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La vera storia delle origini di indymedia italia

20 Novembre 2006

Pre scriptum: da molto tempo voglio scrivere una cronaca autonarrata dei due pezzi di movimento che io ho vissuto più intensamente negli ultimi dieci anni; da un lato l'evoluzione del connubio tra hacking e spazi sociali, dall'altro la soggettività che è emersa a cavallo della fine degli anni 90 e del nuovo millennio, e che ha profondamente innovato le forme del fare politica, pur perdendosi nel suo epilogo nel ricalcare le forme tradizionali della fine della politica 🙂 Un giorno lo farò. Questo consideratelo un assaggio, funzionale al ragionamento che sto sviluppando sulla crisi di indymedia, ormai finalmente conclamata.

Pre scriptum paraculo: questa narrazione è totalmente soggettiva e sicuramente altri occhi e orecchie l'avranno vissuta diversamente. Inoltre non è mia intenzione (mi pare di aver capito che qualcuno abbia interpretato così il mio ultimo post) assolvere o condannare alcunchi, dato che penso che i processo complessi di movimenti e politica siano tutt'altro che questione morale in cui individuare colpevoli e innocenti. Un processo non si conclude né inizia con un evento, ma un evento può essere parte di un processo complesso e ramificato, in cui può anche giocare un ruolo, se si vuole anche solo di immaginario, molto importante.

C'era una volta…..

Nel giugno del 2000 erano già successe alcune cose fondamentali per delineare il panorama di movimento che stava rapidamente cambiando pelle: a Seattle nel novembre del 1999 si era visto qualcosa che non si vedeva da anni, il blocco di un vertice internazionale ad opera di una accozzaglia di attivisti dagli approcci più diversi; era nato il cosiddetto "popolo di Seattle", la diversity of tactics, il summit-hopping,  e via dicendo. In Italia c'erano gli scettici (di professione, come me, e occasionali) e gli entusiasti (di professione, come Bifo, e dilettanti). Intanto c'era stata la Carta di Milano e la nascita delle tute bianche, prima simbolo usa e getta aperto a tutti, poi uniforme di un certo gruppo di centri sociali che si andranno via via definendo più come area che come pratica aperta, anche grazie all'alternativa praticamente inesistente (l'autonomia di classe di fine anni 90 aveva ed ha il sex-appeal di un tonno morto). Nel giugno del 2000 le tute bianche avevano già mostrato come intendessero interpretare la triade rappresentazione/conflitto/immaginario (sulle valutazioni in merito servirebbero circa 76 volumi a parte): Ponte Galeria era stato seguito dagli scontri di via Corelli (genuini per alcuni dei protagonisti, arrangiati per altri dei protagonisti, rivelatori per i più furbi dei primi e per i più cinici dei secondi), e dalla pagliacciata di MobiliTebio.

Prima del giugno 2000, però, succedono cose importantissime per quanto riguarda la comunicazione e gli strumenti digitali: a Seattle nasce indymedia, una rete di attivisti che pretende di autogestire in maniera aperta e partecipata la produzione di informazione circa gli eventi di movimento. E' un progetto fortemente innovatore, e immediatamente prende piede grazie sia agli eventi di Seattle che al suo potenziale. Intanto in Italia esplode il fenomeno degli hacklab e dell'hackmeeting: il lavoro degli anni 90 di ecn.org e di Decoder produce l'incontro tra politica e tecnologie digitali, trascinando nell'onda un sacco di entusiasti (come me), di esperti, e di compagni/e. Dopo l'hackmeeting98 la comunità si allarga, entrano in scena un sacco di pischelli e in due anni, oltre a rendere l'hackit una data irrinunciabile dell'agenda politica e techno-savvy italiana, si sviluppa una rete incredibile di collettivi, gruppetti, individui che si conoscono, che si stimano, si fidano delle cose che si fanno, e che condividono almeno i principi di base del senso che ha occuparsi di tecnologie, di società e di politica. Nascono e crescono gli hacklab, l'hackmeeting diventa un evento da imitare (in Spagna ci replicano da vicino :), nasce la necessità di autogestire la propria comunicazione al di là delle prime esperienze di tmcrew, ecn, decoder. In pratica si sviluppa una comunità molto solida, antiautoritaria, eterodossa, e decisamente ostile alle egemonie politiciste delle aree più in vista del movimento. 

Nel giugno 2000 void e devmat decidono di usare il logo di indymedia come uno specchietto per le allodole durante le mobilitazioni contro l'OCSE di Bologna, ennesimo passaggio del tour cominciato con i CPT e passato per Mobilitebio. Indymedia italia nasce così, come giochino da dare in pasto ai media al fine di dare visibilità alle mobilitazioni. Ai tempi non esisteva il process per diventare un nodo locale di indymedia, e il tutto si basava sulle buone relazioni con chi si era inventato indy a Seattle. Devmat, globetrotter del movimento all'epoca, aveva le relazioni, void il know-how tecnico. 

Dopo giugno 2000, il giochino indy rimane un po' in sordina, mentre cresce lo sforzo fatto da alcuni ignoti che documentano in presa diretta le mobilitazioni: il sito degli sgamati diventa un punto fermo dell'informazione indipendente tanto quanto ecn o tmcrew. Indy ancora non se la cagano in molti, rimasta una lampadina molto luminosa, usata per quel che poteva dare: il brand.

Ma durante l'estate succede una cosa curiosa:  un gruppetto di persone provenienti da vari hacklab e da alcune esperienza telematiche (i suddetti sgamati, hacklab FI, LOA hacklab MI, Underscore TO, altri sparsi) si ritrovano in quel del nuovo Bulk (occupato proprio a Capodanno) insieme a Void. L'argomento è indy e il suo uso potenziale. Il gruppo che si ritrova è eterogeneo: si era giovani e ingenui, ma onesti nella voglia di fare e nel desiderio di creare uno strumento utile per tutti. Ammetto che forse non per tutti era chiaro il passaggio che stavamo compiendo, ma perlomeno una buona parte lo sapeva. Guardandolo in retrospettiva è stata una mossa di entrismo che più trotzkista non si può, ma nessuno dei presenti era trotzkista, né aveva la malizia con cui si fanno più avanti negli anni queste mosse. Per molti era semplicemente uno spreco che uno strumenot così potente fosse usato come puro e semplice brand: c'erano un sacco di cose migliori per cui usarlo!

Così chi era al Bulk quel giorno decise di entrare nella lista di gestione di indymedia e di iniziare a usarla per quello per cui serviva di più: creare un nuovo media dal basso di informazione, un canale potente, libero, aperto. La forza di chi era lì quel giorno, era il sentirsi una comunità, sentire molto denso il rapporto di fiducia con gli altri, a prescindere dalle differenze politiche. Ed è con questa forza che un gruppo di smandruppati si prese indymedia italia e lo trasformò a propria immagine e somiglianza. Difetti inclusi.

Da lì in poi la storia è nota: l'ultimo esperimento misto sgamati/indy per Praga 2000, la preparazione di Genova, la crescita di partecipazione e l'imposizione della logica antiegemonica e libertaria, l'aumento di visibilità del 2001-2002, la crisi nel momento in cui quella comunità che si credeva forte ha iniziato a dubitare di sè stessa, trascinata nei drammi ridicoli della Politica di movimento. Da lì in poi molti la vedono in maniera diversa, ma pochi si ricordano di come è cominciato il "periodo d'oro" di indy, quel momento in cui credevamo di costruire qualcosa di intrinsecamente diverso, mentre eravamo noi ad essere diversi dal resto del politicume.

Una breve parabola

Il retroscena pseudotrotzkista della fondazione di indymedia e del suo overtake mi serve per cercare di chiarire quello di cui ho già parlato nel mio precedente post, ovvero delle modalità della politica. 

All'epoca dell'incontro al Bulk ammetto che probabilmente non tutti la vedevano come la si può facilmente vedere oggi in prospettiva, ma molti di noi non avevano dubbi sul fatto che quello che stessimo facendo fosse un legittimo atto di sostegno a una certa opzione politica: cercare di creare un movimento che fosse quanto più libero possibile dalle egemonie, che fosse capace di liberarsi dei molossi ortodossi e politicisti che ne appestavano i modi di fare, che fosse legato ai territori sia locali che globali, che fosse più giovane e ingenuo, senza per questo risultare superficiale nell'approccio ai problemi. La nostra opzione passava per il controllo di uno strumento che in mano di qualsiasi egemonia avrebbe soffocato ogni possibilità rinnovatrice. E Genova, con tutto quello che vi è avvenuto, con tutti i deliri tra indy e disobbedienti, tra indy e bb, tra indy e chiunque, è lì a rappresentare che indy era l'unico snodo possibile di un movimento eterogeneo e che non abbandonasse mai i paletti fondamentali di un approccio radicale ai problemi politici, di un rifiuto dell'autorità, di un sostegno costante dei principi di solidarietà e uguale dignità delle ipotesi politiche, per lo meno di fronte agli strumenti di comunicazione.

Quello che è mancato da 3 anni a questa parte a indy (non da Torino, così nessuno fraintende) è stata l'opzione politica. Nessuno è stato in grado di rigenerare quell'amalgama di relazioni, immaginario, obiettivi politici che fosse in grado di ricostruire un senso del comune all'interno della molteplice comunità di indymedia. Ed è senza questa opzione che non si può porre fine ad una crisi o trovare una soluzione, perché per definizione una soluzione consegue all'individuazione del problema, e la definizione di problema dal punto di vista con cui guardi una situazione. Non si cambiano gli strumenti a caso, non si buttano li' soluzioni tecniche o politiche che non sono altro che una pezza (a meno che non lo si faccia consapevoli che sono solo una pezza). Si immagina qualcosa, vi si costruisce intorno un obiettivo politico, e POI si definisce lo strumento che serve per quella opzione. Altrimenti si sta giocando. 

A Torino il copione è stato lo stesso, nell'assemblea di indy, ed è questo che ho cercato di evidenziare sia quando ne ho parlato a latere con le persone al meeting, che nel mio post precedente. Fa male ma è così, senza idee non si costruisce nulla se non l'ennesimo luogo inconcludente e privo di interesse. E non c'entra nulla mistificare il senso di fare politica con "i modi vecchi" o "i modi nuovi": fare politica significa creare le condizioni per cui una certa opzione possa esistere e realizzarsi, il resto si chiama oratorio, ma è un capitolo totalmente diverso dell'enciclopedia della vita. Indymedia quando è cominciata era un progetto strumentale a un'opzione politica molto definita, e per questo molti la avversavano, perché ne intuivano la pericolosità. Si può spingere una certa opzione politica anche in modi innovativi, aperti, antiautoritari, eterodossi, ma se si vuole rimanere nell'alveo del fare politica una idea si deve pur averla.

 

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  1. 20 Novembre 2006 a 23:05 | #1

    “Non si cambiano gli strumenti a caso, non si buttano li’ soluzioni tecniche o politiche che non sono altro che una pezza (a meno che non lo si faccia consapevoli che sono solo una pezza). Si immagina qualcosa, vi si costruisce intorno un obiettivo politico, e POI si definisce lo strumento che serve per quella opzione. Altrimenti si sta giocando.”

    Se non ci fossero persone come te bisognerebbe inventarle. E’ bello sapere che ci sono persone che non “giocano” appunto e che credono, si sbattono, amano, piangono e sostanzialmente ci credono ancora.

    Grazie b.

    babau

  2. 21 Novembre 2006 a 0:23 | #2

    Indymedia e’ diventata un istituzione. Sfugge quindi per definizione dalle mani degli anarchici. Le pezze ci vogliono perche’ tanto ormai e’ persa, e’ un istituzione come gia’ detto, ma non per questo meno necessaria , anzi piu’.
    Purtroppo e cosi’, ma per fortuna gli anarchici potranno trovarsi (e scegliersi) qualcosa di nuovo da fare.

  3. 21 Novembre 2006 a 0:51 | #3

    Secondo me quello che racconti è lo specchio della realtà, credo che non solo ad indy non sappiano cosa vogliono (indi non potranno mai ottenerlo, come dici)ma che sia un fenomeno più generale.
    Mancano analisi e prospetive.
    Si parla di “forma” e non di “sostanza”.
    Almeno mi sembra di interpretare così quello che dici e credo che accomuni tante esperienze(fra cui la mia)diverse da indy.
    Altre due cose:

    1. e se oggi ci fosse bisogno proprio di una bacheca?

    2. secondo me il tonno morto potrebbe ritornare fascinoso…con un pò di lifting.

  4. cybergobbo
    21 Novembre 2006 a 8:27 | #4

    E’ appena ri-cominciata una discussione sullo stato e sul futuro del progetto indymedia e gia’ qualcuno ha deciso di tracciare una linea ultra’, di demarcazione tra quelli che sono pessimisti e sfiduciati e quelli che invece ottimisticamente corrono verso il nuovo; l’ indy zero.due, il prodi.zero.due, la fase due.zero e via dicendo.

    Il post precedente e questo che ne segue mi sembrano una narrazione, certo soggettiva, ma non per questo meno oggettiva della storia di indymedia italia.

    Quindi l’ idea ventilata da alcuni commenti al post precedente che in fondo, dopotutto, la gente che invecchia declina al cinismo, quasi biologicamente, mi sembra, come la divisione manichea e superficiale tra ottimisti e pessimisti per “natura”sul futuro di indymedia, l’ ennesima riprova che i problemi si preferisce aggirarli piuttosto che cercare di risolverli.

    Non parlo da protagonista, mi si consenta tuttavia di dire alcune cose…in merito.

    Quale che siano state le nostre passate e diverse prospettive ideologiche, culturali, esistenziali ecc. mi e’ sembrato che indymedia, pure questa e’ una visione molto soggettiva, anche solo nell’ ambito della comunicazione sociale avesse un progetto ambizioso: costruire dal basso.

    Costruire un potere senza governo, senza funzionari, senza comitati burocratici; di creare sulla base di un’ assemblea sociale benche’ virtuale uno strumento, una potenza di comunicazione e quindi di influenza e cambiamento sociale.

    In riferimento a quali valori?
    Perche’ e’ evidente che una “rete” una “comunita’” e anche uno “strumento tecnico” si articolano rispetto a dei fini.
    Per me si trattava dei valori di una societa’
    deistituzionalizzata,quindi aperta alla solidarieta’ con tutti/e e sulla fiducia…-non parlo in termini intimistici ovviamente.

    Il metodo in fondo era semplice semplice agire sulle persone producendo dei “risultati”, mettendo in pratica senza catechizzare nessuno, senza dover aspettare dopo le “avanguardie cattive” quelle “buone” e via discorrendo di tattiche, tattici, strateghi del sabato pomeriggio, di happy hours del leninismo, di metafisiche moltitudini e garbugli vari.

    Indymedia e’ nata come una struttura autogestita dal basso, quindi come il risultato, la traduzione tecnica di una collettivita’ che ha creduto nella possibilita’ di autogovernare se stessa e la potenza che riusciuva a generare dal punto di vista sociale e comunicativo.

    E’ mi pare anche ovvio che la rete sociale che ha messo in piedi indy fosse consapevole del fatto che uno strumento, quale che sia, ha sempre un ‘ articolazione politica oppure e’ semplicemente un diversivo, una distrazione di massa o d’ elite (o tutte e due insieme)testata dai soliti “sfigati” e poi venduta nei salotti buoni del mercato globale e dei nuovi eroi dello spettacolo dell’ antispettacolo.

    Discutere su indymedia secondo me ha a che fare col riflettere se ci si vuole prendere o meno collettivamente la responsabilita’ di creare e organizzare un nuovo tipo di potere e di partecipazione.

    Se ci si riduce a discutere di pure soluzioni tecniche o finanziarie(- e poi esistono mai soluzioni tecniche neutre? di centro?)ancora una volta, ed e’ il mio personalissimo parere, si delega, si butta via nell’ immondizia tutto il meglio di indy,si finisce a dover scegliere fra le opzioni elaborate da una classe politica di movimento o da un’ altra o da un’ altra ancora…

    Si chiama democrazia diretta, controllo dal basso, autogestione di un potere sociale e dello strumento che lo genera: poi questa cosa la possiamo nominare come ci pare: condivisione del sapere ecc.: ma alla fine sono questi i nodi che nelle discussioni su e in indy non vengono al pettine.Oggi meno che mai.

    E poi, senza scomodare nobili concetti, costruire dal basso ha un senso pratico e quotidiano, ognuno secondo le sue possibilita’ ma con una bella dose di serieta’e di continuita’.

    Ora leggendo il report del meeting, varie e-mail, post ecc in cui si parla della “crisi di indymedia” l’ impressione e’ che ci sia una esaltazione del mezzo-indy, senza piu’ alcun riferimento politico.(E “politico” lo intendo in termini terra terra: avere un obiettivo condiviso-calibrare i mezzi piu’ adeguati per ottenerlo-spendersi).

    Mi rendo conto che qui il “mezzo” e’ anche un marchio ormai e dunque qualcosa di piu’ complesso di una fionda… (((I))) e’ un logo da accaparrarsi, un logo per identificarsi, un logo per farsi una coscienza tranquilla, un logo da boy scout, un logo per impegnati di sinistra, un logo per farsi belli, un logo per darsi un credito politico, un logo.

    Ritornando al discorso di cui sopra anche la creazione degli imc locali era un modo , coscienti tutti/e di alcuni “valori” di base, di introdurre anticorpi al rischio di creare anche involontariamente(anzi sicuramente per dinamiche oggettive) caste tecno-cratiche e centrali o nodi dominanti;allargare la partecipazione ed esercitare in maniera piu’ egualitaria possibile il “potere indymedia”.

    La spinta a creare gli indy locali questo si’! , nel bene o nel male, era un tentativo di risolvere anticipare politicamente/tecnicamente alcune dinamiche potenzialmente riduttive del progetto indymedia…di rivitalizzarlo.
    E’ ovvio che questo ha pure creato delle inefficienze, vari problemi ecc

    Tuttavia anche la creazione di nodi periferici, chiamiamoli cosi’ per comodita’, alla fine e’ stata trascinata nella pressione generale esercitata dagli eterni statici, i funzionari permanenti e autounti dell’ antagonismo storico e dei partiti-partitini-particelle ecc.

    Questo e’ accaduto, secondo me, perche’ nel territorio ci e’ mancata la forza di continuare a sviluppare una pratica e un discorso sociale di autogoverno e gestione diretta senza finire a fare risse da bar:
    forse noi stessi non eravamo pronti e abbastanza maturi per portarlo avanti.

    Ci voleva un esercizio costruttivo e continuo nel fare una battaglia culturale, intellettuale, di informazione sul territorio ma tante”’…

    Ora il quid e’: mettiamo per l’ ennesima volta queste due o tre cose importanti-di cui sopra- in disparte perche’ tanto sono solo i soliti discorsi altisonanti e tiriamo a campare?

    Si e’ scritto “chiudere per rinascerere “:
    ma con cio si intende: provare a riaprire un processo di critica, informazione e progettualita’collettiva o semplicemente ad organizzare la sopravvivenza di indy italia?
    (Di creare una nuova nicchia mediatico-ecologica per mettersi al riparo dai flussi e riflussi?)

    Ok va’ bene l’ arte per l’ arte ma il movimento per il movimento o indymedia per indymedia non e’ che mi sembrano delle cose molto stimolanti o attraenti.

    ciao

    ps.
    anche il cosiddetto “metodo del consenso” preso per se’ come una mera tecnica decisionale e privato di una condivisione politica di base e diffusa non puo’ che svuotarsi nel silenzio-assenso e alla fine nel puro e semplice silenzio…

  5. neo-indyano
    11 Dicembre 2006 a 15:05 | #5

    negli altri o partecipato a diversi progetti “kollettivi” e come sempre trovo in tanti un approccio all’autogestione o ipocrita o strumentale. ipocrita perche’ si basa su una pretesa di autocoscienza dei partecipanti che “evidentemente” non c’e’; strumentale perche’ c’e’ chi entra non questi progetti solo per un interesse personale (o kollettivo…).

    tu parli di opzione politica inesistente, sono d’accordo. l’interesse non e’ nel sviluppare un media… l’interesse sta nel utilizzare al meglio e per i propri interessi un brand ( (((i))) ) che funziona assai bene. beh, c’e’ chi come me la pensa diversamente… io credo che non si possa “fare” indymedia senza avere indymedia come priorita’.

    per finire non credo che la crisi di indymedia portera’ crisi al “movimento” ma che sia l’ennesimo progetto che naufraga perche’ coordinato con metodi che storicamente sono fallimentari (la lista e’ anche peggio di una riunione… ma nella pratica poco si scosta, ci sono fazioni, ostruzionismi, attacchi personali celati dietro attacchi politici etc etc ovvero nulla di nuovo da 30anni ad ora).
    indy rinascera’ perche’ il brand tira e non per forza perche’ sara’ in grado di rinnovarsi… e’ triste… ma non fare compromessi con quelle che sono le falle del metodo e’ come predicare senza perseguire nessuno scopo.

    beh, basta. ho buttato in mezzo diverse cose e non ho fatto un discorso organico, me ne scuso.
    io intanto ci provo.

  6. 11 Dicembre 2006 a 19:46 | #6

    Ciao oggi e ancora dopo la discussione farviva sul canale di indymedia-italia ho ancora riscontrato vecchie cose
    comunque il tipo Carlòs nn lo conosco e prima me la prendevo…adesso chi se ne frega tanto nn ci conosciamo.
    Una cosa comunque soprattutto

    Manca il cavallo ok la sella ce
    manca il server

    x me il server e la navetta spaziale

    il resto e un missile
    senza carburante

    rimane la bicicletta
    questo post e bello

    ciao ci vedia su indy
    ciao indiani

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