Lo sviluppo di Google e la schizofrenia
La schizofrenia imperversa nel mondo dei googlefili (peraltro anche in quello dei googlofobi). Qualche giorno fa è stato pubblicato il riassunto di un paio di documenti interni della compagnia di Mountain View in cui si cerca di descrivere in che direzione si sta muovendo il più famoso motore di ricerca del mondo – nulla di sconvolgente o che non si possa desumere dai prodotti che sta lanciando, ma vederlo nero su bianco fa un certo effetto, non si può negare.
Da un lato è evidente che presto Google si troverà ad affrontare l'ennesima crisi sulla dimensione della monetizzazione del proprio prodotto principale: la ricerca. E' già successo in passato, prima che Page e Brin decidessero di implementare gli ormai noti meccanismi di AdWords e AdSense. Il punto è che Google cresce a vista d'occhio e come ogni organismo in crescita ha bisogno di nutrirsi, sia di sostanze (soldi) che di idee (prospettive). Per quanto riguarda i soldi la strada che sembra intraprendere è quella non solo di spingere ancora di più la sua sezione commerciale (quindi un approccio quantitativo al problema) ma anche di implementare – ma anche qui siamo ancora al livello delle indiscrezioni – una sezione di ricerca a pagamento nei suoi servizi. Che cosa si intende con questo? Per ora nessuno lo sa e basarsi su supposizioni non fa bene alla pelle (e al cervello), però uno scenario in cui una parte delle informazioni che Google è in grado di ricavare sono disponibili solo a pagamento è uno scenario di stratificazione sociale della ricerca che mi spaventa non poco: preferisco avere il mostro della pervasività in mezzo a noi usabile anche da noi, che non un mostro della pervasività in mezzo a noi usabile solo da chi ha i soldi per farlo. Meglio un pericolo democratico che non una minaccia oligarchica… o no?
Per quanto riguarda le prospettive la scena si fa filosoficamente più interessante, e congrua con il recente lancio di Google CSE, il sistema di creazione di piccoli Google personalizzati da inserire nei propri contesti cognitivi. Gli esperimenti condotti con Google CSE ne dimostrano la potenzialità e sottolineano come la creazione di reti di conoscenza che siano capaci di agire in maniera "intelligente" rispetto al contesto relazionale in cui si muovono sia un obiettivo praticabile in questo momento e un orizzonte che può fare una certa differenza. E' ovvio che rendere le capacità di trovare un'informazione in maniera sempre più precisa e intelligente costituiscono un margine di miglioramento per Google (anche qualitativo), ma il salto che viene cercato è nella direzione dell'integrazione delle informazioni e della loro capacità di rispondere alle relazioni che costituiscono l'origine e il termine della ricerca stessa. Così se da un lato si punta ad avere il laboratorio di ricerca sul tema dell'Intelligenza Artificiale più avanzato del mondo, dall'altro si cercano meccanismi per porre su un'unica gigantesca time-space line le informazioni che vengono raccolte e distribuite da Google (e Google News in particolare, ma questo potrebbe solo essere un prototipo).
Ovviamente i problemi di un evidente conflitto di questo tipo di obiettivo (se praticato fino alle sue ultime conseguenze) con l'attuale implementazione del sistema capitalista (un sistema decisamente chiuso) continuano ad emergere. Il dubbio che Google se vuole veramente essere il paladino di un capitalismo open source (questa è l'evidente approccio speranzoso e ottimista dei googlefili) deve capire che non avverrà senza scontri, come il caso del materiale video coperto da copyright dimostra, inizia a fare breccia anche negli difensori più determinati della compagnia di Page, Brin e Schmidt. Allo stesso tempo il fatto che un sistema così efficiente di recupero informazioni, rielaborazione e processing qualitativo dei dati sia un pericolo concreto per le libertà individuali e che Google potrebbe non essere poi così diverso da chi governa l'attuale paradigma politico-economico continua ad agitare i sonni di coloro che vedono in maniera non naive il mondo che gli gira attorno. Probabilmente nessuno ha ragione e la schizofrenia non è solo in chi legge i fenomeni ma in chi li sta generando: non sono sicuro che sapere che l'ipertrofia di Google è maniaco depressiva mi tranquillizzi 🙂