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I numeri della scuola

8 Dicembre 2010 1 commento

Per lenire lievemente il disappunto che mi ha causato la serata che ho dovuto trascorrere ieri, ho pensato di affliggere anche voi con i numeri. Perché le parole si fa in fretta ad inventarle, e con la giusta capacità oratoria o retorica si riesce a giustificare quasi tutto. Ma i numeri non mentono mai: poi ognuno li interpreta come vuole, ma non possono dirsi falsi, a meno di non comprovarne la non autenticità.

Il sito di garamond ha pubblicato un po’ di statistiche sulla scuola italiana da fonti ministeriali (quasi tutte) e quindi le più attendibili possibile. Sono numeri molto istruttivi, che vi invito a leggere e di cui vi invito a prendere nota. I più salienti per me sono stati: l’aumento stratosferico degli iscritti e la diminuzione altrettanto stratosferica di docenti e di scuole elementari; la percentuale di docenti a tempo determinato (110.000 su 670.000); il posizionamento sempre ampiamente sotto la media dei paesi “sviluppati” dell’Italia in ogni indicatore (sia esso economico, didattico o burocratico).

Poi uno si chiede come mai siamo una società allo sbando e un paese che si rifiuta di ammettere la sua stessa scomparsa…

La Lega dei Citroni: indegni

8 Dicembre 2010 Commenti chiusi

Per salutare il 2010 in cui l’Inter si è laureata Campione d’Europa riportando la Coppa con le grandi orecchie a Milano sulla sponda nerazzurra dopo 45 anni, in campo contro il Werder, per non sprecarsi, ci va l’Imperia.

Perché non può essere la detentrice del titolo a far sembrare una squadra che ha preso pallonate in faccia da tutti come i biancoverdi tedeschi una specie di nuovo Ajax di Crujiff. Perché non possono essere gli eroi del triplete (e neanche le loro riserve) quegli indegni fantocci che si vedono in campo a prendere tre pere, né sedere sulla panchina di una squadra che punta a vincere titoli un morto che cammina, né dirigere una società che punta ad essere tra le top 5 del continente gente che non è in grado di fare le scelte adeguate per proseguire cicli o fondarne di nuovi con idee se non innovative almeno concretamente razionali.

E’ troppo brutto per essere vero. E’ troppo brutto ritrovarsi a sperare che la partita finisca già al ventesimo del primo tempo, vergognandosi dello strazio immondo che si sta offrendo sui canali satellitari del globo terracqueo. E’ brutto scoprire che gli unici per cui conta la dignità con cui si veste una maglia nerazzurra sono quelle persone che lo fanno per passione, sacrificando tempo, neuroni e umore, i tifosi.

E’ a loro che tutta la società Inter stasera stessa dovrebbe chiedere scusa, mentre so già che alla prima occasione saranno i primi ad essere buggerati e trattati come una mandria stolta da mungere per quattro soldi. Per diventare grandi, per emanciparsi e non essere più gli zimbelli d’Europa rappresentanti di un calcio ormai in declino, abbiamo bisogno di idee, di uomini e donne vere, di progetti. E in questa Inter di tutto questo non c’è neanche l’ombra.

Perché se vincere aiuta a vincere, perdere aiuta sicuramente a perdere.

[repost] Punti di vista su WikiLeaks

6 Dicembre 2010 Commenti chiusi

[ da cavallette.noblogs.org ]

Le informazioni sono una banca: alcuni di noi sono ricchi, altri sono poveri. Noi abbiamo la missione di rapinare questa banca.
Genesis P-Orridge in Decoder di Klaus Maeck, 1983

Forse le rivelazioni di WikiLeaks non avranno scioccato i più cinici e smaliziati tra noi. Anche se a farlo sono i diplomatici statunitensi, dopo 15 anni di regime ci è difficile cadere dalle nuvole se viene suggerito che l’obiettivo primario di Silvio Berlusconi sia l’arricchimento personale. Così come non sorprende il quadretto che hanno dipinto della Russia: un paese in cui le questioni difficili (dai giornalisti critici ai contratti per le risorse naturali) vengono gestite tramite la mafia.

Un paio di rivelazioni a cui è stato dato un po’ meno risalto:

Le reazioni di censura e gli attacchi di ogni tipo contro WikiLeaks e contro il suo portavoce Julian Assange sono fortissime e aggressive. Il sito web è stato oggetto di denial of serviceAmazon, Paypal, EveryDNS e altre aziende hanno velocemente calato le braghe e interrotto ogni servizio, ubbidendo velocemente alle indicazioni dei politici statunitensi più reazionari. Noti giornalisti mainstream hanno esplicitamente chiesto l’uccisione di Assange o la sua reclusione in prigioni extra-legali come Guantanamo. In Italia, dove siamo persone perbene, perfino il più becero dei giornalisti di regime si limita ad augurare un semplice pestaggio nei confronti delle persone scomode (ma attento al karma, Emilio!). Apparentemente Assange si trova attualmente in Inghilterra, sotto il controllo dei servizi segreti inglesi, più o meno ufficialmente ricercato dalle polizie di Stati Uniti, Svezia, Australia e probabilmente molte altre nazioni.

La portata dell’azione di WikiLeaks non si limita a scombussolare le verità ufficiali dei regimi o a incrinare l’ipocrisia delle relazioni diplomatiche fra nazioni che si odiano. Aprendo gli occhi del grande pubblico, contribuisce a ridestare esigenze di trasparenza e di verità che non appartengono solo a chi come noi crede da sempre, radicalmente, nella completa libertà d’informazione. Si veda per esempio questa intervista a Felice Casson, oggi magistrato del PD (bleah) ma anche impegnato a sostegno della trasparenza degli Archivi di Stato.

WikiLeaks risponde a un bisogno diffuso, e lo fa senza venire a patti con la legalità, senza obbedire ai richiami e senza piegarsi di fronte alle minacce.

Il Collegato Lavoro e il mondo della scuola: corsi e ricorsi

5 Dicembre 2010 Commenti chiusi

Lo sapevate? Care Precarie e Precari della scuola, secondo una norma europea e moltissime sentenze, è vostro diritto ottenere

  1. gli stipendi dei mesi di luglio ed agosto per ogni vostro contratto annuale con scadenza al 30 giugno
  2. gli scatti di anzianità biennali pregressi (come li hanno i precari di religione!) calcolati su tutti gli anni di lavoro
  3. un “risarcimento danni”, e tutte le differenze retributive, dopo tre anni di contratto a tempo determinato al 31 agosto, come se foste a tempo indeterminato.

Sorpresi? Nessuno ve lo aveva detto? Complicità e silenzi sono stati troppi in questi due decenni precari, ma non è il momento di indicare i colpevoli tra i partiti e i sindacati: è il momento di cercare la rivincita.

MA SUBITO. Perché il 24 novembre è iniziato il conto alla rovescia: il Collegato Lavoro obbliga ad impugnare entro 60 giorni tutti i contratti atipici (compresi i vostri contratti a termine, collaborazioni a progetto, somministrazione etc.). Si tratta di  un maxicondono per chi ha abusato di lavoro precario. Chi non impugna entro il 23 gennaio 2011 non potrà mai più rivendicare i diritti di cui sopra.

Quindi non ci resta che impugnare e, ATTENZIONE: non si tratta di fare causa subito, ma di interrompere la decadenza, una sorta di “prescrizione” dei diritti di cui sopra.

Come? Basta mandare una lettera al Ministero della Istruzione secondo le istruzioni che vedete in allegato. Poi avrete tempo di decidere con calma se volete fare causa ed eventualmente quale, e di rivolgervi agli avvocati del Punto San Precario.

Un buon consiglio: per due anni i maggiori sindacati, nessuno escluso, non hanno mosso un dito per bloccare il collegato lavoro, ora tutti corrono a proporvi di fare causa ovviamente con loro e ovviamente se vi tesserate… Lo sportello San Precario invece non chiede tessere o compensi di sorta. Un pool di avvocati è a disposizione per informazioni, consulenze e chiarimenti. Come tanti lavoratori e tante lavoratrici (di Linate, Malpensa, della Tnt, di Mondial, delle cooperative sociali, della Bocconi, del teatro la Scala, di Omnia service, di Wind, e di decine di altre aziende, grandi o piccole) possono confermare ciò che ci anima è un sano e profondo odio verso chi precarizza e una profonda solidarietà verso chi è precario come noi.

Alcune volte per trattare con il Ministero della Istruzione, bisogna trattarlo male: inondiamoli di valanghe di impugnazioni e cause.

Leggete gli allegati (uno per impugnare gli scatti di anzianità e uno per i risarcimenti relativi ai contratti a tempo determinato), modificate e poi spedite, che vi rispondano come dovrebbero o meno potrete in seguito fare causa, altrimenti no. Per qualsiasi chiarimento San Precario risponde

  1. ogni giorno, in orario d’ufficio in via Lamarmora 44 (Milano) MM Gialla fermata Crocetta
  2. il giovedì dalle 18.00 presso SOS Fornace a Rho Via San Martino 20 (vicino alla stazione ferroviaria)

Per appuntamenti scrivete ad info at sanprecario.info. Info e documenti su www.precaria.org

Diffondete il più possibile questa lettera, San Precario sia con voi.

Inter in Wonderland: fichi marci

4 Dicembre 2010 Commenti chiusi

Inter in campo con una formazione che riteniamo grossomodo obbligata: dietro la solita difesa over 35 salvo il nuovo titolare Natalino, piedi buoni e cervello fino. In mezzo Deki, Cambiasso e Muntari, per preservare Motta. Davanti il tridente degli zero (0) gol: birillo Pancev, pupazzo di neve Sneijder, la trottola Biabiany. A prima vista sembrano scelte sensate, ma noi i giocatori non li vediamo negli occhi prima che entrino in campo, non li osserviamo in allenamento e nelle loro camere in albergo durante il ritiro, perché forse faremmo altre scelte, o forse no, non lo sapremo mai.

Comincia la partita e si capisce che siamo entrati in campo molli come fichi marci: tutti i giocatori hanno una paura fottuta di farsi male e nessuno mette la gamba, con il risultato netto di lasciar giocare sempre troppo l’avversario, che invece ha tutto da guadagnare dalla partita. Deki e il Cuchu giocano ognuno in 3 metri quadrati, con Muntari che cerca di trasformarsi in Lampard o Gerrard, con i risultati che tutti si aspettano. Davanti Biabiany e Pandev non fanno un movimento giusto manco se glielo si traccia con un segnale luminoso, e Sneijder, che già di suo gioca con la voglia di una lumaca in letargo non sa a chi cazzo dare la palla mai. Però con davanti due ignoranti tattici come quelli, uno tutto concentrato a dribblare se stesso e l’altro a cadere sperando di prendere un fallo, è difficile capire se giochi contro l’allenatore o contro il suo amor proprio.

Nonostante questo il primo tempo vede possesso palla nerazzurro e dominio di campo biancoceleste, come da copione. Deki a un certo punto si rompe le palle e quando è costretto a fermarsi per l’ennesimo guaio muscolare (sarà colpa di Maga Magò, nda) si sente echeggiare la frase di Marcellus Wallace: “Senti quella fitta? E’ l’orgoglio che te la sta mettendo nel culo.”

Già, perché se tanto dobbiamo prendere pallonate in faccia almeno facciamolo con i primavera in campo in modo da non rischiare veramente nessuno. Invece Deki, col suo temperamento sanguigno si è fatto fottere dalla voglia di dimostrare di non essere un mezzo giocatore. Ed è stato punito dalla sfiga che comunque ci accompagna quest’anno e che rischia di togliercelo anche al Mondiale per Club.

In ogni caso nel primo tempo si registrano solo un rimpallo verso la porta di Mauri dopo svarione difensivo che viene fermato da un gran intervento di Castellazzi e dalla gambona del Capitano, e poi un rimpallo che dopo il salvataggio sulla linea del Cuchu finisce sull’anca di Grava e in fondo al sacco. Da notare come sull’angolo da cui scaturisce il gol tutti sono lì a dire che cosa devono fare gli altri e nessuno si preoccupi, tra i nerazzurri, di cosa deve fare in prima persona: un emblema perfetto della società di oggi in generale e dell’Inter beniteziana in particolare.

Sul finire del primo tempo tutti vedono che Muntari ha la lingua penzoloni e inizia a dare i numeri – che gli valgono il solito strameritato giallo a inizio ripresa. Chiunque l’avrebbe cambiato, ma il genio che siede in panchina (e in questo caso non è colpa di nessun altro, mi spiace) deve aspettare che più molle di un fico marcio e stanco come un cammello dopo aver attraversato il Sahara perda palla nella trequarti laziale innescando il contropiede biancoceleste: gran palla a scavalcare il povero Natalino, che comunque cerca di fare la diagonale corretta, e tocco sotto a superare Castellazzi. E’ evidente che l’Inter in campo non c’è.

Fuori Muntari e dentro Alibec, ma attenzione, non senza un tocco di genio: punta centrale anziché largo a sfruttare la sua velocità per saltare l’uomo – dato che tra Pancev e Banany non ci si può sperare neanche a esser ciechi. Ci vogliono dieci minuti perché Benny inverta le posizioni del macedone e del rumeno. Ma ormai è tardi. Anche se, dopo decine di rimpalli che finiscono nel vuoto o alla peggio sui piedi avversari, Goran Pancev riesce a imbroccare due rimbalzi di fila che gli rimangono miracolosamente entrambi sul sinistro, e a insaccare il 2-1.

Improvvisamente i nerazzurri si risvegliano e provano a vincere la partita. E se non fosse che il nostro di rimpallo si spegne sul ginocchio di Muslera anziché in porta come quello di Biava, potremmo pure riuscirci. Ma la sorte ha ancora in serbo uno sgarro per noi: Benny manda in campo Santon per cercare di dare un po’ di forze fresche in fascia. Peccato che l’ex Bambino d’Oro non ne voglia sapere e anzi alla prima occasione si mette in barriera come primo uomo, si gira (forse non ha mai giocato in una squadra d’oratorio dove ti insegnano che non ti devi girare mai) e allarga pure la gamba trovando la deviazione perfetta per scavalcare Castellazzi (che comunque non può prendere gol così sul suo palo). Grazie Davide, quando hai detto che vai in prestito al Genoa o al Crotone per ricominciare la tua scalata sociale dallo zero su cui ti sei posizionato?

La traversa a tempo scaduto di Sneijder che improvvisamente sembra voler giocare a calcio cinque minuti è una beffa, e ringraziamo Rocchi che non vuole umiliarci fermandosi al novantesimo con il 4-1 praticamente già in saccoccia in due contro il solo Cordoba in precipitoso rientro. Sconfitta meritata. Vittoria della Lazio meritata. Game Over per il nostro campionato.

Quest’anno puntiamo al terzo posto che è tutt’altro che garantito. Il vero cruccio è che questa nostra sconfitta non serva neanche a lanciare la Lazio verso il traguardo finale, dato che è lapalissiano che a gennaio gli uomini di Reja inizieranno a imbarcare spianando la strada alla squadra del Presidente del Consiglio in tempo di elezioni. E scusate se ho ampi dubbi che le compagini giallorosse o bianconere possano impensierire anche solo lontanamente i cugini. Lo dico da agosto: ci toccherà bere l’amaro calice fino in fondo, e vedere gli odiati biretrocessi raggiungerci a quota 18 (sempre che con la grande capacità societaria che ci ritroviamo Abete non colga l’occasione per toglierci uno scudetto per farci tornare sotto il palmares nazionale rossonero). Con il rammarico di poter fare palesemente meglio di così. E di doverci ritrovare ogni settimana a scazzare su chi dovrebbe assumersi la responsabilità delle gare indecorose che continuiamo a subire come tifosi.

Un bel po’ di movimento

30 Novembre 2010 1 commento

Finalmente vedo dei pischelli che si incazzano. E’ tutto il giorno che bloccano mezza città gli studenti. E non solo la mia città, ma anche le altre. Finalmente qualcuno si è rotto il cazzo. Era anche ora.

Strike on!

PS: poche parole dato che io non sono in strada questa volta. Ma penso sia importante che si dia diffusione il più possibile a quanto sta avvenendo. Io lo seguo su imc lombardia per una volta nuovamente utile e sul twitter di milanoX. A buon rendere.

Inter in Wonderland: Dio benedica i mediocampisti!

28 Novembre 2010 Commenti chiusi

Entriamo in campo con lo stadio mezzo vuoto e uno striscione lapalissiano: “scusate, siamo ancora a tavola…”. Seguito da un ben più gustoso: “Abete, vecchio rimbambito, l’amaro ce lo offri tu?”. Un po’ di verve non guasta mai, anche perché il midday match senza stadi all’altezza è solo una levataccia camuffata. La verve la vorremmo vedere anche nelle gambe e nella testa degli 11 in campo, ma i primi 10 minuti sono horror vacui allo stato puro: dietro la solita sessuagenaria difesa Cordoba-Lucio-Matrix-Zanetti con esterni del 4-4-1-1 Santon da un lato e Biabiany dall’altro. Punte Sneijder e Pandev. Nessuno di questi vede la palla per almeno una decina di minuti, nei primi tre dei quali il grande ex Valdanito ce la piazza su cross di un Angelo che sembra Garrincha – per dire come stiamo conciati – e sul piazzamento tipo subbuteo dei nostri centrali di difesa e del portiere.

Benny fa la prima mossa giusta in svariate settimane – escluso mercoledì sera: Santon arretrato a terzino dato che da ala non riusciva a scartarsi neanche da solo, Cordoba a sinistra e Zanetti a dare un po’ di aiuto al centrocampo, dove Giovinco-Candreva-Angelo sembrano il trittico dell’Ave Maria destinato a fare a fette il nostro centrocampo tutta la partita. Fortunatamente però è la giornata dei mediocampisti: Deki mostra che la rabbia è tutto quando le gambe e la testa non girano, spinge, strappa palloni, e alla fine trova due gol simili che portano l’Inter in vantaggio. Poi continuiamo a spingere: calcio d’angolo di Sneijder, spizzata di testa e Cambiasso triplica. Sembra non dico di tornare a vedere la vera Inter, ma almeno dei giocatori con la voglia di vincere.

Ci vuole poco per perdere di nuovo la testa e Matrix confeziona l’ennesimo errore individuale di questa sua fine di carriera (che tutti speriamo avvenga in tempi molto più rapidi del previsto, altri sei mesi non so se possiamo reggerlo): per cento volte ha sparato la palla a 50 metri di distanza, ma per questa volta decide di toccarla piano proprio sui piedi di Crespo che non si fa pregare e ci infila una seconda volta. Fine della prima parte, inizio della seconda parte.

Santon non rivede il campo, giustamente, ormai relegato a bambino viziato che è convinto di essere arrivato dopo la maglia da titolare di due anni fa contro il Manchester. Da domani banchetti nerazzurri per proporne la cessione della metà nell’ambito dell’affaire Ranocchia: un po’ di gavetta in provincia non gli farebbe che bene. Dentro Natalino, un primavera dai piedi buoni e dalla tranquillità olimpica che aiuterà la squadra a correre un po’ di più e a mettere in cassaforte il risultato (nonostante un errore marchiano nel primo affondo del Parma sulla sua fascia che però finisce sui piedi di Castellazzi). Purtroppo l’inizio del secondo tempo è molto simile al primo: molli molli molli. E il Parma ci infila sempre sulla fascia con Candreva e Angelo che sembrano farsi beffe di due senatori come Cordoba e Zanetti più e più volte. Per fortuna i parmensi sparano il possibile pareggio sul palo. Sugli spalti si conferma il pronostico: o ne facciamo altri due, o la pigliamo in saccoccia.

Per venti minuti c’è quasi solo il Parma. Davanti Sneijder sembra un fantasma e Goran Pancev non tiene un pallone neanche se gli danno un retino per farfalle. Incredibile come non riesca ad azzeccare un movimento che sia uno, ma forse sta cercando di entrare nel guinness dei primati. Finalmente dentro il sindaco Motta per un positivo anche se come al solito confusionario Biabiany. Magicamente tornano le geometrie e i tocchi di prima a testa alta. Anche Wesley sembra risvegliarsi dal torpore, forse per spirito di competizione da maschio alfa del centrocampo. Tempo cinque minuti e Motta la butta dentro: viene giù lo stadio. Altri cinque minuti e il mediocampista Deki corona la sua prima tripletta in Italia. La partita è finita. Ma c’è il tempo per vedere in campo un disciplinato Obiorah e due parate decisive di Castellazzi, finalmente non più dedito solo a studiare con attenzione la linea di porta per vedere se cambia colore.

Finisce 5-2 per noi. Ma allo stadio abbiamo visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Il risultato che maschera molte lacune: errori difensivi incredibili, scarsissima voglia di giocare da parte di alcuni giocatori fondamentali per l’Inter e involuzione ai limiti della regressione genetica di alcuni giocatori, Pandev e Santon su tutti. Thiago Motta accende la luce. Ma la strada per uscire dal buio della notte è ancora lunghissima.

La Lega dei Citroni: lo scatto del tossico

25 Novembre 2010 2 commenti

Nella prima vera serata d’inverno al Meazza parterre de roi con il sottoscritto, milingo, blanca, kramer, un suo amico a me milito ignoto, rentboy81, e hector pappone scarone. Praticamente il 50% del pubblico di San Siro, come al solito gremito quando si tratta di sostenere la squadra in difficoltà.

In campo Benny mette una novità e già questo fa gioire ogni individuo dotato di intelletto, anche se poi la mossa risulterà non necessariamente utile: il 4-2-4 o 4-4-1-1 a seconda della fase vede come punte in mezzo Sneijder e Pandev con un Eto’o largo e bassissimo a coprire il Capitano e Biabiany a non coprire Cordoba. Nella linea difensiva il più giovane è Lucio, 33 anni e molti cerotti. Poi ci sono un 34enne e due 37enni: si salvi chi può.

Partiamo bene cercando di aggredire il modesto avversario e di buttarla dentro: la nostra verve dura 15 minuti. Un vero e proprio scatto del tossico che cerca di trascinare il cuore oltre l’ostacolo della scarsa condizione fisica e mentale. La fortuna come al solito ci assiste: Sneijder batte la prima punizione decente dall’inizio dell’anno ma prende la traversa; Biabiany tira in porta (!!!) e addirittura va via in tacco lungo la linea di fondo senza che poi la cosa si concretizzi in alcun modo; Pandev come al solito riesce a mirare il portiere anziché le zone vuote intorno, probabilmente a causa di un effetto psichedelico della rete bianca su fondo colorato. Dopo un match con 30 tiri in porta e la miseria di un gol, è obbligatorio chiedere una deroga sulla larghezza della porta avversaria. Anche perché siamo in una serata in cui anche Castellazzi può fregiarsi di aver fatto la prima parata in nerazzurro, dopo minuti e minuti di inattività attiva e passiva.

Il primo tempo si conclude sullo 0-0, con funesti presagi che fanno scattare in piedi a turno dalla panchina praticamente ogni singolo membro dello staff tecnico: Pellegrino, Baresi e addirittura Benitez. Durante l’intervallo scopriamo l’arcano: il Presidentissimo ha deciso di elettrificare la panchina; bottone rosso, scossa a Benny; bottone giallo, salta Pellegrino; bottone verde, daje Beppe. Almeno hanno finalmente dato l’impressione di voler trasmettere un po’ di grinta alla squadra. All’incirca al 24esimo tiro in porta, su rimpallo, il Cuchu la butta in fondo al sacco, diffondendo l’adrenalina ai 35 tifosi presenti sugli spalti. Anche in campo si assiste a un nuovo picco delle sostanze liberate durante il famigerato scatto del tossico, con un Deki con il fiato corto correre come un ossesso dietro a ogni roba rossa che si muovesse per il campo. Purtroppo oltre allo scatto, abbiamo anche la lucidità del tossico. E la cosa non porta ad avere chance molto nette.

Chiudiamo facendo gli ultimi 15 minuti a sparare via il pallone e a tenerlo lontano dalla nostra area, con un Santon in versione non-so-manco-dove-mi-trovo dentro al posto di un esaurito Biabiany, un Obiorah che riceve il passaggio di consegne generazionali da Sneijder e un Biro Biraghi che entra correndo per tutto il campo pur di toccare il primo proprio pallone in Champions League.

Vinciamo e ci qualifichiamo, secondi grazie a 3 gol presi dal Tottenham tra 89esimo e 93esimo di due partita. Non so se questa vittoria farà il gioco di Benitez, ma certamente fa quello dell’Inter. E per me è tutto quello che conta.

Inter in Wonderland: cunscià de sbat via…

22 Novembre 2010 Commenti chiusi

Arriviamo camminando alla chetichella, sperando che nessuno ci noti, in terra straniera e clivense. Benny rispolvera il suo fortunatissimo 4-4-1-1-mascherato-da-4-2-3-1 che i nerazzurri hanno dimostrato di saper interpretare alla perfezione (sempre che capiscano quello di cui parla l’allenatore, cosa di cui ormai è lecito dubitare). La difesa rimaneggiata sapremo che farà quel che può e anche un po’ meno contro lo spauracchio Pellissier e il suo vice, Moscardelli. A centrocampo almeno tornano i titolari, seppur con poca benzina e lucidità nelle gambe. Davanti un fuoriclasse, Eto’o, un giocatore di calcio perso nei profumi della sua dolce metà (o forse di altro, non lo sapremo mai), e due chiaviche.

Il campo è indecoroso anche se ci si dovesse fare del motocross, figuriamoci giocare a calcio, ma per i clivensi dall’altissimo contenuto tattico-tecnico adattarsi non sarà un problema. Viceversa i palati raffinati nerazzurri, ormai abituati al caviale delle grandi occasioni non riescono a ritrovare la loro anima prolet e la capacità di lottare nel fango fino all’ultimo pallone.

Si rivede un’Inter molle e incapace di pungere, ma capacissima di deprimersi e di rendersi inetta alla reazione alle avversità. Dopo 15 minuti decenti, in cui una delle due chiaviche schierate in un ruolo a metà tra un esterno di centrocampo e un’ala riesce a divorarsi un gol già fatto, scompariamo dal campo e al 30esimo Santon marca Pellissier come neanche un bambino di 5 anni saprebbe fare: il clivense d’Aosta plana come un aliante indisturbato e insacca il primo gol della partita. La reazione è furente: tic… toc… tic… toc… Ach, mi sono addormentato. A provarci sono gli unici due fuoriclasse che non hanno bisogno di padre-padrone in panchina per essere in grado di giocare a calcio: Eto’o e Lucio. Con i loro limiti anche Deki, Cambiasso e Zanetti. Eto’o ci prova pure troppo dato che un suo momento di ordinaria follia con testata à la Zidane ci priverà dell’unico attaccante degno di questo nome fino al 2011.

Nel secondo tempo grande è la carica inferta negli spogliatoi agli spenti depositari del titolo italiano ed europeo: la mestizia si impadronisce degli animi nerazzurri vedendo uomini che hanno conquistato tutto solo qualche mese fa giocare come neanche nel peggiore degli oratori. Viene il momento delle sostituzioni: Nwanko per Cambiasso, e va be’; Alibec per Biabiany, che fa in 20 minuti quello che ne’ Pandev ne’ il francese sono riusciti a fare dall’inizio della stagione; Mancini per uno stremato Deki, che ogni interista interpreta come il segno dell’Apocalisse.

A ben vedere l’azione in cui Rigoni: recupera palla; scappa a Santon; lo aspetta sulla linea di fondo per 10 secondi prima che il ragazzo, che ha meno di 20 anni, si decida a fare finta di marcarlo senza riuscirci; crossa con tre difensori dell’Inter che osservano immobili Moscardelli che insacca come se fosse stato teletrasportato in mezzo all’area; beh, forse qualche sentore dell’Apocalisse poteva già rappresentarlo. Ci si mette pure Sorrentino che fa una partita come quelle che Castellazzi faceva contro di noi quando giocava alla Doria e che ormai non fa più satollo di euro e prepensionamento, e che toglie dalla porta due gol fatti di Deki e Eto’o. Il cui gol al 47esimo suona più come una presa in giro che altro.

Come si dice qui a Milano: sem cunscià de sbat via. Ghe nient de fa. Irriconoscibili. Impresentabili. Inaccettabili. Errori su errori fatti dalla società, in primis dal presidente e da Branca, già dal 23 maggio. Errori reiterati dalla scelta di un allenatore evidentemente non adatto a questa rosa e dall’incapacità di conferire una qualsiasi autorità all’allenatore scelto. Un allenatore in balia di sé stesso e delle sue convinzioni. Giocatori incapaci di giocare a calcio senza una balia autoritaria che li prenda a calci in culo. Erano almeno 15 anni che non eravamo messi così in classifica e in prospettiva. E l’epilogo di questa situazione lo conosciamo tutti. E il dramma è che probabilmente non servirà a nulla. Ma forse ritrovarsi fuori dalle fasi finali di CL quest’anno e fuori dalla CL l’anno prossimo farà riflettere più di tante voci che hanno predicato nel deserto dei blog e del tifo interista.

Almeno una certa categoria di interisti che non sopportavano più di essere antipatici e vincere sarà contenta: chissà se sanno che tra di loro c’è quasi tutta la dirigenza interista! Però, volete mettere che goduria questo campionato equilibrato in cui non siamo chiamati a giocare da protagonisti?

Zero History: per Gibson è la fine o l’inizio della storia come la conosciamo?

16 Novembre 2010 Commenti chiusi

E’ difficile prendere posizione su un libro di uno dei tuoi autori preferiti, specie se è un mostro sacro come William Gibson. Zero History, appena uscito all’estero, prevedo almeno tra un annetto nelle librerie italiane, è il terzo episodio di una saga cominciata con Pattern Recognition (L’Accademia dei Sogni) e proseguita con Spook Country (Guerreros). Sul secondo episodio ho scritto una recensione abbastanza lunga, mentre per il primo purtroppo mi sa che il blog non era ancora uno strumento che usassi molto. Il terzo episodio chiude il cerchio, anche se non lo fa con un’opera degna delle due precedenti. Ma anche questo è un grande classico di Gibson: mi ricordo la delusione di Mona Lisa Overdrive rispetto a Neuromancer o Count Zero; il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Il romanzo parte da dove ha lasciato il precedente, dal problema di come venga definita la realtà attraverso le tecnologie, di come non ci possa essere un futuro definito come eravamo abituati a fare, dato che il presente è definito in maniera estremamente nuova. Già dal titolo Zero History vuole parlare del passato, ma non in senso classico. Ne parla come di qualcosa che non esiste più, che è zero, facendo scontrare il personaggio principale, sempre Hollis Henry con il deus ex machina di tutti e tre i libri, l’eclettico imprenditore Hubertus Bigend. Hollis siamo noi e Hubertus rappresenta la sintonia con il mondo (post)moderno: Hubertus è nemico della stasi e ossessionato dall’idea dell’atemporalità, e cerca un modo per far scomparire il mercato attraverso la sua trasformazione in un eterno presente, impossibile da prevedere e anche da ricordare. Hollis è l’imprevisto, il cuore di tutto ciò che è motore del cambiamento e della resistenza ad un mondo che si allontana da noi: perché per Gibson sono gli esseri umani l’unica speranza. Forse è invecchiato, o forse sono invecchiato io, ma faccio fatica a concordare. 🙂

Questa battaglia tra eterno presente e umanità del tempo si collega in maniera non del tutto lineare con gli altri temi della trilogia, e in particolare con la funzione dei brand e del mercato nella definizione della nostra vita, del paradigma in cui ci muoviamo, come una sorta di vera e propria bussola semantica. Se una visione moderna del brand è quella per cui i “target” non comprano merce, ma narrazioni, ontologie direbbe qualcuno, lo scontro semiotico sullo sfondo del libro è quello che cerca un superamento di questo stadio evolutivo del marchio: Bigend cerca disperatamente di comprendere i meccanismi di un brand che non è un brand, e che tuttavia genera ontologie capaci di stimolare un senso di appartenenza e di mitopoiesi superiori a quelli della moderna narrazione epica via fidelizzazione commerciale. Dall’altro chi ha immaginato questo meccanismo, che ha reso la segretezza del mito l’essenza stessa del mito e la sua adattabilità alla vita di ogni persona, continua con un processo di costante sottrazione alla definizione di ciò che è, di ciò che è stato e di cio che sarà. E’ una salto quantico nell’isolamento temporale dell’eterno presente.

Un tempo sempre presente, mai identico a sé stesso, capace di generare attenzione e percezione di altro, della vita e degli esseri umani, di nuovo al centro della creazione e della storia. Il cerchio si chiude. Zero History o History Zero? Gibson evidentemente è diventato un’ottimista, mentre il sottoscritto pensa che l’umano abbia poche speranze di smentire la sua vocazione alla sopravvivenza attraverso la degenerazione e la ferocia. Spero abbia ragione il mitico William.

Voto: 7,5