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Difetti di fabbrica di un’epoca

1 Settembre 2009

 

Ho terminato da un paio di giorni l’ultimo libro di Thomas Pynchon, che come molti di voi sapranno è lievemente il mio autore preferito. Ormai TRP ci ha abituato a capolavori immensi intervallati da libri più leggeri e meno impegnativi. Questo ultimo Inherent Vice è decisamente in linea con il precedente Vineland (e anche alcune ambientazioni e personaggi riecheggiano lungo le pagine e le parole del maestro). E’ un bel libro, scorre via tra brani di poesia assoluta e battute da ribaltarsi sulla sedia, lungo la storia del Detective Doc Sportello e la storia personale di TRP, del sogno psichedelico degli anni Sessanta in America, e di tutto quello che ha finito per non funzionare in quel sogno. E’ una struggente ammissione dell’insufficienza di quell’utopia, una ironica presa di coscienza che non bastava pensare che l’amore vincesse su tutte le cose per cambiare il mondo. Io da buon cinico materialista non posso che essere d’accordo. 

Al contrario di Against the Day, non è un libro dai molti piani di lettura, è facile, e anche divertente, ma penso che per vederlo in italiano dovrete aspettare parecchio tempo. Pynchon ci consegna la sua visione a oltre 70 anni suonati di un pezzo della propria vita e della storia dei movimenti nel mondo. Le linee finali del libro, come sempre immense in ogni scritto pynchoniano, il mio socio le definirebbe come le mie: quelle di un inguaribile tanguero sotto mentite spoglie.

Then again, he might run out of gas before that happened, and have to leave the caravan, and pull over on the shoulder and wait. For whatever would happen. […] For the fog to burn away, and for something else this time, somehow, to be there instead.

Poche righe, per bruciare la speranza che una volta sollevato il pavé sotto vi sia davvero una spiaggia e non il laconico dipinto di sabbia che è stata portata via dal tempo.

 

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