Critica della Ragion Criminale
Prima di addentrarmi nelle vicende milanesi, mi prendo un filo di tempo per parlare dell'ultimo libro che ho letto, dopo averlo lasciato nel mio spool per quasi tre mesi. Critica della Ragion Criminale parte da un ottimo spunto narrativo, ovvero l'ipotesi di un ultimo lavoro perduto di Immanuel Kant che esplora i recessi inesplorati dell'istinto umano. L'intreccio del libro è intrigante anche se a un certo punto è fin troppo ovvia la conclusione, ma la curiosità sul senso che il filosofo razionale per antonomasia presenterà alla fine dei conti prevale e ti guida fino in fondo al libro.
L'intuizione molto interessante riguarda proprio la filosofia kantiana: Michael Gregorio rilegge infatti il pensiero razionale di Kant come un preludio a Nietzsche, alla sua immersione nelle profondità dell'animo umano, trasforma il razionalismo di Kant in una ineluttabile premessa per l'irrazionalismo che lo seguirà. Il cielo stellato sopra di me e le tenebre profonde dentro di me.
Quello che non riesco a digerire di questo libro, come del libro di Valeria Montaldi di cui parlai qualche mese addietro, è il linguaggio artificiosamente spostato nel passato, una ricercatezza di termini desueti calati nel contesto di frasi moderne. Intendiamoci, uno può decidere di scrivere un romanzo iperrealista nel linguaggio dell'epoca in cui ambienta la storia, ma allora come Pynchon in Mason & Dixon si assume la responsabilità di una ricerca filologica degna di questo nome. Piazzare fraseggi antiquati a caso nel mezzo di un racconto moderno in tutto il resto risulta molto fastidioso per chi legge. Gregorio ha forse l'attenuante della traduzione che potrebbe non essere fedele alla lingua originale francese, rimane però il fatto che affettare erudizione è sempre irritante (almeno per me).
In ogni caso il libro è consigliato e merita un ampio sei e mezzo 🙂