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Corporate Community: when will you learn?

23 Ottobre 2006

Oggi su uno dei photolog che seguo di più, quello di Katie West a cui sono arrivato seguendo il blog del guru Warren Ellis, è apparsa una notizia che offre un perfetto spunto per ragionare sul concetto di community e sulla svendita della valorizzazione sociale delle relazioni che praticamente tutti sono disposti ad accettare nel magico mondo del social networking. 

La notizia scatenante la discussione è la cancellazione senza preavviso da parte di Flickr di un altro photolog molto bello (e seguito :): tetheredtothesun. In un secondo, semplicemente per il metro di giudizio di flickr, il sito è stato cancellato: decine e decine di foto, immagini, impressioni, relazioni, annullate dalla "morale" del sito a cui migliaia di persone si affidano per il proprio social networking.

L'assurdità reale però non sta tanto nel fatto che flickr decida o meno di cancellare un photolog e i motivi per il quale lo faccia – il sito è di una compagnia che può decidere pienamente cosa fare delle proprie risorse – quanto più nelle reazioni della community a questo evento: la maggior parte delle reazioni è di impotenza e sdegno, ma nessuno mette in discussione la possibilità di lasciare flickr. I commenti sembrano più quelli di qualcuno in preda a una pesante dipendenza che di qualcuno che sta facendo qualcosa che ha un senso per lui indipendentemente dalle condizioni in cui lo può fare.

Evidentemente le migliaia di persone che si sono tuffate nel mondo del social networking non riescono a inquadrare minimamente il problema: ovvero che le loro relazioni, il valore immenso di tutti quegli scambi, è alla mercé di chi le sta monetizzando. Il controllo che i reali produttori di valore all'interno delle community esercitano sul mondo che stanno creando è nullo, e il fatto che questo sia il nocciolo del problema non li sfiora neanche. E' un fenomeno socialmente e politicamente singolare, che dimostra quanto sia penetrato profondamente nella psicologia collettiva il concetto della privatizzazione e economicizzazione di tutto ciò che ci contraddistingue come esseri umani.

Perché non esigere che le strutture controllate da una società che deve fare profitti ma che trovano il loro valore nelle relazioni che produciamo siano sottoposte ad una dimensione di maggiore democrazia collettiva? Anche mettendosi nei panni degli ultraliberisti (panni scomodi e non graditi) non c'é alcun motivo per cui il controllo della community sia in antitesi alla monetizzazione da parte della compagnia che gestisce il sito. Ovviamente portando il ragionamento un po' più in là: perché non capire che l'unica soluzione è la capacità di gestire in proprio le proprie community? Sperimentare il social networking come forma reale e incondizionata di democrazia e di socialità e non come un surrogato commerciale delle relazioni che abbiamo tutti i giorni? O forse le relazioni che abbiamo tutti i giorni sono già da tempo schiave di una commercializzazione meno pervasiva ma che costituisce parte integrante della nostra socialità distorta: riuscite a pensarvi sociali senza il vostro pub di fiducia? se la risposta è sì, siate felici di essere un'eccezione.

Il mio pessimismo cosmico rispetto all'umanità mi dice che gli esseri umani non impareranno mai che essere padroni di sé stessi e della propria libertà significa anche essere gli unici giudici delle proprie relazioni: finché flickr sarà il prete che decide i costumi del villaggio e chi deve essere esiliato, sarete in balia di una morale ben misera, quella della corporate policy più adatta in un dato momento in un dato luogo, ovvero quanto ti più prossimo ci sia alla morale comune (che diciamo raramente è sinonimo di indipendenza e tolleranza).

 

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