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Onda su onda

2 Novembre 2008

 

Ho aspettato qualche giorno prima di profferire parola. Quello che sta avvenendo nelle scuole e nelle strade italiane è interessante, ma dal mio punto di vista, un po’ tangente – nonostante la mia attuale professione di docente delle secondarie inferiori – è anche un ottima occasione di fare un po’ di riflessioni circa lo stato della soggettività nel Bel Paese (e non solo) sul finire del primo decennio targato due mila. Sembrano anni luce dal 2001, ma non lo sono. E questo è importante.

Il corteo di due giorni fa proprio in coincidenza del momento che sanciva la prima sconfitta del movimento – l’approvazione scontata ancorché autoritaria del decreto Gelmini – è stato il più grande momento di mobilitazione dal corteo del 25 aprile del 1994 (quanta cazzo di acqua ho preso!). Questo fatto non può passare inosservato, come non può passare inosservata la natura sostanzialmente movimentista di quello che sta accadendo: la presenza di partiti, sindacati e altri soggetti istituzionali è minima e in ogni caso osteggiata come indesiderata ingerenza.Io ho osservato il corteo piazzando sull’angolo di via Dell’Orso, rimanendo fermo sotto l’acqua la grandine e il sole (alla fine) tra le 9.45 e le 12.00. Non ho visto l’inizio della manifestazione, né la coda che però stava sopraggiungendo proprio mentre mi spostavo. Ho visto passare di tutto, ragazzini, invasati, politicanti, docenti, mamme, lavoratori, gente arrabbiata, gente esaltata, gente entusiasta, gente convinta di quello che diceva e gente convinta che non serviva a un cazzo ma che erano lì lo stesso. Non è una cosa nuova, ne ho viste altre di manifestazioni così, ma devo dire che difficilmente mi aspettavo una mobilitazione tanto forte di questi tempi. Per questo sostengo quanto sta avvenendo, sentendomi un po’ fuori dal giro, ma sono diffidente rispetto alla consistenza e alla prospettiva di quanto sta avvenendo. Per questo penso che abbia senso parlarne un attimo.

Il punto è che questo movimento si innesta in uno dei momenti più bui che io mi ricordi (anche dai libri se non dall’esperienza diretta) della storia culturale e sociale italiana dalla Seconda Guerra Mondiali in poi. Il momento è buio perché privo di protagonismo e di volontà. Il momento è buio perché privo di desiderio di affermazione di parzialità. E questo è un problema serio. Ovvero tutti insistono con il refrain che vorrebbe convincere ogni persona sulla faccia della terra che libertà significa equidistanza, che ogni cosa che si dice o si fa vale quanto un’altra, e che quindi il campo dell’opinabile è un campo infinito in cui il conflitto non può coesistere con la libertà. Questa è una affermazione pseudo-voltairiana che costituisce il cardine del qualunquismo ovviamente e che si scontra con la realtà della vita di tutti i giorni. Perché la vita di tutti i giorni è uno scontro di interpretazioni, una serie di scelte interminabile circa ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per noi, del valore relativo e assoluto di una nostra o di una altrui opinione. Ma la retorica dell’equidistanza è fondamentale per sopire il dissenso e il protagonismo che sono i veri nemici di ogni autoritarismo: se ogni opinione è ugualmente valida, allora non si può pretendere di contrastarla in nessun modo. Guarda caso l’eccezione sono proprio quelle opinioni che non sono d’accordo con questa professione di ipocrita imparzialità. Per questo combattere questa retorica è il primo passo per uscire dall’impasse in cui siamo: non basta come dice una mia amica "sottrarre il campo semantico all’avversario", è necessario invaderlo e combatterlo attivamente. 

Cosa ha questo  a che fare con la cosiddetta Onda? Ha a che fare di brutto, dato che questo movimento è costituito in gran parte di persone che sono vittima di un solo maestro, la retorica dell’equidistanza, proprio perché altri cattivi e buoni maestri non sono stati in grado di trasmettere alcunché a questa generazione che si affaccia ora (o quasi) sul teatro della politica e dell’azione. Allora è cruciale riuscire a scoprire se i protagonisti di questo movimento saranno in grado di trovare una chiave di volta che porti allo scoperto la drammatica contraddizione di questa ideologia afasica. Fino ad ora con mio sommo terrore ho ascoltato i microfoni aperti e gli interventi in televisione, le parole nelle strade e durante i cortei, il disperato desiderio non solo di essere considerati diversi da quanto è già stato inventato e visto – e fin qui tutto bene – ma anche di essere considerati buoni, tolleranti, in una parola – abusata e vilipesa – democratici. Sono terrorizzato perché perpetrare questo termine come connotazione di moderazione e di equidistanza è un insulto a chi ha letto un po’ di storia e combattuto perché le persone avessero più potere di decidere il proprio destino e la propria vita – un significato vagamente più alto di democrazia, no?

Il punto è cruciale, a mio parere, perché se questo movimento non acquisirà consapevolezza della necessità di una parzialità (quale che sia) non avrà mai gli strumenti per superare la dimensione di un folcloristico intermezzo giovanile. Io credo e spero che ogni movimento sia più che una boutade esistenziale, ma perché lo sia è necessario che capisca che non tutto è uguale, e che quindi si ponga il problema di quali valori e di quale battaglie è partigiano. Siamo tutti sempre partigiani, ma spesso fa molto comodo pensare di non esserlo e pavidamente sottrarsi alla necessità di determinare il proprio presente, il proprio futuro e anche il proprio passato. Finora le risposte che ho avuto da quello che vedo intorno non sono incoraggianti, ma è presto per fare i disfattisti, e l’unica cosa che possono fare persone che appartengono a generazioni che possono solo accompagnare questa protesta e non esserne i protagonisti è sostenere e interagire con chi porta avanti la baracca senza paternalismi né altri ismi. 

La vera chiave di volta di questi movimenti sarà la durata nel tempo: la mia sensazione è che molti hanno capito che non stanno mobilitandosi contro la legge Gelmini ma contro molto di più, contro un modello di società e di vita che stritolerà ben presto molti a favore di pochi. Ora bisogna capire se questo si tradurrà in una tenuta temporale che vada al di là delle sconfitte momentanee. La verifica dei fatti è dietro l’angolo e spero tanto che il mio pessimismo venga smentito una volta tanto. 

à la prochaine.

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