Entriamo in campo con lo stadio mezzo vuoto e uno striscione lapalissiano: “scusate, siamo ancora a tavola…”. Seguito da un ben più gustoso: “Abete, vecchio rimbambito, l’amaro ce lo offri tu?”. Un po’ di verve non guasta mai, anche perché il midday match senza stadi all’altezza è solo una levataccia camuffata. La verve la vorremmo vedere anche nelle gambe e nella testa degli 11 in campo, ma i primi 10 minuti sono horror vacui allo stato puro: dietro la solita sessuagenaria difesa Cordoba-Lucio-Matrix-Zanetti con esterni del 4-4-1-1 Santon da un lato e Biabiany dall’altro. Punte Sneijder e Pandev. Nessuno di questi vede la palla per almeno una decina di minuti, nei primi tre dei quali il grande ex Valdanito ce la piazza su cross di un Angelo che sembra Garrincha – per dire come stiamo conciati – e sul piazzamento tipo subbuteo dei nostri centrali di difesa e del portiere.
Benny fa la prima mossa giusta in svariate settimane – escluso mercoledì sera: Santon arretrato a terzino dato che da ala non riusciva a scartarsi neanche da solo, Cordoba a sinistra e Zanetti a dare un po’ di aiuto al centrocampo, dove Giovinco-Candreva-Angelo sembrano il trittico dell’Ave Maria destinato a fare a fette il nostro centrocampo tutta la partita. Fortunatamente però è la giornata dei mediocampisti: Deki mostra che la rabbia è tutto quando le gambe e la testa non girano, spinge, strappa palloni, e alla fine trova due gol simili che portano l’Inter in vantaggio. Poi continuiamo a spingere: calcio d’angolo di Sneijder, spizzata di testa e Cambiasso triplica. Sembra non dico di tornare a vedere la vera Inter, ma almeno dei giocatori con la voglia di vincere.
Ci vuole poco per perdere di nuovo la testa e Matrix confeziona l’ennesimo errore individuale di questa sua fine di carriera (che tutti speriamo avvenga in tempi molto più rapidi del previsto, altri sei mesi non so se possiamo reggerlo): per cento volte ha sparato la palla a 50 metri di distanza, ma per questa volta decide di toccarla piano proprio sui piedi di Crespo che non si fa pregare e ci infila una seconda volta. Fine della prima parte, inizio della seconda parte.
Santon non rivede il campo, giustamente, ormai relegato a bambino viziato che è convinto di essere arrivato dopo la maglia da titolare di due anni fa contro il Manchester. Da domani banchetti nerazzurri per proporne la cessione della metà nell’ambito dell’affaire Ranocchia: un po’ di gavetta in provincia non gli farebbe che bene. Dentro Natalino, un primavera dai piedi buoni e dalla tranquillità olimpica che aiuterà la squadra a correre un po’ di più e a mettere in cassaforte il risultato (nonostante un errore marchiano nel primo affondo del Parma sulla sua fascia che però finisce sui piedi di Castellazzi). Purtroppo l’inizio del secondo tempo è molto simile al primo: molli molli molli. E il Parma ci infila sempre sulla fascia con Candreva e Angelo che sembrano farsi beffe di due senatori come Cordoba e Zanetti più e più volte. Per fortuna i parmensi sparano il possibile pareggio sul palo. Sugli spalti si conferma il pronostico: o ne facciamo altri due, o la pigliamo in saccoccia.
Per venti minuti c’è quasi solo il Parma. Davanti Sneijder sembra un fantasma e Goran Pancev non tiene un pallone neanche se gli danno un retino per farfalle. Incredibile come non riesca ad azzeccare un movimento che sia uno, ma forse sta cercando di entrare nel guinness dei primati. Finalmente dentro il sindaco Motta per un positivo anche se come al solito confusionario Biabiany. Magicamente tornano le geometrie e i tocchi di prima a testa alta. Anche Wesley sembra risvegliarsi dal torpore, forse per spirito di competizione da maschio alfa del centrocampo. Tempo cinque minuti e Motta la butta dentro: viene giù lo stadio. Altri cinque minuti e il mediocampista Deki corona la sua prima tripletta in Italia. La partita è finita. Ma c’è il tempo per vedere in campo un disciplinato Obiorah e due parate decisive di Castellazzi, finalmente non più dedito solo a studiare con attenzione la linea di porta per vedere se cambia colore.
Finisce 5-2 per noi. Ma allo stadio abbiamo visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Il risultato che maschera molte lacune: errori difensivi incredibili, scarsissima voglia di giocare da parte di alcuni giocatori fondamentali per l’Inter e involuzione ai limiti della regressione genetica di alcuni giocatori, Pandev e Santon su tutti. Thiago Motta accende la luce. Ma la strada per uscire dal buio della notte è ancora lunghissima.