L’idra divisa
Finalmente dopo un travagliato iter sono riuscito a finire il libro The Many-Headed Hydra di Peter Linebaugh e Marcus Rediker [edito in italiano da Feltrinelli], due storici e sociologi marxisti americani dalla prosa leggermente convoluta (spesso per eccesso di cose da dire più che per incapacità lessicale). Il libro attraversa quasi tre secoli (dagli inizi del '600 alla metà dell'800) lungo le sponde dell'Atlantico, cercando di analizzare le caratteristiche rivoluzionarie di vari fenomeni legati alla scoperta dell'Oceano che divide Europa e West Indies.
E' molto interessante come il XVII e XVIII secolo siano diventati un fulcor attorno al quale sono state prodotte moltissime parole, basti pensare al ciclo di System of the World di Stephenson e ai libri di Wu Ming in prossima uscita. Sono due secoli estremamente densi di cambiamenti, in cui il paradigma di tutta la realtà è mutato radicalmente: la scienza infinitesimale da un lato e la finanza e la prima globalizzazione dall'altra. In mezzo eresie, utopie, e le più grosse società alternative che la storia moderna abbia conosciuta (quella dei pirati per chi non avesse inteso il riferimento 🙂
La tesi del libro è abbastanza lineare, ma decisamente centrata nella percezione del mondo statunitense: tra il '600 e '700 si viene a creare un nuovo enorme mercato, quello a cavallo dell'Atlantico, che necessita una ridefinizione delle strutture del capitalismo in modo da consentire la stabilizzazione di questa prima forma di globalizzazione. Da un lato l'evoluzione della finanza, dall'altro la compressione delle possibilità di libertà offerte da questa nuova prospettiva di ricchezza. Un nuovo mercato ha bisogno di forza lavoro, di braccia le più abbruttite possibili che possano essere trasformate in soldi senza tanti compromessi. Il proletariato nasce in questo contesto, l'idra dalle molte teste che terrorizza l'ercole degli stati coloniali e mercantili è un soggetto variegato nella classe, nel colore della pelle, nelle aspettative, nella nazionalita', nella religione: in una parola, è la motley multitude, la moltitudine eterogenea.
Secondo gli autori, nel corso di due secoli si susseguono terreni di scontro tra l'attitudine di condivisione, democrazia e libertà della moltitudine e il volontà di sottomissione dei padroni. Prima i commons e la sottrazione dei terreni e dei beni comuni da parte degli stati coloniali ai danni di coloro che li hanno utilizzati insieme per secoli. Poi il dispositivo delle piantagioni, poi quello della nave, infine quello della fabbrica, vero culmine della riorganizzazione del capitalismo moderno industriale. A questi processi gli autori contrappongono le molte teste dell'idra eterogenea: la ribellione dei servi, le eresie antinomiane, il vagabondaggio e il brigantaggio metropolitano, il fenomeno della costituzione di pseudo stati protocomunitari come i maroons nelle isole caraibiche della prima metà del seicento; le rivolte degli schiavi e il processo che porta alla rivoluzione americana; lo Stato Marittimo e le sue regole totalmente separate dal governo di ciò che non sta per mare, che raggiunge il suo apice nella Pirateria e nelle sue forme egualitarie e crudeli di autogoverno; il luddismo, le battaglie abolizioniste, la rivoluzione francese e la comparsa del concetto dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani (con eco biblica ripetuta a più riprese su un Dio che non guarda in faccia a nessuno [God is no respecter of persons]).
Fino a qui la lettura dei due autori mette in fila e sistematizza una serie di momenti di conflitto intenso e prolungato lungo l'arco di tre secoli in maniera estremamente densa e interessante. La visione americanocentrica si rivela nel punto in cui i due autori rilevano la sconfitta storica del proletariato, ovverosia nel momento in cui la battaglia della classe lavoratrice si separa dalle lotte razziali e coloniali. Secondo Rediker e Linebaugh il momento in cui la lotta dei neri e degli schiavi diventa un ramo diverso del conflitto rispetto alle più accettabili rivendicazioni degli operai bianchi, maschi, europei o cmq non indigeni, è il momento in cui inizia la sconfitta dell'idra multiforme. La lettura è evidentemente fortemente influenzata dalla realtà statuniteste, così densamente intrisa del problema della segregazione dei neri e delle minoranze etniche, un problema che emerge anche in Europa, ma con una forza sociale meno dirompente. Seppure è evidente che un attitudine egualitaria (come quella degli IWW) è una caratteristica fondamentale della costruizione di soggettività conflittuali che non si prestino al noto giochino del divide et impera, è altrettanto vero che le sconfitte dei movimenti proletari nella storia del mondo (e i loro successi) non possono essere semplicemente ricondotti a questa separazione, a questa sorta di peccato originario.
Certo gli esempi che citano gli autori nell'ultimo capitolo espongono perfettamente la tendenza umana alla divisione basata sull'interesse personale, che ha fatto sì che il capitalismo vincesse antropologicamente prima ancora che in altri campi: il trasformismo di Thomas Hardy e della L.C.S. da società alleata con il popolo di Sheffield che distrugge un enclosure e che solidarizza con le battaglie abolizioniste di Olaudah Equiano, a eminenza grigia dietro il Compromesso di Aprile nel quale il Parlamento inglese modificò all'ultimo minuto una presa di posizione contro lo schiavismo aggiungendo il termine graduale alla parola abolizione; la storia di C.F. Volney da autore di Ruins, or Meditations on the Revolutions of Empire, uno delle migliori satire sul potere e sul rapporto tra classi privilegiate e popolo, a teorico della White Supremacy cacciato dagli Stati Uniti per le posizioni troppo estreme; le parole di William Blake che passano dall'universalismo a una Gerusalemme inglese e libera.
Ma se leggere la storia dei conflitti di due secoli non è un esercizio di stile, le parole con cui è cominciata l'avventura poetica di Blake, la loro potenza espressiva e rivoluzionaria, rimangono un'esortazione che conoscere la storia non può che rafforzare: quella a cercare sempre e comunque la soggettività coraggiosa e crudele che porterà a cambiare qualcosa intorno a sé, spinta dal desiderio di una vita migliore e più degna, in sprezzo al guadagno e al vantaggio individualista.
Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?
In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?
And what shoulder and what art
Could twist the sinews of thy heart?
And, when thy heart began to beat,
What dread hand and what dread feet?
What the hammer? what the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? what dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?
When the stars threw down their spears,
And watered heaven with their tears,
Did He smile His work to see?
Did He who made the lamb make thee?
Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful symmetry?
Un ultima dedica di queste parole a chi vive ancora nel tabù morale e sociale della violenza, che ci circonda in ogni istante e in ogni luogo, ma che ci causa tanto scandalo e tanto desiderio di giudizio.