Supercoppa Nobilis: la differenza tra vincere e perdere
Che fosse una giornata infausta per i colori nerazzurri si avvertiva durante tutta la fase prepartita: chi ha dormito male, chi si è svegliato con la schiena incriccata, chi nervoso, chi con i testicoli incrociati a x, chi con un nuovo varicocele, chi si è dimenticato delle sue più elementari regole di scaramanzia, ecc. ecc. La giornata è stata mesta, nuvolosa, ma non fresca, appiccicosa, con un cielo grigio che opprimeva tutta una città ricca, brutta e senza alcuna attrattiva, il cui simbolo è uno schema di rombi bianco rossi (i colori dei Colchoneros). Nonostante tutto questo però, lo stadio Louis II è pieno e tutti sperano in qualcosa che volga la giornata al meglio. Nell’ennesima impresa. Che non arriverà. Sfiga. O forse no. Forse solo la differenza tra vincere e perdere, tra vincenti e perdenti.
Ciccio Benny schiera in campo quasi la stessa formazione del Bernabeu e della Supercoppa Italiana. Eh, sì, perché da buono chef pensa di aggiungere quel paio di tocchi che possono trasformare un capolavoro gastronomico in una torta di merda: dentro il Drago al posto della Pantera e schieramento iniziale con un inguardabile 4-1-4-1 un po’ sghembo. Nei primi cinque minuti sbarelliamo e si torna all’ormai consueto 4-2-3-1. Seguono 15 minuti di vera Inter, in cui i nostri eroi si fanno onore.
Ma tra il ventesimo e il venticinquesimo del primo tempo la squadra inizia ad andare in anossia cerebrale e muscolare: non teniamo più una biglia, ogni passaggio di prima è una palla buttata via, gli avversari sono sempre i primi sul pallone. Sembra di vedere la gara di maggio, ma a parti invertite.
Il primo tempo termina meritatamente sullo 0-0, ma i segnali sono pessimi. Ciccio non cambia nulla nonostante palesemente ci siano parecchi giocatori che non ci stanno capendo un cazzo: Crystal in primis, il Pelato in secundis, il Drago sfiatato in terzis. Ma non solo loro.
Bisogna aspettare la cappella delle cappelle, a cui aggiunge la sua parte di colpa anche l’Acchiappasogni prendendo gol sul suo palo, per vedere una reazione sulla panchina. Dentro la Pantera e fuori Deki, ma nessun altro segno atto a scuotere la squadra. Che puntualmente segue il copione dei precedenti 30 minuti. Il secondo gol con fuga solitaria sulla fascia e il Colosso che sta a guardare da lontano (ah, chi diceva che non aveva più voglia di giocare con la nostra maglia forse non aveva tutti i torti, no?) mentre il colchonero la tocca in mezzo per El Kun tutto solo.
Per l’arrembaggio finale Ciccio si scompone: dentro Totò per l’Olandesina (in effetti in debito di ossigeno dopo aver corso come un ossesso e predicato nel deserto), e di nuovo nessuna variazione tattica di rielievo. Cambia poco. Quando al 45esimo Busacca ci concede un rigore che il Principe spara sul portiere con scarsa convinzione il destino è già segnato da tempo.
Riassaggiamo il sapore della sconfitta.
Ora, lo so che è un gioco infame, ma non si può esimersi dal farlo: tre mesi prima una squadra di undici uomini disposti a tutto ha giocato una finale con il coltello fra i denti e al top della condizione (raggiunta rischiando tutto in campionato), contro una squadra con la maglia a strisce biancorosse, con un condottiero che a ogni imperfezione saltava in aria gridando indicazioni e spronando la truppa, vincendo 2-0; tre mesi dopo gli stessi (o quasi, anche se è un quasi che pesa) uomini con 30 minuti scarsi nelle gambe (la preparazione atletica mica la programmo io, eh!) e senza palle hanno affrontato una squadra a strisce biancorosse, con un condottiero dallo sguardo bovino che ha assistito inerte a tutto il match senza riuscire a scuotere di un millimetro l’andamento della gara, perdendo 2-0. Il confronto è impietoso.
I due homini novi del ciclo nerazzurro che si va aprendo – Bancaleon e il suo protetto Ciccio Benny – si stanno giocando molto della propria credibilità e del proprio futuro. Sul fronte diretto dal primo le strategie hanno portato al momento a un totale flop o poco ci manca. Sul fronte del secondo il primo obiettivo importante della stagione è andato a ramengo, e dire che gli era stato servito su un piatto d’argento solo da cogliere e degustare. Le prime cartucce sono state buttate nel cesso. E con loro un buon 50% del credito disponibile presso la mia augusta persona e presso la maggior parte dei tifosi.
Nonostante questo è tempo di guardare avanti. Dopo tutto se non avessi postato stamattina tutto si sarebbe risolto per il meglio e molte delle parole dei paragrafi precedenti sarebbero ben diverse. Quindi se dovete lapidare qualcuno, quel qualcuno sono io. Non mi riesco a dare pace, pur con tutte le razionalizzazioni esposte sopra, del mio grossolano errore in ambito scaramantico. Dio perdona. Nero no. Neanche se stesso.
Ho appena finito di vedere la partita contro il Bologna, meglio non commentare
arridatece Cuper