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Archivio per la categoria ‘movimenti tellurici’

Intelligenze Precarie: Next Level

25 Gennaio 2008 Commenti chiusi

Domenica 27 gennaio, finalmente, dopo mesi di girovaghismo, le intelligenze precarie inaugurano un luogo vecchio ma con nuova linfa, nella speranza di rilanciare un po’ l’iniziativa che latita in giro per la città di Milano e non solo. Sotto la newsletter e il volantino dell’iniziativa: 

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Intelligence Precaria –  Newsletter #16
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Appuntamenti & Iniziative –
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domenica 27 gennaio 2008
||||||||| Punto San Precario – Next Level
dalle 17.00 in poi, in viale monza 255 – Milano

Si parlerà di come costruire uno spazio che possa diventare punto di
riferimento, espressione libera e varace dei sentimenti e degli
intendimenti  dei precari e delle precarie, native o migranti.
Potenzialmente un luogo di agitazione e di produzione culturale, di
organizzazione e di conflitto. In sintesi lo spazio della Cospirazione
Precaria.

Programma
ore 17.00 – Sessioni di "lavoro" collettivo
ore 19.00 – Mary Popper cortometraggio autoprodotto

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Allibismo

25 Gennaio 2008 2 commenti

 

Non è che uno non vorrebbe scrivere anche di altro, oltre che delle partite dell’Inter, ma se oltre alla carenza di tempo cronica, uno ci aggiunge anche lo stato d’animo che suscitano le sorti del paese in cui vivi, diventa veramente una lotta impari. L’unica cosa che riesce a definire come mi sento è "allibito". In una giornata qualsiasi ne potete avere cento esempi, prendiamo ieri.

Ieri per 13 persone sono stati chiesti circa 50 anni di carcere per aver organizzato una serie di manifestazioni e aver cercato di darsi da fare perché anche al sud ci fosse un movimento anti-globalizzazione organizzato. Uno può considerare questa attività legittima o meno, interessante o meno, ma da qui a pensare che sia uno pseudo reato necessita un certo sforzo di fantasia.

Nel frattempo in Parlamento il governo Prodi cadeva con scene degne di un mercato del pesce e non certo della massima istituzione italiana: gente che stappava spumante (offerto dal bar del Parlamento pagato dai nostri stipendi) e mangiava mortadella, gente che per una decisione avversa si sputava in faccia al grido di "frocio di merda, checca". Questo è il livello delle nostre istituzioni. Se io sputo in faccia a un mio collega, vengo licenziato, e pure giustamente, direi. Strano che questo non avvenga per un parlamentare, e che nessuno si ponga il problema del livello di degenerazione della classe politica. Ovviamente molte delle persone che si stavano sputando in faccia non verranno mai tacciate di organizzare alcunché, né tanto meno di reati, né tanto meno messe di fronte alla possibilità di passare anni in carcere.

La vita va un po’ così, dipende da che parte scegli di stare, no?

Sotto il comunicato di supportolegale sulla requisitoria del pm Fiordalisi a Cosenza, nel cosiddetto processo al Sud Ribelle. IN fondo vi invita ad andare a Cosenza, il 2 febbraio. Io non ci riuscirò, ma se potete, è importante tanto quanto il 17 novembre a Genova. La storia alla sbarra è sempre la stessa.

50
anni di pena, questa la richiesta del pm per gli imputati del
Sud ribelle. Siamo giunti alle battute finali del processo che si
tiene a Cosenza e che vede coinvolte 13 persone, accusate a vario
titolo di associazione sovversiva, ai fini di impedire l’esercizio
delle funzioni del Governo italiano durante il Global Forum di
Napoli e al G8 a Genova nel luglio 2001 e creare una più
vasta associazione composta da migliaia di persone volta a
sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito
nello Stato. Niente male, come impianto.
Un processo che fin dalle
sue premesse si farà ricordare come tragicamente farsesco,
grottesco, una commedia all’italiana, più ‘I Mostri’, che
non ‘I Soliti Ignoti’. I momenti in cui non si ride, corrispondono
con la lettura delle ichieste del pm Fiordalisi, voglioso di
prendersi qualche attimo di gloria. Peccato sia oscurato dalla
querelle Prodi si, Prodi no.
Le pene vanno dai 2 anni e sei mesi
ai sei anni. Per tutti gli imputati sono state richieste anche
misure di sicurezza, da tradursi in libertà vigilata per
periodi che vanno da un anno a tre anni. Le comiche però
non mancano nell’iter processuale: è il 2002 quando alcuni
piccoli funzionari di polizia si fanno il giro delle procure d’Italia
per trovarne una disponibile a mettere sotto processo la rete di
attivisti che organizzò il controvertice di Napoli 2001.
Incontrano molte porte in questo peregrinare: gli sbattono tutte
in faccia tranne na, quella della procura di Cosenza e del pm
Fiordalisi il cui imperituro ricordo si lega a quattro inchieste
del CSM su di lui e ad inchieste particolari: fu lui a chiudere
l’inchiesta sulla Jolly Rosso nave facente parte del progetto
COMERIO, su cui anche Ilaria Alpi stava seguendo la pista. E’ il
15 novembre 2002 le case di decine di attivisti di Napoli, Cosenza,
Taranto, Vibo Valentia, Diamante e Montefiscone, vengono nottetempo
devastate dalle perquisizioni delle forze dell’ordine: il risultato è
venti persone arrestate, ad altri cinque furono notificati gli
arresti domiciliari, quarantatre persone finirono indagate nel filone
di inchiesta, computer, libri, intercettazioni telefoniche,
ambientali e telematiche.
Ancora una volta ci tocca dire "Nessun
rimorso": come per Genova, così per Napoli non ci può
essere alcun rimorso in chi ha tentato di opporsi al otere
economico mondiale. Per questo, per dimostrare a questi 13 imputati
di non essere soli, saremo in piazza a Cosenza il 2 Febbraio.

La
Storia siamo noi.


Supportolegale

Nuovo anno, nuovi vecchi processi: la mayday parade non si tocca

7 Gennaio 2008 3 commenti

Sembrerà strano a tutti che un evento così importante e pesante politicamente come la mayday parade non sia stata interessata dal solerte intervento di giudici, procuratori e polizia giudiziaria. Infatti non è così: la mayday 2004, quella di Adotta una catena e la prima con una partecipazione ampia a livello nazionale e internazionale, è oggetto di un processo che si è concluso oggi con la sua sentenza di primo grado.

Le accuse iniziali erano ridicole. A parte aver accorpato la mayday con il presidio in solidarietà con marta, milo e orlando in un unico processo, il rinvio a giudizio andava da violenza privata (picchetti davanti alla standa di via torino e a zara di corso vittorio emanuele), a propaganda sovversiva (i volantinaggi), a danneggiamento aggravato (la pittura di telecamere e vetrine di alcuni esercizi commerciali). Il processo ha mostrato come le accuse fossero un palese travisamente della realtà: i picchetti erano legittime forme di protesta contro chi il primo maggio costringe la gente a lavorare per una paga da fame; la propaganda sovversiva era legittima forma di contestazione di un modello di vita e di lavoro che noi avversiamo; i danneggiamenti erano quattro pennellate innocue. 

La sentenza è andata bene a metà, che di questi tempi è già qualcosa. Il pm aveva chiesto l’assoluzione di tutti, tranne che per 8 persone per le quali aveva chiesto dai 6 ai 9 mesi per danneggiamento. Due persone inoltre dovevano secondo la pm essere condannate per imbrattamente a una multa. La giudice come al solito, non si è accontentata: 10 persone (incluse le due di cui sopra) sono state condannate per danneggiamento a pene tra i sei mesi e i quattordici mesi. Gli altri assolti.  E’ andata bene perché ritorniamo nell’alveo del buon senso con le assoluzioni. E’ andata male perché rifilare 14 mesi a chi anche scrivesse due cazzate su una vetrina di un macdonald durante un corteo di centomila persone che di fatto rappresenta un ampio settore della società è una follia. Per ora gira bene e speriamo che in appello il buon senso impronti anche la sorte degli attuali condannati. Basterebbe quello per accorgersi delle stupidaggini che il mondo della magistratura continua a rifilarci.

Per chi non se lo ricordasse poi, mercoledì non solo riprende il processo per i fatti alla scuola Diaz il 21 luglio 2001, ma comincia anche il processo d’appello per i fatti del San Paolo: i poliziotti che hanno massacrato gente inerme in un pronto soccorso sono stati quasi tutti assolti nonostante fossero ritratti da un video chiaro come il sole; due dei quattro compagni a processo hanno preso un anno e otto mesi per resistenza aggravata e lesioni. Poi si parla di mondo alla rovescia… Ma d’altronde è evidente che il pm Gittardi uno specchio a casa per guardarsi in faccia la mattina non ce l’ha.

 

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D’altronde poi ormai l’antifascismo non è un valore fondante del nostro Paese

17 Dicembre 2007 4 commenti

 

Su repubblica.it leggo con tripudio – sono ironico – la notizia che la Corte di Cassazione ha rigettato l’uso dell’attenuante per le finalità di alto valore sociale e morale nel caso di una motivazione antifascista per un atto di violenza. Con questo tipo di passaggi si sancisce molto chiaramente – come nella sentenza in esame – che l’antifascismo non è più un valore fondante del nostro Paese e della nostra società, ma che è solo una opinione politica, valida come un’altra, per esempio quella fascista. Forse dopo sessantanni la storia italiana ha chiuso un altro ciclo ed è pronta ad altri anni di barbarie. Chiunque non si sdegni, li merita e ne merita anche le conseguenze. Perché si sappia, nel caso, a me potrete trovarmi in montagna.

PS: per chi non lo sapesse si fa riferimento a un fatto accaduto qualche anno fa a Milano. Il 25 aprile, Festa della Liberazione, alcuni militanti di Forza Nuova decisero di presentarsi in piazzale Loreto per deporre una corona di fiori in memoria del Duce martire. Alcuni attivisti di centri sociali e associazioni antifasciste si presentarono all’appuntamento e impedirono ai pelati di insultare la memoria storica della città, eccedendo con le cattive (il portatore della corona mi pare che finì con un braccio rotto). Le persone accusate delle lesioni a distanza di un annetto dall’episodio  vennero arrestate e tenute in carcere in via cautelare, grazie al tipico uso per nulla repressivo fatto delle misure cautelari preventive in Italia.

CASSAZIONE: NO ATTENUANTI PER AGGRESSIONE ANTIFASCISTA

Non
ha diritto alle attenuanti chi viene condannato per un’aggressione ai
danni di nostalgici dell’eta’ mussoliniana. E’ quanto emerge da una
sentenza della Cassazione con la quale e’ stata confermata la condanna
inflitta dalla Corte d’appello di Milano ad un 52enne accusato di
concorso in lesioni aggravate e porto abusivo di arma impropria, con
riferimento ad un episodio avvenuto a piazzale Loreto, quando un gruppo
di 5 persone che voleva deporre un mazzo di fiori in omaggio a Benito
Mussolini era stato fermato da manifestanti di opposta fede politica.
L’imputato si era rivolto alla Suprema Corte invocando, tra le altre
cose, l’applicazione dell’attenuante in relazione al "ripudio del
fascismo che informa la costituzione repubblicana", nonche’ per il
"carattere provocatorio" dell’iniziativa assunta dal gruppo di piazzale
Loreto. Per i giudici della quinta sezione penale, pero’, il ricorso e’
"privo di fondamento": l’attenuante dei motivi di particolare valore
morale e sociale (art.62, comma 1, c.p.) "puo’ trovare applicazione –
si legge nella sentenza n.46306 – soltanto quando la spinta a
commettere il fatto valutato come illecito dall’ordinamento abbia
tratto origine da valori comunemente avvertiti dalla coscienza
collettiva: il che rimane escluso – spiegano gli ‘ermellini’ – ove i
motivi abbiano carattere politico e, quindi, per loro stessa natura,
non siano universalmente condivisi". Nello stesso modo, "non e’
fondatamente invocabile – aggiungono i giudici di ‘Palazzaccio’ –
l’attenuante della provocazione, in considerazione del fatto che la
condotta denunciata come ‘fatto ingiusto’ non e’ descritta come
direttamente offensiva nei confronti dell’imputato o di persone a lui
legate da particolari rapporti, bensi’ di un sentimento diffuso, che si
assume legato all’antifascismo immanente all’attuale assetto
costituzionale e sociale e che per cio’ stesso – conclude la Cassazione
– e’ prospettato come facente capo a un genere del tutto indeterminato
di persone".

 

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Genova non è finita… e tre

17 Dicembre 2007 Commenti chiusi

 

L’articolo che è uscito oggi su nazione indiana era stato scritto nella settimana precedente la sentenza. Ovviamente ringrazio Gianni Biondillo e Nazione Indiana per lo spazio che offre a quello che accade nei processi genovesi e comprendo perfettamente la scarsità di tempo che a volte stravolge i tempi di pubblicazione. Il pezzo rimane valido, anche se l’epilogo lo conosciamo già, ma la necessità di prendere posizione e di scegliere nella vita, rimane un principio fondamentale a cui ci hanno abituato troppo spesso a sottrarci, diffondendo una cultura e una società della pavidità che mi fa sinceramente vomitare.

Genova non è finita – 3

Seguire i processi che riguardano i fatti del G8 di Genova del 2001
è un buon viatico per non dimenticare mai quanto ordinaria sia
l’ingiustizia e quanto quotidiana sia la necessità di prendere
posizione e di agire sui piccoli istanti che ogni giorno mettono su un
piatto della bilancia la tua dignità e sull’altro l’opportunità. Ogni
giorno a Genova capita che tu ti renda conto di quanto falsi siano i
giornali, e prima ancora i giornalisti, di quanto repellente sia la
logica teatrale e superficiale che gli attori di un tribunale
interpretano nella loro vita – con alcune pregevoli e ammirevoli
eccezioni – o di come la realtà venga distorta durante l’esercizio
della cosiddetta giustizia.
So che i miei precedenti interventi su
Nazione Indiana hanno cercato di essere meno estremisti e più
democratici – come si ama dire oggi – ma esistono dei momenti, io
penso, in cui una persona deve scegliere da che parte stare, perché è
evidente a tutti che le cose non sono tutte equivalenti, che, come dice
anche il Papa, il relativismo è un male incurabile della modernità, e
un valore spesso abusato per giustificare ciò che non si ha il coraggio
di indicare come sbagliato.

Non fraintendetemi: non è solo frustrazione e fastidio, esistono
anche dei momenti di obiettivo tripudio. Quando dopo immani sforzi di
mediazione e dopo aver ingoiato giganteschi rospi pur di garantire una
partecipazione di massa di 80.000 persone che arrivano con ogni mezzo a
Genova per dimostrarti che non l’hanno dimenticata, e che non hanno
intenzione di dimenticarsi che poche persone – 25 per la precisione, ma
presto sapremo esattamente quanti – sono nelle mire della magistratura
come capro espiatorio da offrire alla storia per spiegare Genova, non
puoi che gioire.
Non puoi che sorridere e guardare il fiume di persone scendere di nuovo
nelle strade di Genova, e lasciarti confondere da quell’inebriante
oppioide che è la speranza. Per un attimo pensi che anche i magistrati
hanno occhi e cervello e cuore, addirittura lasci sorgere in te il
dubbio che il buon senso per una volta abbia la meglio sulla ragione di
stato e sulle necessità del potere e della Storia che lo rappresenta.
Ti basta tornare in aula due giorni dopo per scoprire che non è così.
Ti bastano le facce contratte in una smorfia di disgusto dei pm che
chiedono 225 anni di carcere per 25 persone, o il viso rilassato a
arrogante di chi difende macellai e aguzzini, ti bastano i dialoghi tra
i primi e i secondi che senti di sfuggita fuori dalle aule di
tribunale. Ti basta vedere due avvocati che si scannano insultandosi
come fossero i peggiori nemici e poi si fumano una sigaretta insieme.
Ti basta ascoltare un avvocato che difende un tuo fratello dare del
delinquente a un altro tuo fratello, con la famosa logica che racconta
che vendersi il proprio vicino di casa è un buon modo per allontanare
la propria fine quanto basta per non farsi scrupoli di coscienza.
Perché forse voi non siete abituati a stare in tribunale e allora forse
non vi rendete conto di quello che significa: ognuno in un’aula
interpreta un ruolo, definito e definibile, che ha i suoi margini anche
di eccesso, non solo di moderazione: come se quello che viene deciso da
un tribunale non abbia in palio la vita di una o più persone, come se
la storia non fosse piena di decisioni e assoluzioni e condanne che
fanno ribollire il sangue. L’unico antidoto a tutto questo è quello che
ha chi come me, con estremo cinismo o forse con medio realismo, non
crede nella giustizia, non crede nei teatrini, e crede che a pochi di
quelli che sono protagonisti in quelle aule freghi nulla del senso di
quello che fanno.

Ma a voi forse interessa poco questo mio sfogo, anche se, a ben
guardare un poco capire come funzionano alcuni dei luoghi determinanti
per l’esercizio e il mantenimento del potere, non dovrebbe esservi
completamente indifferente, se siete persone intelligenti. E se non
siete persone intelligenti mi sono sbagliato e passate pure al prossimo
articolo 🙂
Un breve aggiornamento sui processi è fondamentale. E’ giusto che voi
sappiate due o tre cose: settimana prossima il processo più importante
per Genova e per noi giungerà al termine. 25 persone verranno
condannate o assolte dal reato di devastazione e saccheggio, un reato
desueto e ripescato dalle cantine del diritto dai pm Canepa e Canciani
per giustificare una richiesta di pena spropositata – 225 anni – e
un’operazione terroristica contro la fondamentale libertà di
manifestare il proprio pensiero e il proprio dissenso. I giudici
Devoto, Gatti e Realini dovranno decidere se pavidamente accettare le
scelte dei pm in cerca di visibilità e di libri di storia, o se,
coraggiosamente, rispettare non tanto le mie posizioni estremiste,
quanto la Costituzione e il buon senso. Basterebbe quello.
Nel frattempo l’unico poliziotto condannato per lesioni nei processi
genovesi, l’ispettore della DIGOS di Milano Giuseppe De Rosa, è stato
assolto al processo di appello. Era stato condannato a 20 mesi di
reclusione per aver partecipato all’arresto illegale e al pestaggio di
alcuni ragazzi sabato pomeriggio, tra i quali il minorenne con lo
zigomo fuori dalla testa e la maglietta rossa che tutti dovremmo
ricordare. La corte di appello lo ha assolto perché la sua
identificazione non è certa, perché non basta il riconoscimento che un
suo coimputato ha fatto per essere sicuri che quello che manganella
nella foto sia proprio De Rosa. Provate a pensare se c’eravate voi al
posto suo, quanto ci voleva per condannarvi, e avrete presto fatto i
conti con l’emergenza democratica che il nostro sistema sta vivendo
giorno dopo giorno.

Nonostante la moralis interruptus dei pm del processo contro i
manifestanti, che si augurano che gli eccessi delle forze dell’ordine
siano portati a processo e puniti, ma in sei anni si sono guardati bene
dal fare alcunché, i processi contro i tutori dell’ordine per le
torture di Bolzaneto e i massacri della Diaz vanno avanti, tra mille
insidie, piccole scorrettezze e operazioni mediatiche. Seguire i
giornali sul processo Diaz, per esempio, rende facile capire come sia
tutta una questione di immagine, e che della salute delle 93 persone
arrestate – di cui 61 ferite – non interessa a nessuno. Così alle
indagini del pm per falsa testimonianza contro ex capo della polizia De
Gennaro, ex questore di Genova Colucci e ex capo della DIGOS di Genova
Mortola, corrispondono le operazioni speciose degli avvocati delle
difese, con telefonate già ampiamente note di vicini di casa
terrorizzati dai black bloc che mangiano un panino nella piazza poco
sopra la Diaz passati alle radio come dispettuccio da bambino
dell’asilo.
Ci vorrà ancora più di un anno per sapere come finiranno anche questi
processi, nonostante un anno sia il margine ragionevole per vedere anni
e anni di udienze svanire nel nulla con la scusa della prescrizione. E
a quel punto, quale sarà la verità se un tribunale non ce la sancirà?
Saremo costretti tutti, anche i paladini delle istituzioni a riscoprire
il senso delle parole storia sociale e organizzazione dal basso?
Speriamo di sì.

à la prochaine.

Genova, G8: in ogni caso nessun rimorso

14 Dicembre 2007 2 commenti

 

Il processo a 25 manifestanti è in dirittura d’arrivo: oggi la corte composta dal presidente Marco Devoto e dai giudici a latere Gatti e Realini, ha raccolto le memorie di pm e difese, e constatato che non vi erano repliche si è ritirata in camera di consiglio. Alle ore 17:00 è emerso con una sentenza estremamente politica nelle sue decisioni, che se è vero che sbertucciano la procura, d’altro canto ci condannano a 110 anni di galera. Leggete sotto il dettaglio delle condanne, e il commento di supportolegale.

SINTESI UDIENZA SENTENZA PROCESSO AI 25

Il tribunale composto da Devoto, Gatti e Realini ha emesso oggi la
sentenza per il processo contro 25 manifestanti per i fatti del g8.

Di 25 manifestanti, una sola è l’assoluzione.
14 manifestanti sono stati condannati per danneggiamento per i fatti di
via tolemaide: le pene partono da 5 mesi e arrivano a 2 anni e 6 mesi
(solo uno è stato condannato a 5 anni per lesioni all’autista del
defender Filippo Cavataio). Per loro il reato di devastazione e
saccheggio è stato derubricato, e la resistenza alla carica dei
carabinieri è stata scriminata come reazione ad atto arbitrario e di
conseguenza non costituisce reato (in pratica la reazione alla carica
dei carabinieri è stata considerata legittima, solo per tre imputati, ma non i danneggiamenti
successivi).
10 manifestanti sono stati condannati per devastazione e saccheggio per
i fatti del cosiddetto blocco nero: le pene vanno da 6 anni a 11 anni.
Per 4 di loro sono stati chiesti anche 3 anni di libertà vigilata e
interdizione permanente dai pubblici uffici (ovvero dopo aver scontato
la pena dovranno scontare anche 3 anni di libertà vigilata).

Per il capitano Antonio Bruno, il tenente Paolo Faedda, il Primo
Dirigente Angelo Gaggiano, il Primo Dirigente Mario Mondelli è stata
chiesta la trasmissione degli atti per falsa testimonianza.

A parte il pagamento delle spese processuali e di alcune limitate
provisionali, i danni patrimoniali sono stati lasciati a un successivo
giudizio civile. La beffa finale è che in ogni caso sempre in sede
civile saranno da determinare e pagare i danni non patrimoniali – anche
noti come danni di immagine – alla Presidenza del Consiglio (e questi
dovranno pagarli tutti i 24 condannati o quasi).
In pratica la tesi per cui a offendere l’immagine dell’Italia sono stati i manifestanti è stata accolta.

SUPPORTOLEGALE.ORG – COMUNICATO STAMPA
IN OGNI CASO NESSUN RIMORSO

La sentenza del processo contro 25 manifestanti per gli scontri
avvenuti durante le proteste contro il g8 a Genova, ha deciso qual è il
prezzo che si deve pagare per esprimere le proprie idee e per opporsi
allo stato di cose presenti: 110 anni di carcere. Il tribunale del
presidente Devoto e dei giudici a latere Gatti e Realini, non ha avuto
il coraggio di opporsi alla feroce ricostruzione della storia
collettiva ad uso del potere che i pm Andrea Canciani e Anna Canepa gli
ha richiesto di avvallare.
Anzi, ha fatto di peggio. Ha scelto di sentenziare che c’è un modo
buono per esprimere il proprio dissenso e un modo cattivo, che ci sono
forme
compatibili di protesta e forme che vanno punite alla stregua di un reato di guerra.
Per completare l’opera ha anche fornito una consolazione a fine
processo per i difensori e gli "onesti cittadini", chiedendo la
trasmissione degli atti per le false testimonianze di due carabinieri e
due poliziotti, un contentino con cui non si allevia il peso della
sentenza e il cui senso di carità a noi non interessa.

Il tribunale di Genova ha scelto di assecondare tutte quelle forze
politiche, tutti quei benpensanti, tutti quegli avvocati, che –
coscientemente – speravano che pochi, ancora meno dei 25 imputati,
fossero condannati per poter tirare un sospiro di sollievo, per poter
sapere dove puntare il proprio dito grondante morale e coscienza
sporca. L’uso del reato di devastazione e saccheggio per condannare
fatti avvenuti durante una manifestazione politica apre la strada a
un’operazione pericolosa, che vorrebbe vedere le persone supine alle
scelte di chi governa, inermi di fronte ai soprusi quotidiani di un
sistema in piena emergenza democratica, prima ancora che economica.
Nessuno di coloro che era a Genova nel 2001 e che ha costruito carriere
sulle parole d’ordine di Genova, salvo poi tradirle con ogni voto e
mezzo necessario, ha voluto schierarsi contro questa operazione assurda
e strumentale: nessuno, o quasi, in tutto l’arco del centro sinistra al
governo ha saputo dire che a Genova, tra coloro i quali oggi sono stati
condannati ad anni di galera, avrebbe dovuto esserci tutti quanti hanno
partecipato a quelle giornate.

La stessa cosa è stata portata avanti anche da molti dei movimenti,
e molte delle persone che hanno cercato di sabotare i contenuti della
manifestazione che solo tre settimane fa, il 17 novembre, ha riempito
le strade di Genova: hanno voluto annebbiare le persone su chi fossero
coloro che si battevano per un modello di vita e di società diverso, e
chi difendeva il modello che viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni;
hanno voluto confondere le acque, forse perché anche la loro dignità è
confusa. E allora decine di comunicati sulle possibili Commissioni
Parlamentari, sulla Verità e sulla Giustizia, e troppe poche parole su
25 persone che stavano avviandosi a diventare capri espiatori di un
potere che ha avuto paura.
Genova però non si cancella con il revisionismo a mezzo procura, né con
le pelose scelte di comodo e gli scheletri nascosti negli armadi. Le
80.000 persone che lo scorso 17 novembre hanno sfilato per le vie di
Genova, non chiedevano una Commissione Parlamentare, bensì che 25
persone non diventassero il paravento dietro cui seppellire un
passaggio storico scomodo, che ha messo in discussione l’attuale
sistema di vita e di società. Siamo convinti che quelle 80.000 persone
ci ascoltano e non permetteranno a un’aula di tribunale di espropriare
la propria memoria e devastare le vite di 24 persone.
A maggior ragione oggi, con una sentenza che cerca di schiacciarci e
farci vergognare di quello che siamo stati e quello che abbiamo
vissuto, di dipingere quei momenti di rivolta a tinte fosche anziché
con la luce e la dignità che meriterebbero i momenti più genuini che
esprimono la volontà popolare, noi diciamo che non ripudieremo nulla,
che non chiederemo scusa di nulla, perché non c’è nulla di cui ci
pentiamo o di cui sentiamo di dover parlare in termini diversi che del
momento più alto della nostra vita politica.

Noi pensiamo che tutti coloro che erano a Genova dovrebbero gridare:
in ogni caso nessun rimorso. Nessun rimorso per le strade occupate
dalla rivolta, nessun rimorso per il terrore dei grandi asserragliati
nella zona rossa, nessun rimorso per le barricate, per le vetrine
spaccate, per le protezioni di gommapiuma, per gli scudi di plexiglas,
per i vestiti neri, per le mani bianche, per le danze pink, nessun
rimorso per la determinazione con cui abbiamo messo in discussione il
potere per alcuni giorni.
Lo abbiamo detto il giorno dopo Genova, e in tutti questi anni: la
memoria è un ingranaggio collettivo che non può essere sabotato. E per
tutto quello che Genova è stata e ha significato noi non proveremo
nessun rimorso. Oggi, come ieri e domani, ripeteremo ancora che la
Storia siamo Noi. Oggi, come ieri e domani, diremo di nuovo: in ogni
caso nessun rimorso.

SUPPORTOLEGALE
info@supportolegale.org

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Ecco quando Milano deve esplodere

11 Dicembre 2007 5 commenti

 

Sotto pressione del vice sindaco De Corato e del consigliere leghista Salvini, due elementi la cui caratura intellettuale non varrebbe neanche la pena di discutere, il sindaco Moratti si appresta ad approvare un’ordinanza sulla linea di quelle dei comuni veneti: ordinanze razziste che cercano di sancire a livello formale oltre che sostanziale l’equazione povero = criminale. Se Milano non esplode adesso, non vi è alcuna speranza di credere nel buon senso delle persone che vi abitano. Se Milano non esplode adesso tutti diventiamo giustamente dei nemici, non più persone da convincere. 

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Ogni tanto un barlume di ragione

10 Dicembre 2007 Commenti chiusi

 

Ogni tanto anche nella giustizia italiana esiste un barlume di buon senso: il processo a venti persone per alcuni scontri verificatisi in due cortei a Torino si è concluso con il rigetto delle accuse di devastazione e saccheggio e la loro derubricazione a danneggiamento e resistenza. Nella mia vita mai mi sarei aspettato di rallegrarmi per una condanna, ma nel clima di terrorismo giudiziario che le procure di mezza italia hanno instaurato con precisi mandanti e obiettivi politici, una derubricazione è ampiamente da considerarsi una vittoria. Ovviamente la speranza è che in appello il tutto diventi sentenza di assoluzione, ma per il momento giochiamo a sperare che anche a Genova si mostri lo stesso buon senso. 

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Genova: il processo ai 25 è finito

7 Dicembre 2007 1 commento

 

Oggi il primo processo sui fatti del g8 2001 a genova è praticamente arrivato alla sua conclusione. Neanche a dirlo, il primo che vedrà una sentenza (mancano ancora l’udienza del 14 dicembre per repliche e controrepliche e l’udienza in cui si leggerà la sentenza che sarà la settimana successiva) è il processo contro 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio. Ci sono volute 150 udienze circa, quasi 200 testimoni (che poi l’accusa non ha quasi usato), migliaia di ore di lavoro: il processo si chiude sulle parole di alcuni imputati e sul ghigno del pm Andrea Canciani mentre i nostri compagni parlano con il cuore in mano della propria vita. Come ultimo sgarro il pm ha voluto consegnare la memoria di accusa non all’inizio durante la sua discussione, ma alla fine dopo averla corretta per bene durante le arringhe dei difensori: un’ultima scorrettezza formale per avere l’ultima parola, o l’ultimo sorriso di sbieco. Quando ho cominciato a lavorare su questo processo nel 2004 pensavo che sarebbe durato una vita, invece sono passati tre anni e vorrei che ne mancassero almeno tanti quanti ne servono per la prescrizione. Qualunque sarà la decisione del tribunale, i pm avranno la soddisfazione di poter dire di aver dato vita a un processo storico e storicamente temo ingiusto. Sotto potete leggere le dichiarazioni di VV, uno degli imputati, che mi paiono molto belle e condivisibili. Avrei voluto che si facessero all’inizio del processo, sarebbe stato tutto molto più politico e intenso, anche se non so se avrebbe cambiato qualcosa. 

Innanzitutto vorrei fare una breve premessa: in quanto anarchico,
ritengo i concetti borghesi di colpevolezza o innocenza totalmente
privi di significato.
La decisione di voler dibattere in un processo di “azioni criminose”
che si vogliono imputare a me e ad altre persone, e soprattutto
l’esprimere qui le idee che caratterizzano il mio modo di essere e di
percepire le cose, potrebbe essere oggetto di valutazioni sbagliate: è
necessario quindi precisare da parte mia che lo spirito con cui
rilascio questa dichiarazione, dopo anni di spettacolarizzazione
mediatica dei fatti di cui si dibatte qui dentro,è quello in cui anche
la voce di qualche imputato si faccia sentire. Con questo breve
intervento comunque non cerco né scappatoie né giustificazioni: per me
sarebbe assurdo anche il fatto che la corte decida che sia legittimo
rivoltarsi non spetta ad essa.

Rileggere dei fatti accaduti sotto una certa ottica, con un certo
tipo di linguaggio (quelli della burocrazia dei tribunali per intenderci) non equivale solo a considerarli parzialmente, ma significa
distorcerne la portata, la loro collocazione storica, sociale e
politica, significa stravolgerli completamente da tutto il contesto in
cui si sono verificati.

Quello che mi si contesta in questo processo, il reato di
devastazione e saccheggio, implica secondo il linguaggio del codice penale che “una pluralità di persone si impossessa indiscriminatamente
di una quantità considerevole di oggetti per portare la devastazione”:
per questo tipo di reati si chiedono condanne molto alte, e questo
nonostante non si tratti di azioni particolarmente odiose o crimini
efferati.
Mi sono sempre assunto la piena responsabilità e le eventuali
conseguenze delle mie azioni, compresa la mia presenza nella giornata
di mobilitazione contro il g8 del 20 luglio 2001, anzi sono onorato di
aver partecipato da uomo libero ad un’azione radicale collettiva, senza
nessuna struttura egemone al di sopra di me.
E non ero solo, con me c’erano centinaia di migliaia di persone, ognuno
che con i propri poveri mezzi, si è adoperato per opporsi a un
ordinamento mondiale basato sull’ economia capitalista, che oggi si
definisce neoliberista…la famigerata globalizzazione economica, che si
erge sulla fame di miliardi di persone,avvelena il pianeta, spinge le
masse all’esilio per poi deportarle ed incarcerarle, inventa guerre,
massacra intere popolazioni: questo è ciò che definisco devastazione e saccheggio.

Con quell’enorme esperimento a cielo aperto fatto su Genova (nei
mesi precedenti e nelle giornate in cui si tenne quella kermesse di
devastatori e saccheggiatori di livello planetario) che qualche
ritardatario si ostina ancora a chiamare gestione della piazza, è stato
posto uno spartiacque temporale: da Genova in poi niente più sarebbe
stato come prima, né nelle piazze né tanto meno nei processi a seguito
di eventuali disordini.
Si apre la strada con sentenze di questo
tipo ad un modus operandi che diventerà prassi naturale in casi simili,
cioè colpire nel mucchio dei manifestanti per intimorire chiunque si
azzardi a partecipare cortei, marce, dimostrazioni…non credo sia fuori luogo luogo parlare di misure preventive di terrorismo psicologico.

Non starò qui a dibattere invece sul concetto di violenza, su chi la
perpetra e su chi da essa si deve difendere e via dicendo: questo non
per assumere atteggiamenti ambigui riguardo l’utilizzo o meno di certi
mezzi nella lotta di classe, ma perché reputo questa sede non adatta
per affrontare un dibattito che è patrimonio del movimento antagonista
al quale appartengo.

Due parole in merito al processo alle forze di polizia.

Si prova con il processo alle cosiddette forze dell’ordine a dare un
senso di equità…i pubblici ministeri hanno voluto paragonare ad una
guerra fra bande le violenze tra polizia e manifestanti: senza troppi
giri di parole dico solo che io non mi sognerei mai di infierire
vigliaccamente su persone ammanettate, inginocchiate, denudate, o in
palese atteggiamento inoffensivo col preciso intento di umiliare nel
corpo e nella mente…
Sono ormai abituato a sentirmi paragonare a provocatore, infiltrato ecc
ed è dura, ma essere paragonato ad un torturatore in divisa no… questa
affermazione è a dir poco rivoltante!
È degna di chi l’ ha formulata.

E poi allestire un processo a poliziotti e carabinieri, giusto per
ricordare che siamo in democrazia significa ridurre il tutto ad un pugno di svitati violenti da una parte, e dall’altra a casi di
eccessivo zelo nell’applicazione del codice. Questo, oltre ad essere sinonimo di miseria intellettuale, indica la debolezza delle ragioni
per cui sprecarsi al fine di preservare l’attuale ordinamento sociale.

Dal mio punto di vista processare la polizia parallelamente ai
manifestanti significa investire le cosiddette forze dell’ordine di un ruolo troppo importante nella vicenda; significa togliere importanza ai
gesti compiuti dalla gente che è scesa in strada per esprimere ciò che
pensa di questa società, relegando tutti quanti nel proprio ruolo
storico di vittime di un potere onnipotente. Carlo Giuliani, così come tanti altri miei compagni, ha perso la vita
per aver espresso tutto ciò col coraggio e con la dignità che
contraddistingue da sempre i non sottomessi a questo stato di cose e
finché i rapporti tra le persone saranno regolati da organi esterni
rappresentanti di una stretta minoranza sociale, non sarà l’ultimo.
E siccome sono disilluso ed attribuisco il giusto significato al
termine democrazia, l’idea che un rappresentante dell’ordine costituito
venga processato per aver compiuto il proprio dovere mi fa sinceramente
sorridere. Lo stato processa lo stato direbbe qualcuno a ragione.

Sicuramente ci saranno delle condanne e non le vivrò di certo come
segnale di indulgenza o di accanimento nei nostri confronti da parte
della corte. Esse andranno valutate, in qualsiasi caso, come un attacco
a tutti coloro che in un modo o nell’altro avranno sempre da mettere in
gioco la propria esistenza al fine di stravolgere l’esistente nel
migliore dei modi possibile.

Tanto per fare il pari con l’etica dei pm Canepa e Canciani: l’assoluzione di De Rosa in appello per i pestaggi del 21 luglio 2001

4 Dicembre 2007 3 commenti

 

Oggi a  Genova, mentre nell’aula al V piano si celebrava la terzultima udienza del processo contro 25 manifestanti, nell’aula della corte di appello Giuseppe De Rosa, in forza alla DIGOS di Milano e distaccato nel capoluogo ligure in occasione del vertice G8, veniva assolto in secondo grado. Per chi non lo ricordasse Giuseppe De Rosa era fino a questo momento l’unico condannato tra le forze dell’ordine per fatti di piazza, ovvero per i pestaggi, gli arresti illegali, le violenze di quei giorni: è uno dei protagonisti del pestaggio dell’allora minorenne MM il sabato pomeriggio e di altri ragazzi che stavano prendendo in giro lo schieramento di polizia seduti per terra. MM è il famoso ragazzino preso a calci dall’allora vice capo della DIGOS genovese Alessandro Perugini, quello con uno zigomo che sporge fuori di diversi centimetri dal viso (guardatevi la foto). A processo per lesioni per quegli eventi finirono 6 poliziotti (Del Giacco, Raschellà, Perugini, De Rosa, Pinzone, Mantovani), mentre l’allora capo della DIGOS è stato archiviato. De Rosa in primo grado scelse il rito abbreviato: meno prove in cambio di uno sconto di pena di un terzo. Risultato: un anno e otto mesi. Facciamo notare che De Rosa e’ facilmente riconoscibile nella persona che prende parte al pestaggio, ed è ufficialmente riconosciuto da uno dei suoi coimputati (l’ispettore Del Giacco), ma il giudice della corte di appello lo assolve dicendo non che il fatto non è avvenuto, ma che non c’è certezza dell’identificazione dell’imputato. Per convincervi guardatevi le foto sotto. Misteri della fede, oppure il vero segno dell’etica della giustizia nei confronti del fenomeno Genova, con buona pace di Canepa e Canciani i moralizzatori. puah. 

l'ispettore giuseppe de rosa della digos di milano all'opera il 21 luglio 2001 l'ispettore della Digos di Milano Giuseppe De Rosa all'opera nei pestaggi sabato 21 luglio 2001l'ispettore de rosa e altri indagati nell'ambito del cosiddetto processo perugini l'ispettore de rosa soddisfatto osserva il suo operato dopo l'arresto illegittimo di 10 persone che non stavano facendo niente e il loro pestaggio. complimenti!