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Milano A. Brandelli

9 Febbraio 2008

 

Qualche mese fa ho partecipato insieme al mio socio, biondillo, e un po’ di altri autori milanesi a una serata in quel di xxy, a niguarda, a parlare dei libri che abbiamo scritto, di Milano, delle sue trasformazioni, della necessità di un risveglio culturale e "morale" in senso civico e settecentesco della città. Tra gli autori presenti c’era anche il giovane Andrea Ferrari, con il suo libro Milano A. Brandelli. Io l’ho preso, per curiosità e per cortesia nei confronti di un neoautore alle prime armi esattamente come me, ma poi colpevolmente l’ho lasciato nel mio ripiano dei "libri ancora da leggere", dove è stato seppellito da altre letture. In questo momento di rintanamento post-odontoiatrico ho avuto il tempo e il piacere di leggere il suo libro, ma purtroppo non ho nessuno contatto con lui, quindi il commento che mi accingo a fare, spero gli sia girato da qualche comune conoscenza, invitandolo da subito a prendere con le pinze quello che scrivo, dato che non ho né il titolo, né la competenza per fare il vecchio trombone. E’ da intendere come un commento schietto, di chi comunque si è gustato il libro.

Andrea Ferrari è un ragazzo più o meno della mia età, forse qualche anno in meno, che gira negli stessi luoghi e nello stesso contesto culturale e sociale in cui bazzico io, con la notevole  differenza che è milanista e che lavora in un centro per anziani, e durante i tempi morti scrive. Il protagonista del libro, una sorta di ibrido tra il giallo psicologico e il noir metropolitano, è il suo alter ego, che però di mestiere fa l’investigatore privato da strapazzo e per hobby lo scrittore di un libro che ha per protagonista tale Andrea Ferrari. Carino il gioco ironico di rimandi, parte del viaggetto psichiatrico che penso sia stato uno degli stimoli principali a scrivere il libro, insieme alla voglia di raccontare le sensazioni legate al vivere a Milano.

Onestamente si fa un po’ fatica a entrare in sintonia con il libro e il personaggio, a volte un po’ troppo tratteggiato, nonostante gli ampi monologhi interiori del protagonista. Ci si gusta le atmosfere e i personaggi secondari, ma ho avuto la sensazione che il linguaggio fosse a volte forzatamente scurrile per darsi un che di giovanile, e a volte gergale ai limiti della comprensione. Molte cose non le capivo manco io, probabilmente in quanto modi di dire non tanto di una fascia generazionale, ma di una determinata compagnia, linguaggio in codice esoterico per definizione e che di norma fa parte degli stili di un certo gruppo di persone e del livello di accettazione in tale gruppo. Superato però il primo terzo del libro ci si affeziona al personaggio e al suo socio il Pisa, anch’egli divertente ma vero e proprio side-kick del protagonista. A quel punto si vuole vedere la fine della storia, che in sé è assolutamente e volutamente ordinaria: non ci sono trame shockanti o colpi di scena, e tutto finisce nel più regolare e logico dei modi, perché l’attenzione del lettore si deve fissare, almeno io l’ho interpretata così sul modo di vita e sui valori del protagonista e sulla sua interazione con gli altri e con la città, in un piccolo viaggio all’interno del mondo dell’autore e in una vista della metropoli spesso dimenticata a favore delle sue versioni cronachistico-giornalistiche.

Insomma, il libro si legge piacevolmente, ma come me, penso che anche Andrea sappia che di strada da fare sulla via del diventare uno scrittore ce n’è. [ripeto, vale pure per noi, ma l’importante in fondo è che lui si diverta come ci divertiamo io e il mio socio, e che chi lo legge passi qualche ora piacevole, no?]

Voto: 6

Categorie:pagine e parole Tag:
  1. Andrea
    10 Febbraio 2008 a 20:43 | #1

    Ciao Blicero, grazie per la review e per i preziosi consigli, ai quali mi sento di rispondere così:
    Hai compreso perfettamente il ruolo marginale della trama, anche se il taglio pseudopsicologico, mi è capitato per le mani quasi per caso. Cercavo di fissare il fuoco sul demone del lavoro inteso come spersonalizzazione dell’individuo in favore dell’estremo profitto.
    Il gergo, non è stato assolutamente voluto o studiato, anzi, ho dovuto limare un casino di aspetti troppo scurrili e il fatto che il mio linguaggio abbia tratti troppo locali è un problema al quale ho cercato di ovviare nel corso delle cose che ho scritto dopo e che sto scrivendo adesso.
    Per il resto hai perfettamente ragione, la strada per diventare scrittore è assai ripida, ma io ho voglia di sudare.
    Grazie e a presto.
    A.

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