Al ritorno dalle nazionali, gli eroi nerazzurri arrivano alla Pinetina immersa in un silenzio surreale. Circospetti i nostri beniamini si avvicinano agli uffici di Ciccio Benny, dai quali non fuoriesce un suono. Il buio domina la valle di Appiano, è mattina presto, ma nonostante tutto si dovrebbe almeno intravedere il Sole. Uno per uno, in fila indiana, entrano nelle strutture nerazzurre per cercare di capire che cosa stia succedendo. Nelle stanze i mobili sono coperti da lenzuoli candidi e immobili, qualche ragnatela inizia a fare capolino agli angoli delle pareti. L’Inossidabile Capitano, primo fra tutti ad entrare, guarda atterrito i proprio compagni di squadra.
Finalmente, nell’ultima stanza, quella del mister, trovano Ciccio seduto dietro la scrivania, zitto, lo sguardo concentrato e perso nei propri pensieri. I ragazzi, a un cenno del capitano, si schierano lentamente di fronte al neo allenatore, in attesa di capire dalle sue parole che cosa sia accaduto. O che cosa stia accadendo. Dopo interminabili minuti, Benny focalizza lo sguardo sui nuovi arrivati e comincia una piccola orazione greve, senza alzare la voce, come se fosse di estrema importanza per tutti capire la delicatezza del momento e il pericolo che si sta correndo.
“Quando sono arrivato qua il primo settembre, tutto era cambiato. Voi non c’eravate. Alcuni di voi a casa con le famiglie, altri in viaggio per giocare con la propria nazionale. Sono arrivato e i prati verdi erano diventate distese desolate, le mura prima sgargianti opprimenti barriere grigie, i visi sorridenti tirati musi da zombie. Non so cosa sia accaduto. Non so quale svolta abbiamo sbagliato. Ma so che il luogo dove ci troviamo, questo sepolcro prematuro, non è più il Paese delle Meraviglie che avevate conosciuto fino a poco tempo fa. Abbiamo attraversato l’ennesimo specchio che ci ha riportato nel passato, o forse nel futuro. So solo che le insidie saranno ancora più numerose, e che quello che pensavamo fosse un gioco e niente più che un gioco, è improvvisamente diventato qualcosa di molto più letale e pericoloso. Siamo arrivati nel lato oscuro del Paese dei Cachi. E non so se riusciremo a tornare da dove siamo venuti. Non abbiamo altra scelta che stare vicini e cercare di combattere tutti insieme per ritrovare il sorriso e per far tornare i colori in questa landa perduta. Siete con me? Saremo soli e sarò solo contro tutti, saremo i capri espiatori, le vittime designate, siete disposti a combattere con me?”
Gli eroi perplessi, e con loro i tifosi impotenti spettatori, hanno trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui il mister ha parlato. Poi si sono guardati l’un l’altro, alcuni increduli, altri spaventati, altri ancora sardonici. E hanno lasciato che a parlare fossero i fatti. Si sono girati e sono andati sul campo di allenamento, aspettando che Ciccio li raggiungesse per provare a raddrizzare un’avventura che stava prendendo una piega veramente tetra. Il cunicolo dopo il trionfo al Bernabeu forse era solo l’inizio. Ma almeno sanno di non essere soli nell’odissea che stanno per intraprendere. Si sono voltati verso i piccoli spalti. E hanno visto che la gente era ancora lì. Per loro. E per se stessi. E per i colori del cielo e della notte. Si sono tornati a guardare l’un l’altro e hanno cominciato a preparare la successiva partita.
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In un San Siro trasfigurato e diafano, mezzo vuoto nonostante la bella giornata, con il terzo anello blu vuoto di sostenitori che grazie alla tessera del tifoso hanno potuto comprarsi un comodo posto nel terzo anello rosso in mezzo ai sostenitori della Beneamata (complimenti!), Benny schiera ancora il 4-2-3-1 con importanti novità: dietro i terzini sono l’Inossidabile Uomo d’Acciaio – che sa il fatto suo – e un Crystal che definire in stato confusionale è dire poco. Il ragazzo non ne azzecca una e il suo attaccante lo marca meglio di quanto faccia lui a parti invertite: togliamolo da quella posizione perché tra poco diventerà un bersaglio mobile a San Siro e non so se lo merita. In mezzo il Pelato e la Marika, davanti al trittico Principe-Olandesina-Leone si aggiunge l’Iguana delle Banlieues.
Nei primi minuti la squadra gira, di fronte al coraggiosissimo 5-4-1 tutti dietro la palla del pretino Guidolin, e grazie a una dormita colossale della difesa furlana l’Orco può segnare di sinistro mentre finisce di fumarsi una sigaretta. I minuti passano e il limbo in cui sembrano essersi perduti la determinazione e gli automatismi nerazzurri inizia a manifestarsi. E’ difficile individuare un colpevole: sicuramente Crystal non ne imbrocca una, ma c’è da dire che il Leone sembra non avere voglia di correre e bruciare l’erba: o meglio corre, ma è come se qualcosa non quadrasse; l’Iguana non fa una sovrapposizione o un movimento giusto manco a pagarlo, imitato a ruota dal Principe (passi che tu non abbia lo scatto, ma i movimenti sono rimasti a Madrid insieme alle offerte di cui ci avevi parlato? ti aspettiamo!); Marika ha dei numeri, ma deve ancora imparare la parola tattica. Ci sono anche gli aspetti positivi: da quando si è ventilato l’arrivo dell’Anuro Ligure l’Orco ha ritrovato smalto e il Muro è implacabile; l’Olandesina ha almeno 60-70 minuti di autonomia (forse non doveva giocare la seconda partita con l’Olanda perché la mia sensazione è che non sia al top a causa del piccolo risentimento patito); il Pelato e il Capitano sono dei martelli, ringiovaniti – per ora – dalla convocazione in nazionale.
Le poche cose buone non ci salvano e su un innocuo calcio d’angolo pigliamo un fico da Floro Flores Florellin tutto solo in area. E’ il dramma, il tormento dei tormenti, è il vuoto che i tifosi leggono nello sguardo dei loro campioni: non un vuoto dovuto ai muscoli che ancora non rispondono al meglio, ma un vuoto di agonismo, come se le gonadi nerazzurri fossero state levigate fino a diventare bellissimi preziosissimi fragilissimi ornamenti di cristallo. Finisce il primo tempo, inizia il secondo tempo. Ma il limbo permane sul terreno di gioco.
D’altronde anche i furlan ci mettono del loro dato che nei primi 15 minuti il tempo effettivo di gioco tra sceneggiate e finti infortuni rasenta i 120 secondi. Incredibilmente a dare la scossa è l’uscita di Crystal con il Capitano d’Acciaio terzino sinistro e Speedy Gonzales sulla fascia destra che in cinque minuti fa quello che l’Iguana non è riuscito a fare in 60: scende fino in fondo e prova a crossare. Due volte. Incredibile. La squadra si scuote un po’, ma il tono fisico è in discesa verticale. Dentro la Pantera per l’Iguana. Ma la solfa non cambia. La squadra è già in apnea mentale e fisica da tempo.
Com’è come non è riusciamo a procurarci un rigore. Il Leone va sul dischetto. E sbaglia, tanto per rinnovare i tormenti del limbo, ma almeno la ribatte dentro. La squadra non ne ha più. Dentro Calimero – buona la prima anche se per poco – per il Principe con passaggio fugace al rombo ma con l’Olandesina prima punta. Misteri della fede. E del limbo. Marika sta con le bombole ad ossigeno. Il numero di passaggi sbagliati rasenta l’80%. Si contano i centesimi che ci separano dalla fine. Rischiamo di fare la frittata tantissime volte, ma la partita finisce così.
La testa non c’è. Il fisico non c’è. Siamo nel limbo. Speriamo di trovare una via d’uscita. Ma oggi abbiamo strappato con i denti i 3 punti. Ed era tutto quello che contava: brutti, sporchi, cattivi, cinici, fortunati. Quello che volete, ma servivano solo i tre punti. Per il resto, aspettiamo che le nebbie si diradino.