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Anche quest’anno Mayday Mayday

29 Aprile 2008

 

Un breve incipit per appoggiare parola per parola il post sfogo del mio socio, consapevole che bisognerebbe avere il tempo di capire che cazzo fare e il pelo sullo stomaco di non guardare in faccia a nessuno e come qualcuno metteva nei commenti al mio post dopo-elezioni prendere il potere contro le masse per le masse. Noi questo pelo non ce lo abbiamo, e la cosa è dimostrata da chi "rappresenta" la sinistra in questo scorcio di nuovo millennio: se avessimo voglia ce li saremmo mangiati tutti sto branco di imbecilli. Cmq, adesso si avvicina la concretizzazione dei cazzi acidi che tutti hanno paventato per diverso tempo, e spero che gli italiani se li puppino fino in fondo.

Al di là di questo dettaglio anche quest’anno si avvicina il primo maggio e con esso la mayday parade, giunta alla sua ottava edizione: chi la vede come una cartina al tornasole della risposta dei movimenti alle elezioni sbaglia, perché va intesa come saggio delle basi su cui costruire qualcosa. Non sono per nulla certo che siano basi buone, né tantomeno ampie, ma è il poco che ci rimane. D’altronde forse bisognava toccare il fondo per iniziare a guardare in cielo e scorgere la luna, anche se il mio utopismo è morto e sepolto da tempo, e penso che si tratterrà di scavare ancora un po’ nella merda prima di trovare qualcosa che valga la pena di gettare il cuore oltre l’ostacolo. In ogni caso il primo maggio e il venticinque aprile sono ancora tra le poche cose che mi smuovono qualcosa in fondo allo stomaco, per cui penso che tutti dovrebbero correre in piazza se non altro per guardarsi un po’ in faccia e complottare l’impossibile e l’improbabile. I say I say, Mayday Parade!

EuroMayDay008: il primo maggio precario che travolge i confini del futuro!

Ci rivolgiamo a tutti e a tutte; uomini e donne, precari e precarie,
native e migranti, lavoratrici e lavoratori dei call center, degli
aeroporti, dello spettacolo e della moda, dell’informazione e della
formazione, delle ricerca, delle cooperative sociali, della
distribuzione. Ci rivolgiamo agli operai e alle operaie, delle
fabbriche e dei servizi, agli studenti, alle associazioni, ai centri
sociali, alle mille forme di resistenza e di autorganizzazione che
ri-generano i territori e le metropoli martoriati dal vampirismo
neoliberista.

La precarietà picchia duro, nel lavoro e nella vita. Non è “sfiga”. Non
è cosa passeggera. Non è un problema sociale tra gli altri ne’ un
titolo di un giornale. Non è semplicemente la perversa proliferazione
di contratti atipici ne’ un dazio che le giovani generazioni sono
costrette a pagare per entrare nel mercato del lavoro.

È il modo contemporaneo di produrre la ricchezza, di sfruttare il
lavoro, di asservire ogni stilla della nostra vita al profitto delle
imprese. La precarizzazione è la crisi della rappresentanza politica e
sindacale del lavoro e nel sociale, e segna un punto sulla linea del
tempo rispetto al quale non si può tornare indietro. È il punto da cui
è necessario ripensare e sperimentare nuove forme e strategie di lotta;
contro lo sfruttamento, le gerarchie e le povertà.

Una lotta che parli chiaro e a voce alta, perché ricca di tutto ciò
che la precarizzazione nega e riduce al silenzio. Negli ultimi anni,
l’EuroMayDay ha costruito, in Italia e in Europa, uno spazio politico e
sociale, condiviso, in cui la presa di parola e il protagonismo dei
precari e delle precarie, senza mediazioni e mediatori, ha sperimentato
forme inedite di visibilità, comunicazione e conflitto.

Ma la Mayday è un processo sociale che si evolve di anno in anno,
per tutto l’anno, e questa edizione, a Milano, rilancia a partire dal
protagonismo dei migranti. Il lavoro migrante rivela i segreti della
precarizzazione. Il controllo dei confini produce gerarchie spesso
razziste tra regolari e irregolari, tra buoni e cattivi, criminalizzati
dalle retoriche della guerra e della sicurezza che servono solo a non
parlare di coloro che di lavoro muoiono, senza nessuna sicurezza.

La specificità dei migranti è vivere una doppia precarietà. Dentro e
fuori i luoghi di lavoro il legame tra permesso di soggiorno e
contratto di lavoro li ricatta, i Cpt e le espulsioni li minacciano
costantemente. La loro condizione riguarda però tutto il lavoro, è una
leva fondamentale della precarizzazione perché alimenta la
frammentazione, perché riduce gli spazi di libertà e le possibilità di
lotta. Ma in questi anni il protagonismo dei migranti ha prodotto
esperienze significative di lotta autonoma in nome della libertà di
movimento.

Il primo maggio, a Milano, vogliamo condividere questa forza,
amplificarla, congiungerla con quella degli altri precari. Condividere
esperienze che sono transnazionali, e che danno il segno di una May Day
che attraversa l’Europa da Aachen/Aquisgrana a Berlino, Copenhagen,
Hanau, Amburgo, Helsinki, Lisbona, Madrid, Malaga, Maribor, Napoli,
Palermo, Terrassa, Vienna… e va oltre, perché passa per la Tokyo MayDay
in Giappone, e si collega alla manifestazione dei migranti negli Stati
Uniti del prossimo primo maggio.

Vogliamo costruire una long/larga/lunga MayDay che sappia porre un
confronto serrato e continuativo, fra tutte le realtà lavorative,
sociali, sindacali che lottano, ogni giorno, in ogni dove, contro la
precarizzazione, sulle tematiche che da sempre hanno caratterizzato
l’idea del primo maggio precario: la continuità di reddito intesa come
un nuovo orizzonte delle politiche rivendicative, del welfare e la
trasformazione del protagonismo precario e migrante in un conflitto
nuovamente diffuso ed incisivo.

La precarizzazione, lo ripetiamo, picchia duro e segna una
discontinuità profonda con il passato. E’ un equilibrio sapiente fra
ricatto e consenso e agisce sul sociale in modo diverso, dividendoci e
confondendoci. Atomizza le nostre vite e saccheggia i territori e le
metropoli in cui viviamo. Milano è fresca di nomina per l’Expo 2015.
Tremiamo pensando alle conseguenze di ciò: l’orgia bipartisan
dell’orgoglio nazionale di speculazioni ed appalti allestirà il
palcoscenico nascosto per lo sfruttamento intensivo di lavoro precario
e migrante in un’oscena colata di cemento.

Non ci sono dubbi, siamo incompatibili con tutto ciò: se questa è
una vetrina che lo sia della nostra capacità di conflitto e di un’idea
di valorizzazione delle nostre vite ben differente Di questo si
discuterà nelle Fiere Precarie che precederanno, attraverseranno e
seguiranno la parade mettendo a confronto esperienze di autoproduzione,
di cooperazione e di condivisioni dei saperi.

Let’s MayDay,

Milano, primo maggio,

Porta ticinese, ore 15.00

Categorie:movimenti tellurici Tag:
  1. mosq
    29 Aprile 2008 a 11:44 | #1

    “prendere il potere contro le masse per le masse” ma che cos’è? una battuta senza senso dell’umorismo?
    “se avessimo voglia ce li saremmo mangiati tutti sto branco di imbecilli. Cmq, adesso si avvicina la concretizzazione dei cazzi acidi che tutti hanno paventato per diverso tempo, e spero che gli italiani se li puppino fino in fondo”, tempi verbali a parte capisco lo sfogo, che ti dipinge ancora come autentico e limpido incazzato. Giustamente, forse. Sta di fatto che gli imbecilli cui fai riferimento sono notoriamente difficili da digerire, sarà per questo che in realtà non ce li siamo mai mangiati? no dico a parte lo schifo dell’immagine… se insistiamo con questa metafora finisce che le mie papille scendono in piazza e loro si che fanno un vero casino. tornando a noi, il fatto che qualcuno abbia paventato i cazzi acidi non mi fa diventare sadico, non spero che “gli italiani se li puppino fino in fondo”, non mi farebbe sentire meglio, tantomeno ritengo che sprofondando nella merda un giorno qualcuno possa levare gli occhi al cielo e vedere la luna, e per questo mettere in moto un cambiamento.
    Ho rubato anche troppo spazio, scusate.
    cmq
    ci vediamo alla mayday!

    m.

  2. nero
    29 Aprile 2008 a 11:56 | #2

    usa le pinze mosquito. ovviamente il riferimento a prendere il potere contro le masse e’ a una famosa teoria paternalista comunista 🙂 mentre il resto e’ puro sfogo e come tale va preso. se non posso farlo su un cazzo di blog dove devo farlo. tanto persi per persi…. 🙂

  3. m
    29 Aprile 2008 a 12:25 | #3

    certo il blog è tuo. lo sfogo poi mi pare quantomeno plausibile…
    ma non ho potuto fare a meno di commentare certe cose. non è colpa mia se i tuoi sfoghi “danno da pensare” 🙂
    però non voglio rubare altro spazio alla mayday. che è l’argomento degnissimo del post! In fondo una pratica cospirativa passa anche dal polemizzare rispettosamente tra compari. 😀
    caio
    m.

  4. *
    29 Aprile 2008 a 12:54 | #4

    “se avessimo voglia ce li saremmo mangiati tutti sto branco di imbecilli”
    sei sicuro?
    mi sembra molto una frase consolatoria

  5. nero
    29 Aprile 2008 a 13:21 | #5

    il branco di imbecilli è la sinistra, e io sono convinto che con un po’ di pelo sullo stomaco avremmo potuto prendere il loro posto (volendolo, eh!), dato che dalle nostre parti c’è più qualità rispetto a quella che hanno offerto negli ultimi trent’anni.
    Forse non si capiva a chi mi riferivo, ma io penso che parecchia gente di maggiore qualità di bertinotti e compagnia ci sia in giro. Il punto è voler il posto dove sono o meno.

    Personalmente mi pare che il problema dell’egemonia culturale ce lo si sia posto da tempo – che non equivale a trovare una soluzione. Nella sinistra istituzionale di ricominciare non c’è nessuna intenzione e lo si vedrà presto (come si è già visto nelle ultime elezioni). Nella sinistra extra e movimentista c’è voglia di riciclare soluzioni per conquistarsi un posto al sole che si è liberato (in alcuni casi), e molta disillusione (in altri casi).

    Personalmente io penso che bisogna ricominciare non solo a costruire egemonia culturale, ma a parlare con le persone e soprattutto a ragionare su un modello societario egualitario nuovo. In assenza di questo non convinceremo un cazzo di nessuno.

    imho.

  6. Patagonia Express
    17 Maggio 2008 a 19:48 | #6

    Premetto che non ho letto tutto l’articolo ma rispondo solo alla parte iniziale.
    Non so se avete visto dopo le elezioni come si sono scannati a vicenda i “capi” dei partiti comunisti.

    Si sono lanciati accuse che nulla avevano da invidiare agli affondi delle spade romane.
    Nessuno ha però parlato prima di rimanere assieme invece di parlarne dopo…Sicuri i voti fossero un loro diritto.

    Le unioni e i pianti collettivi post voto sono aria fritta, tanto si ripeterà tutto alle prossime elezioni, altro che uniti…

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