La comunità come fonte di guadagno e di speculazione
In questi giorni, come in tutti gli altri, si susseguono le notizie reperibili qua e là sull'uso da parte delle grandi compagnie di comunità piccole e grandi. Non è una novità che prima o poi chi vuole fare soldi si accorga che, anziché massacrare di leggi e restrizioni le comunità che producono la domanda su cui costoro costruiscono business miliardari, forse sarebbe più intelligente procedere ad un uso più subdolo di tutta la messe di informazioni e relazioni prodotta da questa comunità. Tuttavia siamo ancora in una fase intermedia, in cui i vecchi privilegi sono duri a morire, come ben segnala l'iniziativa dei quindici che denuncia come il periodo di copertura del diritto di autore si sia magicamente esteso pochi anni fa sotto pressione della Disney, rendendo moltissimi capolavori non più fruibili da tutti senza alcun limite con la scusa di tutelare gli eredi di Topolino.
In compenso l'ufficio brevetti americano inizia a lavorare per mettere a profitto la comunità dedicata alla proprietà intellettuale inaugurando un servizio di peer review per i brevetti (ovvero una comunità che valuti la validità o meno del brevetto, a medio termine togliendo la maggior parte del lavoro di verifica dalle spalle dei grigi burocrati del patenting), e la publishing house di USA Today (la Gannett) decide di includere nelle proprie pubblicazioni una parte di materiali prodotti dalla comunità che segue i suoi giornali (non lontano dall'operazione blog e minchie che campeggia su Repubblica Online da tempo, ma traslato alla carta stampata). [tnx delfants per il saccheggio che mi concedi ogni volta :)]
Di fronte a questa speculazione, la maggior parte delle comunità fertili, anestetizzate dall'ebetismo cerebrale dilagante, non si pongono minimamente il problema, anzi innalzando grida di giubilo ogni qualvolta il loro contributo viene preso in considerazione dai loro padri padroni. Il peggior nemico del popolo è il popolo, avrebbe potuto scrivere qualcuno (e forse lo ha fatto), ma resta il problema cruciale di come costruire comunità un minimo meno supine alle decisioni di rapina commerciale come questa: ovvero se la mia produzione collettiva offre un vantaggio commerciale, io devo avere qualcosa in cambio. Potere? Influenza? Soldi? Non saprei, ma regalare gratis le proprie relazioni è qualcosa che mi disturba, soprattutto se a beneficiarne sono gli stessi che poi tenderanno a reprimere ogni mia spinta innovativa e poco ortodossa.
Contemporaneamente risulta evidente (e spero presto di avere il tempo di scrivere qualcosa di più a proposito) che il modello che negli ultimi cinque anni abbiamo costruito (indymedia, tanto per capirci) è ormai totalmente inadeguato, superato dai blog generalizzati da un lato, dai free press dall'altro, dagli espeimenti come Repubblica Ultimora, Corriere Anteprima e il Sole 24 Minuti in arrivo, nonché da quest'ultima iniziativa della Gannett. Il problema a questo punto non è avere uno strumento di informazione dal basso pervasivo e popolare, ma come fare in modo che da un lato questo strumento pervada media al di là del nostro ristretto circolo mantendo una sua potenzialità, e dall'altro come riuscire a far emergere relazioni possibili e potenziali originarie di conflitto e soggettività dalla messe di dati prodotta da una data comunità.