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Archivio per la categoria ‘movimenti tellurici’

La camarilla degli alti papaveri – parte prima

3 Maggio 2007 Commenti chiusi

 

Il processo per i fatti della Diaz volge ormai agli sgoccioli dei testimoni dell'accusa. Probabilmente entro l'estate si cercherà di chiudere con i testimoni di tutti, in modo da chiudere il processo entro l'anno. In queste settimane, dopo aver sentito tutti i ragazzi e le ragazze massacrate, quelli e quelle che con me vedevano le scene dalle finestre, i medici e gli infermieri, i giornalisti e i fotografi, è arrivato il turno delle massime cariche delle forze di polizia in Italia: questa settimana è toccato all'attuale vice capo della Polizia di Stato Antonio Manganelli e all'ex questore di Genova Francesco Colucci. Settimana prossima toccherà a Gianni De Gennaro (in persona!) e Lorenzo Murgolo, poi sarà il turno dell'ex vice capo della Polizia Ansoino Andreassi (questi ultimi due non vi dico neanche dove stanno adesso, ma penso che ci potete arrivare da soli).

Era ed è ovvio che queste testimonianze (insieme all'eventuale presa di parola dei 29 imputati) sarebbero state cruciali per lo svolgimento del processo. Cerchiamo di riassumere come sta andando in poche parole: nessuno dubita della responsabilità di Canterini e capi squadra, che verranno condannati e i ragazzi della Diaz risarciti in qualche misura. Il punto nodale e politicamente più rilevante (e anche storicamente più interessante) è la responsabilità degli alti papaveri della polizia italiana presenti sul posto o partecipanti alla riunione che decise l'operazione. La storia ci ha già consegnato la verità, ovvero che tutte le alte gerarchie della Polizia Italiana imbastirono un'operazione altamente violenta e spettacolare per riconquistare un po' di faccia e per spiegare la propria debacle con dei pericolosissimi terroristi. A questo fine non solo si lanciano in una vera e propria vendetta a suon di manganelli e scarpate dal sapore anfibio, ma non contenti si inventano la presenza di due molotov (che pur essendo in sé poca cosa su 300.000 manifestanti bastano come qualifica per operazioni relative ad armi da guerra).

Ora, l'audizione come teste dell'attuale vice capo della Polizia Manganelli si conferma poco utile da questo punto di vista: viene a difendere il suo "figlioccio" (ed erede) Gratteri dalle accuse di capo banda nell'invenzione delle "bocce". Lo presenta come poliziotto scrupoloso e responsabile, nonché come unico perplesso dalle modalità dell'operazione. Per il resto non dice nulla e appena si preme un po' sul suo ruolo e su quanto avrebbe dovuto sapere in posizione talmente apicale, si erge in tutta l'arroganza che solo i poliziotti riescono a dimostrare quando li si tratta come tutti gli altri cittadini… D'altronde la legge è uguale per tutti è solo un motto che nelle aule di tribunale trova ben pochi esempi.

Ma è da Colucci (ex questore di Genova e unico vero e proprio silurato della situazione, anche se funzionalmente è stato promosso come tutti gli altri con gli usuali scatti di carriera in posizioni meno "visibili") che ci si aspetta qualche rivelazione, dato che è lui a organizzare le riunioni che portano all'operazione Diaz. In sei anni Colucci non ha mai saputo dire quale fosse la catena di comando, chi avesse deciso cosa, chi fosse il reale spingitore dell'operazione. Nel 2007, liquidando le precedenti dichiarazioni (che pare aver letto molto bene pochi giorni prima… con sconcerto del pm ma senza ammonizioni da parte del tribunale) e addirittura fonogrammi in cui affermava il contrario,  inspiegabilmente Colucci finalmente ricorda chi erano gli spingitori, o meglio gli unici che lo hanno convinto all'operazione: Andreassi e Murgolo. Guarda caso gli unici alti gradi della polizia archiviati proprio per l'assenza della medesima dichiarazione da parte dell'ex questore in sede di precedenti interrogatori. 

Non stupisce che le difese gongolino (dall'inizio volevano tendere il trappolone allo scampato murgolo) e che il pm sia sconcertato dalle incongruenze, ma fa inorridire la non disponibilità della corte ad approfondire. Viene il dubbio che le nuove dichiarazioni di Colucci facciano molto comodo per una sentenza che accontenti un po' tutti senza far male a nessuno. Leggere la trascrizione di oggi deprime un po', ma ci insegna molto bene qual è il gioco in cui ci siamo infilati tanti anni fa. Di solito è bene saperlo. 

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Mayday Parade 007: note a margine

2 Maggio 2007 10 commenti

 

Come al solito la mayday parade non inizia la mattina del primo maggio, ma per me comincia la notte prima: recuperare gli allestimenti, preparare i mazzi dei tarocchi da dare a chi si è fatto il culo e ai giornalisti (che non si fanno il culo, ma che apprezzano i gadgets :), verificare che ci sia tutto.

Inesorabile vado incontro al destino: alle nove di mattina sono in piazza XXIV maggio e non faccio in tempo a mettere giù la tazza del cappuccino che ci sono todo cambia e i gruppi di migranti che mi chiedono dove possono mettere il camion per allestire, mentre un tir di un gruppo di pischelli non meglio identificati mi avvicina e mi chiede: "ma come si fa a iscriversi?"

Li guardo perplessi e gli dico di piazzarsi con il retro del tir all'ingresso del cantiere della darsena e aspettare un cenno, che tanto entrano nella parte in fondo di quelli che non si sono spupazzati le terribili (e noiosissime) assemblee per l'ordine dei carri.

La sera prima ha spiovuto: quattro gocce sfigate, ma il clima di Milano non cambia mai, uno dovrebbe pure abituarsi a diffidare delle previsioni che trattano la meteorologia metropolitana come se dipendesse da cicloni e anticicloni: nuvolo, quattro gocce la notte prima, significa che per il giorno successivo è afa, caldo da far schifo, sudore, zero pioggia e soprattutto neanche un alito di vento prima dell'ottavo piano. E' puntualmente così, con  addirittura degli spiragli di sole, e mentre Fumagalli ringrazia sentitamente il santo, io mastico lo smog con familiarità.

Nel giro di due ore i carri sono tutti arrivati, ma quest'anno mi sono fatto cogliere dal nazismo efficientista e ho cominciato da subito a incolonnarli gia' nell'ordine di ingresso, cosa che ha consentito un'entrata in corso di porta ticinese senza sbavature e scazzi, nonostante la pressa di ale del leo con gli incubi da sorpasso ("oh, se fai passare quelli io spingo da dietro!!" "ma vai tranquillo che se c'e' un ordine deciso in assemblea si segue quello!") e del tipo della SDL (che non mi ricordo mai come cazzo si chiama ma almeno era più tranquillo 🙂

Alla partenza ci sono molte meno persone del solito, e io mi spendo i neuroni già in versioni pubbliche di autoassoluzione: "il ponte", "il maltempo previsto", "la flessione generalizzata della mobilitazioni", "la cappa centro-sinistra"… tutte puttanate, perché tra via correnti e via torino la gente esce pure dai tombini e in un istante mi trovo catapultato nella fotocopia (quantitativa) delle ultime due mayday. Figata.

Ma soprattutto quello che cambia e che riesce difficile raccontare a chi non l'ha vissuto, è una sensazione che permea tutto il corteo: la qualità della partecipazione è diversa, è più viva, più attiva, più presente, come se le persone fossero più consapevoli del solito di quello che sta accadendo e del suo senso. E' una sensazione strana, che provo già dalle riunioni preparatorie in cui finalmente gli attivisti sono messi a tacere dalle persone normali che partecipano ai vari collettivi autorganizzati di lavoratori. 

La sintesi politica è chiara: la mayday 007, nonostante uccelli del malaugurio e azioni malauguranti, si è dimostrata un dispositivo di comunicazione e attivazione perfettamente oliato e funzionante, in perfetta continuità con gli anni precedenti. Assodato questo, bisogna capire dove si va, ma c'è un anno per elaborare (meno che bisogna prepararle le cose).

La conferma arriva dai rodimenti di culo: da un lato alex foti, ex membro del collettivo di chainworkers da cui è uscito perché non si assecondavano i suoi sogni falliti di elezione comunale e inventore della mayday insieme a zoe e a chi animava con lui le prime ore di cw, cerca di sminuire il valore qualitativo della mayday (non voglio citare né la volpe e l'uva, né i peggiori sordi ovvero quelli che non vogliono sentire, ma ognuno penso ci arriverà da solo); dall'altro Rosati della CGIL che in mattinata afferma di voler fare un unica manifestazione l'anno prossimo e non due. Tradotto (dopo tre anni in cui li surclassiamo :): "avete vinto voi la battaglia, ma ci prendiamo un anno per capire come rompervi il culo al prossimo primo maggio. Uomini avvisati mezzi salvati". Penso che la mezza apertura (a cui abbiamo risposto concretamente chiedendo prima di sedersi a qualsiasi tavolo di discussione che i confederali facciano qualcosa di concreto per i precari, ad esempio smettendo di ignorarli e di impedire loro di votare e di essere eletti nelle RSU!!!!), Rosati l'abbia fatta prima di vedere sul loro quotidiano (Il Manifesto) due pagine scritte interamente da noi su cui campeggia un detournement della pubblicità CGIL contro la stessa CGIL 🙂

Questi rodimenti di culo sono l'indice primo che conferma il successo della giornata di ieri. Alle volte anche in un giorno nuvoloso si possono avere grandi soddisfazioni. Ma bisogna essere milanesi per gustarle appieno forse…. à la prochaine

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Mayday Parade 007: tarocchi precari e city of gods!

30 Aprile 2007 5 commenti

 

Quest'anno le novità targate creattività alla Mayday Parade saranno i Tarocchi della Precarietà e una edizione completa e innovativa di City of Gods (l'unico freepress  in cui free significa libero). Per saperne di più vi toccherà venire in corteo, ma intanto potete spulciarvi il sito cartomanzia.precaria.org e city.precaria.org.

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Ucci ucci sento odor di… occupazione

28 Aprile 2007 1 commento

 

Un uccellino mi riferisce che in via Volturno, quartiere Isola, proprio a due passi dalle ruspe, qualcuno ha occupato un nuovo posto! 🙂

L'occupazione è stata realizzata dal variegato collettivo di studenti universitari della statale (e non solo). Il posto è l'ex sede dei DS in via Volturno, in zona Isola, un palazzo di sette piani dedicati a uffici, oltre a un auditorium la cui ultima iniziativa ospitata è stata una presentazione di un libro di fassino.

Gli studenti sono molti e molto felici di questa esperienza. Il quartiere non ha reagito male, se non per un po' di diffidenza per il timore del ricrearsi di una zona devastata dallo spaccio e dai rompimenti di coglioni come era diventata nelle ultime fasi la stecca: si avvicinano, curiosano, chiacchierano con i presenti e mediamente vanno via convinti che ci si trovi di fronte a persone con cui si può ragionare e stare a vedere che cosa vogliono combinare.

Ho fatto un giro dei bar e dei pub del quartiere a raccogliere impressioni, e mi pare tutto filare liscio. Di sbirranza non se n'e' vista, anche se il luogo, ormai di proprietà ben più altolocate che non il Comune (precedente proprietario), vale molto e quindi costituirà un non indifferente elemento di pressione su questura e prefettura.

La partita è dura ma aperta, e vedremo un po' i giovani e le giovani che carte si vorranno giocare. Tanto anche loro un carro alla mayday lo hanno già prenotato da parecchio. E via!  

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And now for something completely different: MAYDAY MAYDAY!

26 Aprile 2007 Commenti chiusi

Passata la depressione post 25 aprile, è ora di guardare al futuro, e a parte il campionato di serie B e le grandi vittore dello sport in Champions League <g>, è in arrivo la mayday 007, giunta alla sua settima edizione.

Quest'anno la preparazione della mayday è stata superpolitica da un lato e supersociale dall'altro. Alle riunioni per indire la manifestazioni si sono visti quasi esclusivamente soggetti tutti politici, distanti mille miglia e mille anni dalla realtà delle cose, ma vicini (nella maggior parte dei casi) ai giochini a cui sono abituati nei palazzi. D'altronde, si sa, in periodi di scarsa evidenza dei processi di attivazione del tessuto sociale (attenzione non ho detto dei processi in sé, ma della loro visibilità), i politicanti si arrabattano contro le loro stesse macchinazioni per dare un senso alla loro esistenza. E così abbiamo una forte presenza di soggetti vicini ai partiti che fanno anche parte dell'esecutivo che cercano di mietere pietà nella mayday milanese, mentre specularmente la rinnovata coalizione del leninismo a buon mercato dell'antagonismo disobbediente cerca di costruirsi un giardino in cui sia più facile fare il proprio gioco senza fastidiosi bastoni egualitari e paritetici tra le ruote. 

Nonostante tutto questo nel tessuto sociale si agitano molte cose, soffocate dai media mainstream e dalla politica, dal governo e dalla chiesa, dal moralismo e dal fastidioso intellettualismo fine a sé stesso e al proprio relativismo (quanti ismi del cazzo 🙁 

Così mentre si ciarla di tutto questo e si riesce a far passare un comunicato molto politico destinato agli addetti ai lavori, le assemblee con cui prepariamo i carri dell'intelligence precaria vedono 50-60-70 persone ogni settimana e grande entusiasmo. Si fatica a trovare un meccanismo divertente e coinvolgente come gli anni scorsi, ma quest'anno nelle assemblee i gruppi di lavoratori appaiono molto più sciolti e sicuri di sé stessi nella partecipazione, addirittura in alcuni casi inarginabili 🙂 

Peccato che la commissione censura interna abbia bocciato il gioco di parole su MAYDAY 007, agenti segreti, intelligence precaria e cospirazione, ma il gioco che si è elaborato funzionerà altrettanto bene,  catturando l'attenzione e stimolando l'immaginazione delle persone. Poi io amo molto i tarocchi e tutte le forme di divinazione: come ogni forma di superstizione mi affascina la sua capacità di estrarre senso dalla casualità, di derivare relazioni da elementi disposti in maniera totalmente priva di connessione. Sincronicità, qualcuno in qualche commento si è divertito a stuzzicarmi 🙂

E' ancora presto per lanciare tutto e spiattellarvelo qui, ma aspettatevi altri post nei prossimi giorni che vi raccontino di più. Per ora potete informarvi in giro:

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Memoria a ostacoli: 62esimo anniversario della Liberazione

26 Aprile 2007 1 commento

 

Da quando sono nato sono stato abituato al fatto che il 25 aprile è un giorno speciale. I miei non sono questo mostro di impegno sociale (mia madre già qualcosa di più di mio padre), ma il 25 aprile è sempre stato un giorno che mi è appartenuto, e penso che le canzoni partigiane sono una delle poche cose che mi muove a commozione. Con il passare degli anni, l'esercizio della memoria, della più pura e semplice delle attività, quella di ripercorrere con il pensiero alcuni eventi e di riflettervi, è diventata sempre più ardua, nell'impetuoso mare del revisionismo, delle scuse non richieste, della riconciliazione a tutti i costi nel nome di una misurata farsa democratica che mi fa vomitare.

Da ormai alcuni anni a questa parte il mio 25 aprile comincia con il rito più intimo e significativo del giro delle lapidi dedicate ai partigiani in quartiere Isola: un gruppo via via più sparuto (ogni anno si perdono almeno 2-3 persone) fa un giro in macchina (già una cosa sfigata di suo, ma comprensibile considerata l'età media di 70 anni) a deporre le corone di alloro con il tricolore dell'ANPI e del Comune, presso una ventina di lapidi divise tra la zona di Lagosta, Centrale, Gioia. Il giro è molto intimo, e assolve perfettamente il compito di riconciliarti con un pezzo di storia che non hai vissuto direttamente ma che senti sulla tua pelle come qualcosa di vivo. Una sensazione evidentemente sempre meno diffusa.

Pensavo che avremmo raggiunto il minimo storico di questi giri di lapide due o tre anni fa quando ci litigammo la lapide in piazza Clotilde con un altro gruppo di persone, ma oggi quando in via Confalonieri, durante il giro delle lapidi del 25 aprile, i vecchietti del PSI hanno voluto mettere anche una corona sotto la targa dedicata a Bettino Craxi, quasi finisce in rissa. D'altronde di questi tempi mettere sullo stesso piano chi si è fatto ammazzare per cacciare i fascisti e chi ha rubato i soldi di metà della popolazione per poi morire in piena crisi di vittimismo dopo essere scappato dall'Italia ad Hammamet, è proprio il minimo del revisionismo che si possa accettare. Dopo un po' di insulti a mezza voce, il primo ostacolo è saltato.

Dopo 100 metri secondo ostacolo: il monumento ai caduti della Resistenza vicino a Largo De Benedetti è chiuso nelle lamiere del cantiere di Garibaldi Repubblica. Per poter mettere le DUE corone devo: scavalcare la recinzione del cantiere, scalare un impalcatura, appendermi al monumento e finalmente appoggiare le corone. Poi dopo questo improvvisato e provvido parkour, posso scendere e tornare alla macchina e ripartire per le ultime lapidi.

Uno pensa che per ricordare una cosa che dovrebbe essere nel dna di tutti, io abbia gia' fatto abbastanza fatica. Ma no.

Vado a Bergamo per il pranzo del 25 aprile. Quando arrivo a Dalmine (l'uscita per il Paci Paciana) scopro che fino al 6 maggio è chiusa in arrivo da Milano. Ok. Esco a quella dopo. Mi faccio 15 minuti di coda al casello per rientrare in autostrada, tornare indietro 5 km, pagare 30 centesimi e finalmente arrivare al Paci. Dove però il pranzo è in ritardo di due ore. Meno male che mi vogliono bene e mi danno da mangiare in anticipo di straforo (raga' mi sono dimenticato di lasciare la sottoscrizione, che pezzente!).

Torno a Milano per l'inizio del corteo. Decido di ascoltare Radio Popolare. La tesi della radio è che la nascita del partito democratico sia il motivo fondante di rinnovata partecipazione al 25 aprile. Una tesi bislacca, ma che nella ressa di puttanate che sentiamo e leggiamo tutti i giorni non fa una grinza. Se non che tutti gli intervistati danno addosso al governo e alla mancanza di memoria storica, e affermano di essere al corteo per i motivi di sempre: ricordare i valori fondanti della nostra vita moderna come cittadini di una società moderna. Il commento dell'intervistatore di Radio Popolare, evidentemente scontento che la realtà non si confaccia alla linea della radio, cerca prima di rimediare con un militante dei DS di venti anni che è entusiasta del PD come "momento in cui vrrà finalmente dato spazio a noi giovani" (PIETA'). La chiosa del giornalista è che i pareri raccolti a parte quello del giovani militante "non fanno statistica": nel senso che in Italia siamo riusciti a trasformare in un esercizio dialettico anche la più banale delle scienze.

Spengo la radio innervosito. Passso da casa e poi finisco in Porta Venezia. Alle 15.30 la coda del corteo (normalmente ancora in Loreto) è già oltre Palestro. Becco i popolarini e dico: "poca gente quest'anno". Loro: "ma va, molta di più". Certo d'altronde sono stati invitati sul palco il lider maximo Bertinotti e quell'arpia della Moratti, che c'entra con il 25 aprile come un cetriolo sottaceto nel caffelatte.

Mentre giro per il corteo ormai affranto, solo pochi attimi di felicità quando vedo 12 ragazzi dei campi palestinesi agitare una bandiera della Palestina su una asta lunghissima che si vedrà dalla prima all'ultima fila del corteo. Poi mi giro e vedo un cretino con una bandana nera con la celtica e una tipa con il cappellino bianco che fanno foto, mentre nessuno gli dice un cazzo. Lo prendo a male parole sperando che reagisca per accartocciarlo su un palo. Non funziona. Fa finta di non sentirmi e in qualche modo riusciamo a fotografarli (presto online). 

E' il simbolo di questo momento di memoria ad ostacoli: annacquato da ogni gruppetto alla ricerca di farvi rientrare qualsiasi querelle, dimenticato, strumentalizzato,  frammentato, sfottuto dai fascisti, ignorato dalle persone normali, che difficilmente sapranno dirti chi era contro chi nel 1943. Che tristezza. Mi allontano dal corteo mentre in piazza si consuma l'ennesimo suicidio politico della sinistra, che afflitta dal senso di colpa ha invitato la Moratti a parlare dal palco, completa vittima di sé stessa.

Almeno il successivo cinema brechtiano con Le vite degli altri mi ha risollevato dalla depressione più nera, un film in cui si riafferma come le decisioni degli uomini abbiano più valore di quello che si vorrebbe far sembrare per farci accontentare di una vita senza opinioni, senza tempo, senza spazio, senza voglia e senza possibilità. 

PS: sono cotto dal sonno e non rileggo. non mi crocefiggete troppo 

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Lo sgombero della stecca: una vicenda emblematica nel cuore di Milano

17 Aprile 2007 16 commenti

 

La Stecca degli Artigiani è una struttura di oltre cento anni fa nel cuore di Milano, in quartiere Isola, a un passo dal centro, un tempo uno degli epicentri della ligera milanese (la piccola criminalità che sbarcava il lunario in maniera non esattamente legale :), più recentemente luogo simbolo delle trasformazioni della città in piena gentrification.  Stamattina i locali della Stecca sono stati sgomberati dalle forze dell'ordine e sono in corso la demolizione della struttura. Al momento in cui scrivo si salva solo la porzione dove ha sede la locale sezione del Partito della Rifondazione Comunista, ma neanche loro erano molto certi di sopravvivere all'operazione (e in ogni caso la loro permanenza cambierebbe poco rispetto alla riflessione che sto scrivendo).

All'interno della Stecca dagli anni Ottanta in poi si sono insediati artisti e artigiani, che vi svolgevano i lavori più diversi. Negli ultimi anni molti degli artigiani hanno abbandonato lo stabile in cambio di luoghi più decentrati e meno pregiati in una non-trattativa con il Comune di Milano. A loro sono subentrate associazioni che si occupano del sociale (dall'aggregazione all'insegnamento per stranieri, passando per molto altro), gruppi informali, e singoli. 

Negli ultimi pochi anni la vicenda della Stecca ha subito un'improvvisa accelerazione, dovuta alle mire speculative nei confronti di un'area molto appetibile di un quartiere ancora popolare, inopinatamente (secondo il Comune) dedicata a un giardino e a un non-luogo come la Stecca "occupata abusivamente". Tutta l'area infatti è interessata dal progetto relativo al nuovo centro direzionale amministrativo in cui la Regione si trasferirà lasciando il Pirellone vuoto e privo di utilizzo (uno si chiederà legittimamente perché non rimangono lì, ma le sue domande sono destinate a non ottenere risposta). Più in generale il quartiere Isola è interessato da un processo di trasformazione nel complemento al nuovo settore moda che sorgerà nell'adiacente Garibaldi-Repubblica. Tutto questo firmato Comune di Milano e Hines Italia (il buon Manfredi-Catella…..).

La vicenda degli ultimi anni della Stecca degli Artigiani e delle lotte per salvarla o/e per spartirsela sono emblematiche delle trasformazioni di Milano, della sua lenta ma inesorabile discesa nella terra dei senza anima, nel luogo in cui chi vive una strada preferisce vendersene i marciapiedi che continuare a viverci dignitosamente.

In un primo tempo si sono costituite diverse associazioni, ognuna con la propria agenda circa il significato della frase "salviamo la Stecca e il quartiere": dal Comitato dei Mille che voleva trasformare l'area in una zona per benpensanti e bambini, all'Isola Art Center che voleva aggiungere a quel progetto un museo d'arte moderna ovviamente gestito da loro, fino ad arrivare a soggetti più o meno autorganizzati che non hanno mai saputo esprimere una progettualità politica su quell'area ma un generico sostegno a questa o quella associazione, e al Rifondazione Comunista, che cercava di essere eletto dagli altri occupanti rappresentante delle istanze in sede politica, poco interessato tutto sommato a cosa poi effettivamente serviva o meno al quartiere, o a realizzare un proprio progetto.

Tutte queste idee divergenti hanno fatto finto di convivere fino a che i tempi non si sono fatti stretti, facendo finta di non vedere come la struttura veniva sempre più lasciata a sé stessa, e in particolare alle varie comunità di migranti che ne hanno fatto il loro fortino (in buona parte non con fini edificanti, ma come ben difendibile ghetto autocratico e insofferente alla vita del quartiere che non fosse quella dei propri clienti affezionati). In buona sostanza anche i gruppi di senegalesi, rumeni, latinoamericani e arabi che si sono in diversi tempi insediati nel luogo non hanno pensato nient'altro che a farsi i propri giri, noncuranti di quanto sarebbe durata la situazione e perché. I soggetti autogestiti hanno fatto finta di non vedere la situazione che degenerava, anche perché parte di quel parco clienti che tanto vituperavano e soprattutto perché figli di una generazione del pensiero debole che prima di prendere in mano la situazione ci pensa sempre un paio di volte di troppo. I soggetti "istituzionali" o "compatibili" hanno semplicemente dato le chiavi alla DIGOS per fare un paio di interventi che hanno solo contribuito ad avvelenare gli animi.

A ridosso del momento dello sgombero ognuno poi ha giocato per sé: i migranti si sono barricati, un po' di folklore atavico non guasta mai; i soggetti autogestiti e le associazioni più giovani hanno creato una associazione di associazioni e hanno messo sul piatto un accordo con Manfredi-Catella per degli spazi pulitini-pulitini post delenda Stecca; PRC e Isola Art Center (sicuri che dopo la Stecca a soggetti così affermati uno spazio non sarà certo negato) hanno scelto la linea dei pasdaran, non si capisce se per mettersi a posto la coscienza o per convenienza di immagine. 

A questo punto mi odieranno tutti, ma una volta tanto cerchiamo di vedere le cose come stanno e di capire che questo sgombero è una sconfitta per tutti, che segna l'inizio della fine del quartiere per come l'abbiamo conosciuto, molto più che i reiterati sgomberi di Reload, dello sgombero di Metropolix, di quello di Garigliano per pochi soldi, e della trasformazione del tessuto sociale del quartiere in un luogo privilegiato da fighetti (si spera che la gente che vive in Isola sia più resiliente dei suoi luoghi simbolici). Questo sgombero è una sconfitta ed era ormai inevitabile: la gente del quartiere aveva abbandonato la Stecca vinta dagli scazzetti per interessi particolari dei vari soggetti coinvolti, vinta dalle sensazioni di degrado della propria pancia, dalla logica culturale monotematica con cui i media l'avevano imbastita e che chi vive il quartiere in maniera politicamente vivace non aveva saputo destrutturare. E il Comune non deve essere certo stimolato negli interventi manu militari.

La fine della Stecca è emblematica delle trasformazioni nel cuore di Milano, sempre più città vetrina, spossata e spogliata della propria anima a favore di soldi effimeri e progetti ancora meno credibili di magnifiche sorti e progressive, sempre più vessata dall'incapacità politica e materiale di chi crede che il mondo possa funzionare secondo logiche di cooperazione e di solidarietà, e non secondo logiche di conquista e di violenza.
La Stecca degli Artigiani l'abbiamo persa noi, chi ha fatto troppo poco, e chi non ci ha pensato abbastanza, chi ha aspettato che qualcuno trovasse una soluzione per lui, e chi ha cercato soluzioni solo per sé stesso o poco più. L'inesorabile mortificazione di un quartiere vivo e splendidamente contraddittorio lascerà un vuoto che sarà difficile colmare e di cui nessuno di noi si preoccuperà seriamente fino a che non si sarà spalancato sotto i nostri piedi. 

Quando camminando per via Borsieri troveremo solo vetrine fredde e lucide, e non vedremo più la gente che attraversa la strada sorridendo e chiacchierando, ci accorgeremo di quanto amavamo quei luoghi e ci sentiremo solo un po' più stupidi del solito, continuando nella nostra incanalata e scialba vita quotidiana. A meno che ogni giorno non ricominciamo a  pensare come convincere tutte le persone con cui viviamo quelle strade che il posto in cui camminiamo non è di nessun altro se non nostro, che la risoluzione dei problemi di un luogo sta nella capacità di assumersene la vita, e che l'intervento di chi gestisce già malissimo l'intera città e il complesso della nostra vita, non potrà che peggiorare la situazione.  

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我喜欢中国人 : Milano e la psicosi delle bandiere rosse

13 Aprile 2007 11 commenti

 

Come volevasi dimostrare le trasmissioni televisive e i quotidiani di oggi sono un rullo compressore a senso unico: gli scontri nella Chinatown milanese di giovedì 12 aprile sono un aggressione premeditata all'ordine costituito da parte di immigrati illegali che vogliono sovvertire l'ordine costituito della magnificente capitale economica del paese. Quando Milano ha un problema, quando viene segnata dai conflitti che storicamente le appartengono, dalle frizioni tipiche di un luogo in cui la pressione economica per la sopravvivenza è sempre alta, la scena che gli opinion-wannabe-maker dipingono è sempre la stessa: l'apocalisse, la crisi dell'ordine costituito, l'attacco al senso di ineluttabilità del modo in cui le cose funzionano qui da noi, in Italia

Basta ovviamente spostare leggermente gli occhi dal pensiero unico propagandato con prosopopea di tromboni ovunque per farsi venire più che qualche legittimo dubbio. Con una importante nota: non stiamo parlando di una rivolta proletaria, nonostante il terrore che l'esposizione delle bandiere della Repubblica Popolare Cinese ha evocato in tutti i benpensanti milanesi, ma dell'esplosione della frustrazione di una comunità fortemente conservatrice, fortemente "borghese", anche se vorrebbero farci credere il contrario per accorpare il mostro immigrato al mostro economicamente subalterno e "rivoluzionario".

I cinesi si sono iniziati a stabilire a milano sin dai lontani anni Venti, e la zona di Paolo Sarpi è stato sempre l'epicentro di questa comunità. In quella zona i cittadini cinesi si sono comprati a suon di centinaia di migliaia di euro i negozi e gli appartamenti della zona, hanno pagato le loro licenze (anche per la vendita all'ingrosso), hanno pagato le loro mazzette ai vigili urbani. Ora, in assenza di cose più utili da fare, Letizia Moratti (che traghetta la destra nel suo quattordicesimo anno di governo nella metropoli) ha ben pensato di invocare "la legge uguale per tutti" e di decidere arbitrariamente che via Paolo Sarpi è l'unico posto a Milano dove il trasporto su carrello delle merci è proibito. La legittimità di una misura discriminante di questo tipo è più che dubbia, il fatto che si inserisca nella battaglia per misure legali uguale per tutti è assolutamente escluso. 

Ma non basta: non solo la Moratti predica uguaglianza di fronte alla legalità e poi pratica il contrario, ma ovviamente l'applicazione della cosa è totalmente a senso unico. Gli italiani continuano a scaricare le bibite per i bar della zona con il loro carrellino, mentre i cinesi non possono farlo. Vorrei capire dove sta la differenza tra uno e l'altro, e vorrei capire perché in corso Vittorio Emanuele posso girare con un carrellino e in via Paolo Sarpi no. 

Come se non bastasse, il Fuhrer cittadino ha deciso bene di proporre Paolo Sarpi come prossima zona pedonale. I motivi di questa scelta sono quanto meno nebulosi, dato che Paolo Sarpi non è una zona ricca di attrazioni turistiche o di altro. Se è per facilitare lo shopping, allora dovrebbe proporre la stessa cosa anche in corso Buenos Aires, ma ho il sospetto che non se lo possa permettere (proprio in termini di viabilità, prima ancora che di "economie locali"). 

Se confrontiamo tutte queste misure alle proteste che le hanno generate ("non riesco a camminare sui marciapiedi che sono troppo stretti" [come se non bastasse allargare i marciapiedi]; "non ci sono più negozi italiani" [come se i negozi si fossero venduti da soli]) ci risulta un po' fuori misura il tutto. Se poi sommiamo l'ultima illuminante proposta della destra i dubbi diventano anche peggiori: perché la proposta formale della Moratti è  "delocalizzare i cinesi", tradotto in parole povere deportare le persone che hanno comprato a caro prezzo case e negozi, alimentando i nuovi borghesucci milanesi, in periferia.

Pensare che io credevo che la Moratti fosse liberista, ma deve essere un vizio dei liberisti nostrani quello di invocare il libero mercato e poi gettarsi nel protezionismo più becero e nel controllo della produzione e del territorio come neanche la fu Unione Sovietica si sarebbe azzardata a fare.  Quello che mi chiedo è perché nessuno noti questa lievissima idiosincrasia.

Ieri sera alle 18.30 via Paolo Sarpi era ancora completamente militarizzata, con gli elementi più grossi, pelati e violenti del III Reparto Mobile schierati a guardare in cagnesco i cinesi che ancora tenevano chiuse tutte le saracinesche. Verso le 21.30 sono andato nel mio ristorante di fiducia, il Long Chang, (a pari merito con il Ju Bin che da vero ras del quartiere non ha neanche lontanamente pensato di tenere chiuso sfidando gli sguardi dei solerti tutori dell'ordine), e poi più tardi sono passato dal mio bar di cinesi di fiducia in quartiere Isola. Alla mia curiosità mi hanno risposto nello stesso modo (faccio una compilation): "la gente ha fatto debiti per duecento mila euro, ha una famiglia da mantenere, perché non può lavorare?"; "se non volevano i cinesi, non accettavano i soldi e non ci vendevano il negozio"; "la legge è uguale per tutti, e allora perché gli italiani possono scaricare come vogliono e io invece no?"

Molte domande per i cinesi di Milano, ma se le traduciamo sono le stesse domande che un po' tutti dovrebbero farsi sulla morale e la giustizia a corrente alternata che caratterizza da sempre il governo destro cittadino, la logica del double standard che protegge i cazzi miei a scapito dei cazzi degli altri, senza soluzione di continuità e dietro il paravento del mostro che mette in pericolo l'ordine sociale, la legalità e la sicurezza. Con la collezione di danni e scontri che in 15 anni ha raccolto la destra a Milano, chiunque con un po' di dignità si sarebbe ritirato, mentre nella illuminata metropoli gli specchietti per le allodole della necessità di 500 poliziotti, di maggiori controlli, di maggiore rigore, di maggiore questo e quello, funzionano perfettametne nel distrarre menti troppo poco allenate a ragionare e troppo spesso abituate ad obbedire.

 

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Blackswift e i cinesi!

12 Aprile 2007 4 commenti

Mentre io rammodernavo la grafica della pagina di blackswift (grazie carl0s!) mi sono perso il momento più importante della recente storia milanese: gli scontri tra i cinesi e gli sbirri… Mannaggia, vedi quando mi metto in autismo!!!

Le foto mostrano abbastanza chiaramente che come al solito i solerti tutori dell'ordine ci vanno leggeri quando hanno di fronte persone dei cui diritti possono allegramente fregarsene: ad esempio in una delle foto del corriere c'e' un signore con un manganello estensibile, che non mi pare faccia parte delle armi ordinarie per l'OP della Polizia Italiana. E' un giovane del quartiere che aiuta la polizia? E' un poliziotto in borghese che COME SEMPRE pensa di essere al di sopra della legge? In un altra foto mentre un signore orientale è tenuto fermo dal dirigente del reparto un altro poliziotto in borghese gli sferra un pugno che lo lascia al suolo: questo poliziotto sarà denunciato per lesioni? per abuso d'ufficio? Oppure si avvarrà della consueta impunità?

In ogni caso immagino che le opinioni anti-cinesi siano già formate in merito e spiattellate su tutti i media, tanto per stare sicuri e non criticare mai la polizia, che ci mancherebbe fa sempre e solo il proprio dovere…. Che schifo l'italietta.

Update

Infatti mano a mano che va avanti la giornata le notizie si deformano ad arte per dare una certa percezione dell'accaduto: le prime ansa parlano di "bottiglie d'acqua lanciate alle forze dell'ordine in tenuta antisommossa", mentre l'ultimo aggiornamento su repubblica parla di "14 agenti feriti e 5 cinesi". Ora, mi pare ci sia una lieve discrepanza: a parte il fatto che sappiamo bene come i baldi poliziotti si facciano refertare anche le storte per dare l'impressione che gli scontri o i diverbi siano molto più cruenti di quello che sono (e per aver quindi la scusa per le proprie di violenze), c'è da dire che voglio capire come hanno fatto due bottiglie d'acqua lanciate a generare 14 contusi tra gli agenti… O sono dei completi idioti, o ci marciano. Tanto da far dire a De Martino (storico supporter dei comitati di quartiere e numero due di AN dietro De Corato a Milano) che oggi si dovevano usare metodi civili e non il pugno di ferro…. Sono confuso, ma l'unisono scandalizzato di tutti i giornali mi rincuora: Bandiere rosse dappertutto

Mamma, li comunisti, quelli veri!!!!

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Incendio distrugge i locali di Cuore Nero (prima che apra)

11 Aprile 2007 25 commenti

 

Stamattina apro le notizie, e non sempre sono così male. L'ANSA lombardia riporta la seguente:

Attentato incendiario nella notte a Milano
Danneggiato un circolo culturale di estrema destra
(ANSA) – MILANO, 11 APR – Un attentato incendiario si e' verificato nella notte a Milano, ai danni di un circolo culturale di estrema destra ancora da inaugurare. Le fiamme hanno gravemente danneggiato la struttura, anche se nessuno e' rimasto ferito.Poco prima delle tre, numerose telefonate di cittadini sono giunte a 113 e 112 per segnalare un'esplosione nella zona di viale Certosa. Le fiamme, propagatesi dall'interno, prima di essere domate hanno danneggiato anche il tetto e un edificio adiacente.

Il circolo culturale Cuore Nero voleva essere l'erede della Skin House, un luogo per nulla tranquillizzante gli spiriti democratici. Qualcuno punterà il dito contro i ragazzi della Cascina Autogestita Torchiera (che stanno a meno di 50 m dal posto, strana casualità che fa pensare a un'operazione ben coperta da parte dei destrorsi), ma io sono sicuro che non c'entrano nulla con l'attentato, che non fa parte dei loro modi di fare. Nonostante questo sono altrettanto sicuro che il rischio di vendette si faccia concreto, considerata l'abitudine dei pelati che si stavano stabilendo nel luogo. Mi auguro che questi ultimi non siano così deficienti da rischiare di passare dal danno alle cose al danno alle persone (in Torchiera qualcuno ci vive…).  D'altro canto l'assenza di qualsiasi istituzione cittadina o presenza sociale che denunci la gravità del fatto che personaggi di questo calibro siano liberi di aprire un circolo culturale non fa ben sperare circa la capacità della città di arginare i neofascisti e i loro modi di fare.

PS: sussiste la speranza che questi loschi figuri capiscano che forse il loro circolino, se proprio devono, gli conviene aprirlo in una loro zona.

 

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