Il nichilismo dei blog
Bruce Sterling pubblica oggi sul suo blog su Wired due articoli che cercano di gettare luce sul fenomeno del blogging e sul suo senso sociale. Il primo articolo nella sua lapidarietà fa proprio il motto del blog di fastidio (in assoluto il migliore blog di noblogs al momento), definendo i blogger nichilisti, ovvero buoni a nulla. Ovviamente il caro Friedrich si sta ribaltando nella tomba per questo uso improprio del termine nichilismo, ma d'altronde far ribaltare nella tomba i padri dei nostri riferimenti culturali è quasi uno sport, più che un hobby (ho cominciato quando avevo diciassette/diciotto anni con Guy Debord 🙂
Allo stesso tempo affermare il nichilismo del fenomeno del blogging percorre un'iperbole in grado di mettere in luce la potenza dello svuotamento, l'esercizio di una piccola volontà come potenza. Il secondo testo ovviamente è da intersecare con il primo, fornendo una valutazione quantitativa al fenomeno che riesce a dare una dimensione migliore della natura elitaria ancora e sempre della partecipazione in rete. Il numero di persone con l'accesso alla rete è intorno a un quinto della popolazione mondiale, ma le persone che partecipano attivamente a un progetto sul web sono intorno all'uno per cento. Inoltre all'interno di questa nuova strettissima oligarchia solo pochissime centinaia producono l'ampia maggioranza del contenuto in ogni particolare situazione.
Ciò significa che il fenomeno del blogging, per i più svezzati tecnologicamente ormai superato, per i molti ancora la cosa più innovativa che essi siano stati in grado di fare in rete, per la maggior parte della popolazione mondiale una cosa totalmente sconosciuta, è l'aborto di un'idea luminosa? Che si è sprecata la possibilità di sfrutttare un strumento veramente in grado di abbattere i grandi monopoli dell'informazione?
Non penso. Penso semplicemente che la costruzione di meccanismi di partecipazione possibili non vada letta come un elemento di aggressione delle strutture esistenti, ma come un percorso tutto sommato costituente (di cosa? lo vediamo dopo 🙂 E' assolutamente evidente la natura elitaria della produzione di contenuto in rete, anche laddove si è riusciti ad avere una massiccia partecipazione al processo di produzione dell'informazione (ad esempio il newswire di indymedia), anche quando ci si è presentati in paesini e in paesoni a spiegare come pubblicare le proprie informazioni in un luogo accessibile a tutti.
Non solo. Il meccanismo di costruzione del media di indymedia e di altri progetti sorti dal basso non è stato in nulla diverso dai meccanismi di branding e media-acknowledgement dei media tradizionali: semplicemente potremmo dire che indymedia è stato l'unico fortunato tra i media cosiddetti grassroot ad essere assurto al ruolo di fonte di informazione ufficiale, di media vero e proprio.
La dimensione nichilista del fenomeno blogging (e di centinaia di altri meccanismi di produzione distribuita di informazione) va interpretata in un'altra direzione, quella dell'erosione lenta ma inesorabile di porzioni del colosso dei network di broadcasting che erano state considerati fino a pochi anni fa ineluttabili (la sua dimensione unidirezionale per dirne una, o la sua permeabilità effettiva alla realtà). In questo senso l'espressione di potenza dei blogger et similia è si una espressione di svuotamento, di sottrazione, di distruzione, seppure non nel senso più banale ed ordinario che di solito viene associato alla parola nichilista.
Ma c'è qualcosa di più in questi fenomeni? E se è tutto qui perché stiamo ancora lavorando su strumenti che arricchiscano il panorama dei media grassroot in un modo o nell'altro? Perché esiste una dimensione costituente di questi fenomeni che ne rappresenta il valore più interessante.
Se pensiamo agli strumenti come il newswire di indymedia o come questo sistema di blogging (o come altri) in quanto spazi di definizione di relazioni possibili, di eventualità, e non come momenti di produzione di una verità più vera, di controverità che riescano a competere per solidità con quelle prodotte dal sistema dei media tradizionali, allora scopriamo che tutti questi sistemi non avevano il fine di scimmiottare l'esistente, ma di inventare qualcosa di nuovo, di esprimere potenza in una direzione nuova e fertile, sempre per meritarci il nomignolo di eredi del pensiero del vecchio Friedrich.
Se immaginiamo che tutto ciò che attraversa il nostro schermo in un dato sistema di condivisione e partecipazione del processo di produzione dell'informazione sia in effetti un sitema di coordinate in grado di suggerirci chi ci è più vicino, chi più distante, chi può arricchire i nostri sforzi e chi non è interessante in alcun modo, chi può incrociare la nostra strada e chi invece ne sta percorrendo un'altra, allora scopriamo un senso nuovo in quello che stiamo costruendo, un ritorno alla dimensione originale della parola comunicazione (ie: messa in comune).
E' in questa forma che quello che costruiamo assume ancora di più il senso di distruzione associato alla parola nichilismo, la trasformazione in possibile di qualcosa che era solo eventuale, la costituzione in realtà di qualcosa che non avremmo potuto conoscere. E' in questa prospettiva che non possiamo pensare al newswire di indy o a questo progetto come un semplice collettore, come una bacheca, ma che dobbiamo intepretare questi luoghi (come altri meno virtuali come assemblee di quartiere o tazebao in luoghi ameni o volantinaggi in mercati e piazze) come possibili rappresentazioni di possiblità, da cogliere, da pesare, da vivere.
PS: il pezzo era molto più lungo e articolato di così, ma la tecnologia mi ha tradito facendomi assaggiare la sensazione del vuoto tra un tab e l'altro di firefox. 🙁
PPS: sì, i blog sono la merda della rete, ma per questo possono anche essere il miglior concime di un'interpretazione sociale del media che metta al centro il conflitto e l'essere umano, la sua sottrazione all'esistente e al probabile, per l'ipotetico e il possibile.
Io credo che l’analisi sia interessante e tra l’altro non è cosi’ in antitesi con molti contenuti espressi nell’ultimo anno nelle liste indyane, con tutti i limiti espressi da quello strumento. Non capisco tuttavia come contributi come questo all’interno di un blog, possano contribuire alla costruzione di ciò che tu auspichi. Non corrono il rischio di perdersi nell’autoreferenzialità dell’ strumento blog?
E’ solo una domanda, ma mi pare centrale il fatto che questo procedimento possa essere schizofrenico e quindi non interessante.
ciao
maska 🙂
ciao maska,
se vuoi i contenuti non sono dissimili da quelli che si iniziarono a snocciolare tre anni fa in una terribile assemblea nazionale di indymedia a roma, dove si finì a insultarsi l’un l’altro senza alcuna prospettiva progettuale…
il fatto che alcuni ragionamenti emergano qui e là dimostra solo la loro “attualità”, non che il luogo dove emergono sia il migliore o il peggiore dove trovarvi una soluzione.
il mio blog non è un luogo migliore o peggiore dove farli emergere, come la lista di indy (300-400 iscritti senza uno straccio di idea del termine organizzazione (nel suo senso più puro e non necessariamente leninista :)) non è necessariamente il luogo più o meno efficace.
Innanzitutto potresti anche rilevare come questi contributi non solo non arrivano SOLO su un blog, ma su un luogo in cui ci sono tanti blog; inoltre essi vengono rimbalzati in liste, in altri blog, in altri siti, in google, ecc ecc.
E quindi? E quindi non è il luogo dove compaiono le analisi o i ragionamenti che è rilevante, ma i “link” che i ragionamenti riescono a sviluppare nei luoghi pià diversi che ne costituisce la potenzialità.
Questo come primo appunto… Come secondo appunto, mi viene da dire che non hai capito una fava di quello che ho scritto, dato che è evidente che per me noblogs, piuttosto che indy, sono strumenti per arrivare da qualche parte, ovvero per arrivare a definire spazi politici in cui possano crescere ipotesi di lotta, conflitti, relazioni possibili. Su indy questa cosa è da tempo inesistente (e un problema mai posto con sufficiente determinazione, o in ogni caso un problema a cui non si è voluto ipotizzare soluzioni), su noblogs è ancora molto embrionale, ma sono convinto che se conosci molti degli autistici sai che non tarderà a regalare molte sorprese 🙂
Blicero, sinceramente mi sembra che lo strumento migliore per la co-costruzione (la costruzione del “comune”) sia più il wiki che una rete di blogs – peraltro poco interconnessi – come noblogs. Che poi il *tuo* blog sia parecchio interessante e pieno di stimoli, è un altro discorso. Meglio l’open-editing che l’open-publishing 😉
Non eccepisco sulla tua opinione. Infatti la penso diversamente, e penso che indy e la blogsfera autistica differiscano profondamente per due ordini di motivi:
-la socialità di tipo differente, una legata ad uno uso comune e sociale della “notizia”, l’altra a progetti personalistici, o che comunque non si possono muovere da quell’ambito. I blog sono la fine della comunicazione, che attraverso la sua parcellizzazione, termina di produrre senso sociale e non fa altro che rispecchiare le tendenze legate all’individuo ed alla sua personalizzazione, che si ritrovano ovunque. Blog e progetti come indymedia sono l’espressioen di due modalità differenti di percepire i rapporti con la “comunità”. Non che indymedia in questo eccella, obvious, ma almeno gli intenti son diversi.
– La personalizzazione che nei blog rende tutto insopportabile. Una personalizzazione univoca, decisa da chi scrive e che porta davvero poco lontano. Un po’ come la discussione sulla registrazione dei nick su indymedia e la sua pochezza.
Credo quindi di aver capito molto bene quello di cui tu parli. Piu’ interessante del valore intriseco di ogni progetto, in realtà, mi sembrano le possibilità di integrazione di piani differenti come il blog aggregator di autistici e un progetto come indy…
Caro maska, in teoria hai ragione, nel senso che indy e blog sono due strumenti diversi. Purtroppo però poi siamo costretti a entrare nel merito della effettiva progettualità di indymedia (almeno allo stato attuale).
Tu dici che indymedia nasce con la voglia di una dimensione sociale della notizia, ma io non penso che sia così: indymedia è nato come puro newswire anonimo, una sorta di enorme blog in cui l’identità è relativa, e non vedo come in questo differisca da un blog molto popolare…
E’ ovviamente una provocazione, perché esistono degli elementi che l’hanno resa diversa, ma quegli elementi, che avevano grande potenzialità sono rimasti a uno stadio ben più che embrionale, retti solo dalla verve sociale e politica di chi ha fatto indymedia in una certa fase, dalle relazioni di una rete di persone che aveva visto in quello strumento qualcosa.
La colonna centrale, le mailing list possono essere degli elementi di stemperamento dei personalismi e delle polarizzazioni delle posizioni, ma possono essere anche l’esatto opposto, una lente che ingrandisce solo gli aspetti deteriori del confronto. In che direzione vada una ml dipende esclusivamente dal livello umano e sociale di chi vi partecipa e di chi vi partecipa più attivamente in particolare.
L’idea che la colonna centrale fosse un luogo di sintesi di posizioni diverse, fosse un luogo capace di aizzare il confronto senza negare spazio a nessuno, che le liste fossero un luogo democratico tout-court, è un’illusione che abbiamo (io per primo) coltivato troppo a lungo. Gli strumenti non sono indipendenti da chi li usa (no? 🙂 e da chi li propone, altrimenti ci lanciamo nel più stretto qualunquismo in cui una guerra civile e l’invasione in iraq sono sullo stesso piano…
Per cui sicuramente l’interazione sarà un campo interessante da esplorare, ma non era e non è mia intenzione fomentare una dicotomia noblogs vs indymedia. Sono strumenti potenzialmente molto diversi (nel bene e nel male) e potenzialmente molto simili (nel bene e nel male). Io onestamente nonostante l’amicizia che mi lega alcune persone che continuano a provare a risollevare indy, non nutro grande fiducia nel fatto che emergano proposte interessanti, e soprattutto che emergano proposte interessanti con le gambe e le braccia per essere sostenute. Ovviamente essere smentito è sempre un piacere quando questo vuol dire uno strumento in più per lottare.
a presto.
la definizione dei blog come “personal media” suona pessimamente.
Inutile contrapporre ai blog (o quello che stanno diventando) la dimensione esplicitamente comunitaria di indy o dei noblogs, la ragione per cui siamo qui è che la comunicazione torna ad essere asimmetrica e quindi (concordo) forse condivisibile nel suo significato originatio.
NB: Il primo articolo di Sterling segnalato trae in realtà lo spunto da uno di Lovink piuttosto, anzi molto, interessante:
http://www.eurozine.com/articles/2007-01-02-lovink-en.html
Mi piace questa discussione sulla forma testuale del blog perchè un po’ di tempo fa mi ci sono trovata davanti e ho dovuto farci i conti in senso teorico. In quell’occasione mi procurai un libro di lovink,”My first recession”, molto interessante perchè classifica i “BLOG” come un vero e proprio fenomeno storico, e in primo luogo caratterizzato dall’utilizzo di queste forme da parte appunto di organizzazioni con indy, che in qualche modo mantenevano con questa forma testuale un’apertura che doveva garantire il loro utilizzo democratico e orizzontale da parte di tutti. Certo questa non è una definizione che potrebbe calzare per tutta la blogosfera ma, il rapporto interattivo che si instaura nel blog è una nuova frontiera, per quanto inesplorata, e il fatto che non si riesca SEMPRE a creare una comunità internet che sia omogenea non vuol dire che la forma del blog sia in decadenza. Come forma è adatta a un certo tipo di uso, come crtitca al potere costituito, l’apertura della forma del blog è fantastica. Ma se si sta cercando qualcos’altro allora bisognerebbe semplicemente andare a cercare delle altre forme testuali disponibili per trovarlo, non bisognerebbe invece forzare la forma del blog, ridurlo a una funzione diaristica mi sembra estremamente sbagliato, perchè ha delle possibilità interattive, di integrazione dei contenuti, uniche. Certo molto spesso queste caratteristiche sono vissute come limitanti, ma anche in questo caso, allora si farebbe meglio a scrivere un libro, o un sito internet, qualcosa insomma di più unitario, circoscritto, argomentato, e soprattutto “chiuso”.
salumi!
Sinceramente continuo a vedere indy come nodo capace di dare forza ad una rete di somiglianze e preoccupazioni condivise.
Non l’unico nodo, ma un modo. (chiusa parentesi indy)
Tenete sempre presente che viviamo in un tempo nel quale il digital divide è ancora enorme e che non tutti (per fortuna) hanno la voglia, capacità, energia idea di diventare produttori di contenuti.
Questo non potrà mai accadere, quindi guardare a fenomeni come le reti di blog, youtube o altre esperienze di aggregazione/scambio con l’ottica di quelli che devono per forza esprimere un giudizio sulla loro efficacia/qualità spinge verso l’errore.
I blog non sono buoni o cattivi perchè c’è il blog figo o quello stronzo o cretino, i blog diventano socialmente rilevanti perchè sono tanti e saranno sempre di più. Così come aumentano i navigatori con la diffusione dei collegamenti a banda larga. E’ abbastanza chiaro che ad ogni ampliamento dell’accesso alla rete si manifesta un’ondata di newby che mette in rete il proprio essere vergine di cose della rete, ma anche che, come tutti, questi impareranno oppure no con l’esperienza. Non è un fenomeno in qualche maniera gestibile ed è in evoluzione tumultuosa.
Questo non significa che la rete non offre opportunità o che certi fenomeni siano da banalizzare perchè ancora acerbi. Cercare di valutarlo come un fenomeno già maturo è sbagliato….basta ricordarsi quelli che prendevano per il culo la televisione quando era appena nata per rendersi conto che è un atteggiamento almeno imprudente.
Ciao Maz, è bello leggerti, quando mi sono intruffolato in questo tread chissà perchè ti ho pensato. Concorso, ovviamente, che i blog non sono ne buoni ne cattivi ma, aggiungerei, neppure alcuni buoni e altri no. Cioè, ovviamente è anche così, ma in effetti esiste la blogsfera, non i blog. A scanso di retorica mi torna utile anche la “teoria del concime”, abbozzata da nero nel post, anche se un po’ letteraria (“dai diamanti non nasce niente..”) L’articolo di Lovink comunque parla di nichilismo e di spirito dei tempi, e l’accostamento ala fine mi sembra appropriato. Mi sembra anche un antidoto alle aspettative “inutili” ma nel complesso non dannose. Lo sto ancora ruminando. Saluti
Fa.
ps: nel mio commento precedente la disgrafia mi ha fatto scrivere “comunicazione asimmetrica” anzichè “simmetrica”. In ogni caso una banalità di cui mi scuso, che in ogni caso di solito finisce col rimandare a equazioni democraticiste sulla larghezza in uplink e in downlink. Più interessante sarebbe parlare di “comunicazione asincrona”, nel senso di autonoma dall’agenda setting emergente (o, come si sarebbe detto cun avolta, “dominante”).