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Via Adda Non Si Cancella (dalla memoria collettiva)

17 Novembre 2006

Via Adda a Milano è una stradina tra la zona centrale e il quartiere isola, una vietta insignificante se non per il fatto di aver ospitato per decenni una delle ultime case di ringhiera della zona, negli ultimi anni casa a 300 e passa rom. Per mesi e mesi la grancassa della propaganda dell'amministrazione comunale ha usato via Adda come spauracchio per tutti i cittadini "civili democratici e ben educati", è stato per Albertini il simbolo della Milano che lui voleva distruggere per darla in mano alle persone per bene. Per chi conosceva dall'interno quel luogo, una volta superata la barriera di diffidenza che ci divide sempre da chi vive a lungo sulla strada, via Adda era un luogo di feste folli e di umanità, un aggregato di violento sentimento, di insofferenza alla vita civile che tanto decantiamo nella nostra opulenza.

Il primo aprile 2004, dopo diversi tentativi andati a vuoto per la durezza dello scontro profilato dai rom, la Questura riesce a farsi autorizzare l'uso di un numero spropositato di sbirri: 700 omini in blu si presentano a portare via 300 rom, dopo una settimana di editoriali e articoli fuoco e fiamme da parte di tutta la stampa cittadina, con la solidarietà solo di quei soggetti del movimento milanese che individuano la radicalità nell'insofferenza, oltre che nella capacità di espressione di innovazione politica. 

L'operazione dello sgombero è una vera e propria opera di propaganda e riconquista culturale della città, colpita e sommersa dal ribollire dell'indisponibilità a subire sempre e a compiacere i datori di lavoro e quelli che ci affamano ogni giorno: il primo dicembre 2003 i lavoratori dell'ATM erano entrati in sciopero selvaggio senza preavviso mettendo in ginocchio la città e costringendola ad ascoltare, solidale un po' controvoglia, le loro necessità. Le autorità cittadine e i benpensanti giocarono all'epoca subito la carta dell'eccesso, della maleducazione, del "certo hanno ragione, ma non si può fare così", della divisione tra lavoratori ordinati e sottomessi che ottengono qualche contentino e lavoratori indisciplinati e esigenti che verranno repressi. Non funzionò. Un rospo che non si poteva mandare giù nell'avamposto della ridefinizione culturale dell'Italia come Milano, nel fulcro economico e borghese della Nuova Italia proiettata verso il futuro. 

Come se non bastasse, una settimana dopo i vigili del fuoco replicarono con uno sciopero duro e dai toni decisamente vicini ai lavoratori ATM e alla masnada di pazzi che per giorni si presentava all'alba nelle caserme e nei depositi di tram e bus con thermos e biscotti. Uno sgarro di solidarietà che vede nell'epilogo di via Adda una punzione esemplare: il Comune costringe i vigili del fuoco a prendere parte allo sgombero (non senza aver ricevuto diversi rifiuti prima di trovare un equipaggio disponibile) e i 300 rom (di cui 150 rimpatriati al volo, con una pletora di famiglie distrutte senza alcuna remora) vengono portati all'aeroporto di Verona con gli autobus dell'Azienda Milanese Trasporti.

La città si riconcilia sotto l'egida del razzismo e dell'intolleranza, con il placet della democrazia civile ma ferma (leggi violenta nei confronti di chi non accetta passivamente e supinamente le sue regole di sopraffazione economica).

Oggi, 17 novembre 2006, più di due anni e mezzo dopo, hanno cominciato a demolire l'area di via Adda, un luogo che per chi ha vissuto questi anni le stagioni di movimento e mobilitazione rimane un simbolo dell'inizio e della fine di uno dei pochi momenti di solidarietà a Milano, senza se e senza ma. Chi sta dall'altra parte della barricata, inesorabile, dopo aver usato via Adda come simbolo del ritorno della prodiga Milano nell'alveo delle città pacificate, abbatte la sua casa di ringhiera per cancellare la memoria di un piccolo sogno di resistenza e di follia.  

A futura memoria, ripubblico il video prodotto in quei giorni da una Reload Video Crew che ancora sapeva esprimere senso politico: 20040401_sgombero_via_adda.avi

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