American Gangster
American Gangster è un film come tanti o poco più tra le migliaia di mega produzioni americane. L’unica sua vera funzione è confermare che il meglio di sé Ridley Scott lo ha già dato a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80, con pellicole memorabili e che rimangono pietre miliari (imho) della storia del cinema. Dal 1992 in poi ci ha offerto solo kolossal di spessore molto modesto e ai quali è stato garantito successo più dal suo nome e dal suo talento che non dal loro valore effettivo (anche come holliwoodianate volendo).
La storia è interessante e il taglio che gli viene dato dimostra che il buon Ridely non è certo un regista qualunque, ma è troppo poco per goderselo: nessun accenno razzista, e puntini sulle i spostati opportunamente sul rapporto tra modello americano (economico e sociale) e dualità legalità/illegalità. Da questo punto di vista la regia è interessante, perché non oppone i nergi spacciatori ai bianchi salvatori, ma un mix più complesso di soggetti che interpretano le porzioni più oscure del sogno americano: l’autista che diventa boss grazie alla determinazione e allo spirito di iniziativa, ma che conserva quel bigottismo usa nonostante sia il principale rifornitore di droga sul suolo statunitense, droga che fa arrivare con ampio cinismo grazie alle coperture dei militari in vietnam pagati a suon di migliaia di dollari (l’ultimo carico è veramente una chicca di crudeltà nei confronti di chi ancora ci crede al sogno americano); il poliziotto violento ma incorruttibile che ripulisce il marcio non tanto dalle strade quanto dalle istituzioni di polizia americane; gli agenti federali corrotti e che mettono l’immagine davanti alla lotta al crimine; i boss italiani che odiano un altro boss non tanto perché fa più soldi quanto perché mette in crisi il loro consolidato modello sociale. Questo aspetto registico sottolineato come di consueto nei film di Ridley dalle battute finali dei protagonisti, che didascalicamente impongono una certa lettura del film, è comunque ciò che porta il film sopra la media.
Frank Lucas: "why should they [the other bosses] witness against me?"
Richie: "because aside from the fact they hate you personally, they hate what you represent"
Frank: "I don’t represent anybody but Frank Lucas"
Richie: "exactly, you represent progress, the kind of thing they won’t be able to survive to"
La citazione è a memoria quindi non sarà proprio letterale, ma dà l’idea.
Il resto del film tiene bene la tensione e si lascia gustare. Tutto dignitoso, sopra la media il montaggio e ovviamente la regia. Forse la conclusione poteva essere più sviluppata, ma poi si andava oltre le due ore e mezza di film e la sintesi è sempre un valore aggiunto nel cinema di massa. Tutto sommato me lo sono goduto, anche se l’estasi di pellicole come Blade Runner e Alien rimangono lontane ere geologiche.
Voto: 6/7
…come si fa a concludere in 10 minuti una storia così lunga?
Anzi due storie parallele, quella del pulismano e di lucas?
E poi, sempre per dar l’idea di far le cose di corsa ci piazzi pure una scritta che informa che lo sbirro dopo aver concluso la sua carriera da sbirro sostenendo l’accusa di lucas ne comincia una nuova sostendendo la difesa di lucas!!!! Ma sarebbe stata una figata di film!
Invece no, titoli di coda e andiamo a casa che i popcorn sono finiti.
E’ come se i due duel-lanti di quando scott sapeva fare i film si fossero fermati per aspettare l’arrivo delle pubblicità. Ma vaffanculo!