Una win-win situation

3 Maggio 2007 6 commenti

 

ovvero, le tre ragioni per cui il 23 maggio ateniese per noi interisti non puo' giustificare rodimenti di culo

1. Se il Milan vince, perfetto: lo abbiamo umiliato in una verifica che dura 3420 minuti e non 630.

2. Se il Milan perde, perde.

3. Oltre alla sindrome 1989, c'è anche l'effetto 1963.

PS: questo post è dedicato alla memoria di Meani, vittima anonima dell'ipocrisia italiana. Grazie di esistere.

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Mayday Parade 007: note a margine

2 Maggio 2007 10 commenti

 

Come al solito la mayday parade non inizia la mattina del primo maggio, ma per me comincia la notte prima: recuperare gli allestimenti, preparare i mazzi dei tarocchi da dare a chi si è fatto il culo e ai giornalisti (che non si fanno il culo, ma che apprezzano i gadgets :), verificare che ci sia tutto.

Inesorabile vado incontro al destino: alle nove di mattina sono in piazza XXIV maggio e non faccio in tempo a mettere giù la tazza del cappuccino che ci sono todo cambia e i gruppi di migranti che mi chiedono dove possono mettere il camion per allestire, mentre un tir di un gruppo di pischelli non meglio identificati mi avvicina e mi chiede: "ma come si fa a iscriversi?"

Li guardo perplessi e gli dico di piazzarsi con il retro del tir all'ingresso del cantiere della darsena e aspettare un cenno, che tanto entrano nella parte in fondo di quelli che non si sono spupazzati le terribili (e noiosissime) assemblee per l'ordine dei carri.

La sera prima ha spiovuto: quattro gocce sfigate, ma il clima di Milano non cambia mai, uno dovrebbe pure abituarsi a diffidare delle previsioni che trattano la meteorologia metropolitana come se dipendesse da cicloni e anticicloni: nuvolo, quattro gocce la notte prima, significa che per il giorno successivo è afa, caldo da far schifo, sudore, zero pioggia e soprattutto neanche un alito di vento prima dell'ottavo piano. E' puntualmente così, con  addirittura degli spiragli di sole, e mentre Fumagalli ringrazia sentitamente il santo, io mastico lo smog con familiarità.

Nel giro di due ore i carri sono tutti arrivati, ma quest'anno mi sono fatto cogliere dal nazismo efficientista e ho cominciato da subito a incolonnarli gia' nell'ordine di ingresso, cosa che ha consentito un'entrata in corso di porta ticinese senza sbavature e scazzi, nonostante la pressa di ale del leo con gli incubi da sorpasso ("oh, se fai passare quelli io spingo da dietro!!" "ma vai tranquillo che se c'e' un ordine deciso in assemblea si segue quello!") e del tipo della SDL (che non mi ricordo mai come cazzo si chiama ma almeno era più tranquillo 🙂

Alla partenza ci sono molte meno persone del solito, e io mi spendo i neuroni già in versioni pubbliche di autoassoluzione: "il ponte", "il maltempo previsto", "la flessione generalizzata della mobilitazioni", "la cappa centro-sinistra"… tutte puttanate, perché tra via correnti e via torino la gente esce pure dai tombini e in un istante mi trovo catapultato nella fotocopia (quantitativa) delle ultime due mayday. Figata.

Ma soprattutto quello che cambia e che riesce difficile raccontare a chi non l'ha vissuto, è una sensazione che permea tutto il corteo: la qualità della partecipazione è diversa, è più viva, più attiva, più presente, come se le persone fossero più consapevoli del solito di quello che sta accadendo e del suo senso. E' una sensazione strana, che provo già dalle riunioni preparatorie in cui finalmente gli attivisti sono messi a tacere dalle persone normali che partecipano ai vari collettivi autorganizzati di lavoratori. 

La sintesi politica è chiara: la mayday 007, nonostante uccelli del malaugurio e azioni malauguranti, si è dimostrata un dispositivo di comunicazione e attivazione perfettamente oliato e funzionante, in perfetta continuità con gli anni precedenti. Assodato questo, bisogna capire dove si va, ma c'è un anno per elaborare (meno che bisogna prepararle le cose).

La conferma arriva dai rodimenti di culo: da un lato alex foti, ex membro del collettivo di chainworkers da cui è uscito perché non si assecondavano i suoi sogni falliti di elezione comunale e inventore della mayday insieme a zoe e a chi animava con lui le prime ore di cw, cerca di sminuire il valore qualitativo della mayday (non voglio citare né la volpe e l'uva, né i peggiori sordi ovvero quelli che non vogliono sentire, ma ognuno penso ci arriverà da solo); dall'altro Rosati della CGIL che in mattinata afferma di voler fare un unica manifestazione l'anno prossimo e non due. Tradotto (dopo tre anni in cui li surclassiamo :): "avete vinto voi la battaglia, ma ci prendiamo un anno per capire come rompervi il culo al prossimo primo maggio. Uomini avvisati mezzi salvati". Penso che la mezza apertura (a cui abbiamo risposto concretamente chiedendo prima di sedersi a qualsiasi tavolo di discussione che i confederali facciano qualcosa di concreto per i precari, ad esempio smettendo di ignorarli e di impedire loro di votare e di essere eletti nelle RSU!!!!), Rosati l'abbia fatta prima di vedere sul loro quotidiano (Il Manifesto) due pagine scritte interamente da noi su cui campeggia un detournement della pubblicità CGIL contro la stessa CGIL 🙂

Questi rodimenti di culo sono l'indice primo che conferma il successo della giornata di ieri. Alle volte anche in un giorno nuvoloso si possono avere grandi soddisfazioni. Ma bisogna essere milanesi per gustarle appieno forse…. à la prochaine

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Mayday Parade 007: tarocchi precari e city of gods!

30 Aprile 2007 5 commenti

 

Quest'anno le novità targate creattività alla Mayday Parade saranno i Tarocchi della Precarietà e una edizione completa e innovativa di City of Gods (l'unico freepress  in cui free significa libero). Per saperne di più vi toccherà venire in corteo, ma intanto potete spulciarvi il sito cartomanzia.precaria.org e city.precaria.org.

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Ventisette… sarebbe bello emulare clerks…

30 Aprile 2007 5 commenti

 

Arrivo allo stadio con la mia bandiera fatta in casa sorretta da una canalina elettrica. Al varco di prefiltraggio, mentre intorno a me passano tutti anche con una carabina camuffata da zuppa inglese, un solerte carabinieri basso, grasso ed evidentemente romanista, mi comunica che hanno "avuto disposizioni precise e che l'asta non va bene; deve prendere quelle come alla bancarella". Io suco che non ho voglia di litigare: vado alla bancarella prendo l'asta composta da due aste di un metro e torno dentro. "E' smontabile?" "Guardi che l'ho presa li' dove mi ha detto lei…" "Se non è scomponibile non può entrare" Ovviamente l'asta è incastrata: "non può entrare" "vabbè ma vaffanculo" Mollo l'asta e me ne vado. Quasi mi atterrano in quanto pericoloso terrorista: "documenti". Gli do i documenti, lui chiama il suo tenente, e minaccia di portarmi diretto in questura. 

Alla fine della fiera mi tengono li' per mezz'ora, sapendo benissimo di non potermi fare un cazzo. Il tenente non rinuncia ragionevolmente a ricordarmi che il decreto legge "antiviolenza" mette le forze dell'ordine in condizione di esercitare arroganza a più non posso, mentre le persone normali devono stare zitte e subire la loro prosopopea: "io potrei non farti entrare né oggi né per il prossimo anno con questo tuo comportamento e il tuoi precedenti [denunce concluse con assoluzione, ma il sistema giudiziario funziona bene evidentemente….] …"

Certo il DASPO per una persona che ha portato una bandiera allo stadio fatta da sua madre il giorno della festa dello scudetto, solo perché all'appuntato romanista gli rode il culo, è un uso appropriato del concetto di prevenzione e di gestione ragionevole dei problemi. Senza forze dell'ordine ai varchi e allo stadio non ci sarebbero scontri. Senza di essi nel mondo ci sarebbe meno arroganza. Odio.

Ma passiamo alla partita.

Prova di concentrazione per l'Inter in casa, dopo il tonfo con la Roma e la sofferta vittoria con il Siena: entriamo pieni di infortunati, squalificati e operati, tanto che in panchina c'è addirittura Choutos e un primavera di cui non hanno la foto per il tabellone elettronico. Dietro a sorpresa quel bidone di Grosso anziché Zanetti, a centrocampo i quasi titolari, mentre davanti Chino-Cruz è la coppia. 

Giochiamo sciolti e la parita sembra in discesa anche se ogni passaggio dell'empoli sulla loro fascia destra diventa un pericolo grazie alle meraviglie del campione del mondo comprato dal Palermo. Dopo Adriano è il migliore candidato al premio Indesit 2006-2007. Al ventesimo Cruz inizia a zoppicare ma la mette prima di essere sostituito per Gonzales (chissà perché Mancini non vede Solari neanche con il binocolo), e riesce così a mostrarci l'unico giocatore peggio di Grosso. Gli scatti sono al rallentatore, il fraseggio è al buio, la testa è sempre sul pallone e mai a guardare a chi passare la palla, e il controllo è nullo: uno scandalo impresentabile, che si mangia anche dei gol incredibili.

Recoba prende un palo clamoroso, ma l'empoli riesce a metterla con un gran tiro dalla distanza. Dopo il pareggio dei gelatai i nerazzurri se la prendono: nel giro di due minuti gol dalla bandierina di Recoba con complicità evidente del portiere empolese che è l'unico più babbo di Dida (ma almeno non lo fa con il Manchester dopo 5' minuti di semifinale), e staffilata di Stankovic. Potrebbe finire in goleada se Gonzales, Stankovic, Grosso e addirittura Figo non si mangiassero un gol fatto ciascuno. Gli ultimi venti minuti di partita sono degni di una camomilla, ma siamo Campioni d'Italia.

Da segnalare la partita incredibile di Julio Cesar, che se smettesse di chiedere sei milioni all'anno ci eviterebbe di dover spendere quaranta milioni per Buffon (che se devo pagare un portiere pià di un milione di euro all'anno è meglio che sia il migliore del mondo 🙂

 

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Ucci ucci sento odor di… occupazione

28 Aprile 2007 1 commento

 

Un uccellino mi riferisce che in via Volturno, quartiere Isola, proprio a due passi dalle ruspe, qualcuno ha occupato un nuovo posto! 🙂

L'occupazione è stata realizzata dal variegato collettivo di studenti universitari della statale (e non solo). Il posto è l'ex sede dei DS in via Volturno, in zona Isola, un palazzo di sette piani dedicati a uffici, oltre a un auditorium la cui ultima iniziativa ospitata è stata una presentazione di un libro di fassino.

Gli studenti sono molti e molto felici di questa esperienza. Il quartiere non ha reagito male, se non per un po' di diffidenza per il timore del ricrearsi di una zona devastata dallo spaccio e dai rompimenti di coglioni come era diventata nelle ultime fasi la stecca: si avvicinano, curiosano, chiacchierano con i presenti e mediamente vanno via convinti che ci si trovi di fronte a persone con cui si può ragionare e stare a vedere che cosa vogliono combinare.

Ho fatto un giro dei bar e dei pub del quartiere a raccogliere impressioni, e mi pare tutto filare liscio. Di sbirranza non se n'e' vista, anche se il luogo, ormai di proprietà ben più altolocate che non il Comune (precedente proprietario), vale molto e quindi costituirà un non indifferente elemento di pressione su questura e prefettura.

La partita è dura ma aperta, e vedremo un po' i giovani e le giovani che carte si vorranno giocare. Tanto anche loro un carro alla mayday lo hanno già prenotato da parecchio. E via!  

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And now for something completely different: MAYDAY MAYDAY!

26 Aprile 2007 Commenti chiusi

Passata la depressione post 25 aprile, è ora di guardare al futuro, e a parte il campionato di serie B e le grandi vittore dello sport in Champions League <g>, è in arrivo la mayday 007, giunta alla sua settima edizione.

Quest'anno la preparazione della mayday è stata superpolitica da un lato e supersociale dall'altro. Alle riunioni per indire la manifestazioni si sono visti quasi esclusivamente soggetti tutti politici, distanti mille miglia e mille anni dalla realtà delle cose, ma vicini (nella maggior parte dei casi) ai giochini a cui sono abituati nei palazzi. D'altronde, si sa, in periodi di scarsa evidenza dei processi di attivazione del tessuto sociale (attenzione non ho detto dei processi in sé, ma della loro visibilità), i politicanti si arrabattano contro le loro stesse macchinazioni per dare un senso alla loro esistenza. E così abbiamo una forte presenza di soggetti vicini ai partiti che fanno anche parte dell'esecutivo che cercano di mietere pietà nella mayday milanese, mentre specularmente la rinnovata coalizione del leninismo a buon mercato dell'antagonismo disobbediente cerca di costruirsi un giardino in cui sia più facile fare il proprio gioco senza fastidiosi bastoni egualitari e paritetici tra le ruote. 

Nonostante tutto questo nel tessuto sociale si agitano molte cose, soffocate dai media mainstream e dalla politica, dal governo e dalla chiesa, dal moralismo e dal fastidioso intellettualismo fine a sé stesso e al proprio relativismo (quanti ismi del cazzo 🙁 

Così mentre si ciarla di tutto questo e si riesce a far passare un comunicato molto politico destinato agli addetti ai lavori, le assemblee con cui prepariamo i carri dell'intelligence precaria vedono 50-60-70 persone ogni settimana e grande entusiasmo. Si fatica a trovare un meccanismo divertente e coinvolgente come gli anni scorsi, ma quest'anno nelle assemblee i gruppi di lavoratori appaiono molto più sciolti e sicuri di sé stessi nella partecipazione, addirittura in alcuni casi inarginabili 🙂 

Peccato che la commissione censura interna abbia bocciato il gioco di parole su MAYDAY 007, agenti segreti, intelligence precaria e cospirazione, ma il gioco che si è elaborato funzionerà altrettanto bene,  catturando l'attenzione e stimolando l'immaginazione delle persone. Poi io amo molto i tarocchi e tutte le forme di divinazione: come ogni forma di superstizione mi affascina la sua capacità di estrarre senso dalla casualità, di derivare relazioni da elementi disposti in maniera totalmente priva di connessione. Sincronicità, qualcuno in qualche commento si è divertito a stuzzicarmi 🙂

E' ancora presto per lanciare tutto e spiattellarvelo qui, ma aspettatevi altri post nei prossimi giorni che vi raccontino di più. Per ora potete informarvi in giro:

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Memoria a ostacoli: 62esimo anniversario della Liberazione

26 Aprile 2007 1 commento

 

Da quando sono nato sono stato abituato al fatto che il 25 aprile è un giorno speciale. I miei non sono questo mostro di impegno sociale (mia madre già qualcosa di più di mio padre), ma il 25 aprile è sempre stato un giorno che mi è appartenuto, e penso che le canzoni partigiane sono una delle poche cose che mi muove a commozione. Con il passare degli anni, l'esercizio della memoria, della più pura e semplice delle attività, quella di ripercorrere con il pensiero alcuni eventi e di riflettervi, è diventata sempre più ardua, nell'impetuoso mare del revisionismo, delle scuse non richieste, della riconciliazione a tutti i costi nel nome di una misurata farsa democratica che mi fa vomitare.

Da ormai alcuni anni a questa parte il mio 25 aprile comincia con il rito più intimo e significativo del giro delle lapidi dedicate ai partigiani in quartiere Isola: un gruppo via via più sparuto (ogni anno si perdono almeno 2-3 persone) fa un giro in macchina (già una cosa sfigata di suo, ma comprensibile considerata l'età media di 70 anni) a deporre le corone di alloro con il tricolore dell'ANPI e del Comune, presso una ventina di lapidi divise tra la zona di Lagosta, Centrale, Gioia. Il giro è molto intimo, e assolve perfettamente il compito di riconciliarti con un pezzo di storia che non hai vissuto direttamente ma che senti sulla tua pelle come qualcosa di vivo. Una sensazione evidentemente sempre meno diffusa.

Pensavo che avremmo raggiunto il minimo storico di questi giri di lapide due o tre anni fa quando ci litigammo la lapide in piazza Clotilde con un altro gruppo di persone, ma oggi quando in via Confalonieri, durante il giro delle lapidi del 25 aprile, i vecchietti del PSI hanno voluto mettere anche una corona sotto la targa dedicata a Bettino Craxi, quasi finisce in rissa. D'altronde di questi tempi mettere sullo stesso piano chi si è fatto ammazzare per cacciare i fascisti e chi ha rubato i soldi di metà della popolazione per poi morire in piena crisi di vittimismo dopo essere scappato dall'Italia ad Hammamet, è proprio il minimo del revisionismo che si possa accettare. Dopo un po' di insulti a mezza voce, il primo ostacolo è saltato.

Dopo 100 metri secondo ostacolo: il monumento ai caduti della Resistenza vicino a Largo De Benedetti è chiuso nelle lamiere del cantiere di Garibaldi Repubblica. Per poter mettere le DUE corone devo: scavalcare la recinzione del cantiere, scalare un impalcatura, appendermi al monumento e finalmente appoggiare le corone. Poi dopo questo improvvisato e provvido parkour, posso scendere e tornare alla macchina e ripartire per le ultime lapidi.

Uno pensa che per ricordare una cosa che dovrebbe essere nel dna di tutti, io abbia gia' fatto abbastanza fatica. Ma no.

Vado a Bergamo per il pranzo del 25 aprile. Quando arrivo a Dalmine (l'uscita per il Paci Paciana) scopro che fino al 6 maggio è chiusa in arrivo da Milano. Ok. Esco a quella dopo. Mi faccio 15 minuti di coda al casello per rientrare in autostrada, tornare indietro 5 km, pagare 30 centesimi e finalmente arrivare al Paci. Dove però il pranzo è in ritardo di due ore. Meno male che mi vogliono bene e mi danno da mangiare in anticipo di straforo (raga' mi sono dimenticato di lasciare la sottoscrizione, che pezzente!).

Torno a Milano per l'inizio del corteo. Decido di ascoltare Radio Popolare. La tesi della radio è che la nascita del partito democratico sia il motivo fondante di rinnovata partecipazione al 25 aprile. Una tesi bislacca, ma che nella ressa di puttanate che sentiamo e leggiamo tutti i giorni non fa una grinza. Se non che tutti gli intervistati danno addosso al governo e alla mancanza di memoria storica, e affermano di essere al corteo per i motivi di sempre: ricordare i valori fondanti della nostra vita moderna come cittadini di una società moderna. Il commento dell'intervistatore di Radio Popolare, evidentemente scontento che la realtà non si confaccia alla linea della radio, cerca prima di rimediare con un militante dei DS di venti anni che è entusiasta del PD come "momento in cui vrrà finalmente dato spazio a noi giovani" (PIETA'). La chiosa del giornalista è che i pareri raccolti a parte quello del giovani militante "non fanno statistica": nel senso che in Italia siamo riusciti a trasformare in un esercizio dialettico anche la più banale delle scienze.

Spengo la radio innervosito. Passso da casa e poi finisco in Porta Venezia. Alle 15.30 la coda del corteo (normalmente ancora in Loreto) è già oltre Palestro. Becco i popolarini e dico: "poca gente quest'anno". Loro: "ma va, molta di più". Certo d'altronde sono stati invitati sul palco il lider maximo Bertinotti e quell'arpia della Moratti, che c'entra con il 25 aprile come un cetriolo sottaceto nel caffelatte.

Mentre giro per il corteo ormai affranto, solo pochi attimi di felicità quando vedo 12 ragazzi dei campi palestinesi agitare una bandiera della Palestina su una asta lunghissima che si vedrà dalla prima all'ultima fila del corteo. Poi mi giro e vedo un cretino con una bandana nera con la celtica e una tipa con il cappellino bianco che fanno foto, mentre nessuno gli dice un cazzo. Lo prendo a male parole sperando che reagisca per accartocciarlo su un palo. Non funziona. Fa finta di non sentirmi e in qualche modo riusciamo a fotografarli (presto online). 

E' il simbolo di questo momento di memoria ad ostacoli: annacquato da ogni gruppetto alla ricerca di farvi rientrare qualsiasi querelle, dimenticato, strumentalizzato,  frammentato, sfottuto dai fascisti, ignorato dalle persone normali, che difficilmente sapranno dirti chi era contro chi nel 1943. Che tristezza. Mi allontano dal corteo mentre in piazza si consuma l'ennesimo suicidio politico della sinistra, che afflitta dal senso di colpa ha invitato la Moratti a parlare dal palco, completa vittima di sé stessa.

Almeno il successivo cinema brechtiano con Le vite degli altri mi ha risollevato dalla depressione più nera, un film in cui si riafferma come le decisioni degli uomini abbiano più valore di quello che si vorrebbe far sembrare per farci accontentare di una vita senza opinioni, senza tempo, senza spazio, senza voglia e senza possibilità. 

PS: sono cotto dal sonno e non rileggo. non mi crocefiggete troppo 

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Il giorno inaspettato dei campioni

23 Aprile 2007 14 commenti

 

Scendo dal treno alle 13.07. Mancano due ore alla partita e quindi sono ancora relativamente tranquillo. Concordo il piano con voce rilassata: adesso andiamo a casa, ci facciamo un the, leggiamo la mail e poi ci scagliamo verso il quattro quattro due, il covo. A piedi da casa mia ci vogliono venti o venticinque minuti. Tutto l'anno sono andato al Biffi, l'unico posto vicino a casa mia e scevro di nazisti espliciti (c'è comunque sempre quel vecchio canuto che sa tutto ma non capisce un cazzo di calcio che mi irrita il solo vederlo, ma facciamo di necessità virtù). Tutto l'anno sono partito di casa verso le due e venti e sono arrivato al Biffi alle due e trentacinque. Tutto l'anno canticchiando nerazzurri alè, nerazzurri alé, nerazzurri alè. Oggi sfatiamo il mito. Oggi sfidiamo la scaramanzia. Fanculo, dopo la debacle di mercoledì sono tornato al mio nichilismo puro: come dice anche The Big Lebowski… “i nazisti almeno credono in qualcosa, ma cosa facciamo con i nichilisti, questi non credono in niente!”

Camminiamo normalmente verso via Procaccini, decidendo di attraversare Sarpi. Ogni tot io accelero il passo costringendo blanca a tirarmi per la manica. “Non lo faccio apposta, è che proprio mi prende l'ansia da partita e non riesco a trattenere il passo”.

Arrivo al quattro quattro due e non c'è ancora un cazzo di nessuno. Scelgo il mio tavolo nell'angolo. Chiacchiero con ale mentre ci guardiamo la seconda divisione inglese, in cui contrariamente a ogni pronostico il Birmingham vince ridando fiato alle speranze di playoff dello Stoke City, la prima squadra di ale, quella per cui batte il suo cuore gallese. Addirittura gli avversari del Birmingham si fanno parare un rigore casuale dato al novantatreesimo.

Non so se interpretare la cosa come un segno positivo o negativo. Sono le quattordici e cinquantatre. Non so nulla. Non sono nulla. Un fascio di nervi. Al termine della partita con la Roma avevo giurato che avrei fatto lo sciopero del tifo.

Al primo tocco di Materazzi già mi parte la prima bestemmia. Al secondo tocco sono già lì che sbraito come se fossi seduto di fianco a Sinisa in panchina. Alla prima occasione da gol netta sono già in piedi sul tavolo. Mentre la partita si snoda e vedo i ragazzi che comunque stanno giocandosela, guardo blanca che mi osserva con commiserazione: “il mio fioretto non è valso un cazzo, lo so… sono un mezz'uomo”.

Ma intanto mischia in area, scarpate, Materazzi, gooooooooool. Salto in braccio a Montalbano (un cristone quarantenne bergamasco con due braccia larghe come le mie coscie) e poi corro a lanciarmi sul mucchio di gente abbracciata in mezzo al pub. Altro che Biffi. Qui mi sento a casa, tutto sommato. Sono in un covo di tifosi nerazzurri, non di sportivi da bar, non di vecchi-so-tutto-io, ma tifosi invasati per i colori nerazzurri.

Mi risiedo e quelle merde della terza squadra della Juve, con la stessa maglia, ma disputanti campionato nel territorio toscano, segnano il pareggio alla prima azione. Mi incazzo come un caimano con la nostra difesa disposta a rombo-raggera a quattro dimensioni, in pratica a caso, ma non demordo. E' maturo, lo sento, soprattutto quando serpeggia la notizia che la Roma ha preso la prima pera da Doni.

Bastardi, lo sapevo che dopo averci rotto le uova nel paniere perdevano a bergamo come dei pusillanimi. Pagliacci. “Forza ragazzi mettete quella cazzo di palla nel sacco”. L'assedio è assiduo ma il gol non arriva. In compenso arriva il gol capolavoro di Zampagna, che se lo avessi avuto di fianco lo avrei baciato in bocca, nonostante il suo probabile rifiuto.

Nell'intervallo tutti parlano, fumano, bevono, discutono. Tutti ci credono, ma credono anche che la sfiga è sempre dietro l'angolo. La logica dell'interista, lo scetticismo incarnato in corpi e cuori troppo carichi di passione da troppi anni, e fegati troppo carichi di torti e disastri dell'ultima giornata o dell'ultimo minuto.

Dopo due minuti nel secondo tempo si infortunano in serie Burdisso e Julio Cesar. Ci guardiamo per cercare di interpretare attraverso i volti di chi ci sta vicino e le sue bestemmie se sia un segno del destino eroico che ci attende o della sfiga in agguato dietro l'angolo camuffata da vecchina con il kalashnikov. Julio resiste, si tappa il sangue nel naso, e garantisce i cinque minuti di recupero.

I ragazzi ci credono, ma il Siena fa la partita della vita. Stronzi gobbi mancati maledetti. Sembrano il Piacenza contro il Genoa due anni fa, quando il Torino li pagò più di Preziosi, costringendo quest'ultimo a comprarsi la famosa partita con il Venezia che è costata ai genoani l'inferno della C.

Ibra, Cruz e company però danno il bianco. “Mettete quella cazzo di palla nel sacco, dio caimano!”. Il grido si leva solenne. Cruz si lancia in profondità, Manninger esce scomposto: “è rigore!” “che cazzo dici era fuori area di un metro!” “è rigore, guarda è dentro e lo sposta fuori” “il guardalinee lo trasforma in una punizione” “meglio così” “meglio così un cazzo”.

Materazzi mette la palla sul dischetto. Tutto il pub è in silenzio: chi si copre la testa per non guardare, chi stringe i pugni e fa respirazione yoga, chi ha le labbra cucite e ostenta calma olimpica, ma dentro si sente il cuore che gli sfonda la cassa toracica e la lingua che si gonfia. Tiro, gooooooooooool. Esplode il quattro quattro due. la gente si lancia in un pogo violento, abbracci, urla. Ci giriamo verso la televisione. Materazzi rimetti il pallone sul dischetto: “ma che cazzo fa quella merda di ayroldi, lo fa ripetere?” “io adesso muoio” “ho un infarto”. Ricala il silenzio. Matrix parte, tiro, gooooooooooool.

E' tripudio. Perrotta accorcia le distanze ma non ce ne frega un cazzo. Adesso la partita è il simbolo della riscossa, della vittoria, dell'eroismo. Mancini che non ha mai fatto un cambio prima dell'ottantesimo in vita sua, decide di esaurire i cambi al ventesimo della ripresa. Due minuti dopo Maicon si infortuna e sembra non poter riprendere il gioco: trenta minuti (contando il recupero) in dieci contro undici. Con SOLO un gol di vantaggio. Incubi.

Inter è sofferenza, Inter è terrore, Inter è non poter aver certezze. Uno si chiede perché è nato interista. La partita procede, il gioco della beneamata scende di tono, e soffriamo qualche scarica adrenalinica dei senesi guidati da quel rossonero di Beretta, infoiato come un coccodrillo a digiuno.

Scocca il novantesimo. Cinque minuti di recupero. Julio Cesar rallenta i rinvii dal fondo, ma sembriamo incapaci di tenere quella cazzo di palla. Ma agli allenamenti la melina non la insegnano più. Ayroldi fischia: il quattro quattro due esplode, tutti esplodiamo.

Fermi tutti, mancano tre minuti a Bergamo”. Giriamo canale. Punizione dal limite basso dell'area per la Roma. Tre minuti ancora da giocare. Parte la punizione e non succede un cazzo, se non che un romanista rimane a terra un po'. Rosetti allunga il recupero di un minuto. I secondi scorrono lenti, ma la Roma non fa un cazzo, non fa un cazzo, non fa un emerito cazzo. Triplice fischio. Siamo campioni d'Italia. Dopo diciotto anni. Ero piccolo quando ho visto lo scudetto allo stadio con la mia minchia di bandierina degli ottanta anni dell'inter. Ero giovane quando ci hanno fottuto almeno tre campionati, di cui uno comunque ce l'eravamo mandato in vacca da soli. Non ci credo.

La gente si abbraccia si salta in testa. Ale spara Amala Pazza Inter Amala sullo stereo a tutto volume, siamo in strada, salgo su una macchina e grido come un pazzo, la gente ci guarda giustamente come invasati. Urli fino a che non hai più voce, urli per farti sentire da tutti, urli per sentire gli altri urlare.

Va avanti così per un'ora. Poi ci spostiamo in Duomo. Una bolgia di umanità in nerazzurro, bandiere, striscioni, cori, aste, pupazzi, trombe, trombette, sirene, ragazze, ragazzi, bambini, vecchi, adulti, bianchi, neri, gialli. Gridiamo, gridiamo, gridiamo ancora, scandiamo cori, fino a che non siamo esausti.

Torniamo a casa. Sul tram c'è una signora giapponese con la madre vecchia che sembra uscita da un manga. La signora fa sedere la madre sul sedile del tram e poi tira fuori dalla borsa la sua bandiera a scacchi nerazzurri e la appende al finestrino del tram. La guardo e rido come un cretino, come uno che una volta tanto non è deluso, non è meditabondo, brontolone, scassacazzi.

Rido perché sono felice.

 

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Vergognatevi

19 Aprile 2007 19 commenti

 

Dedicato ai giocatori dell'Inter e soprattutto al suo tecnico, Roberto Mancini, che non impara mai dai propri errori. 

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Lo sgombero della stecca: una vicenda emblematica nel cuore di Milano

17 Aprile 2007 16 commenti

 

La Stecca degli Artigiani è una struttura di oltre cento anni fa nel cuore di Milano, in quartiere Isola, a un passo dal centro, un tempo uno degli epicentri della ligera milanese (la piccola criminalità che sbarcava il lunario in maniera non esattamente legale :), più recentemente luogo simbolo delle trasformazioni della città in piena gentrification.  Stamattina i locali della Stecca sono stati sgomberati dalle forze dell'ordine e sono in corso la demolizione della struttura. Al momento in cui scrivo si salva solo la porzione dove ha sede la locale sezione del Partito della Rifondazione Comunista, ma neanche loro erano molto certi di sopravvivere all'operazione (e in ogni caso la loro permanenza cambierebbe poco rispetto alla riflessione che sto scrivendo).

All'interno della Stecca dagli anni Ottanta in poi si sono insediati artisti e artigiani, che vi svolgevano i lavori più diversi. Negli ultimi anni molti degli artigiani hanno abbandonato lo stabile in cambio di luoghi più decentrati e meno pregiati in una non-trattativa con il Comune di Milano. A loro sono subentrate associazioni che si occupano del sociale (dall'aggregazione all'insegnamento per stranieri, passando per molto altro), gruppi informali, e singoli. 

Negli ultimi pochi anni la vicenda della Stecca ha subito un'improvvisa accelerazione, dovuta alle mire speculative nei confronti di un'area molto appetibile di un quartiere ancora popolare, inopinatamente (secondo il Comune) dedicata a un giardino e a un non-luogo come la Stecca "occupata abusivamente". Tutta l'area infatti è interessata dal progetto relativo al nuovo centro direzionale amministrativo in cui la Regione si trasferirà lasciando il Pirellone vuoto e privo di utilizzo (uno si chiederà legittimamente perché non rimangono lì, ma le sue domande sono destinate a non ottenere risposta). Più in generale il quartiere Isola è interessato da un processo di trasformazione nel complemento al nuovo settore moda che sorgerà nell'adiacente Garibaldi-Repubblica. Tutto questo firmato Comune di Milano e Hines Italia (il buon Manfredi-Catella…..).

La vicenda degli ultimi anni della Stecca degli Artigiani e delle lotte per salvarla o/e per spartirsela sono emblematiche delle trasformazioni di Milano, della sua lenta ma inesorabile discesa nella terra dei senza anima, nel luogo in cui chi vive una strada preferisce vendersene i marciapiedi che continuare a viverci dignitosamente.

In un primo tempo si sono costituite diverse associazioni, ognuna con la propria agenda circa il significato della frase "salviamo la Stecca e il quartiere": dal Comitato dei Mille che voleva trasformare l'area in una zona per benpensanti e bambini, all'Isola Art Center che voleva aggiungere a quel progetto un museo d'arte moderna ovviamente gestito da loro, fino ad arrivare a soggetti più o meno autorganizzati che non hanno mai saputo esprimere una progettualità politica su quell'area ma un generico sostegno a questa o quella associazione, e al Rifondazione Comunista, che cercava di essere eletto dagli altri occupanti rappresentante delle istanze in sede politica, poco interessato tutto sommato a cosa poi effettivamente serviva o meno al quartiere, o a realizzare un proprio progetto.

Tutte queste idee divergenti hanno fatto finto di convivere fino a che i tempi non si sono fatti stretti, facendo finta di non vedere come la struttura veniva sempre più lasciata a sé stessa, e in particolare alle varie comunità di migranti che ne hanno fatto il loro fortino (in buona parte non con fini edificanti, ma come ben difendibile ghetto autocratico e insofferente alla vita del quartiere che non fosse quella dei propri clienti affezionati). In buona sostanza anche i gruppi di senegalesi, rumeni, latinoamericani e arabi che si sono in diversi tempi insediati nel luogo non hanno pensato nient'altro che a farsi i propri giri, noncuranti di quanto sarebbe durata la situazione e perché. I soggetti autogestiti hanno fatto finta di non vedere la situazione che degenerava, anche perché parte di quel parco clienti che tanto vituperavano e soprattutto perché figli di una generazione del pensiero debole che prima di prendere in mano la situazione ci pensa sempre un paio di volte di troppo. I soggetti "istituzionali" o "compatibili" hanno semplicemente dato le chiavi alla DIGOS per fare un paio di interventi che hanno solo contribuito ad avvelenare gli animi.

A ridosso del momento dello sgombero ognuno poi ha giocato per sé: i migranti si sono barricati, un po' di folklore atavico non guasta mai; i soggetti autogestiti e le associazioni più giovani hanno creato una associazione di associazioni e hanno messo sul piatto un accordo con Manfredi-Catella per degli spazi pulitini-pulitini post delenda Stecca; PRC e Isola Art Center (sicuri che dopo la Stecca a soggetti così affermati uno spazio non sarà certo negato) hanno scelto la linea dei pasdaran, non si capisce se per mettersi a posto la coscienza o per convenienza di immagine. 

A questo punto mi odieranno tutti, ma una volta tanto cerchiamo di vedere le cose come stanno e di capire che questo sgombero è una sconfitta per tutti, che segna l'inizio della fine del quartiere per come l'abbiamo conosciuto, molto più che i reiterati sgomberi di Reload, dello sgombero di Metropolix, di quello di Garigliano per pochi soldi, e della trasformazione del tessuto sociale del quartiere in un luogo privilegiato da fighetti (si spera che la gente che vive in Isola sia più resiliente dei suoi luoghi simbolici). Questo sgombero è una sconfitta ed era ormai inevitabile: la gente del quartiere aveva abbandonato la Stecca vinta dagli scazzetti per interessi particolari dei vari soggetti coinvolti, vinta dalle sensazioni di degrado della propria pancia, dalla logica culturale monotematica con cui i media l'avevano imbastita e che chi vive il quartiere in maniera politicamente vivace non aveva saputo destrutturare. E il Comune non deve essere certo stimolato negli interventi manu militari.

La fine della Stecca è emblematica delle trasformazioni nel cuore di Milano, sempre più città vetrina, spossata e spogliata della propria anima a favore di soldi effimeri e progetti ancora meno credibili di magnifiche sorti e progressive, sempre più vessata dall'incapacità politica e materiale di chi crede che il mondo possa funzionare secondo logiche di cooperazione e di solidarietà, e non secondo logiche di conquista e di violenza.
La Stecca degli Artigiani l'abbiamo persa noi, chi ha fatto troppo poco, e chi non ci ha pensato abbastanza, chi ha aspettato che qualcuno trovasse una soluzione per lui, e chi ha cercato soluzioni solo per sé stesso o poco più. L'inesorabile mortificazione di un quartiere vivo e splendidamente contraddittorio lascerà un vuoto che sarà difficile colmare e di cui nessuno di noi si preoccuperà seriamente fino a che non si sarà spalancato sotto i nostri piedi. 

Quando camminando per via Borsieri troveremo solo vetrine fredde e lucide, e non vedremo più la gente che attraversa la strada sorridendo e chiacchierando, ci accorgeremo di quanto amavamo quei luoghi e ci sentiremo solo un po' più stupidi del solito, continuando nella nostra incanalata e scialba vita quotidiana. A meno che ogni giorno non ricominciamo a  pensare come convincere tutte le persone con cui viviamo quelle strade che il posto in cui camminiamo non è di nessun altro se non nostro, che la risoluzione dei problemi di un luogo sta nella capacità di assumersene la vita, e che l'intervento di chi gestisce già malissimo l'intera città e il complesso della nostra vita, non potrà che peggiorare la situazione.  

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