La Lega dei Citroni: il sogno più lungo, la notte più breve
E’ difficile decidere da dove cominciare a raccontare. Per noi nerazzurri nati negli anni settanta è l’epilogo di un sogno che pareva non dover giungere mai al suo culmine, un’esperienza ai confini dell’ossessione trasformata nella catarsi più totale di intere generazioni di tifosi. Mourlino lo sa e sa anche che le parole sono la forma più potente di magia: trasforma l’ansia in desiderio, la tensione in energia, gli uomini in guerrieri.
E’ difficile scegliere da dove cominciare. Per me tutto inizia con un viaggio di 17 ore alla volta di Madrid, un viaggio fatto di minuti lunghissimi che attraversano la notte di giovedì e la mattina di venerdì, un viaggio fatto di mezze frasi e di attenzioni morbose a ogni dettaglio, proprio come imposto dal vate di setubal, una odissea fatta di levigamenti del cavallo dei pantaloni e dei maglioni all’altezza del petto, fatto di cori improvvisati e di sagaci intuizioni, un percorso in cui il tuo compagno più fedele è una famiglia di marmotte che cercano repentinamente di infilarsi in ogni pertugio del tuo corpo per contagiarti con il terrore di cui sono alfieri.
E sai di non essere il solo: per le vie di Madrid scorgi Cambiasso sotto più travestimenti dell’ispettore Clouseau, alla ricerca di un’improbabile fuga, immagini – o forse no – Deki calarsi dalla stanza di albergo con una corda fatta di lenzuola e simulare il proprio rapimento. Anche gli eroi tradiscono una certa emozione. E la cosa non ti lascia proprio tranquillissimo. Anche la stregoneria di Mourlino ha i suoi limiti. Ma le ore corrono veloci, più veloci di quanto ti aspettassi. E in un attimo ti trovi a varcare l’ingresso del tempio, con lo stesso spirito con cui per milioni di anni gli esseri umani più umili hanno oltrepassato le soglie di luoghi sacri e terribili, il Santiago Bernabeu.
Sugli spalti ognuno reagisce come può: c’è chi ha passato la giornata a piangere, chi conta i secondi prima di prendere un altro respiro per non dimenticarsene, chi ostenta sicumera impalato come un citrone e ipnotizzato dal manto erboso perfetto, dalla scenografia di un teatro incredibile per una serata che non potrà mai dimenticare.
E poi c’è il fischio d’inizio. E improvvisamente il tempo muta, accelera, lasciandoti indietro senza fiato. Abituato a partite interminabili in cui snocciolare i minuti, ti ritrovi catapultato in una dimensione di immediatezza totale. Niente è come prima. Nulla conta. Nulla. Nel nulla due lampi, due battiti di ciglia, il Principe. Poi nuovamente l’ascesi, il vuoto che riempie la tua vita trascinandoti verso l’illuminazione, bodhisattva nerazzurro. Il triplice fischio arriva troppo in fretta. Non c’è neanche il tempo di pensare a cosa raccontare di quello che è successo sul rettangolo di gioco. Perché non conta nulla. Perché ciò che ti circonda è ormai superfluo, perché l’incantesimo dell’Illuminato portoghese ti ha fatto trascendere quanto di materiale sta intorno a te per trasformarti e trasformarsi in sogno, in molecole oniriche.
Qualcuno piange, qualcuno grida, qualcun altro ride a crepapelle. Il sogno è diventato realtà. Ciò che nessuno di noi credeva possibile è lì davanti ai tuoi occhi, ed è stato così repentino nel suo arrivo da rimpiangere ogni istante che lo ha preceduto, da odiare la tua natura caduca e umana che non ti ha fatto imprimere come ferro ardente nella carne ogni momento che ti ha accompagnato in questo anno incredibile.
Vivo l’ora e mezza di festeggiamenti nello stadio in stato di alterazione di coscienza: sono diventato una sola cosa con tutto lo stadio, con Madrid, con il mondo e con la natura, con gli uomini e con le donne intorno a me. Sono oltre me stesso. Non posso dire di essere emozionato. Sono trasceso, sono trasfigurato. Sono altro da quello che ero prima. Esco. Usciamo.
E la notte è troppo breve. E l’anima dell’uomo è troppo piccola per contenere la memoria delle emozioni di quanto è appena accaduto. Mi posiziono nel firmamento insieme a eroi nerazzurri e stelle passate presenti e future. E guardo verso un minuscolo immenso rettangolo verde circondato da una grande città. Mourlino si toglie i panni dello stregone e ritorna essere umano. L’incantesimo è finito. Anzi, è compiuto. Gli eroi nerazzurri smettono le fattezze fantastiche che li hanno mutati in leggenda e tornano ad abbracciare la loro umanità. Il cielo si riempie di grida, di urla, di metafisiche vesti. E da nero che è si stria lentamente di azzurro. Per sempre.
Sotto la luna crescente attraverso la città. E quando mi sveglio ho fatto altre 15 ore di auto, sono nel mio letto, ebbro e sfinito. Niente sarà più come prima. A terrible beauty is born.
"Cos these are the days of our lives
They’ve flown in the swiftness of time
These days are all gone now but some things remain
When I look and I find no change
Those were the days of our lives – yeah
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one things still true
When I look and I find
I still love you"
poeta vero.
🙂
sei il mio capo, sappilo.
maglie diverse, colori diversi, stessa passione.
(ok tu anche qualche titolo in più, ora lo si può ammettere)
semplicemente…
bella storia piglia bene!
;-P
visto che portava bene?
quante seghe per una partita di balòn però, e ti sei perso la mattina allo stadio, meglio, rischiavi il coccolone…
Saluti in rosa e nero
godo ancora
http://www.youtube.com/watch?v=ZrU3iVTHwMc