Against the Day

24 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Oggi, 24 ottobre, alcuni bastardi hanno già ricevuto la loro copia del nuovo libro di Thomas Pynchon, Against the Day. I più la riusciranno ad avere solo intorno al 21 di novembre, compreso il sottoscritto. Per il momento ci dobbiamo contentare di sbirciare il blog più informato sui dintorni di Pynchon e qualche altro sito, tra i quali il nuoverrimo wiki dedicato proprio all'ultima fatica del genio indiscusso dell'autore nordamericano. 

Chi ha dato una prima scorsa al libro ci ha solo detto che: è lungo 1085 pagine e circa 410.000 parole, è diviso in 5 parti (The Light over the Ranges, Iceland Spar, Bilocations, Against the Day, Rue du Départ), e che il libro a cui assomiglia di più è Gravity's Rainbow, probabilmente il miglior libro scritto in lingua inglese dopo l'Ulysses di James Joyce. Non è dato sapere se l'avviso che era comparso a luglio su amazon.com come anticipazione, scomparso nel giro di un giorno e poi riapparso, sia effetivamente opera o meno di Pynchon, né se sia scritto da lui ma per prenderci per il culo (cosa altamente probabile), ma già le indiscrezioni che emergevano da quell'abstract rendevano il libro molto papabile e interessante. Senza contare il fatto che non manca ovviamente l'alter ego dell'autore, un autentico must per ogni cultore di P., il marinaio Pig Bodine.

Adesso dopo aver provato un brivido nel vedere la copertina del nuovo libro che aspettiamo tutti da dieci anni, non mi resta che aspettare un mese (!) che mi arrivi diretto a casa… sigh!

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Categorie:pagine e parole Tag:

C’è del marcio in… America

24 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Si, ho capito, non è una novità e potrei usare lo stesso titolo per un post di qualsiasi tipo per gli Stati Uniti, ma oggi la mia fantasia non mi assiste, quindi vi adeguate 🙂

L'affare GooTube si tinge già di grigino con la notizia (riportata con particolare cura dall'impagabile Xeni Jardin) secondo la quale YouTube avrebbe consegnato per ordine dei giudici i dati personali dell'autore di un video che la Paramount voleva rimuovere. Come sottolineato su BB (un po' meno sull'agiografico blog di Batelle), l'atto segna un passaggio significativo rispetto all'abituale pratica di rimozione dei video oggetto di proteste da parte delle major (es: 30.000 video rimossi il mese scorso per un accordo con una media company giapponese).

Il problema però evidentemente non sono tanto le smanie dei produttori, quanto la legislazione americana (e peraltro quella italiana, vedi recente caso sui diritti per le rassegne stampa fatta passare tra le righe di una finanziaria con già una marea di problemi, per un evidente promessa da mantenere da parte del governo ai grandi editori che lo hanno spinto nel periodo preelettorale) non solo compiacente con i grandi interessi della lobby del copyright, ma impegnata a dare maggiori poteri pro-attivi nella persecuzione di faide che sembrano onestamente fuori dal tempo. Forse si accorgeranno prima o poi che la distribuzione on demand dei loro materiali protetti da copyright gli eviterebbe un sacco di sbattimenti e gli aprirebbe un mercato enorme, che di fatto annullerebbe o quasi il fenomeno della so-called pirateria <g> (sempre che questa venga considerata un elemento di freno allo sviluppo di un mercato e non un elemento di accelerazione in realtà favorito dalle major stesse come forma di pubblicità indiretta e marketing).

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Categorie:jet tech Tag:

Quando il cinema di genere incontra la realtà, linfa per il cinema italiano

24 Ottobre 2006 Commenti chiusi

 

Giuseppe Tornatore torna alla macchina da presa dopo quasi dieci anni (se si eccettua la parentesi poco nota al pubblico di Malèna) e dimostra che il talento non è acqua fresca: La Sconosciuta è sicuramente uno dei migliori film in circolazione, se non il migliore che ho finora visto (mi spiace per il tipo che è uscito dopo di me dal cinema Anteo e che dissertava su come "Hitchcock è forma e contenuto, qui mi pare solo forma"… Forse voleva darsi un tono da gran intenditore, ma mi sa che ha preso un granchio!).

Nonostante questo, è triste che a dare una speranza all'asfittico panorama del cinema italiano, travolto sempre da tragedie moraliste e drammi famigliari un po' stucchevoli e ripetitivi (la mamma, la pizza, il mandolino, ecc ecc), debba essere comunque un regista maturo e che proprio quest'anno compie 50 anni. In ogni caso Tornatore dimostra che interpretare il cinema è ancora possibile nel 2006. La Sconosciuta è il punto in cui il cinema di genere (noir, in questo caso) e l'attualità si incontrano, una sorta di reality fiction (definizione che prendo a prestito dal lavoro che stiamo facendo su blackswift con il socio beirut) in cui elementi della realtà che ci circonda e un pizzico di immaginazione danno la possibilità a tutti di fermarsi a pensare e di non dare per scontato la versione televisiva del presente. Come ha scritto da qualche parte Sandrone (aka il Gorilla), la letteratura (e il cinema) di genere hanno fatto molto di più – nel loro piccolo – per affrontare il problema della deriva culturale che non tanti pomposi saggi e tanti cialtroni in politica.

La trama è avvincente e la tensione ti inchioda dal primo minuto e scema solo nel finale quando lascia il posto alla valutazione dell'attualità, il tutto senza attaccare pipponi e senza stonare. Qualche buchetto di trama qua e là si intravede, ma tutto sommato sono molti di più i pregi e le trovate per far quadrare il cerchio della narrazione, che non le smagliature. Chapeu per la scelta di evitare il lieto fine dove tutti si salvano e sono felici e contenti, optando invece per una realtà ben più grama in cui pagano sempre gli stessi. Ovazione per la scena – totalmente gratuita dal punto di vista del soggetto – del pestaggio di Irina da parte di due Babbo Natale, un momento mitico di astio verso l'odiata festività. Soggetto e sceneggiatura promossi, la regia è eccellente e si completa con una fotografia pulita e lucida con la complicità del panorama urbano italiano (Fabio Zamarion), un montaggio veloce e ben fatto (Massimo Quaglia) e  delle musiche come al solito superlative (l'intramontabile Ennio Morricone, notare il 552). Tra gli interpreti: Kseniya Rappoport, Michele Placido e Alessandro Haber sopra tutti. 

Voto complessivo: 8

 

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Categorie:cinema Tag:

Muffe

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

 

Esistono due categorie di cose nel mondo, semplificando: le cose che durano per sempre e le cose che dopo un po' fanno la muffa. Evidentemente in storia e in politica la memoria appartiene alla seconda categoria. In questi giorni infatti se ne stanno sentendo un po' di tutti i colori (principalmente virati al nero, ironia della sorte doverne parlare per me!), tra gocce d'acqua in un bicchiere scambiate per tempeste e urla di dolore che ci raggiungono da episodi di qualche decennio fa. La questione non è banale e merita qualche parola in più di quella che gli si può dedicare.

Ma andiamo con ordine: saltando a pie' pari il dibattito revisionista che sta avendo luogo tra Fabre, Luzzatto e altri sul Corriere della Sera (per il quale ho in canna un post da qualche tempo, ma mai abbastanza per reputarlo finito), arriviamo al recente "scandalo" Pansa, uno storico che come tanti altri ha deciso che essere famoso è più interessante che fare il proprio mestiere. Fortunatamente al di là di chi non glielo manda a dire, offrendo sul piatto d'argento l'occasione per il can can moderatista di tutta la vulgata dei costruttori di opinione e di buon senso, c'è anche chi riesce a spiegare con ironia e chiarezza che la Resistenza non è un gadget da usare a proprio piacimento per migliorare i propri introiti. Robecchi domenica su "Il Manifesto" mi ha fatto pisciare addosso dal ridere (se non ci fosse da piangere), e Carmillaonline mi offre spunti in punta di bit 🙂 (primo fra tutti la bellissima storia di Erminia Mattarelli [prima parteseconda parteterza parte] che è una risposta più che sufficiente al revisionismo sensazionalista di Pansa).

Ma la cronaca italiana è un continuo pullulare di episodi che dimostrano la voglia fortissima che esiste nel paese non solo di cancellare con un colpo di spugna uno dei periodi migliori della nostra storia, ma di ribaltarlo, riabilitando soggetti che fino a poco tempo fa non avevano neanche la legittimità di respirare. I tempi cambiano, la memoria è un ingranaggio collettivo fin troppo poco oliato, e c'é chi studia alacremente da decenni il modo in cui recuperare una tradizione che ha sempre e solo significato per i nostri genitori e i nostri nonni miseria, violenza e ignominia.

Settimana scorsa infatti la giunta di Rieti (guidata da qualcuno che orgogliosamente esibisce ancora il suo gagliardetto di Figlio della Lupa) ha approvato una delibera per intitolare una via a quel simpaticissimo personaggio che era Alessandro Pavolini, secondo questi luminari un intellettuale e una figura importantissima per Rieti e per la sua stazione sciistica di Terminillo (motivo più che valido per intestargli una via, no?). Ma chi è Alessandro Pavolini?

La risposta a questa domanda non è difficile, perché fortunatamente il web è pieno di informazioni illuminanti:  perché al di là delle cariche imponenti rivestite durante il Ventennio, il ragazzo è noto alla storia con il nomignolo di "Superfascista", vinto grazie alla sua più brillante trovata… la fondazione delle Brigate Nere. Ora, certamente si potrà dire che questo soggetto ha anche scritto saggi e poesie, ma mi pare che il suo nome sia legato a doppio filo a qualcosa di ben più rilevante e meritevole di essere ricordato con sdegno e orrore, più che altro. Pare però che a Rieti non sappiano leggere, anche se sanno scrivere non solo i nomi sulle targhe, ma anche i commenti nei forum, che penso si qualifichino da soli….

 

Il problema è ovviamente più ampio e non si limita all'ormai mio personale leit motif della sconfitta culturale della sinistra italiana, ma investe il concetto di storia, cronologia e memoria in senso più vasto. E' da tempo che rifletto su questo problema, e parte delle cose che faccio sono un tentativo di risposta attiva alla questione. La storia dovrebbe essere qualcosa di più di una mera cronologia, del tentativo di ridurre gli eventi a un prodotto di fattori scientificamente determinati, perché purtroppo o per fortuna, quando ci sono di mezzo gli esseri umani, c'é sempre molto poco di scientifico e razionale. Il mio cruccio da molto tempo, e il fatto che i movimenti siano uno degli ambiti in cui lavoro di più non aiuta, è come dare spazio all'esperienza, come fare sì che la nostra memoria collettiva trasudi l'esperienza di cui è impregnata e non solo la fredda sequenza di eventi che sono tutta quantità e pochissima qualità. Come possiamo scrivere una storia sociale delle cose che viviamo o che sono state vissute? Come possiamo rendere merito alla densità di quello che ci circonda? 

Negli ultimi 30 anni ci sono stati sforzi decisamente maggiori per cercare di dare una soluzione a questo problema, ma è la mentalità diffusa nella società che è antitetica a questo approccio alla storia: le persone vogliono dimenticare, scelgono quotidianamente l'oblio rispetto alla partecipazione, e combattere questa deriva antropologica mi pare una sfida mostruosa nelle sue dimensione, anche se decisamente l'unica che valga la pena di cogliere. Da una lato gli istituti di storia orale (da De Martino al lavoro di Cesare Bermani, tanto per citare i più noti) e dall'altro quelli dedicati alla storia sociale (ad es. l'IISH di Amsterdam) ci stanno mettendo una pezza, ma sempre terribilmente in ritardo rispetto agli strumenti che servirebbero per affrontare efficacemente la questione. Purtroppo il mondo degli storici è totalemtne avulso alla sperimentazione e questo rende tutta la battaglia ancora più ardua, ma forse un giorno si riuscirà a lavorare in molti su una piattaforma dignitosa. Il rischio è che lo faccia prima qualcun altro e un altro pezzo di relazioni diventi nient'altro che il nuovo pollo da spennare nell'epoca della monetizzazione totale. Gli esperimenti non mancano e il terreno dell'educazione partecipata (vedi anche ultimi articoli sul blog di Herny Jenkins [prima parteseconda parteterza partequarta partequinta partesesta partesettima parte]) è un ambito importante in cui ragionare e lavorare, anche qui per lungo tempo snobbato un po' da tutti.

Abbiamo evidentemente letto poco Gramsci e la questione che ha posto per lungo tempo sull'egemonia culturale, e ci ritroviamo a fare i salti mortali per oliare l'ingranaggio collettivo della memoria e di quel pezzo di storia che solo la nostra esperienza può descrivere.

"Take chronology out of history: what's left?
Experience.
And I am not speaking of skill. I am speaking of living, dense experience. Your religion (as many others I would say) just states that concerning the present being so damn important: it says that presence is the only experience you can truly know, that past and future are not experiences you can live, but appearances of other people's experiences. At the same time it reveres anchestor because your religion deems they lived theri experiences and that from that learning came understanding, and maybe it can get down to you as well, if you think about it 🙂

In a paper we would distinguishes chapter for their heading (sometimes) or for the small nice drawing at the end of a paragraph, or for the sign on that really nice book. At the same time those are not the element that defines our experience of the book or the  chapter or the story. Those are the placeholders.
They are by no means more meaningful than the rest, rather I would say the contrary. The feeling of that novel or chapter will stay with you, will become part of your experience, while the placeholder will be your brain chronology of detail. Some are better and remember placeholder very neatly, some (like me) tend to confound them and mingle them with the experience itself. But the distinction (and I think the similitude as well) still stands.

You know chicago weather and that saved your ass. But I don't think you would deem important to know the first time you understood that a certain smell meant it was going to rain or snow very soon, rather the fact that you can tell that smell and connect it with rain, snow and with your life.

History is defeat and a slow progress towards nothingness, but experience is so deep and feeling, it makes you perceive how dense reality is and at the same time how passing and fleet.

The real problem is: how can we pass on experience and break the domination of chronology? how can we keep screens when we need them and devise a way to not lose all paper with it? We need to make an effort, just as me, refraining from reading your attachment

We need to make an effort, just as me, refraining from reading your attachment in the hope a paper letter will come and give me more depth. In the same way maybe we have to make an effort and build a new concept of story, of science, of perception.

Going back to your religion, buddhist were not the only one saying that separation is an illusion. Leibniz spoke of monads, and though reality was defined by so little elements that their cumulated perception could seem objective but was in the end totally subjective, a paradox which leads to reality being appearance.
You see it's curious. As soon as I began thinking on this things I began reading the Barock Cycle by Neal Stephenson. My brain and my experience resonating with each other: did I chose the book because I was thinking on history, experience, perception? Or did I think of these things because I perceived the book as coming by?
There is no way to tell, but the two elements together make my experience dense and meaningful, more than the sequence of the events." (from a mail to Soph, hope she does not mind 🙂

 

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Un oscuro scrutare: esperimento riuscito!

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

 

Il nome di Linklater non mi diceva nulla, così ho consultato la bibbia e ho scoperto che era il regista di Suburbia, un filmetto niente male di qualche tempo fa. La cosa non mi ha stupito, dato che, nonostante il silenzio assordante nel mezzo del quale è stato distribuito (avete mai visto il trailer?), A Scanner Darkly può dirsi un esperimento riuscito.

La tecnica di cartoonizzazione delle scene e il lavoro di postproduzione rendono perfettamente il senso di spaesamento dell'opera di Dick, e devo ammettere che la tuta disidentificante è esattamente come tutti gli amanti di PKD se la immaginavano. Il film è molto fedele (qualche semplificazione nel finale giusto per non perdersi un 20% degli spettatori per pura questione di stile) al libro originale, e non manca di gratificare i devoti dickiani di alcuni momenti cult: la scena paranoide iniziale e il tentato suicidio di Frecks sopra tutti gli altri.

Purtroppo la profondità umana e politica del libro non esce in tutta la sua potenza nel film, ma diciamo che quello che si può fare in due ore lo fa tutto. Le polemiche che  hanno accompagnato la preparazione del film mi paiono ampiamente ingiustificate e mi azzarderei addirittura a dire che vedono uno dei pregi più grandi del film (la focalizzazione sulla recitazione più che sul marketing o l'effetto speciale) come una specie di limite, nell'hollywoodiano mondo di plastica. La colonna sonora dei superbi radiohead è la ciliegina sulla torta.

Voto complessivo: 7

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Categorie:cinema Tag:

Et voilà!

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Et voilà: un pezzetto di fiore sardo, un pezzetto di caciotta mista di latte di pecora e capra, una robiola, 50g di crudo di parma, mezzo salamino ben stagionato, un passato di verdure (ottenuto dal brodo vegetale fatto il giorno prima per qualsiasi motivo), un pacchetto di fagolosi, un po' di pane tagliato a pezzetti e scaldato nel forno per fare i crostini, pomodorini secchi, un'insalata sempliee (noci, songino aka valeriana, pachino, scaglie di grana). La cena sontuosa è servita. Aggiungete un dessert a vostra scelta e sarete sazi per un paio di giorni (il dessert che ho fatto io ve lo conservo per un altro post). 

Tnx to: alissa, mosquito, chiara.

 

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Categorie:kitchen Tag:

Corporate Community: when will you learn?

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Oggi su uno dei photolog che seguo di più, quello di Katie West a cui sono arrivato seguendo il blog del guru Warren Ellis, è apparsa una notizia che offre un perfetto spunto per ragionare sul concetto di community e sulla svendita della valorizzazione sociale delle relazioni che praticamente tutti sono disposti ad accettare nel magico mondo del social networking. 

La notizia scatenante la discussione è la cancellazione senza preavviso da parte di Flickr di un altro photolog molto bello (e seguito :): tetheredtothesun. In un secondo, semplicemente per il metro di giudizio di flickr, il sito è stato cancellato: decine e decine di foto, immagini, impressioni, relazioni, annullate dalla "morale" del sito a cui migliaia di persone si affidano per il proprio social networking.

L'assurdità reale però non sta tanto nel fatto che flickr decida o meno di cancellare un photolog e i motivi per il quale lo faccia – il sito è di una compagnia che può decidere pienamente cosa fare delle proprie risorse – quanto più nelle reazioni della community a questo evento: la maggior parte delle reazioni è di impotenza e sdegno, ma nessuno mette in discussione la possibilità di lasciare flickr. I commenti sembrano più quelli di qualcuno in preda a una pesante dipendenza che di qualcuno che sta facendo qualcosa che ha un senso per lui indipendentemente dalle condizioni in cui lo può fare.

Evidentemente le migliaia di persone che si sono tuffate nel mondo del social networking non riescono a inquadrare minimamente il problema: ovvero che le loro relazioni, il valore immenso di tutti quegli scambi, è alla mercé di chi le sta monetizzando. Il controllo che i reali produttori di valore all'interno delle community esercitano sul mondo che stanno creando è nullo, e il fatto che questo sia il nocciolo del problema non li sfiora neanche. E' un fenomeno socialmente e politicamente singolare, che dimostra quanto sia penetrato profondamente nella psicologia collettiva il concetto della privatizzazione e economicizzazione di tutto ciò che ci contraddistingue come esseri umani.

Perché non esigere che le strutture controllate da una società che deve fare profitti ma che trovano il loro valore nelle relazioni che produciamo siano sottoposte ad una dimensione di maggiore democrazia collettiva? Anche mettendosi nei panni degli ultraliberisti (panni scomodi e non graditi) non c'é alcun motivo per cui il controllo della community sia in antitesi alla monetizzazione da parte della compagnia che gestisce il sito. Ovviamente portando il ragionamento un po' più in là: perché non capire che l'unica soluzione è la capacità di gestire in proprio le proprie community? Sperimentare il social networking come forma reale e incondizionata di democrazia e di socialità e non come un surrogato commerciale delle relazioni che abbiamo tutti i giorni? O forse le relazioni che abbiamo tutti i giorni sono già da tempo schiave di una commercializzazione meno pervasiva ma che costituisce parte integrante della nostra socialità distorta: riuscite a pensarvi sociali senza il vostro pub di fiducia? se la risposta è sì, siate felici di essere un'eccezione.

Il mio pessimismo cosmico rispetto all'umanità mi dice che gli esseri umani non impareranno mai che essere padroni di sé stessi e della propria libertà significa anche essere gli unici giudici delle proprie relazioni: finché flickr sarà il prete che decide i costumi del villaggio e chi deve essere esiliato, sarete in balia di una morale ben misera, quella della corporate policy più adatta in un dato momento in un dato luogo, ovvero quanto ti più prossimo ci sia alla morale comune (che diciamo raramente è sinonimo di indipendenza e tolleranza).

 

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Categorie:imago, jet tech Tag:

Sfiga per sfiga, va bene anche così

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Andare a vincere al Friuli si poteva e avrebbe fatto tanto bene non solo alla squadra ma anche a noi tifosi criptoultras. L'udinese gioca per 25 minuti e ci mette sotto, ma per il resto siamo noi a dirigere l'orchestra. Ci manca l'acuto (come ha scritto qualcuno anche sulla gazza) che ci avrebbe spedito in alto a +4 dalla Roma e a +2 dal Palermo (del cui primo posto comunque siamo felici). Sarebbe bastato un guizzo in più e uno 0-1 non avrebbe fatto storcere il naso a nessuno. Sportivamente possiamo dire che così il campionato rimane più divertente e la classifica compatta è sempre una goduria in più (per chi ama il calcio ovviamente 🙂

L'Inter è in ogni caso trattenuta e si vede: non siamo sciolti nella corsa e nei passaggi. Soprattutto non esibiamo quella certezza che potremmo. Un po' di mancanza di carattere per la quale non bastano le iniezioni dei solisti qua e là (il capitano su tutti, ma in questa fase anche i nostri due centrali difensivi, Dacourt e soprattutto Stankovic che evidentemente sta bene). Ibra stenta e non riesce a brillare come potrebbe, Crespo giustamente fa un test in gara per sentirsi reggere le gambe in vista del derby, a centrocampo Vieira che rientra dopo tre giornate stupide di squalifica fatica a ritrovare la brillantezza delle prime giornate di campionato. Fatichiamo un po' a contenere sulle fasce, ma appena saliamo in pressing si vede che facciamo brutto. Forse dobbiamo solo crederci un po' di piu'.

Rimangono alcuni misteri che forse presto ci verranno rivelati da qualche oracolo (perche' con la sola ragione non riesco a spiegarmeli): il ritardo di condizione di molti nerazzurri (perche' spero non sia stanchezza alla settima di campionato) e i cambi ad minchiam (tnx to "Il Professore"): Mancini sta per cambiare Ibra, lo svedese inizia a fare qualche numero e il nostro allenatore aspetta fino all'84' per mettere dentro il nano da giardino che pure in coppa ha dimostrato di poter dare qualche soddisfazione non solo a Moratti nel palleggio. Certo poi nei dieci minuti giocati non ha combinato un cazzo, ma forse non gliene si può volere. Pieri (il cui padre è stato condannato per cene con Moggi più che sospette un eone addietro, e notoriamente in scuderia GEA) cerca di fare l'imparziale, ma segue nella scia delle direzioni di gara a due velocità: severissime con l'Inter, facilone con le avversarie. Dulcis in fundo uno scazzo sulla distanza della barriera, per il quale si inventa un giallo a Figo (che comunque poteva tirare ed evitare di scassare così tanto il cazzo: un giocatore di esperienza si dovrebbe rendere conto che se l'arbitro non ne ha, non ne ha).

In ogni caso usciamo con la vaga insoddisfazione di non aver visto una vittoria che si poteva strappare, ma almeno di non aver visto una partita orrenda e priva di classe. Speriamo per le prossime durissime con Livorno e Milan, che potrebbero garantirci il salto di qualità. [e il derby me lo devo vedere in norvegia, mannaggia alla morte degli anticipi comunicati dalla FIGC con ritardo].

 

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Categorie:spalti e madonne Tag:

Incontrotempo (3?)

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Il weekend appena trascorso sono andato a fare visita ai fratelli e alle sorelle di acrobax, per la terza edizione di incontrotempo: ottimi i momenti di relazione e chiacchera, e anche il nostro dibattito "Dai media mainstream al media sociale" è andato bene, anche se si è trasformato nella parodia di quei corsi di autostima organizzati dalle società informatiche della West Coast americana 🙂

Le aspirazioni degli acrobati erano più importanti e puntavano a rendere diverso questo incontrotempo dalle precedenti edizioni, ma le tragedie che ultimamente li hanno colpiti e la fase che intorno non è esattamente delle migliori quanto a partecipazione e soggettività non li hanno certo aiutati. Rimane un'ottima cosa il fatto che in tanti ci si sia potuti incontrare e si sia potuto parlare di molte cose. Sarà un anno duro, ma forse è l'anno giusto per consacrare la morte definitiva di una soggettività movimentista e la tanto agognata "tracimazione nel sociale" (ipse, cioè frenchi, dixit 🙂

Mi fermo qui, perché oggi ho un sacco di roba interessante da postare e poco tempo.  

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Categorie:movimenti tellurici Tag:

Vertigine

19 Ottobre 2006 Commenti chiusi

A volta è duro ammettere di provare una vertigine. Sentitevi liberi anche voi di perderci le prossime ore. Sigh!

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Categorie:jet tech Tag: