Esistono due categorie di cose nel mondo, semplificando: le cose che durano per sempre e le cose che dopo un po' fanno la muffa. Evidentemente in storia e in politica la memoria appartiene alla seconda categoria. In questi giorni infatti se ne stanno sentendo un po' di tutti i colori (principalmente virati al nero, ironia della sorte doverne parlare per me!), tra gocce d'acqua in un bicchiere scambiate per tempeste e urla di dolore che ci raggiungono da episodi di qualche decennio fa. La questione non è banale e merita qualche parola in più di quella che gli si può dedicare.
Ma andiamo con ordine: saltando a pie' pari il dibattito revisionista che sta avendo luogo tra Fabre, Luzzatto e altri sul Corriere della Sera (per il quale ho in canna un post da qualche tempo, ma mai abbastanza per reputarlo finito), arriviamo al recente "scandalo" Pansa, uno storico che come tanti altri ha deciso che essere famoso è più interessante che fare il proprio mestiere. Fortunatamente al di là di chi non glielo manda a dire, offrendo sul piatto d'argento l'occasione per il can can moderatista di tutta la vulgata dei costruttori di opinione e di buon senso, c'è anche chi riesce a spiegare con ironia e chiarezza che la Resistenza non è un gadget da usare a proprio piacimento per migliorare i propri introiti. Robecchi domenica su "Il Manifesto" mi ha fatto pisciare addosso dal ridere (se non ci fosse da piangere), e Carmillaonline mi offre spunti in punta di bit 🙂 (primo fra tutti la bellissima storia di Erminia Mattarelli [prima parte – seconda parte – terza parte] che è una risposta più che sufficiente al revisionismo sensazionalista di Pansa).
Ma la cronaca italiana è un continuo pullulare di episodi che dimostrano la voglia fortissima che esiste nel paese non solo di cancellare con un colpo di spugna uno dei periodi migliori della nostra storia, ma di ribaltarlo, riabilitando soggetti che fino a poco tempo fa non avevano neanche la legittimità di respirare. I tempi cambiano, la memoria è un ingranaggio collettivo fin troppo poco oliato, e c'é chi studia alacremente da decenni il modo in cui recuperare una tradizione che ha sempre e solo significato per i nostri genitori e i nostri nonni miseria, violenza e ignominia.
Settimana scorsa infatti la giunta di Rieti (guidata da qualcuno che orgogliosamente esibisce ancora il suo gagliardetto di Figlio della Lupa) ha approvato una delibera per intitolare una via a quel simpaticissimo personaggio che era Alessandro Pavolini, secondo questi luminari un intellettuale e una figura importantissima per Rieti e per la sua stazione sciistica di Terminillo (motivo più che valido per intestargli una via, no?). Ma chi è Alessandro Pavolini?
La risposta a questa domanda non è difficile, perché fortunatamente il web è pieno di informazioni illuminanti: perché al di là delle cariche imponenti rivestite durante il Ventennio, il ragazzo è noto alla storia con il nomignolo di "Superfascista", vinto grazie alla sua più brillante trovata… la fondazione delle Brigate Nere. Ora, certamente si potrà dire che questo soggetto ha anche scritto saggi e poesie, ma mi pare che il suo nome sia legato a doppio filo a qualcosa di ben più rilevante e meritevole di essere ricordato con sdegno e orrore, più che altro. Pare però che a Rieti non sappiano leggere, anche se sanno scrivere non solo i nomi sulle targhe, ma anche i commenti nei forum, che penso si qualifichino da soli….
Il problema è ovviamente più ampio e non si limita all'ormai mio personale leit motif della sconfitta culturale della sinistra italiana, ma investe il concetto di storia, cronologia e memoria in senso più vasto. E' da tempo che rifletto su questo problema, e parte delle cose che faccio sono un tentativo di risposta attiva alla questione. La storia dovrebbe essere qualcosa di più di una mera cronologia, del tentativo di ridurre gli eventi a un prodotto di fattori scientificamente determinati, perché purtroppo o per fortuna, quando ci sono di mezzo gli esseri umani, c'é sempre molto poco di scientifico e razionale. Il mio cruccio da molto tempo, e il fatto che i movimenti siano uno degli ambiti in cui lavoro di più non aiuta, è come dare spazio all'esperienza, come fare sì che la nostra memoria collettiva trasudi l'esperienza di cui è impregnata e non solo la fredda sequenza di eventi che sono tutta quantità e pochissima qualità. Come possiamo scrivere una storia sociale delle cose che viviamo o che sono state vissute? Come possiamo rendere merito alla densità di quello che ci circonda?
Negli ultimi 30 anni ci sono stati sforzi decisamente maggiori per cercare di dare una soluzione a questo problema, ma è la mentalità diffusa nella società che è antitetica a questo approccio alla storia: le persone vogliono dimenticare, scelgono quotidianamente l'oblio rispetto alla partecipazione, e combattere questa deriva antropologica mi pare una sfida mostruosa nelle sue dimensione, anche se decisamente l'unica che valga la pena di cogliere. Da una lato gli istituti di storia orale (da De Martino al lavoro di Cesare Bermani, tanto per citare i più noti) e dall'altro quelli dedicati alla storia sociale (ad es. l'IISH di Amsterdam) ci stanno mettendo una pezza, ma sempre terribilmente in ritardo rispetto agli strumenti che servirebbero per affrontare efficacemente la questione. Purtroppo il mondo degli storici è totalemtne avulso alla sperimentazione e questo rende tutta la battaglia ancora più ardua, ma forse un giorno si riuscirà a lavorare in molti su una piattaforma dignitosa. Il rischio è che lo faccia prima qualcun altro e un altro pezzo di relazioni diventi nient'altro che il nuovo pollo da spennare nell'epoca della monetizzazione totale. Gli esperimenti non mancano e il terreno dell'educazione partecipata (vedi anche ultimi articoli sul blog di Herny Jenkins [prima parte – seconda parte – terza parte – quarta parte – quinta parte – sesta parte – settima parte]) è un ambito importante in cui ragionare e lavorare, anche qui per lungo tempo snobbato un po' da tutti.
Abbiamo evidentemente letto poco Gramsci e la questione che ha posto per lungo tempo sull'egemonia culturale, e ci ritroviamo a fare i salti mortali per oliare l'ingranaggio collettivo della memoria e di quel pezzo di storia che solo la nostra esperienza può descrivere.
"Take chronology out of history: what's left?
Experience.
And I am not speaking of skill. I am speaking of living, dense experience. Your religion (as many others I would say) just states that concerning the present being so damn important: it says that presence is the only experience you can truly know, that past and future are not experiences you can live, but appearances of other people's experiences. At the same time it reveres anchestor because your religion deems they lived theri experiences and that from that learning came understanding, and maybe it can get down to you as well, if you think about it 🙂
In a paper we would distinguishes chapter for their heading (sometimes) or for the small nice drawing at the end of a paragraph, or for the sign on that really nice book. At the same time those are not the element that defines our experience of the book or the chapter or the story. Those are the placeholders.
They are by no means more meaningful than the rest, rather I would say the contrary. The feeling of that novel or chapter will stay with you, will become part of your experience, while the placeholder will be your brain chronology of detail. Some are better and remember placeholder very neatly, some (like me) tend to confound them and mingle them with the experience itself. But the distinction (and I think the similitude as well) still stands.
You know chicago weather and that saved your ass. But I don't think you would deem important to know the first time you understood that a certain smell meant it was going to rain or snow very soon, rather the fact that you can tell that smell and connect it with rain, snow and with your life.
History is defeat and a slow progress towards nothingness, but experience is so deep and feeling, it makes you perceive how dense reality is and at the same time how passing and fleet.
The real problem is: how can we pass on experience and break the domination of chronology? how can we keep screens when we need them and devise a way to not lose all paper with it? We need to make an effort, just as me, refraining from reading your attachment
We need to make an effort, just as me, refraining from reading your attachment in the hope a paper letter will come and give me more depth. In the same way maybe we have to make an effort and build a new concept of story, of science, of perception.
Going back to your religion, buddhist were not the only one saying that separation is an illusion. Leibniz spoke of monads, and though reality was defined by so little elements that their cumulated perception could seem objective but was in the end totally subjective, a paradox which leads to reality being appearance.
You see it's curious. As soon as I began thinking on this things I began reading the Barock Cycle by Neal Stephenson. My brain and my experience resonating with each other: did I chose the book because I was thinking on history, experience, perception? Or did I think of these things because I perceived the book as coming by?
There is no way to tell, but the two elements together make my experience dense and meaningful, more than the sequence of the events." (from a mail to Soph, hope she does not mind 🙂
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