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Barbarie o civiltà?

3 Febbraio 2008

Ieri a Cosenza, nonostante sia il luogo meno raggiungibile d’Italia dopo il Gennargentu e nonostante la scarsa disponibilità alla mobilitazione delle persone in media, c’erano 15-20 mila persone a manifestare la propria solidarietà per un processo assurdo e costruito sul nulla cosmico. Un buon risultato, di cui chi si è sbattuto per organizzare il corteo può andare orgoglioso. Come nel caso del 17 novembre a Genova dal punto di vista giudiziario sposterà poco, ma dal punto di vista politico – se non fossimo in piena emergenza democratica –  conterebbe qualcosa.

Approfittando del tour irlandese del mio socio, lo precedo nel pubblicare un suo articolo su Il Manifesto, che fa un po’ il punto sui processi e cerca di riproporre un ragionamento che insieme avevamo già sviluppato nei periodi migliori dal punto di vista della riflessione dell’esperienza di Reload, ormai conclusa. Infatti potete leggere i prodromi di questi ragionamenti nel reader di Chainworkers – una cui versione aggiornata e ragionata dovrebbe uscire tra marzo e aprile per Agenzia X con il titolo "Il Libro di San Precario" – e in alcuni dei folder che costituiscono una delle parti più interessanti della vita collettiva di Reload, in cui si spargeva ai quattro venti e distribuiva online e in tutto il quartiere briciole di ragionamento con cui risvegliare le persone che ci incrociavano. Valgono la pena di un occhiata.

 

Un movimento alla sbarra
Dal G8 del 2001 a oggi sono numerosi i casi
in cui la magistratura ha cercato di trasformare le lotte politiche in
azioni puramente delinquenziali

Simone Pieranni

Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova e
Torino. Ma anche Nuoro, Benevento, Brescia, Caserta, Lecce, Catania,
Cosenza, Rovereto, Cecina. Precariato, G8, antifascismo, anarchici,
blocchi stradali. Metropoli e provincia, lotte sociali e iniziative.
Dal 2001 quasi tutto è unito da un unico elemento: il tentativo e la
necessità di difendersi nei molti processi che – dal G8 genovese in
avanti, fino ad oggi – hanno tenuto occupato gran parte del movimento,
così ampio e composito, fino al luglio 2001. Per questo forte,
attraente e portatore di novità. L’esatta collocazione storica del G8
genovese – così come le sue conseguenze – deve ancora essere inquadrata
in modo organico e storico. Sicuramente, nella vita quotidiana di spazi
sociali, militanti, attivisti, ha segnato uno spartiacque, un decisivo
momento di passaggio, sia per quanto riguarda le mobilitazioni di
massa, e la loro eterogeneità, sia per la criminalizzazione, via via
crescente, delle lotte sociali e dei suoi protagonisti.
L’impatto
emotivo e giudiziario seguito a Genova ha dato vita a numeri da
capogiro, una sfilza di nuovi reati prodromici al blocco totale circa
la possibilità di contestazione dello status quo, un impegno costante e
stancante per gli attivisti e le organizzazioni: difendersi, mantenere
intatta la memoria storica e rilanciare le grandi battaglie sociali. Un
compito arduo, con numeri di partecipanti via via in diminuzione, con
la fine dell’esistenza di molti spazi sociali (a Milano il dato è
macroscopico) e la progressiva atomizzazione dell’attivismo (basti
pensare alla crisi di Indymedia e al trionfo dei blog di movimento):
impegni continui su più fronti giudiziari, a confondersi e insistere
con le nuove tecnologie di controllo sociale, sempre più distribuito,
unitamente alla militarizzazione del territorio e alla riduzione delle
lotte sociali a mero e semplice gestione dell’ordine pubblico. La
repressione è soprattutto questo: processi, accuse, reati, che mirano a
criminalizzare ogni tentativo di opposizione, rilancio e memoria
storica o difesa dei propri diritti, vedi Acerra, le lotte No Tav e le
recenti gestioni dell’emergenza rifiuti. Non contano i colori politici,
le appartenenze: a Genova, e da Genova, nasce una nuova strategia
repressiva. Viene tirato fuori, dopo molto tempo, il delitto di
devastazione e saccheggio. Dal 2001 è stato utilizzato oltre che a
Genova, a Milano e a Torino. Un reato che prevede pene altissime e che
riduce le lotte sociali ad azioni delinquenziali fuori tempo massimo e
soprattutto, quasi, comuni. Un passaggio ideologico decisamente
interessante, dopo anni e anni di reati associativi appioppati, e
accade ancora, come niente fosse. Un reato che segna un cambiamento
generale in tema di controllo sociale: chi si oppone allo status quo, è
un devastatore, un saccheggiatore, un delinquente, un barbaro, un
incivile, un corpo non da estirpare in quanto antitetico, ma da isolare
in quanto aberrante. Un reato fortemente ideologico. Devastazione e
saccheggio, ma non solo, basti pensare alla difese dai fascisti che
diventano, per le procure, rapine, violenze private, resistenze. I
filoni, si parla di circa novemila persone sotto processo solo nella
stagione berlusconianafino al 2005, cui poi si sono aggiunti i sindaci
sceriffi e legalisti di sinistra, interessano tutti i gangli attraverso
i quali il movimento tentò di esprimersi nel luglio 2001:
contrapposizione alle politiche liberiste, lotte sociali riguardanti il
tema della precarietà (e con esso il diritto alla casa, ai servizi, al
reddito), le lotte anti repressive degli anarchici, le lotte dei
migranti.
Per gli anarchici, sempre bastonati, non si è trattato di
un’inversione di tendenza: da sempre l’intelligence italiana, prima
della prima repubblica, durante e dopo, ha mirato a loro in ogni
situazione di difficoltà. Per loro il trattamento è sempre lo stesso.
L’operazione più vistosa è stata la cosiddetta Operazione Cervantes: il
27 luglio 2004 furono perquisite un centinaio di persone, di cui 34
indagate per «associazione sovversiva, terrorismo ed eversione
dell’ordine democratico» (270/270bis), mentre 4 furono gli arresti.
L’indagine era finalizzata all’individuazione degli autori degli
attentati all’istituto scolastico Cervantes e a una caserma di Roma nel
2003 e al tribunale di Viterbo nel gennaio 2004.
Nel filone
repressivo post G8, non manca la criminalizzazione di chiunque si
occupi di precarietà (lavorativa, sociale, di esistenza): ecco i
processi contro gli attivisti della MayDay del 2004 a Milano, il
processo per l’esproprio proletario del 6 novembre a Roma, gli
innumerevoli processi per azioni contro la guerra, il reddito, i
migranti e la casa (Bologna, Roma e Firenze ultimamente con le condanne
a 7 anni per chi manifestò al consolato Usa del 13 maggio 1999). Anche
in questo caso le mosse delle varie procure, sembrano inserirsi nel
solco ideologico delle nuove tecniche repressive: disconoscere il
primato politico delle varie forme di opposizione, per sancirne la resa
giudiziaria delinquenziale e tramutare ogni affaire politico in ordine
pubblico, il controllo in militarizzazione, la quiete sociale con la
delazione, per favorire forme sperimentali – basti pensare alla
prossima introduzione degli steward negli stadi – in cui ciascuno è
controllore degli altri e via via di sé stesso, consentendo il trionfo
dell’atomizzazione e della morte sociale.

  1. tro
    3 Febbraio 2008 a 23:24 | #1

    Per gli anarchici, (DA) sempre bastonati, credo valga la pena di ricordare il processo Marini, dell’era pre-Genova.
    Forse meno “vistoso” dell’operazione Cervantes, ma di sicuro non meno pericoloso e significativo

  2. tuttiincampoconlotty
    5 Febbraio 2008 a 15:13 | #2

    il successo dei blog di movimento?
    Ma parliamo di quantità o qualità?
    Perche’ se parliamo di quantità siamo d’accordo: sono tanti e sempre più, anche se non sempre attivi. Se parliamo di qualità io sono ESPRESSAMENTE disgustato dal livello dei cosiddetti blog di movimento, personali, collettivi o altro.
    Non è un problema di strumento (Indymedia o blog), ma di uso. Senza poi contare i portali di INFORMAZIONE(TM) di movimento. Più chiusi della redazione di repubblica.

  3. nero
    5 Febbraio 2008 a 17:51 | #3

    il problema non è lo strumento, concordo, dato che uno si dà lo strumento più consono agli obiettivi e non viceversa. Il problema è il progetto.

    Con i blog di movimento uno mica pensava di lanciare nient’altro che la possibilità per tutti di informare in maniera facile e diretta sulle cose che lo interessavano. Ognuno ne fa l’uso che meglio crede. Alcuni sono interessanti, altri così così, altri per nulla (e ci metto pure questo tra questi ultimi, se vuoi).

    Il problema di indymedia a un certo punto non è stato lo strumento, ma il progetto, che è venuto a mancare, facendosi soffocare dai perdigiorno con scarse qualità intellettive che ritengono che libertà e comunanza siano sinonimo di fare-il-cazzo-che-mi-pare.

    Ogni portale, ogni strumento di comunicazione è legato a un suo progetto. Non c’è uno strumento principe perfetto e una serie invece di strumenti/progetti deleteri a priori. Non so a cosa ti riferisca con i portali di informaizone di movimento, ma penso che non si siano mai sognati di essere uno sportello per chiunque, ma un luogo di informazione su qualcosa da parte di qualcuno.

    La chance per costruire una comunità intelligente che sapesse informare e comunicare su ciò che avveniva è stata indymedia, che per un periodo è riuscita in questo suo intento grazie alla dedizione di molte intelligenze e alla chiarezza di obiettivi. A un certo punto sono venute a mancare entrambe e quindi anche il resto si è sfaldato.
    In questo momento ricostruire qualcosa che emuli quel progetto necessiterebbe di due cose: in primo luogo ricostruire comunità in conflitto, in secondo luogo tessere la tela di relazioni in grado di vedere qual è il progetto complessivo. Non è impossibile, è solo oggi come allora molto dura e difficile.

    Io ho già dato. Spero ci siano altri generosi. In assenza di questi ultimi, ognuno ha quello che si merita. Movimento incluso.

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