a caso come solo lui sa fare. Un bijoux. E sarà proprio la Sciagura reduce di tante battaglie a deviare un cornere del Brescia verso l’interno dell’area proprio sulla testa di Caracciolo che come sempre ce la butta in fondo al sacco. Ma non è finita: pensate che l’Inter reagisca? Sì, caoticamente e nevroticamente, ottenendo solo che su una palla persa da un Deki spompissimo il Brescia si lanci in contropiede con Eder che viene steso un metro fuori area sempre dalla solita impersonificazione della sfiga Ivan Ramiro: espulsione, rigore e contestuali 4 minuti di recupero (appena due minuti prima Arcari è stato soccorso per 90 secondi buoni dai medici), Rocchi non si smentisce mai, e sa benissimo chi sono i suoi mandanti.

Julio Cesar para il rigore ma non riusciamo più a fare una azione da gol anche solo per far vedere che ci stiamo provando. Con l’ennesimo Venerdì Nero, questa volta soprattutto per il tecnico brasiliano che non ne azzecca molte, diciamo definitivamente addio alle speranze di rimonta, ritrovandoci verosimilmente a -7 domenica sera. D’altronde meglio così: se questo scudetto lo perdevo per un punto mi toccava andare a bruciare le macchine fuori dalla Pinetina, considerati i punti sbattuti via nel girone di andata. Meglio un sano distacco che non mi faccia prudere le mani. La doppia sfida con il Brescia verrà comunque ricordata come l’esempio dei match in cui abbiamo vanificato la superiorità calcistica che ci avrebbe potuto dare il primato anche quest’anno: all’andata un match anonimo in cui Milito sbaglia il gol della vittoria al 93esimo contestualmente stirandosi una gamba; al ritorno un match che sarebbe dovuto finire 0-4 buttato nel cesso al minuto 86. Non sempre si può vincere è vero, ma se devi recuperare un girone giocato come i gamberi è l’unica cosa che puoi e devi fare. Ma ormai non conta più molto. Game Over.

Inter in Wonderland: mani(t)aci depressinter

6 Marzo 2011 3 commenti

Ci presentiamo in casa per rispondere al Milan e continuare a crederci nonostante tutto. La formazione in campo è ragionevole anche considerato che i ragazzi hanno avuto una settimana per riposare: Chivu e Maicon terzini, Small Frog e Lucio centrali, il Sindaco Motta davanti alla difesa con il Capitano e Deki interni e Wesley dietro due il Pazzo e il Leone Eto’o. Partiamo bene per dieci minuti, ma poi ci addormentiamo, come se per l’ennesima volta non riuscissimo a trovare la tensione giusta per affrontare la partita: i due terzini rimangono troppo bassi, Motta sembra in sedia a rotelle, Deki e il Capitano annaspano; nessuno detta il passaggio, il Pazzo è piombato come un motorino prima del rodaggio e un po’ tutti si convincono che fare i vigili è meglio che fare i calciatori. Tutti che dicono agli altri cosa fare e nessuno che corre e crea spazi (o quasi). Depressinter.

Fortunatamente il Genoa ci infila con un contropiede appena prima dell’intervallo, e questo costringe i nostri a svegliarsi. Inoltre io, arrivato allo stadio con la giacca e lasciatala sotto il sedere di Blanca, ho deciso di indossarla. Fuori Deki che non ce la fa, dentro un ritrovato Pandev. Improvvisamente tutti corrono e la squadra riprende a giocare a calcio con entusiasmo. Pronti via: il Pazzo che nel primo tempo ha mancato una incredibile deviazione su diagonale di Eto’o si fa trovare pronto all’appuntamento e pareggia; poi Pandev tira una saracca dalla distanza, Eduardo ci fa l’ennesimo regalo e Eto’o insacca da un metro scarso. Vantaggio e partita trasformata.

Non contento, il Re Leone ruba palla a Mesto e scarta tutto il genoa con una velocità di gambe supersonica, depositando in rete: tre a uno e partita in ghiaccio grazie a uno dei nostri fuoriclasse. L’Inter sembra trasformata. Sugli spalti affermo: “se segna Pandev vado a casa”, tanto mi sembra trasformato il nostro Bradipo. Eto’o conquista l’ennesimo pallone, serve Wesley (che nel secondo tempo ha smesso di incazzarsi con i compagni e ha cominciato a giocare) che appoggia praticamente sulla linea di porta per Pandev. Gol e io che vengo invitato da tutto il settore ad abbandonare lo stadio.

Ma non è finita: esce il Pazzo per Kharja, poi Nagatomo per Ranocchia. Affermo: “se segna il mio idolo nipponico vado a casa”. Tempo dieci minuti e vengo invitato per la seconda volta ad allontanarmi dallo stadio: infatti discesa di Maicon, cross per Kharja, appoggio per Nagatomo che dribbla e insacca, andando a fare l’inchino per festeggiare. Sulle note dei Righeira lo stadio invoca “Yuto Nagatomo oh oh oh oh oh”. Momenti fantastici.

Peccato che Kharja si faccia cogliere da misericordia e non insacchi il sesto, esponendosi all’ingratitudine rossoblu che sul ribaltamento di fronte al novantesimo ci segna un secondo gol che non aiuta la nostra pessima differenza reti. Rimane da chiedersi perché i nerazzurri giochino un tempo da depressi cronici e un altro da fuoriclasse assoluti: un po’ sicuramente c’è anche da dire che nel primo tempo la squadra è messa in campo un po’ alla pene di segugio (come direbbe qualcuno), e durante l’intervallo si devono essere spiegati un po’ come diavolo creare gli spazi (perché non lo facciano in allenamento è un mistero). Alla fine tre punti, manita, gioia e tripudio, ma bisogna sempre prendere uno schiaffone per trovare la tensione giusta. Problema più di testa che non di gambe, imho.

Inter in Wonderland: furto con santo

28 Febbraio 2011 Commenti chiusi

La nerazzurra compagina zoologica entra a Marassi osservandone l’orribile manto erboso: campi come quello di Genova e di Chievo non dovrebbero avere l’autorizzazione ad ospitare partite di serie A, ma questo si rivelerà il problema minore per la serata difficile di tutti gli interisti. In campo ci va la Rana unta dal signore e l’Orco osannato dal Cristo, oltre a Ghiru e Mototopo sulle fasce. In mezzo Drago, Capitano d’Acciaio e Kharjaleonte, dietro a Santo Furetto da Utrecht. A buttarla dentro il Leone e… aspetta, non mi ricordo… boh, non sono mica riuscito a riconoscere l’ectoplasma che ha giocato insieme a Black Mamba: forse abbiamo giocato in dieci e io non me ne sono accorto per tutto il match?

Sull’accidentata e malsana palude doriana le fiere non si trovano a loro agio: gli stop sono a minimo 5 metri, la difesa della palla un’utopia e i passaggi sono sempre due metri più corti del dovuto. Anche a capire che abbiamo il vento contro e non dobbiamo scodellarla a campanile ci impieghiamo 30 minuti buoni a capirlo. Nonostante questo un paio di occasioni nel primo tempo ci capitano pure, ma pensare di capitalizzarle è pura follia. Viceversa i maledetti ciclisti che abbiamo di fronte come sempre sembrano giocare la partita della vita, in particolare Guberti (uno che normalmente è dieci volte peggio del nostro vituperato Bradipo Panda), il tarantolato Mannini (forse affetto dalla sindrome dei sedotti e abbandonati) e Big Old Mac Maccarone (mortacci sua). Uno dei centrocampisti più ricercati dal nostro Direttore (Poli) ci grazia centrando il palo, e il primo tempo si chiude a reti inviolate con nostro sollievo.

Nella ripresa chi si aspetta cambiamenti anche solo tattici per coprire le fasce su cui ci stanno ammazzando rimarrà deluso: fino al 15esimo non tiriamo quasi in porta, ma anche la Doria scompare dal campo. Poi un doppio miracolo: prima di tutto una sostituzione, con il Bradipo Panda che entra al posto di un Kharjaleonte in riserva energetica da almeno 20 minuti, e che magicamente mostra di poter ancora giocare a calcio in serie A; poi l’ectoplasma ottiene finalmente un fallo e Santo Furetto da Utrecht batte la punizia del giorno infilando Curci. Siamo in vantaggio e bisogna solo difendere il risultato. Ma per togliere l’ectoplasma e mettere un altro centrocampista che dia un po’ di dinamismo dobbiamo aspettare l’85esimo: Leopardo sveglia, grazie. Al 92esimo il Leone butta dentro anche il secondo gol e evita i due minuti finali al cardiopalma.

Partita dura, tignosa, difficile. Vittoria immeritata, ma il furto si sa è uno dei peccati dal sapore più dolce. La difesa a parte due errori di posizionamento della Rana Rediviva fa un gran lavoro e Mototopo mostra che con un po’ di tempo il ragazzo potrà dire la sua nel futuro nerazzurro. A centrocampo le pile, i muscoli, la testa e i polmoni sono ai minimi storici. Davanti il Pazzo non va mai con la decisione giusta, come il Principe contro il Genoa, e se non fossimo così scarsi quanto a punte sarebbe stato da tirare fuori già al quinto minuto del primo tempo. Portiamo a casa i tre punti, ringraziamo tutti i santi in cui crediamo e puntiamo a riposare e recuperare nella prossima settimana. Al momento non possiamo chiedere di più.

La Lega dei Citroni: molto onore, zero gloria

24 Febbraio 2011 3 commenti

Le fiere nerazzurre vengono catapultate nello spazio interstellare dei Citroni partendo da quello intrastallare della Serie di Oz. Leopardo decide di privilegiare l’esperienza e di cambiare modulo per evitare troppa corsa: cinque in mezzo al campo, tutti titolari e titolati, quattro difensori con il Ghiro romeno su una fascia e Ranocchia-Orco finalmente coppia centrale titolare (il Muro permettendo). Davanti, solo soletto, il Leone si carica sulle spalle tutte le nostre chance. Però gli uomini in campo non coprono bene il terreno di gioco, disposti in una sorta di pentacolo che lascia praterie immense in mezzo e consente ai tedeschi (di nascita o di adozione) di poter fare sempre 30-40 metri incontrastati. Già questo non lascia ben presagire, ma bisogna avere fiducia.


In uno stadio stracolmo di tifosi del mercoledì, di quelli che andare al cinema o alla Scala del calcio più o meno è la stessa cosa, da affrontare con lo stesso religioso silenzio e con la stessa arrogante pretenziosità di chi pensa che sia tutto dovuto, la prima azione è nerazzurra: punizia, cross del furetto olandese, e la rana di piatto non riesce a centrare la porta. I presagi si fanno funesti. E avranno ragione.
La squadra ci mette tutto l’orgoglio che ha, però il Sindaco davanti alla difesa si schiaccia sulla linea dei difensori e nessuno fa i movimenti che gli possano consentire le verticalizzazioni di cui è capace. Il Cuchu interno continua a dimostrarsi inadeguato: sessile, continua a dare indicazioni agli altri come un vigile, e si muove in un fazzoletto. Ha pure sul piede due o tre volte la palla che potrebbe darci il vantaggio ma non trova il tempo né la porta. Ulteriori presagi di sventura. In tutto il primo tempo i due unici pericoli tedeschi sono stati un tiro da fuori e un colpo di testa di Ribery sulla traversa, oltre a una svirgolata di Gomez da antologia. Quando prima Kraft si supera togliendo al Leone la gioia del goal, e proprio allo scadere anche il Facocero Volante spara incredibilmente fuori una palla perfetta da incrociare la convinzione che non segneremo mai si fa concretissima.


Nel secondo tempo non si cambia niente, e non cambia neanche lo spartito della gara: il Bayern fa girare la palla senza pungere, spinge appena può sulle fasce e macina metri senza trovare opposizione da parte di un centrocampo già in apnea. I primi dieci minuti della ripresa ci fanno tremare, ma sarà un fuoco fatuo, dato che il massimo che riescono a ottenere i tedeschi è un palo (che però balla ancora adesso due ore dopo la fine della partita). Il match continua ad essere equilibrato nonostante l’immobilismo di Sindaco e Cuchu, la scarsa vena del Furetto olandese, e un Drago paonazzo che ce la mette tutta nonostante stia venendo spremuto come una arancia. Cuchu e Deki che hanno sul piede due volte l’ennesimo possibile vantaggio, ma sprecano incredibilmente. La palla stasera non entrerà.


Nonostante i segnali evidenti di stanchezza e affaticamento Leopardo si dimostra ancora incapace di cambi efficaci in corsa. Il cambio arriva solo al 75esimo e solo per l’infortunio al ginocchio di Ranocchia. La sfiga quest’anno porta colori nerazzurri: avremmo potuto avere una coppia di signori centrali, ma non è destino quest’anno. Kharja dà un po’ di dinamismo alla squadra, che infatti alza il baricentro e passa dieci minuti a chiudere il Bayern nella sua area: solo una grande prestazione di Kraft e il culo nelle deviazioni che finiscono sempre fuori di un soffio salva la baracca biancorossa. Culo che li assiste quando Julio Cesar non trattiene un non irresistibile tiro da fuori di Robben, dando la possibilità a Gomez – giocatore sopravvalutato ma che quest’anno trasforma in oro ogni occasione – di battere senza opposizione a rete.


Finisce con una sconfitta tutto sommato immeritata per le fiere nerazzurre che hanno combattuto la battaglia con onore, ma senza trovare i guizzi giusti per sommare all’orgoglio la gloria di una vittoria. Forse un pareggio con reti sarebbe stato anche più giusto, ma ci sono serate in cui dice sfiga. Certo: anticipare un po’ i cambi per dare un po’ di fiato e corsa a una squadra in apnea che è riuscita a giocare con gamba si e no 15 minuti per tempo avrebbe aiutato. Certo: se Milito non avesse affrettato i tempi del recupero forse lo avremmo avuto in campo e la solfa sarebbe stata ben diversa. Certo: se non insistessimo col mettere un vigile interno e un altra patella ancorata allo scoglio verde del manto erboso davanti alla difesa forse potremmo ovviare allo scarso dinamismo del centrocampo (Cuchu e Motta in questo momento sono mutualmente esclusivi se vogliamo dare la parvenza di non essere dei fossili). Ma con i periodi ipotetici non si giocano le partite. La prendiamo in saccoccia e la strada è in salita. E il peggio è che ora diventerà in salita anche nelle infime lande di Oz, dato che i nostri ora penseranno fino a metà marzo solo alla partita dell’Allianz Arena. Mi sbaglierò, ma il rischio mi pare molto concreto. Sgrat.

Inter in Wonderland: sei politico

20 Febbraio 2011 Commenti chiusi

Lo zoo nerazzurro torna tra le mura casalinghe, nella giungla a misura di interista, dove tutte le liane sono al loro posto, i cespugli dove te li aspetti e financo le sabbie mobili non si spostano mai improvvisamente per tenderti un agguato. Purtroppo le nostre fiere, messe a loro agio, si trasformano tutti in paciosi micioni alla ricerca di un angolino da colonizzare per una grassa dormita in attesa di essere proiettati sul pianeta alieno dei Citroni. E così la partita dell’Inter dura si e no dieci minuti, mentre quella dei tifosi 95 lunghissime sessantesimi di ora.

Intendiamoci: non è che i nostri eroi non abbiano giocato, ma si è avuta l’impressione di transitare in un limbo verde popolato da 22 omini che rincorrevano un pallone senza un’idea chiarissima di cosa farci una volta conquistato. Non che non ci siano stati motivi di divertimento allo stadio, andandoli a cercare con il lanternino: pronti via e ci sarebbe l’ennesimo rigore per l’Inter, che però ormai pare non poterne ricevere per decreto divino; nonostante questo conquistiamo diversi palloni e una punizione, che battuta rapida ci porta al minuto 7 ad essere in vantaggio con tanto di fuorigioco della Rana. Tutto lo stadio è talmente in bambola che crede che abbia segnato Kharja inaugurando il coro che aspettavano di fare da quando il marocchino è arrivato in nerazzurro: siam venuti fin qua, siam venuti fin qua, per vedere segnare Kharja!

Peraltro il Kharjaleonte gioca una buona partita, mettendoci molta più gamba di tutti i suoi più blasonati colleghi e merita l’applauso che lo accoglie quando lascia il campo verso il 70esimo. Un altro che inaspettatamente merita una menzione è il Bradipo Panda: per 30 minuti sembra addirittura un giocatore di calcio, e tira anche due volte in porta a una velocità maggiore di 25 km/h. Il canto del cigno della serata arriva al trentesimo: cross dalla trequarti sul secondo palo, dove c’è lui che mulina le braccia e le gambe come una specie di elicottero umano, cercando di librarsi nell’aria, poi si raccoglie a uovo per provare a realizzare il mitico colpo di testa delle cento rane. Non gli riesce e la palla si spegne sul fondo mentre lui crolla a terra esausto.

E quella che prova il Bradipo è solo una delle cento mosse ninja che Mototopo sta trasmettendo ai suoi discepoli in campo e sugli spalti. Per questo i cagliaritani lo picchiano senza sosta per 90 minuti, senza che l’arbitro senta il bisogno di intervenire. Dieci anni di Mai Dire Banzai hanno anche questo effetto: signor Celi, guardi che anche i giapponesi sentono dolore, eh! Peraltro il giovane virgulto nipponico è un altro che mette tutto quello che ha in campo e a parte una palla persa che innesca un sagace contropiede sprecato dal Casteddu, non demerita assolutamente, arando la fascia come raramente si è visto da tempi immemori sulla sinistra.

Anche perché sulla destra il Facocero è in serata altalenante: per mezz’ora tutto bene. Poi litiga con Motta per un passaggio clamorosamente cannato che spegne sul nascere un bel contropiede, si offende e smette di giocare. Allo stadio ci tocca subirci pure i capricci. Che raggiungono l’apoteosi quando il Capitano recupera un pallone facendo una corsa da un lato all’altro del campo e il Facocero lo guarda destreggiarsi, scartare due giocatori senza fare un passo avanti per offrire un appoggio al nostro superuomo in nerazzurro. Quando finalmente Zanetti riesce a liberare il Facocero lo guarda e lo applaude con uno sguardo ammirato: meno male che Pupi ha molta pazienza, che se c’ero in campo io le bestemmie si sentivano fino in piazza Duomo.

La partita scorre via, senza che si possa menzionare in alcun modo i nostri attaccanti, e finisce uno a zero per noi, nonostante negli ultimi 15 minuti più recupero ogni tifoso interista abbia rischiato più volte l’infarto, in particolare su un tiro deviato che il Gatto-che-ride-sotto-i-baffi che abbiamo in porta guarda sconsolato e controtempo lambire il palo. Anche quei due flipper da 2 minuti e mezzo in cui la palla non si è mai allontanata dalla nostra area non sono stati particolarmente teneri con le valvole cardiache di chi era allo stadio, ma il grido liberatorio al triplice fischio è proporzionale sempre alla sofferenza.

Partita giocata sottoritmo e con la sola voglia di far passare i novanta minuti più in fretta possibile. Sarebbero bastati trenta minuti di un’Inter normale per mettere la partita in ghiacciaia con tre pere. Invece ne abbiamo messi 5. Sono bastati per fortuna. Ergo: sei politico per tutti. Ma è stata una vera sofferenza, come sempre prima dei turni di Champions (non so se qualcuno si ricorda le tragedie dell’anno scorso). Adesso che è passata la possiamo mettere sul ridere. Ma durante la partita ho perso cinque chili. E non so neanche se sia vero che abbiamo ottenuto con minima spesa la massima resa.