Quando il cinema di genere incontra la realtà, linfa per il cinema italiano
Giuseppe Tornatore torna alla macchina da presa dopo quasi dieci anni (se si eccettua la parentesi poco nota al pubblico di Malèna) e dimostra che il talento non è acqua fresca: La Sconosciuta è sicuramente uno dei migliori film in circolazione, se non il migliore che ho finora visto (mi spiace per il tipo che è uscito dopo di me dal cinema Anteo e che dissertava su come "Hitchcock è forma e contenuto, qui mi pare solo forma"… Forse voleva darsi un tono da gran intenditore, ma mi sa che ha preso un granchio!).
Nonostante questo, è triste che a dare una speranza all'asfittico panorama del cinema italiano, travolto sempre da tragedie moraliste e drammi famigliari un po' stucchevoli e ripetitivi (la mamma, la pizza, il mandolino, ecc ecc), debba essere comunque un regista maturo e che proprio quest'anno compie 50 anni. In ogni caso Tornatore dimostra che interpretare il cinema è ancora possibile nel 2006. La Sconosciuta è il punto in cui il cinema di genere (noir, in questo caso) e l'attualità si incontrano, una sorta di reality fiction (definizione che prendo a prestito dal lavoro che stiamo facendo su blackswift con il socio beirut) in cui elementi della realtà che ci circonda e un pizzico di immaginazione danno la possibilità a tutti di fermarsi a pensare e di non dare per scontato la versione televisiva del presente. Come ha scritto da qualche parte Sandrone (aka il Gorilla), la letteratura (e il cinema) di genere hanno fatto molto di più – nel loro piccolo – per affrontare il problema della deriva culturale che non tanti pomposi saggi e tanti cialtroni in politica.
La trama è avvincente e la tensione ti inchioda dal primo minuto e scema solo nel finale quando lascia il posto alla valutazione dell'attualità, il tutto senza attaccare pipponi e senza stonare. Qualche buchetto di trama qua e là si intravede, ma tutto sommato sono molti di più i pregi e le trovate per far quadrare il cerchio della narrazione, che non le smagliature. Chapeu per la scelta di evitare il lieto fine dove tutti si salvano e sono felici e contenti, optando invece per una realtà ben più grama in cui pagano sempre gli stessi. Ovazione per la scena – totalmente gratuita dal punto di vista del soggetto – del pestaggio di Irina da parte di due Babbo Natale, un momento mitico di astio verso l'odiata festività. Soggetto e sceneggiatura promossi, la regia è eccellente e si completa con una fotografia pulita e lucida con la complicità del panorama urbano italiano (Fabio Zamarion), un montaggio veloce e ben fatto (Massimo Quaglia) e delle musiche come al solito superlative (l'intramontabile Ennio Morricone, notare il 552). Tra gli interpreti: Kseniya Rappoport, Michele Placido e Alessandro Haber sopra tutti.
Voto complessivo: 8