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La giustizia ovvero la pantomima dei servitori

27 Ottobre 2006

Il 23 ottobre il nuovo governo di centro sinistra ha bloccato la riforma Castelli sulla giustizia, una riforma voluta fortemente da lega e centro destra (e dal Guardasigilli indegno che avevano scelto) con un certo spirito di rivalsa per l'attività chiaramente politica che la magistratura italiana ha e ha sempre avuto (anche quando ha fatto comodo al caro Silvio e al suo patron Craxi). La riforma della magistratura in Italia e dei meccanismi con cui funziona l'apparato giudiziario non sono un tema nuovo in Italia, come d'altronde un po' ovunque, considerato che da Montesquieu in avanti è stato uno dei tre poteri che confliggono per la direzione delle faccende della res pubblica in uno stato (cosiddetto appunto "di diritto" 🙂

Le cose curiose da appuntare sono due: proprio il giorno della sospensione della riforma compare sul sito "La Voce" – il think tank dei riformisti liberisti del centro sinistra – un articolo che vorrebbe dare la direzione da seguire in materia di riforma dell'apparato giudiziario. Nell'articolo, però, si evidenzia una tendenza sempre più marcata di questo serbatoio di posizioni per il governo (che gioco-forza segue un po' l'andamento fumoso del centro sinistra stesso): da un lato si menziona solo rapidamente in un paragrafo un po' striminzito il problema della separazione delle carriere, unica vera nota positiva della riforma Castelli, mentre l'estensore si spende moltissimo sul problema della qualità dei giudici e di come migliorarla. 

Il problema della separazione delle carriere è un problema pesantissimo in Italia.  Giudici e pubbliche accuse sono di fatto parte dello stesso pot-pourri e della stessa "casta", generando una certa indisponibilità a contraddirsi troppo, indipendentemtne dalla materia di diritto. In pratica quando hai contro un pm, puoi solo sperare che il giudice che analizza il tuo caso sia un nemico, nel gioco interno alla magistratura, del magistrato. Senza contare il rischio concreto (vedi Maurizio Laudi) di trovarti un magistrato prima a fare l'indagine come pm e poi a valutarla come giudicante. Un'evidente aberrazione della presunzione di innocenza e del diritto di difesa. Altrettanto ovviamente il problema della separazione delle carriere agita non poco gli animi dei giudici e dei pm, perché li taglia fuori non solo da un margine sempre verde di carriera ma anche dalla gestione in assoluto delle dinamiche di potere interne al tribunale: una separazione delle carriere significherebbe riportare un senso originale alle funzioni all'interno di un processo, distinguendo chi accusa, chi difende e chi giudica. Ma il motivo per il quale "La Voce" sorpassa fischiettando il punto è che, nell'ottica cerchiobottista dell'attuale governo che annuncia ottanta misure per poi ritirarne ottantuno appena qualcuno fa una lamentela, anche la sospensione della separazione delle carriere gioca un ruolo diplomatico, a tutto discapito dalle valutazioni politiche e organizzative nei confronti di un Stato che si dovrebbe amministrare. Il solito pizza e fichi all'italiana. Viceversa il terreno del miglioramento della qualità della casta giudicante è un tema ormai passato nella cultura comune proiettata verso la meritocrazia, e su questo tema c'è spazio per criticare nel merito la riforma Castelli per proporne un miglioramento, con tanto di standing ovation di tutte le parti in causa.

Purtroppo i tribunali italiani sono sede di una pantomima terribile non tanto per quello che rappresenta, ma per gli effetti che ha quotidianamente sulla vita delle persone che attraversano quelle aule, in cui anni di galera e destini sono decisi sulla base non tanto e non solo delle leggi (che già sarebbero un tema su cui discutere a lungo), quanto sulla base dell'umore e del rapporto fra le parti. Vivere dall'interno il meccanismo giudiziario genera un disgusto ancora più profondo che il semplice abominio del dover far regolare la propria vita a leggi e leggine, anziché alla realtà della società che siamo capaci di costruire: osservare quanto sia palese la pantomima dei conflitti tra pm e giudici e avvocati, la teatralità con cui si scannano sulla pelle dell'imputato per poi andare a pranzo insieme scherzando riporta alla memoria molte, troppe satire del passato, a partire e non a concludere con Azzeccagarbugli.

Lungi da me auspicare una migliore giustizia, che come è noto è sempre uno strumento dell'estabilishment (presente se conservatrice, futuro se rinnovatrice), ma certo un po' più di parvenza di dignità al meccanismo con cui priviamo una persona della propria libertà mi sembrerebbe quantomeno una scelta di classe. Ma il potere di classe non ne ha.

 

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