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Inter in Wonderland: due più due fa sempre quattro

23 Settembre 2010 Commenti chiusi

Nella landa desolata del Paese-che-non-c’è i cavalieri della beneamata scendono in campo con l’unico 11 possibile, considerati i degenti, gli sbarbati nerazzurri in fieri e le chiocce, una delle quali – Speedy – dovrà anche entrare in campo quasi subito al posto del Muro acciaccato. Nella bruma della prima partita autunnale risuonano rimbombi, colpi, boati, esplosioni. Gli Scrondi del Tavoliere, decisamente abbelliti dalla permanenza nella massima Serie di Oz, attoniti si guardano intorno: non capiscono se siano cannonate o il ritmico e aggressivo percuotere di tamburi. Loro non lo sanno, ma è il rumore dei nemici, che finalmente anche Ciccio assaggia anche se in versione decisamente soft.

A sfoderarne una versione hardcore ci pensa Almiron, lo scrondus maximus considerati i suoi trascorsi, a meno di 30 secondi dal calcio d’inizio, con un proiettile da 40 metri che scalfisce i pilastri della porta nerazzurra. Il problema, come dicono dalle parti in cui sono nato, è che “se esci il ferro, poi devi saperlo usare”. Forte di questa massima di periferia, l’Inter davanti alla successiva assenza di bellicosità degli Scrondi, dimostra che non c’è trippa per gatti.

I nostri eroi sbucano da ogni collina, da ogni tumulo, da ogni ripiegamento del terreno, seminando il panico tra i giocatori avversari. Li sbeffeggiano, li aggrediscono, e imbasticono mitragliate talvolta a salve, talvolta no. I rumori e le esplosioni si sono avvicinati fino a entrare in campo: e purtroppo gli Scrondi scoprono troppo tardi che sono le armi cariche dei nerazzurri. Altro che medioevo! Ed è forse solo grazie allo stress post-traumatico di tutte queste esplosioni che anche il Principe si sblocca, nel modo meno nobile, deviando di faccia l’ennesimo assist di un Leone che brucia l’erba con i piedi e gli artigli eburnei.

Nei secondi 45 minuti il monologo di raffiche e proiettili continua: due rigori, trasformati dal nuovo rigorista, il Leone; finalmente una marcatura con un missile terra aria del Principe; svariate occasioni mancate di un soffio. Il gong finale lo suona Calimero, entrato da pochi secondi, quando lascia risuonare la sua testa vuota al suono dello sterile cannone del Tavogliere su punizione. Il tuono sprigionato dalla percussione umana improvvisata suona anche come l’epitaffio su una partita mai cominciata.

L’Inter sale di condizione e sale in cattedra, ma tanto quanto la vittoria di misura contro i siculi non rendevano giustizia alla superiorità espressa in campo, così la larga goleada odierna la accentua forse esageratamente. La squadra del Tavoliere è meglio di quello che sembra da questo match. Molti giocatori stanno tornando ai loro livelli, ma la panchina è veramente cortissima e speriamo di non avere in fretta il fiatone. E merita un plauso anche la scelta di Benny di sostituire i migliori giocatori in campo per dimostrare che in squadra sono tutti uguali. Bravo!

Due più due fa sempre quattro. Se le punte lavorano così tutta la squadra gira a mille. Godiamoci i tre punti e la partita. Godiamoci anche che per ora due partite su due con la curva ospite schierata in mezzo ai tifosi normali del terzo anello rosso, grazie alla mirabolante invenzione della Tessera del Tifoso, che ha reso obsoleto il settore ospiti, una delle poche intuizioni intelligenti di chi progetta l’ordine pubblico negli stadi. Siamo tutti curiosi di vedere come finirà con i drughi in mezzo alla gente civile. Take no prisoners, suppongo. Che mestizia.

Inter in Wonderland: non esiste rosa (nero) senza spine

20 Settembre 2010 Commenti chiusi

I cavalieri della tavola romboidale (magari!) nerazzurra entrano in campo con quella che è la formazione titolare in questo momento, con il solo Drago al posto dell’infortunata Olandesina, il Capitano d’Acciaio al posto di Marika e il Colosso nella sua posizione naturale. Di fronte si trovano il muro di spine delle Rose Nere palermitane, con qualità solo in pochi settori del campo e che non perde in casa da un anno e mezzo, con grande grinta e con un discreto culo, almeno per buona parte del match.

I ragazzi sfoggiano i migliori 45 minuti dall’inizio della nuova stagione, martellando il rovo avversario con tanto gioco, decespugliatori, cesoie, tante azioni e buone occasioni. Tutto gira abbastanza bene, ma la fortuna non ci assiste: la fiammata del Drago dalla tre quarti si spegne sulla traversa ignifuga di Sirigu e il rimpallo sulla sua testa finisce a lato anziché in porta. Prima e dopo il Colosso e il Drago seminano il panico assistendo il Leone e il Principe. Ma la palla non entra. D’altronde forse dei cavalieri medievali con in mano un paio di forbici sotto steroidi non avrebbero fatto gran figura nemmeno nelle più sfrenate saghe epiche.

Viceversa su calcio d’angolo il rimpallo della difesa finisce proprio sui piedi dell’uomo rosanero lanciato in contropiede (potere delle spine prensili) che guadagna rapidamente l’area nerazzurra e appoggia per Pastore: paratissima dell’Acchiappasogni che nulla può sulla ribattuta. Prima e unica vera azione da gol rosanero e spina conficcata nel cuore e nella rete dei nostri eroi. Le bestemmie si sprecano.

Seguono altri 15 minuti con due azioni da gol clamorosamente sparate addosso a Sirigu e fuori dal Principe, sgroppate di chiunque, financo dell’Orco, ma ogni maglietta scura viene avviluppata dalle grinfie del roveto. E il risultato non cambia.

Nei secondi 45 minuti i ragazzi perdono la bussola, e in particolare Polu, il buco con il difensore intorno si renderà protagonista di un secondo tempo allucinante, tanto da far ampiamente dubitare delle capacità intellettive di chi lo ha lasciato lì da solo a farsi saltare per un intero tempo di gioco. Aiuto. Per 15 minuti è solo Palermo. Il rovo libera i suoi tentacoli di spine e comincia a pungere di brutto, con i nostri eroi e le loro armature impotenti di fronte alla forza vegetale.

E a questo punto tocca a noi giocare di rimessa e Benny passa a un 4-4-2 un po’ sghembo con il Drago in mezzo, il Capitano e la Pantera esterni e il Leone prima punta: prima il Principe tocca a lato un cross basso perfetto come non è mai successo prima, poi il Leone raccoglie un palleggio perfetto del Principe stesso, dà fuoco al difensore rinsecchito rosanero e batte Sirigu. Finalmente. Dopo neanche 4 minuti rischiamo di subire il pareggio, ma fortunatamente Pastore non ha ancora imparato a usare il piede sinistro. Intanto “Chi l’ha visto?” riceve plurime richieste per accertare la localizzazione di Ciccio dato che evidentemente ci stanno prendendo a pallonate dei fottuti arbusti le cui uniche qualità di nota sono petali e spine.

Per fortuna del mister il Drago – gran partita – e il Colosso – bentornato! – scambiano sulla fascia e mettono in mezzo per il Leone che non si fa pregare una volta avvicinato alla porta e raddoppia. Un minuto dopo il culo (in questo caso impersonato dall’arbitro Romeo) finalmente gira e si mette a favore di vento nerazzurro: Polu bruciato per l’ennesima volta cade strattonato e rovina a terra, sgambettando Cassani. Per me è rigore tutta la vita, ma fortunatamente non faccio l’arbitro.

All’alba del 75esimo Ciccio finalmente alza il suo tasso glicemico e si decide a cambiare qualcuno: entrano il Bambino d’Oro e Calimero laterali di centrocampo. Ma Polu rimane misteriosamente in campo ed è proprio sulla sua fascia che continuiamo a vedere i famosi volatili per diabetici. D’altronde una fascia Polu-Calimero può esistere solo nella versione più oscura del mondo parallelo in cui si svolge la Serie di Oz. Peraltro il Bambino d’Oro non vedrà biglia per tutti i minuti giocati o quasi. Non contento pare che Ciccio, per dimostrare la sua vena offensiva e il suo bel calcio, avesse richiamato altri 123 difensori arrivando fino ai pulcini B, ma che non abbia potuto schierarli per mancanza di una deroga immediata della Lega Calcio (che pure aveva preventivamente chiesto, non si sa mai!).

C’è il tempo per un palo clamoroso di Pastore e Mariga seconda punta (!). Venti minuti (15 + 3 di recupero, ok, ma tant’è) di assedio di un roveto ai Campioni d’Europa, modello Camp Nou aprile 2010. Peccato che si giochi al Barbera. Per carità: in questo momento l’importante sono solo i tre punti, e finché arrivano quelli va tutto bene. E abbiamo giocato un ottimo primo tempo. E certamente la sfiga del primo tempo ci ha compensato con il culo e una svista arbitrale grossa così (tipo le dimensioni di Rocco Siffredi, cit.) nel secondo tempo. Ma le epopee vivono di altro. Vivono di slancio e di determinazione, di gesta e di narrazioni fantastiche. E soprattutto non possono tollerare l’ipocrisia: non ce la si venga a menare con il gioco offensivo e la vocazione a fare il Barcellona de’ noartri. Si dica che si sta cercando di capire che cazzo fare e che la coperta (o l’asciugamano, visti i tempi) in panchina è corta. I tifosi devono tifare e tiferanno. Non temete, non ci tiriamo indietro dal nostro ruolo di carne da cannone nelle grandi battaglie campali. Ma almeno non ci sentiremo presi in giro. Sappiamo che non esiste una rosa (nero) senza spine. E ce ne faremo una ragione.

Lega dei Citroni: Twente-Twenty

15 Settembre 2010 5 commenti

I triplettati eroi detentori del titolo ricominciano il cammino nella Lega dei Citroni dal campo dei campioni d’olanda, o Paesi Bassi che dir si voglia, anche se di bassi nella squadra rosso vestita ce ne sono ben pochi. Benny schiera una formazione simile il più possibile all’Inter che ha vinto l’edizione precedente del torneo, con il Capitano d’Acciaio terzino sinistro a curare gli inserimenti dei veloci avanti avversari e la coppia centrale decisamente in rodaggio Pelato-Marika. Durante il riscaldamento i nerazzurri si rendono conto che il Twente ha dipinto una croce con lo spray in alcuni punti del campo, ma nessuno riesce a dare una spiegazione della cosa, neanche il madrelingua Olandesina Volante.

Il match inizia sotto i migliori auspici e i nostri eroi passano subito in vantaggio grazie a una bell’azione fatta di molti scambi, di un tiro del ritrovato – almeno nei movimenti – Principe con ribattuta a rete dell’Olandesina e la Pantera che si scansa per evitare di fare muro al posto degli olandesi. Sembriamo controllare bene il match, ma poi scopriamo esattamente che cosa servivano le croci tracciate con lo spray: i rossi continuano a passarci sopra attendendo il momento fatale in cui l’arbitro gli concede abbastanza generosamente un fallo per intervento del Muro, proprio sul segno nell’erba. Janssen prepara la palla e spara un missile nel sette imprendibile dal nostro Acchiappasogni.

Tutti pensano: poco male. Ma la verità è che siamo dentro i twenty-minutes del Twente. Quelli in cui gli olandesi fanno la partita. Ripassano sulla stessa fottuta zolla e stavolta è l’Orco a fare fallo. Janssen spara un altro missile che l’Acchiappasogni devia sulla traversa. Sul corner olandese il Principe ritrova il gol, ma nella porta sbagliata. Sfiga atomica e nerazzurri in svantaggio. Il dominio Twente dura ancora una decina di minuti, nei quali però il Pelato prende una clamorosa traversa su azione perfetta con l’Olandesina. Finiti i venti minuti di Twente, l’Inter pareggia con un rasoterra imparabile del Leone dopo triangolo con la Pantera.

Come si potrà facilmente intuire il nostro nanetto da giardino è in grande spolvero, e con lui il Leone che corre per tre, ovvero anche per la Pantera e il Principe che ancora non hanno abbastanza benzina. Le posizioni del Pelato e di Marika sembrano invertite, dato che l’uno dovrebbe stare dietro e l’altro avanzare e non viceversa come sembra ordinare Benny. Dietro niente da eccepire, soprattutto con brutti clienti come gli attaccanti olandesi.

La ripresa è tutta di marca nerazzurra: ci proviamo spesso e volentieri, ma il muro olandese ci rimbalza ogni pallone che puntualmente finisce sui piedi di Ruiz che rischia di imbucarci spesso ma senza grandi risultati. Incredibilmente a un certo punto anche Tiendalli usa la croce tracciata a terra per farne una lapide dedicata alla Pantera, ma l’arbitro non vede il fallo che fa uscire il giocatore nerazzurro in barella e gli olandesi continuano il contropiede come nulla faccia. Simpatici.

Entra Totò e Marika sale anche lui in cattedra. Totò fa i movimenti giusti e non ha paura, pur essendo un diciottenne all’esordio in Lega dei Citroni. Certo è leggero e spesso viene lanciato via, ma le migliori conclusioni in porta sono due sue battute senza pensarci due volte che vengono fermate dalle gambe dei difensori olandesi, e un diagonale di Marika che esce di poco. Ci proviamo fino alla fine, ma il risultato rimane inchiodato su un tutto sommato legittimo pareggio.

La squadra è in netto miglioramento, e questo è il dato principale. Un pareggio alla prima non è un dramma anche considerato il pareggio identico nell’altro scontro del girone. Certo con un po’ di culo si potevano portare a casa i tre punti, e l’infortunio alla Pantera ci costringerà ad accellerare i tempi del cambio di modulo tanto agognato per questa prima parte di stagione. E’ anche vero che era l’avversario più abbordabile, ma non mi sento di criticare la squadra più di tanto. Forse avrei fatto dei cambi un po’ più in fretta per tenere alto il ritmo ed evitare di spremere alcuni veramente un po’ allo stremo. Recuperare il Sindaco e il Bambino d’Oro è una priorità assoluta. No drama. No panic.

Inter in Wonderland: the dark side of the lord, il limbo dei tormenti

12 Settembre 2010 1 commento

Al ritorno dalle nazionali, gli eroi nerazzurri arrivano alla Pinetina immersa in un silenzio surreale. Circospetti i nostri beniamini si avvicinano agli uffici di Ciccio Benny, dai quali non fuoriesce un suono. Il buio domina la valle di Appiano, è mattina presto, ma nonostante tutto si dovrebbe almeno intravedere il Sole. Uno per uno, in fila indiana, entrano nelle strutture nerazzurre per cercare di capire che cosa stia succedendo. Nelle stanze i mobili sono coperti da lenzuoli candidi e immobili, qualche ragnatela inizia a fare capolino agli angoli delle pareti. L’Inossidabile Capitano, primo fra tutti ad entrare, guarda atterrito i proprio compagni di squadra.
Finalmente, nell’ultima stanza, quella del mister, trovano Ciccio seduto dietro la scrivania, zitto, lo sguardo concentrato e perso nei propri pensieri. I ragazzi, a un cenno del capitano, si schierano lentamente di fronte al neo allenatore, in attesa di capire dalle sue parole che cosa sia accaduto. O che cosa stia accadendo. Dopo interminabili minuti, Benny focalizza lo sguardo sui nuovi arrivati e comincia una piccola orazione greve, senza alzare la voce, come se fosse di estrema importanza per tutti capire la delicatezza del momento e il pericolo che si sta correndo.

“Quando sono arrivato qua il primo settembre, tutto era cambiato. Voi non c’eravate. Alcuni di voi a casa con le famiglie, altri in viaggio per giocare con la propria nazionale. Sono arrivato e i prati verdi erano diventate distese desolate, le mura prima sgargianti opprimenti barriere grigie, i visi sorridenti tirati musi da zombie. Non so cosa sia accaduto. Non so quale svolta abbiamo sbagliato. Ma so che il luogo dove ci troviamo, questo sepolcro prematuro, non è più il Paese delle Meraviglie che avevate conosciuto fino a poco tempo fa. Abbiamo attraversato l’ennesimo specchio che ci ha riportato nel passato, o forse nel futuro. So solo che le insidie saranno ancora più numerose, e che quello che pensavamo fosse un gioco e niente più che un gioco, è improvvisamente diventato qualcosa di molto più letale e pericoloso. Siamo arrivati nel lato oscuro del Paese dei Cachi. E non so se riusciremo a tornare da dove siamo venuti. Non abbiamo altra scelta che stare vicini e cercare di combattere tutti insieme per ritrovare il sorriso e per far tornare i colori in questa landa perduta. Siete con me? Saremo soli e sarò solo contro tutti, saremo i capri espiatori, le vittime designate, siete disposti a combattere con me?”

Gli eroi perplessi, e con loro i tifosi impotenti spettatori, hanno trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui il mister ha parlato. Poi si sono guardati l’un l’altro, alcuni increduli, altri spaventati, altri ancora sardonici. E hanno lasciato che a parlare fossero i fatti. Si sono girati e sono andati sul campo di allenamento, aspettando che Ciccio li raggiungesse per provare a raddrizzare un’avventura che stava prendendo una piega veramente tetra. Il cunicolo dopo il trionfo al Bernabeu forse era solo l’inizio. Ma almeno sanno di non essere soli nell’odissea che stanno per intraprendere. Si sono voltati verso i piccoli spalti. E hanno visto che la gente era ancora lì. Per loro. E per se stessi. E per i colori del cielo e della notte. Si sono tornati a guardare l’un l’altro e hanno cominciato a preparare la successiva partita.

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In un San Siro trasfigurato e diafano, mezzo vuoto nonostante la bella giornata, con il terzo anello blu vuoto di sostenitori che grazie alla tessera del tifoso hanno potuto comprarsi un comodo posto nel terzo anello rosso in mezzo ai sostenitori della Beneamata (complimenti!), Benny schiera ancora il 4-2-3-1 con importanti novità: dietro i terzini sono l’Inossidabile Uomo d’Acciaio – che sa il fatto suo – e un Crystal che definire in stato confusionale è dire poco. Il ragazzo non ne azzecca una e il suo attaccante lo marca meglio di quanto faccia lui a parti invertite: togliamolo da quella posizione perché tra poco diventerà un bersaglio mobile a San Siro e non so se lo merita. In mezzo il Pelato e la Marika, davanti al trittico Principe-Olandesina-Leone si aggiunge l’Iguana delle Banlieues.

Nei primi minuti la squadra gira, di fronte al coraggiosissimo 5-4-1 tutti dietro la palla del pretino Guidolin, e grazie a una dormita colossale della difesa furlana l’Orco può segnare di sinistro mentre finisce di fumarsi una sigaretta. I minuti passano e il limbo in cui sembrano essersi perduti la determinazione e gli automatismi nerazzurri inizia a manifestarsi. E’ difficile individuare un colpevole: sicuramente Crystal non ne imbrocca una, ma c’è da dire che il Leone sembra non avere voglia di correre e bruciare l’erba: o meglio corre, ma è come se qualcosa non quadrasse; l’Iguana non fa una sovrapposizione o un movimento giusto manco a pagarlo, imitato a ruota dal Principe (passi che tu non abbia lo scatto, ma i movimenti sono rimasti a Madrid insieme alle offerte di cui ci avevi parlato? ti aspettiamo!); Marika ha dei numeri, ma deve ancora imparare la parola tattica. Ci sono anche gli aspetti positivi: da quando si è ventilato l’arrivo dell’Anuro Ligure l’Orco ha ritrovato smalto e il Muro è implacabile; l’Olandesina ha almeno 60-70 minuti di autonomia (forse non doveva giocare la seconda partita con l’Olanda perché la mia sensazione è che non sia al top a causa del piccolo risentimento patito); il Pelato e il Capitano sono dei martelli, ringiovaniti – per ora – dalla convocazione in nazionale.
Le poche cose buone non ci salvano e su un innocuo calcio d’angolo pigliamo un fico da Floro Flores Florellin tutto solo in area. E’ il dramma, il tormento dei tormenti, è il vuoto che i tifosi leggono nello sguardo dei loro campioni: non un vuoto dovuto ai muscoli che ancora non rispondono al meglio, ma un vuoto di agonismo, come se le gonadi nerazzurri fossero state levigate fino a diventare bellissimi preziosissimi fragilissimi ornamenti di cristallo. Finisce il primo tempo, inizia il secondo tempo. Ma il limbo permane sul terreno di gioco.

D’altronde anche i furlan ci mettono del loro dato che nei primi 15 minuti il tempo effettivo di gioco tra sceneggiate e finti infortuni rasenta i 120 secondi. Incredibilmente a dare la scossa è l’uscita di Crystal con il Capitano d’Acciaio terzino sinistro e Speedy Gonzales sulla fascia destra che in cinque minuti fa quello che l’Iguana non è riuscito a fare in 60: scende fino in fondo e prova a crossare. Due volte. Incredibile. La squadra si scuote un po’, ma il tono fisico è in discesa verticale. Dentro la Pantera per l’Iguana. Ma la solfa non cambia. La squadra è già in apnea mentale e fisica da tempo.

Com’è come non è riusciamo a procurarci un rigore. Il Leone va sul dischetto. E sbaglia, tanto per rinnovare i tormenti del limbo, ma almeno la ribatte dentro. La squadra non ne ha più. Dentro Calimero – buona la prima anche se per poco – per il Principe con passaggio fugace al rombo ma con l’Olandesina prima punta. Misteri della fede. E del limbo. Marika sta con le bombole ad ossigeno. Il numero di passaggi sbagliati rasenta l’80%. Si contano i centesimi che ci separano dalla fine. Rischiamo di fare la frittata tantissime volte, ma la partita finisce così.

La testa non c’è. Il fisico non c’è. Siamo nel limbo. Speriamo di trovare una via d’uscita. Ma oggi abbiamo strappato con i denti i 3 punti. Ed era tutto quello che contava: brutti, sporchi, cattivi, cinici, fortunati. Quello che volete, ma servivano solo i tre punti. Per il resto, aspettiamo che le nebbie si diradino.

Inter in Wonderland: la palla è quadrata

31 Agosto 2010 Commenti chiusi

Finita l’altalena emotiva e fisica di balzi e rimbalzi sul tappeto elastico, la banda degli eroi nerazzurri con il loro nuovo condottiero orizzontale si affaccia alla maratona della Serie di Oz (o quello che è diventata, che con tutti questi turbillons di nani e ballerine non ci si capisce un cazzo). Benny mette in campo la squadra in maniera simile alla prima amichevole della pre-season, con il Pelato e Marika in mezzo al campo, ma è costretto a variare le due fasce con i tandem Inossidabile-Pantera a destra e Crystal-Leone a sinistra.

Primo tempo che scorre bloccato: sarà il ritardo di condizione che non ci dà 90 minuti, sarà il peso della figura di merda rimediata venerdì, sarà quel che sarà, ma la squadra sembra imballata. Il Principe non è ancora lui, il Leone fa solo timidi tentativi di azzannare, l’Olandesina e Marika sono quelli che si mettono più in mostra. Le migliori occasioni sono degli avversari, arroccati nella loro metà campo in stile “fortezza medievale” con un modernissimo 9-1-1. Fortunatamente sparano fuori entrambe le chances, ma la palla si dimostrerà quadrata: la faccia mostrata nel lato occupato dai rossoblù nel secondo tempo è di fronte ai nostri eroi, e non ci sarà modo di girarla altrove. Solo per una decina di minuti del primo tempo, Ciccio rispolvera una tattica mourinhana: abbassa la squadra, per allungare il campo e aprire gli spazi NON gestendo il possesso palla: ne escono le uniche semioccasioni nerazzurre dei primi 45 minuti.

La compagine nerazzurra entra in campo nel secondo tempo con altro piglio. E mette sotto il Bologna. Marika continua la sontuosa partita, il Principe sembra ritrovarsi almeno per 10-15 minuti, l’Olandesina corre come un pazzo e finalmente Crystal fa quello che deve fare: correre lungo la fascia e creare la superiorità numerica (si dice così, no?). Appena questi meccanismi si oliano, il Bologna prende solo pallonate in faccia, in particolare sulle mani di Viviano che fa almeno tre interventi miracolosi, mentre sull’ultima deviazione di una punizione dell’Olandesina sfodera tutto il culo di cui dispone. Per quanto mi riguarda, dopo sta partita, che marcisse altri 3-4 anni a Bologna: non dico tanto, ma cazzo, non fare i miracoli contro la squadra di cui sei il terzo portiere!

Anche l’ingresso di Totò e dell’Iguana delle Banlieues (scelte da me sostanzialmente condivise e che mi fanno sperare che Ciccio inizi a orientarsi) non cambiano l’inerzia della partita, nonostante il match guerriero del Muro e dell’Orco, la superprestazione dell’Inossidabile nonostante i suoi 37 anni, e la buona prova complessiva.
Purtroppo la faccia del dado della sorte non volge al meglio e la partita termina a reti inviolate, un pareggio come gli esordi in campionato degli ultimi tre anni. Un pareggio che però mi lascia meno amaro in bocca di venerdì sera e qualche speranza in più. Certo, tutte energie buttate, dato che è già fuga per lo stellare Milan della fantasia e del bel calcio, il quale è predestinato a vincere con merito lo scudetto facendo 30 punti nelle prime dieci partite. Ricordatevelo! Tanto se non avete buona memoria ci penserà il circo del calcio televisivo a non farvelo scordare!

Supercoppa Nobilis: la differenza tra vincere e perdere

28 Agosto 2010 1 commento

Che fosse una giornata infausta per i colori nerazzurri si avvertiva durante tutta la fase prepartita: chi ha dormito male, chi si è svegliato con la schiena incriccata, chi nervoso, chi con i testicoli incrociati a x, chi con un nuovo varicocele, chi si è dimenticato delle sue più elementari regole di scaramanzia, ecc. ecc. La giornata è stata mesta, nuvolosa, ma non fresca, appiccicosa, con un cielo grigio che opprimeva tutta una città ricca, brutta e senza alcuna attrattiva, il cui simbolo è uno schema di rombi bianco rossi (i colori dei Colchoneros). Nonostante tutto questo però, lo stadio Louis II è pieno e tutti sperano in qualcosa che volga la giornata al meglio. Nell’ennesima impresa. Che non arriverà. Sfiga. O forse no. Forse solo la differenza tra vincere e perdere, tra vincenti e perdenti.

Ciccio Benny schiera in campo quasi la stessa formazione del Bernabeu e della Supercoppa Italiana. Eh, sì, perché da buono chef pensa di aggiungere quel paio di tocchi che possono trasformare un capolavoro gastronomico in una torta di merda: dentro il Drago al posto della Pantera e schieramento iniziale con un inguardabile 4-1-4-1 un po’ sghembo. Nei primi cinque minuti sbarelliamo e si torna all’ormai consueto 4-2-3-1. Seguono 15 minuti di vera Inter, in cui i nostri eroi si fanno onore.
Ma tra il ventesimo e il venticinquesimo del primo tempo la squadra inizia ad andare in anossia cerebrale e muscolare: non teniamo più una biglia, ogni passaggio di prima è una palla buttata via, gli avversari sono sempre i primi sul pallone. Sembra di vedere la gara di maggio, ma a parti invertite.

Il primo tempo termina meritatamente sullo 0-0, ma i segnali sono pessimi. Ciccio non cambia nulla nonostante palesemente ci siano parecchi giocatori che non ci stanno capendo un cazzo: Crystal in primis, il Pelato in secundis, il Drago sfiatato in terzis. Ma non solo loro.
Bisogna aspettare la cappella delle cappelle, a cui aggiunge la sua parte di colpa anche l’Acchiappasogni prendendo gol sul suo palo, per vedere una reazione sulla panchina. Dentro la Pantera e fuori Deki, ma nessun altro segno atto a scuotere la squadra. Che puntualmente segue il copione dei precedenti 30 minuti. Il secondo gol con fuga solitaria sulla fascia e il Colosso che sta a guardare da lontano (ah, chi diceva che non aveva più voglia di giocare con la nostra maglia forse non aveva tutti i torti, no?) mentre il colchonero la tocca in mezzo per El Kun tutto solo.
Per l’arrembaggio finale Ciccio si scompone: dentro Totò per l’Olandesina (in effetti in debito di ossigeno dopo aver corso come un ossesso e predicato nel deserto), e di nuovo nessuna variazione tattica di rielievo. Cambia poco. Quando al 45esimo Busacca ci concede un rigore che il Principe spara sul portiere con scarsa convinzione il destino è già segnato da tempo.
Riassaggiamo il sapore della sconfitta.

Ora, lo so che è un gioco infame, ma non si può esimersi dal farlo: tre mesi prima una squadra di undici uomini disposti a tutto ha giocato una finale con il coltello fra i denti e al top della condizione (raggiunta rischiando tutto in campionato), contro una squadra con la maglia a strisce biancorosse, con un condottiero che a ogni imperfezione saltava in aria gridando indicazioni e spronando la truppa, vincendo 2-0; tre mesi dopo gli stessi (o quasi, anche se è un quasi che pesa) uomini con 30 minuti scarsi nelle gambe (la preparazione atletica mica la programmo io, eh!) e senza palle hanno affrontato una squadra a strisce biancorosse, con un condottiero dallo sguardo bovino che ha assistito inerte a tutto il match senza riuscire a scuotere di un millimetro l’andamento della gara, perdendo 2-0. Il confronto è impietoso.
I due homini novi del ciclo nerazzurro che si va aprendo – Bancaleon e il suo protetto Ciccio Benny – si stanno giocando molto della propria credibilità e del proprio futuro. Sul fronte diretto dal primo le strategie hanno portato al momento a un totale flop o poco ci manca. Sul fronte del secondo il primo obiettivo importante della stagione è andato a ramengo, e dire che gli era stato servito su un piatto d’argento solo da cogliere e degustare. Le prime cartucce sono state buttate nel cesso. E con loro un buon 50% del credito disponibile presso la mia augusta persona e presso la maggior parte dei tifosi.
Nonostante questo è tempo di guardare avanti. Dopo tutto se non avessi postato stamattina tutto si sarebbe risolto per il meglio e molte delle parole dei paragrafi precedenti sarebbero ben diverse. Quindi se dovete lapidare qualcuno, quel qualcuno sono io. Non mi riesco a dare pace, pur con tutte le razionalizzazioni esposte sopra, del mio grossolano errore in ambito scaramantico. Dio perdona. Nero no. Neanche se stesso.

Supercoppa Ignobilis & Inter in wonderland 2010/2011: Il demone blanco, l’incontro con l’hombre horizontal e il quarto titulo

23 Agosto 2010 Commenti chiusi

E fu così che la compagine nerazzurra appena scesa dal palcoscenico del suo tri(3)pudio, proprio nel momento culminante delle proprie epiche imprese, non si avvide della trasformazione avvenuta nel proprio condottiero, della trappola che il crudele destino cinico e baro riserva a ogni eroe alla fine della propria saga, al fine di garantirne un sequel con adeguato ritorno economico. Erano mesi infatti che Gesù da Setubal combatteva contro il Potere corruttore del Demone Blanco e conclusa la sua opera magna, spossato nel corpo e nella mente, il Vate non poté che soccombere ai malefici artefici (alcuni lo chiamano vil danaro, ma tant’è) del demonio spagnolo nella cui magione aveva appena disputato la più importante partita nerazzurra dell’ultimo mezzo secolo.

I tri(3)plici eroi nerazzurri nulla potevano sospettare quando il loro comandante gli mostrò una scricchiolante sudicia porta anziché l’ingresso degli spogliatoi: si infilarono nell’antro oscuro senza alcun timore e fieri di quanto appena compiuto. Sulla soglia, come a guardia di un percorso ancora tutto da intraprendere, restarono il Colosso e l’ingrato Figliol Prodigo: mentre i loro compagni si addentravano nell’oscurità all’uno l’ormai perduto Vate offrì un calice di vino da sorseggiare insieme in una nuova avventura, all’altro uno sputo in faccia, tanto per chiarire. Il Colosso immobile sulla soglia tentennò fino a che i sentimenti (ok, non proprio i sentimenti, ma cominciano lo stesso con la esse) ebbero la meglio sul potere del serpente tentatore: voltò le spalle al mentore e si avviò verso la fine della fila indiana formata dai suoi compagni di squadra. Il Figliol Prodigo come sempre mostrò un ammirevole aplomb cominciando a sbraitare e a spaccare tutto quello che si trovava a portata di mano: per evitare che gli strepiti del disprezzato fuoriclasse mandassero a ramengo tutto il loro piano, le meringhe diaboliche si adoperarono per posizionare il giovane privo di senno su una catapulta in direzione Manciocity, la città dove divertirsi è più difficile che suicidarsi. Come contrappeso sulla catapulta, per far tornare il sorriso anche sul viso distorto dalle grida del fu Figliol Prodigo mononeuronico, un bel saccone di petroldollari, tanto cari anche al mecenate della spedizione nerazzurra così silenziato per tutta la vicenda da mercato del pesce in cui si stava trasformando l’epica impresa del suo club.

Quando i nostri paladini videro il ghigno del loro ormai ex condottiero chiudere l’uscio e farli piombare nel buio più totale seppero di non poter fare altro che continuare ad avanzare, senza macchia e senza paura, consci del loro valore e di poter superare ogni ostacolo. Seguirono quindi un oscuro e tortuoso cunicolo fino a un abisso tremendo e senza fine di fronte al quale si bloccarono meditabondi. Lungo la strada alla compagine si andavano sommando altri personaggi, alcuni con lode (Totò il Folletto, l’Iguana delle Banlieues), altri con infamia (il Fulmine Cieco di Tegucigalpa, la Foca Ammaestrata, il Reprobo Pancione), e altri ancora si sapevano ancora celarsi nell’oscurità guidati dallo Stregatto Nerazzurro, noto anche come il Direttore. Sull’orlo dell’Abisso tutti sapevano di non aver nulla per cui esitare: o l’andava o la spaccava. In entrambi i casi i cocci sarebbero stati nostri (dei tifosi, intendo): e fu così che i nostri eroi si lanciarono nel vuoto di una nuova avventura, sentendo l’aria strappata dai polmoni per la velocità della caduta, la pressione del buio sulla pelle e sui nervi, la tensione di ciò che sarebbe ancora dovuto accadere e che forse non sarebbe potuto accadere mai più.

All’atterraggio di tutta la compagnia pensò l’enorme panza dell’Hombre Horizontal, ampia e comoda come un paterno materasso, elastica come un trampolino: la compagine nerazzurra aveva incontrato il proprio nuovo condottiero, il gemello sconosciuto e sagace di Pinco Panco e Panco Pinco, Benny “Sancho Panza” Hill. Ed è dalla distesa morbida del suo ventre che comincia questa nuova annata di IIW.

Ben ritrovati?

L’euforia per aver evitato danni all’atterraggio sul fondo dell’abisso contagia rapidamente la ciurma nerazzurra che comincia a saltellare sul tappeto elastico adiposo dell’hombre horizontal come bambini appena arrivati al Luna Park. Purtroppo nessuno degli eroi si avvede che sotto i loro piedi sono nel frattempo entrati sul terreno di gioco i soliti teatranti giallorossi, che si rotolano sotto gli innocenti piedi dei tri(3)plici cavalieri del drago. Le novità in campo sono poche: il 4-2-3-1 di Benny presenta una difesa altissima, un gioco rischioso da fare se hai un terzino come Crystal che si fa tagliare fuori 4 volte dallo stesso movimento e due centrali non proprio sprinter; e davanti mi pare che gli automatismi siano ancora da ritrovare, complice anche una forma ancora in ritardo soprattutto per i giocatori più muscolari come il Principe. Ma tutto sommato Benny mantiene fede a quello che ha detto in conferenza: ha cercato di tenere di buono quello che l’Inter già faceva, e ha cercato di aggiungere qualche tocco personale.

Mentre i tifosi discettano di questi nobili argomenti la rometta picchia dentro un gol d’infilata sulle due mezze azioni imbastite, a dispetto del predominio nerazzurro. I nostri eroi cominciano le evoluzioni sui tappeti elastici e il terreno diventa un tritacarne di calcio: in pratica i giallorossi non rivedono più la biglia fino alla fine della partita, incassando tre reti che non diventano il doppio solo grazie alla misericordia dei nostri beneamati. Da segnalare il ferreo cipiglio del direttore di gara e dei responsabili dell’OP che come al solito solertemente hanno sospeso la partita dato il comportamento incivile del pubblico romanista al colmo della frustrazione: una sera come quella di una sfida diretta poteva essere un’ottima occasione per dimostrare con i fatti che si vuole risolvere il “problema stadi”. Ennesima figura debole, ma ci siamo abituati: i “problemi” meglio riempano le pagine di giornale, le soluzioni non interessano a nessuno.

La partita finisce in tripudio per il quarto titulo, non prima di aver rivisto in campo Adriano2, nel senso di un giocatore che pesa come due: e pensare che pensavamo che il Reprobo Pancione fosse il peggio in circolazione quanto a bulimia. Bene così. Se proprio vogliamo fare gli interisti: è evidente che la squadra ha dei margini di miglioramento e che il mercato da questo punto di vista potrebbe dire la sua. Ma per ora i tifosi mi sa che si dovranno contentare di essere satolli di premi e meno di entusiasmanti progettualità. Per quelle stiamo alla finestra.