Alla fine sono solo sei anni
Sei anni: da genova sono passati sei anni, e nessuno sembra più voler ricordare o volersi scandalizzare delle enormità che vengono dette nelle aule di tribunale da pm sempre più compiacenti a una visione del mondo che sembra essere stata pensata da una divisa [ uno – due – tre – quattro ], o della faccia tosta di testimoni falsi come giuda (che forse di secondo nome fa Toccafondi). Mentre a genova si consuma lo stupro della nostra memoria collettiva (v. sotto l'editoriale a firma SupportoLegale uscito su Liberazione e Manifesto mercoledì), a Milano è cominciato il processo di appello per i fatti dell'11 marzo. Da un pezzo sul mio blog e da uno sul blog del mio socio blackswift ha elaborato un intervento su carmilla dedicato alla nouvelle vague culturale da cui stiamo venendo invasi.
In compenso sei anni sono anche il numero di anni che i nuovi lavoratori vedranno come tempo minimo di contratto a termine grazie all'ipocrita e vergognoso patto sul welfare che in tutta fretta dopo un referendum bulgaro (tra l'altro caratterizzato da scarsa partecipazione e dubbi sistemi di votazione) i sindacati confederali si sono affrettati a sostenere e il Governo a trasformare in ddl. Nulla di buono uscirà da questo accordo, che non è nient'altro che un altro passaggio nel quale i precari vengono presi in giro, i problemi della ristrutturazione del mercato del lavoro esasperati, il tutto camuffato da un generico appello al welfare che con il benestare delle persone non ha nulla a che fare. Mi ricorda la situazione in cui mia madre mandò finalmente affanculo i sindacati confederali, dopo l'accordo sulla scala mobile: direi che il salto nella merda è abbastanza analogo, con buona pace di democratici e "innovatori" di sinistra alla ichino. Se dobbiamo essere governati da ragionamenti di destra, ridatemi quella vera, almeno lo scontro è senza maschere.
Sembrano due cose distanti, ma il problema è che non lo sono per niente. L'offensiva culturale e politica che subiamo è la stessa, è bipartisan, e gli unici a non farne parte sono quelli nella nostra stessa situazione di merda. O forse anche loro sono parte di quella platea silente, ipocrita e compiacente, che non si smuove mai, a meno che non si tocchino quelle poche schifosissime cose da cui è coinvolta direttamente. Troppo facile così. Troppo facile lo scandalo a tempi alterni.
PS: ah, dimenticavo quasi, hanno dato il Nobel per la pace ad Al Gore e il Nobel per la letteratura a Doris Lessing. QUalcuno ha ancora dei dubbi sulla regressione cerebrale planetaria?
Un attacco alla memoria collettiva, fatevi sentire
Supporto legale *
«La storia siamo noi» non è uno slogan. E'
un approccio preciso: da un lato la storia sociale, dall'altro la
storia del potere. Chi lo ha cantato in questi anni lo ha fatto con
l'istinto di chi sa di aver vissuto un pezzo importante della storia,
ufficiosa o ufficiale che sia. E lo ha fatto pensando a Genova 2001.
Con ogni mezzo necessario. Ma dal giorno in cui è iniziata la
requisitoria dei pm Andrea Canciani e Anna Canepa (Md), la storia la
scrive qualcun altro. E pare che le 300mila persone che hanno cantato
quella canzone sei anni fa non si accorgano di nulla. In questi giorni
la verve accusatoria attacca frontalmente la nostra memoria collettiva.
I pm non si sono risparmiati: hanno biasimato le violenze delle forze
dell'ordine, la gestione dell'ordine pubblico paragonato a una guerra
tra bande, la partigianeria di testimoni inqualificabili come
rappresentanti dello Stato. Hanno però voluto porre un limite alle
accuse e a un processo che si deve occupare solo delle devastazioni dei
manifestanti; tutto il resto non può essere usato davanti alla Corte.
Allora
non si può parlare delle spranghe di ferro usate dai carabinieri nella
carica di via Tolemaide, perché non hanno avuto alcun effetto diretto
sulle devastazioni dei manifestanti; non si può parlare di via
Alimonda, un fatto tragico ma già archiviato; non si può dubitare che
le centinaia di lacrimogeni sparati sul lungomare non abbiano mai
raggiunto il corteo, ma solo la piazza antistante lo schieramento di
polizia; non si può non notare che in via Tolemaide ci siano stati solo
100 secondi di corpo a corpo e che, quindi, le cariche non siano state
così violente; non si può non notare che, in fondo, il blindato abbia
caricato ad alta velocità i manifestanti solo due o tre volte. Quindi,
poco da lamentarsi.
In pratica, la rabbia di tutti noi in quei
giorni per le sopraffazioni vigliacche che aggredivano chi non poteva
difendersi, che esprimevano il monopolio più vecchio del mondo, quello
dell'uso della forza pubblica, dobbiamo dimenticarla, perché conta
poco, mentre si giustificano le forze dell'ordine e chi le comandava.
Allora la carica di via Tolemaide si comprende bene. Cos'altro avrebbe
dovuto fare la polizia? Allora quella di Placanica è legittima difesa,
mentre quella di tutti coloro che si sono ribellati al G8 no. Forse
anche i pm avrebbero dovuto essere in strada per capire cosa è stata
Genova. «Non si può parlare della Diaz», affermano. Contemporaneamente
offrono agli avvocati degli alti gradi della polizia un assist, sotto
forma di affermazioni non provate e dossier già noti, che non cambiano
nulla, ma che risultano ampiamente suggestivi per i media. Condannano
l'operato della polizia nella scuola, ma si dimenticano di ricordare
che fu proprio la dott.ssa Canepa a essere «interpellata» quella notte
dai dirigenti poi imputati per il massacro. Ai pm «non piacciono i
cattivi maestri», ma forse dai loro «buoni maestri» dovrebbero
apprendere anche che non si può pensare di giocare al gioco della
politica senza sporcarsi le mani. 300mila persone – bianche, pink,
black, disobbedienti, migranti, pacifisti, autonomi – lo hanno fatto
sei anni fa, senza paura. Se la storia siamo noi, se la memoria non è
un souvenir da quattro soldi ma un prezioso ingranaggio collettivo,
queste stesse persone dovrebbero correre a Genova e far sentire la
propria voce in un processo che si è abituato a risolversi come una
cosa «per i soli addetti ai lavori». «Addetti ai lavori» come i 25
imputati-capri espiatori sui quali si vorrebbero scaricare tutte le
responsabilità di quello che fu Genova, la cui condanna sarebbe
utilissima per chiudere i conti che tutti sono ansiosi da sempre di
chiudere, o rimuovere. La storia non è una questione per addetti ai
lavori di un'aula di tribunale. La storia siamo noi.
* Supporto Legale è una rete che segue i processi di Genova, Cosenza, Napoli e Milano.