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Monocromatica, terza recensione direttamente da Baggio

19 Febbraio 2007

 

Oggi sul sito di virgolaz, compare la recensione del libro che, devo dire, mi lusinga non poco. La riporto integralmente qua, e sotto metto un paio di commenti miei.

Tutti i colori del grigio in un noir: Monocromatica (Blackswift)

Sono partito nella lettura di Monocromatica pensando di fare un piacere ad un amico scrittore di noir in erba. Volevo presentare il suo primo lavoro “ufficiale” nel quadro delle nostre iniziative laboratoriali musicopatiche, avendo almeno letto l’opera (eccheccazz!).

Pian piano mi sono reso conto che ero di fronte a qualcosa di più.

Non avrei infatti mai immaginato di apprezzare al punto a cui sono arrivato questo tentativo (ben riuscito) di tarare sullo sfondo della tonalità “Grigio Milano” (.. e qualcuno poi mi spiegherà perché il “rosso” se lo sia beccato d’ufficio la leghista “Magenta”) la monocromia dominante contrapposta a un multicolore di storie migranti, relazioni umane, pulsioni individuali e sociali. La principale sensazione che si ha nella lettura infatti é l’esistenza di personaggi colorati che si muovono su un allestimento a tinte sfuocate di bianco e nero.

La metafora del colore propone senza mediazioni la ricerca del ribaltamento prospettico dell’esistente. Tre migranti di diversa provenienza e un killer all’italiana attraversano con indifferenza e ironia l’asfittico ambiente de la “Gran Milan”; quello stesso che li identifica quotidianamente come ombre, sottolineandone così l’omologazione, l’assenza di presidi solidali e, in alcuni casi, umani.

Croce e delizia dell’intera narrazione è la componente “movimentista”.

Delizia perché è oramai difficile trovare tanta autenticità “militante” nei racconti dei principali autori di questo filone che pure provengono dallo stesso sottobosco radicale. Certo, come dice Blackswift: “se stessi lontano per 10 anni dal movimento anch’io parlerei come loro”. C’è comunque del vero e proprio subliminalismo comunicativo nella rappresentazione dei protagonisti, che si smarcano dalla concezione più classica del migrante compresa quella MissionariGesuiticoAntagonista (con rispetto parlando).

Croce perché la pressione sociologica incide sul ritmo del racconto che in alcune circostanze diventa un vero e proprio monologo fuori campo (come direbbe Bruna Miorelli “.. e fate parlare i personaggi!”… “cazzo”, aggiungo io) a tratti didascalico e a brevi tratti autoreferenziale, benché mai criptico o settario (e oggi come oggi, a leggere le mailing list di movimento, la cosa non è per niente scontata).

Chi si aspetta una apologia del qualunquismo critico sulla nostra Città (e sui “milanesi”) resterà –fortunatamente- deluso. Non è Milano quella sotto accusa, ma chi l’ha ridotta nella impersonale capitale della affarismo finanziario mafioso sotto l’egida dei potentati religiosi e non che si sono succeduti nei secoli.
La Città in sé viene invece riscoperta attraverso una parabola millenaria attraverso una stimolante e solida ricostruzione storica in flash back a più riprese che ne riporta alla luce i chiaroscuri secolari in una proiezione assolutamente critica, originale e graffiante (splendida la “vera” rappresentazione del Santo Patrono Ambrogio).

Curioso e probabilmente incompiuto l’aspetto esoterico (per un fedele discepolo di Bulgakov é quasi un’offesa) che offre comunque qualche embrionale spunto di interesse, ancorché non sempre raccordato con il resto del racconto (soprattutto a quello storico al quale sembra sistematicamente alludere, senza mai intrecciarvisi con sufficiente potenza).

Un finale simpatico e intercambiabile (ma lo scoprirete solo leggendo) anch’esso fuori dai binari della giallistica noir e dalla logica del “colpevole” che lascia in bocca un sapore diverso da quello metallico della legittima rabbia degli oppressi, offrendo ancora una volta una chiosa non demagogica e tutt’altro che monocromatica.

Promosso a pieni voti.

The CaT

 


 

La recensione mi lusinga perché, come sempre quando si parla di parole e immagini,  osserva Monocromatica da una prospettiva completamente diversa dalla mia, attribuendogli significati e ricchezze che per me erano solo in parte quello che si poteva cogliere nel libro. La dimensione potentissima della narrazione è proprio questa capacità di scatenare il soggettivo e di trascendere l'autore, cosa che è tuttaltro che spiacevole

Ad esempio l'impronta movimentista, che The CaT individua così forte io pensavo non fosse abbastanza marcata (e ho anzi litigato non poco con Sandrone per non togliere gli ultimi remark rimasti); viceversa mi ritrovo molto nella lettura della dimensione urbana/umana della vicenda.

Concordo anche io che l'aspetto esoterico sia un po' abbozzato, ma d'altronde sono partito con l'idea di scrivere un fantasy urbano di odierna generazione, sono approdato a un  noir che ha come protagonista una città, la mia. Era ovvio che gli aspetti più esoterico-fantastici facessero le spese degli aspetti più narrativi… La cosa che mi lascia un po' perplesso è che il filo conduttore degli episodi storici, per quanto tenue e con una conclusione forse ancora molto metafisica (come mi disse Sandrone dopo una prima lettura), non risulti un po' più facile da seguire. Ma il responso di chi legge è sempre inoppugnabile e vorrà dire che mi toccherà pensarci meglio al prossimo (che ancora non so quale e come sarà, ma almeno un altro libro su Milano penso che sia in cantiere).

Concludo ringraziando le periferie milanesi anche per questa magia, sperando che a chi ci vive il libro piaccia di più che a quelli che stanno troppo tempo in un ufficio in centro 🙂

 

 

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