Punti di vista

28 Novembre 2007

Alle volte mi stupisco di quanto sia facile rappresentare la distanza siderale tra i punti di vista di persone che in teoria dovrebbero fare parte del medesimo contesto culturale o sociale. Uno dà per scontate mille cose, e poi ci si trova a fare i conti senza neanche capire bene perché. E’ un fenomeno spaesante, ma allo stesso tempo continuo e necessario.

Così mentre mi ritrovo un giorno a dormire come un sasso per la stanchezza di un corteo da 80.000 persone in cui poteva succedere di tutto e in cui è successo solo quello che abbiamo lavorato perché accadesse, a genova, dove le persone non tornavano per fare un corteo da 6 anni. E il giorno dopo non dormo per la rabbia: perché mi tocca sentire l’avvocato difensore di una persona per l’assoluzione della quale ho lavorato in questi anni che cerca di salvare il culo del proprio assistito buttando merda su un pezzo volenti o nolenti importante di ciò che è stato Genova, venendo meno a quel minimi microbico patto di solidarietà che facilmente spiega che a Genova o si salvano tutti o non si salva nessuno, perché è anche giusto che sia così. Rabbia nel constatare il poco peso di parole importanti come solidarietà e rispetto. Già perché è troppo facile lasciare altri a farsi il culo per anni in un aula di tribunale e arrivare all’ultimo momenot e buttare tutto all’aria. 

Poi capita di aprire il blog del collettivo a cui partecipi e ritrovare nelle parole di un tuo compagno qualcosa al tempo stesso di semplice e di inespugnabile, la convinzione che non è tutto uguale e che ci sono delle distinzioni da fare tra quello che ha un senso e quello che non lo ha. E che non si è poi così soli a trovarsi sempre dalla parte del torto, che per chi non lo avesse capito è quella giusta.

 

Vetro a rendere

Pubblicato il 24.11.2007 in Cronache_Terrestri da R* ||

 

E’ passata una settimana e mi piace l’idea di scrivere adesso
qualcosa sul corteo di sabato e su Genova. Ora che il rumore
giornalistico, ha lasciato il posto al solito silenzio dei tribunali.
Perche’ il g8 del 2001 in questi anni e’ stato piu’ che altro un lungo
silenzio, interrotto ogni tanto da qualche lancio giornalistico.
Il corteo di sabato e’ stato senza dubbio molto partecipato, complice
il rifiuto della commissione parlamentare, molte persone si sono mosse
per venire a genova.Da un punto di vista emotivo, faceva un certo
effetto girovagare per genova a dire “ti ricordi qui e ti ricordi la””,
e i ricordi facevano tutti quanti schifo. Il freddo era tagliente
questa volta, ma gli animi non erano gelati.Ci sono state altre
iniziative in questi anni, tanti libri e tanti video, ma quella
protesta sembra ancora sospesa in uno spazio che fluttua. Io ricordo
quel g8 essenzialmente come qualcosa di faticoso, di triste, e di
emotivamente forte. Avevo vinto un erasmus a tenerife, mi ero anche
licenziato dal lavoro, sarei dovuto partire a settembre,ma tornato da
genova ho fatto la rinuncia, perche’ ne avevo viste troppe, per pensare
di partirmene. Ho anche ritrovato lavoro. E cosi’ non ho mai imparato
lo spagnolo e neanche fatto l’orgasmus. C’e’ a chi e’ andata peggio.

Quel g8 fu anche la prima volta in cui realizzai con una certa
chiarezza, che il nostro buffo mondo, non e’ assolutamente in grado di
relazionarsi con la violenza se non con atteggiamenti psicotici.
Qualche millenio di storia umana ha evidentemente lasciato nel nostro
inconscio collettivo un’ombra, che non siamo in grado di affrontare in
nessuna maniera.
E’ strano dirlo parlando di genova 2001, ma noi non viviamo in una
societa’ che propone scenari esclusivamente repressivi. Sarebbe troppo
facile. Il nostro mondo e’ peggio di cosi’. La maggior parte delle
persone che conoscevo andavano al g8 con la morte nel cuore, dopo aver
visto napoli, gli spari a Goteborg, si andava mossi da qualche strana
velleita’ di giustizia sociale, credo, o forse solo perche’ ci andava
il tuo amico/a e mica lo potevi lasciare da solo in mezzo a quel
troiaio. Dopo 2 fitti mesi di terrorismo giornalistico e mediatico,
nessuno si aspettava una passeggiata. Quello a cui non ero pero’
preparato era la reazione alla violenza della nostra mente collettiva.
Non nostra nel senso di manifestanti, ma intesa in senso generale. La
violenza genera un corto circuito emotivo di fronte al quale la realta’
si cristallizza e poi esplode in mille schegge, impossibili da
rinsaldare. Dove ogni ragionamento puo’ assumere risvolti
insospettabili.Si puo’ partire da un punto a caso e arrivare ad un
morto, con estrema naturalezza. Tutto inizia a fluttuare. Una vetrina
per me e’ un luogo posto dietro un vetro nel quale solitamente si
espongono le merci perche’ il cliente le possa vedere. Io non riesco a
piangere per una vetrina. Posso immaginarmi che il possessore di una
vetrina si arrabbi se qualcuno gliela rompe. Posso capire che ad un
panettiere dispiaccia che la sua vetrina venga rotta in una protesta
contro il g8 e che lui si chieda, “ok ragazzi, ma io che ho fatto ?”.
Mi riesce molto piu’ difficile calarmi nella parte dell’impiegato di
banca che piange la vetrina fume’ della sua filiale. Non credo che
nessun impiegato di banca abbia un motivo razionale per piangere la
propria vetrina, che poi non e’ sua, ma della Banca. Con la B
maiuscola, cioe’ di un istituto di credito, che sotto garanzie, presta
capitali avuti in deposito da altri. I soldi girano e con loro il mondo
tutto. Potrebbe forse piangerla il dirigente della filiale ? Sono
assicurati, e dopo una settimana ne avra’ una nuova, al prezzo di una
telefonata. E poi lui era in giro in costa azzurra con la porche, che
gli frega della vetrina ? Sicuramente dalla vetrina non esce sangue, o
se esce e’ il tuo, che ti sei tagliato rompendola, e allora sei un po’
fava. La vetrina quando si rompe fa rumore, forse e’ questo che da
molto fastidio, la scintilla che innesca nel cervello un senso di
malessere, come quando il gessetto stride sulla lavagna. Sicuramente e’
un modo per catturare l’attenzione. Un po’ sporchera’ anche in terra,
certo, anche questo da sicuramente parecchio fastidio, che uno poi non
puo’ camminare con i sandali e d’estate fa caldo per le scarpe da
ginnastica.
Da allora non ho piu’ parlato con nessuno di questa mia indifferenza
per le sorti delle vetrine. Da dopo genova non si puo’ piu’ prescindere
dalle vetrine, sopratutto nelle aule dei tribunali. Perche’ il nostro
mondo e’ tutto li’ dietro, luccicante e in vendita. Non ha molto altro
da offrire, poveretto, sta li’, cercando di sorridere, un po’ impaurito
e preoccupato. E’ difficile vendersi bene con tutti questi pezzenti in
giro. Fa freddo in vetrina, si e’ tanto soli, che ne sanno lor signori
di cosa vuol dire stare li’ fermo dietro un vetro sottilissimo e
fragile ? E’ pieno di spifferi, qui. Speriamo che un poliziotto spari,
il suo proiettile venga deviato da una pietra, e, trafitto per “tragico
errore” qualche lanzichenecco, colpisca in pieno centro questa fragile
vetrina, cosi’ la cambiano con una antiproiettile in policarbonato e
stiamo tutti piu’ al caldo.

  1. bastoni
    29 Novembre 2007 a 1:18 | #1

    cosa ti potevi aspettare da un avvocato, che perdipiù ha il cognome come quello di un centrale difensivo del milan.
    Mettiamoci una pietra sopra….in senso metaforico sia chiaro.

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