Venezia a Milano, tre e quattro: il dubbio
Vedere il nuovo montaggio di un film girato nel 1963 che dice già molto, se non quasi tutto, contribuisce a coltivare la sensazione che i tempi in cui viviamo siano cupi e stupidi, più che oscuri. La Rabbia in questa versione epurata dello sciocco bipartizanismo pseudogiornalistico e cerchiobottista della sua costretta versione originale (in cui al lavoro di Pier Paolo Pasolini si affiancò quello del modestissimo destroide Guareschi) è un bellissimo lavoro di restauro politico. I miei complimenti vanno ovviamente all’amico Fabio Bianchini che ha curato il montaggio della "nuova" prima parte del film, scritta a partire dalle bozze di PPP, e al regista Giuseppe Bertolucci, che al contrario di Fabio forse non se ne farà nulla della mia opinione. La definizione esatta per questo film è: profetico. E la porzione finale "Aria del Tempo" è difficile dire se si riferisca agli anni 60 in cui PPP viveva, o alla sua lucida visione di un futuro in cui viviamo noi. Voto: 8.
Il dubbio è confermato dal secondo film della giornata (a dire il vero mi sono arreso a metà), Below Sea Level di Gianfranco Rosi, un documentario abbastanza scarso in termini di qualità, che non dice nulla, non racconta niente di che, e soprattutto lo fa in maniera del tutto non-interessante. La parte migliore è la barzelletta raccontata da uno dei poveracci intervistati e qualche gag. Ci vuol di più per essere profondi. Voto: 5.
In un giorno diverso sono andato a vedere il rinfrescante film dei Coen, Burn Before Reading: evidentemente non è poi così difficile fare un film piacevole, sagace, ironico e divertente. Saranno anche aiutati da fama, soldi e un cast eccezionale, ma non saranno certo senza meriti. In Italia dubito che personaggi come loro troverebbero spazio. Voto: 7,5.
A seguire un film a cui darò un voto strano, Une Nuit de Chien, dato che è difficile giudicareil surrealismo kafkiano inserito in una specie di piece teatrale scarsa su pellicola. Voto: N/A. Avrei poi dovuto vedere La Fabbrica dei Tedeschi, di Mimmo Calopresti, sulla tragedia della Thyssen-Krupp: la verità è che non me la sento, il solo pensiero di rivivere quella vicenda mi arrotola lo stomaco come non mi accadeva dal tempo in cui portavo in giro il film sul massacro a Puente Pueyrredon e sull’omicidio di Dario in Argentina. Non saprei come spiegarlo meglio, ma anche nel mio infinito cinismo, quella della Thyssen è una storia che mi gela il sangue nelle vene e che scuote il mio cervello come una granata, e guardandomi allo specchio sento di non voler essere invaso dalle sensazioni che essa mi scatena.
…non disperare caro nero:
con una media di quattro morti sul lavoro al giorno è già storia che le vicende della Thyssen non rimarrano (non sono state non sono) un caso isolato.
E’ già una moda quella di tapparsi le orecchie e gli occhi.