Il G8 a Rostock, questioni di immagine
La situazione intorno ai summit e alle manifestazioni contro il G8 è molto più lineare di quanto sembri: per tutti è in sostanza una questione di immagine. Ovviamente la provocazione sta nel senso che si danno alle parole "questione di immagine", che per entrambi gli attori in gioco, i "potenti" e i "molti", si traduce in una questione di manipolazione ideologgizzata degli immaginari.
Infatti da un lato abbiamo un incontro tra gli otto leader delle potenze economiche mondiali (che ormai però non rispecchiano il potere economico e politico mondiale, dato che il G8 non include né Cina, né India, tanto per fare due nomi "pesanti") in cui non si discute mai di nulla e in ogni caso senza alcun vincolo di implementazione delle parole in fatti, e che si conclude con una grande vittoria: "abbiamo deciso di ridurre del 50% le emissioni serra entro il 2050". Della serie che anche io posso decidere che da domani guadagno milioni di euro, ma non è detto che questo avvenga attraverso il semplice esercizio della mia parola (purtroppo). La questione quindi è puramente di immagine, di manipolazione degli immaginari delle più semplici e banali: noi siamo buoni, noi progrediamo rispettando il mondo e le persone, certo qualche vittima c'e', ma è un male necessario. In tempo di buonismo generalizzato e di cacarella reale per le risorse naturali e le sorti realistiche del pianeta, sicuramente un'impronta necessaria, che ha soppiantato quella più aggressiva a profit-oriented di qualche anno fa.
Dall'altro lato le mobilitazioni di Rostock hanno – mi spiace per tutti gli onesti illusi che pensano il contrario – una natura fortemente simbolica. E' infatti evidente che bloccare il G8 non porta nessun vero beneficio politico (in nessuna direzione), né che spaccare tutto limita o contrasta attivamente il capitalismo nel mondo. Però, c'è un però: l'atto di opporsi, di resistere, di affrontare senza paura il luogo di maggior concentrazione di "potere ostentato" del mondo, è in sé un'azione fortemente simbolica e comunicativa, è una manipolazione diretta dei codici dell'immaginario. QUello che dice forte e chiaro è che si può resistere e che si può anche vincere, volendo, conquistare gli obiettivi con intelligenza e forza, senza mezzi termini.
In questo contesto si inseriscono tanto gli scontri del 2 giugno (sebbene aizzati dal nervosismo della polizia, come anche dalla voglia di "confrontation" che sicuramente non mancava in una parte dei partecipanti al corteo, che però avrebbero sicuramente preferito giocarsi i prorpi colpi il 7 che non così presto, tarpando le ali a molte azioni previste), quanto i blocchi del 6-7 giugno. Il due giugno migliaia di persone hanno affermato una volta ancora che non c'è disponibilità a subire supinamente l'arroganza e il nervosismo di chi crede di avere il monopolio del controllo. I blocchi in due giorni hanno portato migliaia di persone a correre in mezzo a campi sconfinati in scene che avevo visto solo in Braveheart e nel signore degli anelli (ovviamente senza spade e armature, e con elicotteri e poliziotti sudati e affaticati carichi di equipaggiamento che seguono in 20 gruppi di mille persone in mezzo a un campo di granaglia), e soprattutto a tagliare tutte le vie di terra verso Heiligendamm, incluso l'ingresso di emergenza che le autorità avevano sperato di salvare facendo finta di ignorarlo. Sono stati bloccati i giornalisti che volevano recarsi al vertice, sono stati bloccate parte delle delegazioni, obbligando a usare il trasporto via nave e via elicottero. Dal punto di vista dell'immaginario non si può certo negare che la cosa faccia effetto. Diecimila persone bastano a mettere in crisi il punto di più alta concentrazione di "potenti" del mondo. Forse con qualche migliaio in più si può anche fare altro, no?
E mi rimane solo il rimpianto di non aver visto realizzare alcune delle azioni previste: dallo smontaggio con martelli pneumatici delle vie di accesso ad Heiligendamm, alla serrata via mare. Sarebbe stato solo più divertente e incisivo.
Per concludere la mia solita pippa, penso che le mobilitazioni di Rostock siano state un successo. Nonostante il calo di partecipazione (io mi aspettavo qualcosa di molto più vicino a Genova) e la obiettiva difficoltà di parlare ancora di forme di resistenza allo status quo, la carenza di immaginari nuovi per i movimenti o per i conflitti, penso che il G8 tedesco può farci pensare un po' di più sul fatto che molte delle cose che facciamo e che abbiamo fatto in questi anni sono molto meno impossibili di quello che forze dell'ordine, partiti e politicanti, delusi e poco convinti, vorrebbero farci credere.
And remember, until then, fight G8!
PS: siccome tutti mi chiedono dei report "narrati" dei giorni di rostock, lascio la parola a blanquita, che mentre io mi prendevo cura insieme ad altri malati di mente della pagina italiana di indy germania e del ticker, si dilettava a raccontare le giornate di mobilitazione.
vabbe’, scene alla braveheart, perche’ non eri a venaus 😉
:***
però ero a evian e ginevra, e mi sono sucato parecchie cose di gleneagles pur non essendo li’….
onestamente è stato molto divertente :)))