Bravo Brandelli
Bravo Brandelli è il secondo libro del buon Andrea Ferrari con il quale nelle volte in cui ci siamo incrociati penso di aver sviluppato un rapporto piuttosto amichevole. So quindi che non se la prenderà per le critiche perché sono fatte senza cattiveria. Come al solito comincio da queste per poi arrivare agli aspetti interessanti del libro: il testo è scritto peggio del primo, più confuso, meno limpido e un po’ arrotolato su sé stesso. Non so se è demerito di scarso editing o testardaggine di Andrea nel ritenere alcune forme di costruzione della frase una sua licenza poetica (io in Monocromatica mi sono infittito su alcune frasi senza veramente avere ragione nel merito 🙂 La storia inoltre è abbastanza priva di ritmo, anche rispetto allo stile Brandelliano che vede trame semplici per lasciare il tempo al personaggio di sragionare. D’altronde – e qui veniamo agli aspetti che mi sono piaciuti del libro – la storia, come in Monocromatica – conta relativamente poco, dato che la protagonista è Milano, molto più che nel primo libro. Anzi, per la precisione il protagonista vero del libro è il cambiamento che Milano sta subendo, l’accelerazione in direzione della ferocia che lo spazio urbano in cui sia io che Ferrari abbiamo vissuto sta vivendo. Milano non è mai stata nota per la sua accoglienza o la sua calorosità, ma da buoni milanesi sia io che Andrea nutriamo una sincera fascinazione per la metropoli, e io non sono mai riuscito a immaginarmi a vivere altrove. Milano ha sempre avuto una sua dimensione romantica e tanghera – direbbe il mio socio – anche se alquanto nascosta e difficoltosa da reperire. Per goderti Milano devi prima capirla, cosa tutt’altro che facile. Il punto è che questo è stato vero fino a qualche anno fa. Da qualche annetto Milano si è inferocita, imbarbarita, e le sue genti l’hanno seguita di buon grado rendendosi più indifferenti alla crudeltà che li ha investiti, indurendo i propri corpi e le proprie anime alle grida di dolore e alle sensazioni di inadeguatezza. Milano si è raffreddatta, si è fatta silenziosa e immota, più lurida, più cupa. E’ stato un processo molto più rapido di quanto si pensi, e il libro di Ferrari racconta della nostra difficoltà nel comprendere che cosa sia successo alla città che amiamo – o forse abbiamo amato – e che cosa succeda a noi che continuiamo a viverci cercando di ritrovarvi quello che probabilmente non c’è più. Per questo il libro tutto sommato mi è piaciuto: perché anche se con uno stile che segna un passo indietro rispetto alla sua opera prima, il cuore del romanzo siamo noi, milanesi innamorati di una città che non c’è più, di gente che non attraversa più le nostre strade, persa per sempre nel delirio securitario, nella paura e nell’abiura di sé (cit. Caparezza). Anche il libro che ho scritto e stracciato, il continuo di Monocromatica parlava di questo, ma io non ho avuto ancora il coraggio di fregarmene della forma per colpire al cuore la sostanza di un problema. Il passetto successivo è quello di immaginarsi una soluzione, ma sono certo che neanche Brandelli sa da che parte cominciare. Tantomeno io. Almeno per ora.
PS: adesso sono alle prese con un altro libro della editrice Eclissi, piccola e milanese, ma che finora si è ritagliata un buono spazio sugli scaffali delle librerie, nonostante la qualità altalenante dei libri (alcuni divertenti e ben scritti, altri interessanti e altri ancora un po’ buttati lì, ovviamente secondo la mia immodestissima opinione). In ogni caso vi farò sapere anche com’è Borromeo Underground
PPS: non è che in sti mesi non ho letto un cazzo, eh! Solo non ho mai tempo di scrivere delle recensioni, ma ad Andrea almeno questo era un atto dovuto. Se ho tempo la prossima recensione è Anathema, l’ultimo romanzo di Neal Stephenson – che i suoi capolavori li ha già scritti, ma rimane un grande autore 🙂