Anche Venezia via da Milano grazie al Comune
A giugno feci un breve post raccontando di come grazie al ritiro del patrocinio della Provincia di Milano (appena passata dalla sinistra alla destra nell’eminente persona di Podestà) la Rassegna del Festival di Cannes a Milano dopo anni e anni di onorata carriera venisse meno. In realtà proprio in extremis alcuni miseri fondi vennero stanziati e consentirono una versione molto risicata della Rassegna, da almeno una decina di anni uno dei pochi eventi culturali degni di nota del modesto panorama milanese.
A settembre da altrettanti anni (o forse di più, non saprei) si tiene una rassegna dei film del Festival di Locarno e di Venezia. Quest’anno la panoramica si è presentata in una forma diversa da quella degli altri anni: laddove fino al 2009 potevi acquistare degli abbonamenti da una quarantina di euro per assistere potenzialmente (dovevi essere molto lesto e pronto a sciropparti 5-6 film al giorno) a 30-40 film dei 40-50 proposti, quest’anno è stato previsto – oltre a una serie di iniziative promozionali e coupon con Esselunga e Corriere della Sera – un abbonamento da 32 euro per 8 film a scelta tra i 39 in programmazione. Lo scarto in termini di rapporto film-spesa per gli appassionati è abbastanza evidente: da 1 film per 1.5 euro, a 1 film per 4 euro. Diciamo per comodità due volte e mezzo, se non tre, a seconda di quanti film eri in grado di seguire con la vecchia formula.
Incuriosito sono andato oggi alle 18 alla vendita degli abbonamenti per capire un po’ meglio la situazione. Ho parlato con un ragazzo grande, grosso e appassionato di cinema con cui ho sempre scambiato quattro chiacchiere durante le code e che fa parte dell’organizzazione della Rassegna. Penso di essere stata la centesima persona a fargli la domanda per cui mi è parso molto preparato a rispondere cercando di giustificare il più possibile la scelta fatta.
Sostanzialmente i motivi che hanno portato al cambiamento di formula sono tre: (a) il Comune di Milano ha stanziato 20.000 euro anziché 120.000 come gli altri anni; (b) le sale a disposizione sono piccole e con una media di due proiezioni a film a fronte di 2000 tessere degli anni passati non se la sentivano di fatto di escludere 1400 persone dalla possibilità di vedere ogni film; (c) i distributori a fronte di numeri così esigui (2000 abbonamenti) non danno la disponibilità delle pellicole per più di 1-2 passaggi.
Io ovviamente capisco la necessità del mio interlocutore di indorarmi la pillola, ma la risposta si presta facilmente all’interpretazione del responsabile della nuova e peggiore formula dell’abbonamento alla rassegna: le sale cinematografiche di Milano fanno schifo da sempre, non certo da quest’anno, e il circuito che partecipa alla rassegna non mi pare sostanzialmente cambiato, da cui possiamo anche dirci tranquillamente che il problema (b) era facilmente risolvibile; i distributori sono stronzi capitalisti, ma niente più di questo, per cui a fronte di maggiori soldini, sicuramente avrebbero dato la disponibilità di 3 visioni anziché 2, o comunque del numero di visioni degli anni scorsi. Motivo per il quale tenderei a minimizzare anche il problema (c).
Evidentemente sono mancati i fondi per pagare queste proiezioni e l’impiego delle sale, cosa che mette in risalto come il principale responsabile del parziale (almeno per ora, ma a giudicare dalla ricezione delle modalità non mi pronuncerei con tanta sicumera sul futuro) affossamento della rassegna sia il Comune di Milano e la sua nuovissima vocazione al risparmio. Siamo certi che i soldi per fanfare e cazzate di ogni tipo per i consiglieri comunali non siano mancati e che i 100.000 euro non assegnati alla Rassegna non siano purtroppo finiti a fare asili nido popolari o programmi di calmierazione degli affitti.
Alla fine la formula non mi ha convinto e ho deciso di non fare l’abbonamento. C’è da dire che anche i film in programma non mi hanno molto convinto. Non è certo colpa di chi organizza la rassegna se i titoli nei rispettivi Festival non sono proprio entusiasmanti: in questo ultimo anno, sarà un problema di mia percezione soggettiva, ma mi pare che le sale dei festival si riempiano di film sulle parti più atroci dei regimi ispirati al marxismo e al comunismo (da notare: ispirati a e non qualificati come). E’ pieno di gente impegnata a rinnegare le idee che hanno condiviso e per cui si sono battuti, senza ovviamente che nessuno si preoccupi di quello che ha compiuto. Voglio dire: è evidente che ci sono aspetti dei regimi totalitari cosiddetti socialisti che sono quantomeno discutibili (e a nulla vale la constatazione che i regimi di altro segno hanno fatto di peggio e lo hanno fatto per proprio programma e non per deviazione dalla propria versione “ideale”), ma come mai non è pieno di gente che si vergogna di quanto fatto dai cosiddetti regimi democratici e dai ben peggiori regimi totalitari tuttora in pieno fulgore in tante parti del mondo (inclusa la nostra beneamata penisola)? E perché è pieno di anime candide quando bisogna guardare i peccati degli altri e vuoto di volontà di fare qualcosa quando si guardano i propri?
Sono un materialista, non come i chinai, ma pur sempre un materialista. La storia è violenza. E’ violento scontro di interessi e di bisogni. Non mi vergogno di ciò che non ho fatto io, non sento il bisogno di giustificarlo, né di condannarlo. Ma sento spesso, sempre più spesso il bisogno di capire. Di capire soprattutto ciò che mi è più vicino. E devo essere sincero: il Paese in cui vivo e che segue abulico la sua vita falsa e falsamente benestante non lo capisco e non lo accetto più di buon grado. D’altronde lo sappiamo tutti: il vero problema del posto in cui viviamo sono 4 cazzo di fumogeni, non 100.000 persone che non avranno più un reddito per conservare intatto il margine di profitto di chi di soldi ne ha già molti. O no?
Ciao, Nero.
Funziona così.
I cannibali mangerebbero se stessi, tanto sono ingordi.
Se uno zelo eccessivo non risultasse controproducente.
Allora si riempiono la pancia divorando gli altri.
I sentimenti degli altri.
La vita degli altri.
L’etica dell’incertezza (del lavoro, delle emozioni, di un’accettabile senso compiuto) nutre ormai da 30 anni un intero paese: l’Italia è un lunghissimo, interminabile silos stipato di cervelli e carni (sopratutto femminili) all’ammasso.
Nutrimento di un potere rozzo e senza scrupoli.
Tenace costruttore di un male non più individuabile (il cittadino è stato privato di scuola, cultura, non ha strumenti, non riconosce criteri) e perciò inscalfibile.
L’unica speranza è che al principio di salvezza succeda l’idea di perdizione.
Perdizione in un kaos purificatore.
I cui esiti non sarebbero di certo più infausti di quest’infimo che tutto avvolge.