Home > cinema > Venezia a Milano, uno: vite

Venezia a Milano, uno: vite

11 Settembre 2007

Il tema della vita delle persone, delle loro vicissitudini è sicuramente una delle chiavi di lettura interessanti della mia prima giornata in giro per i cinema di Milano, dividendo le visioni in tre blocchi, però.

Il primo film, Imatra, di Corso Salani, non è malvagio: ispira parecchi sorrisi (un'arte sempre più apprezzata dal sottoscritto), dura poco (un'oretta)  scoprendo che le cose si possono dire in meno tempo di quello che l'elite cinematografica ritiene necessario per i film da festival, e soprattutto la protagonista è bellissima (la mia socia blanca ci si è ritrovata, a me ha ricordato una persona a cui voglio molto bene, nonché le vicissitudini di una nota coppia del movimento fine anni novanta che infiniti lutti ha addotto a tutti coloro che hanno conosciuto i due e che gli hanno voluto bene). Purtroppo il dramma ironico sentimentale è un po' tirato, e lo stile di direzione, montaggio e fotografia un po' buttate lì (anche se camuffate da scelta ponderata e artistica): Corso Salani poi non è Massimo Troisi, mai abbastanza compianto. Voto: 6

Il secondo blocco di film è costituito dallo spagnolo Lo Mejor de Mi, dall'americano Waitress e dal giapponese Ai No Yokan (La Rinascita). Il leit motif lo traiamo dalla prima ottima pellicola: lo mejor de mi es mi vida [La parte migliore di me è la mia vita], dice la protagonista nel dialogo finale in cui il soggetto forte del rapporto di coppia, il cacciatore, diventa preda, e la preda diventa animale libero dai vincoli. La vita di Raquel e Tomas viene messa sottosopra dall'improvvisa crisi epatica di lui, che viene risolta dalla dedizione di lei portata all'estremo della donazione da viva di metà del proprio fegato. Ma una volta salvato Tomas, Raquel scopre che la parte migliore di sé non è Tomas, ma la sua vita. Strameritato il premio per la miglior attrice. Voto: 6/7.

Waitress è una commedia americana senza arte né parte. Si sorride, il compitino viene svolto senza pecche, e tutto è bene quel che finisce bene: Voto: 6 (politico). Waitress ci dice che la vita degli americani è una merda a lieto fine, in compenso il pardo d'oro Ai No Yokan ci dice che quella dei giapponesi è una merda e basta. Apprezziamo il coraggio di sperimentare così duramente la forma cinematografica, ma forse non è necessario farlo per quasi due ore. Voto: 6 (7 per il coraggio, 5 per la rottura di palle). Indicato solo per chi non contento della propria vita di merda, necessiti di un supplemento di alienazione di un paio d'ore.

Ultimo film della giornata è Estrellas, ambientato nella Villa 21 a Barracas, Buenos Aires: io sono influenzato dal piacere dell'ascoltare il gergo villero e in sé l'operazione è interessante. La vera domanda è: Julio Arrieta, hijo de puta peronista maximus o genio assoluto? Ovverosia: il film ci vuole raccontare di come la disperazione nella villa porti chi ci vive a vendere anche la propria stessa miseria come merce, oppure vuole lodare l'autoimprenditoria del buon Julio che non è diverso da tutti gli argentini che vorrebbero essere come Menem. La frase finale che constata come il cielo e le stelle che brillano sopra Villa 21 siano gli stessi che brillano su Berlino o su Londra, ci indica che anche la cupidigia umana sono le stesse, o che siccome non c'è differenza meglio che ognuni sbrani il suo pezzo di carogna? Voto: 7 (nel dubbio).

L'ultima parola su Estrellas la lascerà a Pablo del MTD Lanus, mio unico e irrevocabile metro di giudizio sulle cose di Argentina, al quale ho chiesto un parere. A domani. 

Categorie:cinema Tag:
I commenti sono chiusi.