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Archivio per la categoria ‘movimenti tellurici’

Bolzaneto: la normalità del male

13 Marzo 2008 4 commenti

Martedì 11 marzo 2008 i pubblici ministeri Petruzziello e Ranieri
Miniati hanno letto le loro richieste di pena per i 45 imputati per i
fatti di Bolzaneto: le condanne ammontano a qualcosa come 76 anni
complessivi
, ma solo per 15 degli imputati la pena supera la soglia
della condizionale
(ventiquattro mesi) e solo per 8 di questi quella
dell’indulto
(tre anni). Per i restanti trenta le condanne sono di
circa un anno (o meno) a testa, anche considerata la peculiarità delle
condizioni che si sono verificate a Bolzaneto – hanno detto i pm. Il
problema è che non c’è nulla di straordinario in Bolzaneto, se non il
fatto che ciò che è accaduto sia sostanzialmente di dominio pubblico.

La caserma del VI Reparto Mobile di Genova a Bolzaneto nel
luglio 2001 era uno dei due luoghi adibiti a ricevere i fermati e gli
arrestati per poi trasferirli ai carceri di destinazione (o rilasciarli
nel caso dei primi). L’altro luogo era Forte San Giuliano, una caserma
dei Carabinieri. A Bolzaneto per l’occasione si costruì una palazzina
in cui le forze dell’ordine operanti in ordine pubblico dovevano
portare i fermati, consegnarli agli uomini della Digos e della squadra
mobile presenti, con i quali dovevano redigere gli atti relativi al
fermo o all’arresto. Gli arrestati poi dovevano essere "passati" alla
polizia penitenziaria, immatricolati, visitati e trasportati (o
tradotti come si dice in gergo) nei carceri di Alessandria, Pavia,
Voghera, Vercelli.
In realtà – come ormai tutti sanno – a
Bolzaneto sin dall’arrivo le persone venivano sottoposte a una sorta di
contrappasso violento e umiliante, una specie di vendetta, in cui le
forze dell’ordine si autoqualificavano di fatto come avversari dei
manifestanti
. Questa è la prima inversione che spesso si cerca di
fomentare per sminuire i fatti della caserma: nessuno delle persone in
stato di "ristretta libertà" ha dato luogo a episodi di resistenza o di
violenza, e quindi la decisione vigliacca e vile di esercitare la
violenza anziché di svolgere il proprio compito ha una sola origine ben
definita. Le persone venivano accerchiate, insultate, minacciate e picchiate nel cortile, poi venivano minacciate e percosse negli uffici della Digos e della squadra mobile, al fine di far loro firmare dei verbali redatti in italiano anche per gli stranieri.
Ogni volta che le persone venivano spostate dalle celle di sicurezza
all’ufficio trattazione atti e viceversa, dovevano passare in mezzo a
due ali di agenti che continuavano a menare calci, pugni, sgambetti, insulti, sputi. Nelle celle di sicurezza le persone non potevano stare sedute, ma dovevano stare in piedi con la faccia al muro, le braccia alzate e le gambe divaricate,
tanto che molti hanno avuto malori e conseguenze anche a medio-lungo
termine per la posizioen imposta. Senza contare gli episodi di violenza
fisica e verbale gratuiti. A questo punto i fermati venivano
rilasciati, non dopo essere stati fotosegnalati dalla scientifica (dove
però non avviene nessun episodio di violenza), mentre gli arrestati
passavano nelle mani della Polizia Penitenziaria, dove il trattamento nelle celle continuava: divieto di andare in bagno o l’accompagnamento con pestaggi e umiliazioni; violenze gratuite; minacce e intimidazioni continue. Dalle celle gli arrestati venivano immatricolati senza consentire loro di avvisare i familiari o i propri consolati,
poi vengono perquisiti e visitati nella stessa stanza, dove agenti e
medici li trattano con violenza e scherno. Poi tornano alle celle e
infine tradotti ai carceri, alcuni dopo oltre 30 ore di permanenza nella struttura temporanea senza cibo e acqua. Per molti l’arrivo in carcere è praticamente una liberazione.

Per tutto questo i pm avrebbero voluto usare il reato di tortura, che però in Italia non esiste,
nonostante il nostro paese sia firmatario della convenzione delle
Nazioni Unite sulla tortura del 1989, che impegna i paesi firmatari a
tradurre in disposizioni di legge il contenuto della convenzione: a
venti anni di distanza nessuna legislatura è stata in grado di portare
a termine questo compito. Al di là di questa carenza i pm hanno deciso
di individuare e punire con pene più severe il cosiddetto livello
apicale, ovverosia i capi dell’ufficio trattazione atti, i capi del
sito di bolzaneto, dell’infermeria, del servizio di traduzione, dei
servizi di vigilanza alle celle: in pratica hanno ritenuto che il loro
ruolo di responsabilità e garanzia fosse più importante e quindi da
punire con più fermezza. Da questo livello hanno deciso di escludere il
responsabile formale del sito, il magistrato Alfonso Sabella che pure
vi era passato e che aveva a maggior ragione un ruolo di garanzia nei
confronti di chi transitava in quei siti. Ma la solidarietà di casta
non conosce confini. Viceversa hanno ritenuto che i livelli intermedi e
gli agenti che effettivamente sono stati i protagonisti dei trattamenti
fossero responsabili solo di episodi da inserire in un clima di
impunità da attribuire ai loro dirigenti. Eccezioni sono ovviamente gli
agenti individuati e riconosciuti con chiarezza come protagonisti di
singoli atti di particolare crudeltà: ad esempio Pigozzi che prende a
due a due le dita della mano di un arrestato, AG, e le divarica fino a
strappargli la mano. Il risultato finale sono una richiesta di pene (da notare che spesso i tribunali comminano pene inferiori alle richieste del pm) di circa 76 anni,
una sola assoluzione, ventinove posizioni in vista di prescrizione e
comunque entro i termini della condizionale, quindici posizioni con
pene un po’ più cospicue.

Tutti soddisfatti? Direi di no, per almeno due motivi importanti (e una miriade di motivi più triviali): in primo luogo queste
condanne equivalgono a meno della metà degli anni di carcere chiesti ed
ottenuti per le 25 persone accusate di aver partecipato agli scontri
della giornata
, e l’atteggiamento dei pm nei confronti degli
imputati è stato improntato a un garantismo e una prudenza esasperati,
tali che se non vi era prova certa del fatto e dell’identificazione di
un imputato come autore di quel fatto, si sono pronunciati sempre e
comunque per l’assoluzione (fermo restando l’ottimo lavoro svolto dai
pm nel clima di difficoltà che un processo contro le forze dell’ordine
rappresenta sempre). Non che nessuno sia interessato al fatto che
queste persone passino mille anni in carcere, ma una condanna più dura
in un caso come questo dove siamo alle porte della prescrizione sarebbe
stato un segnale più forte da parte della procura rispetto a quanto è
avvenuto e quanto avviene tutti i giorni (vedi sotto). E’ facile capire
come chiunque sia passato da Bolzaneto e non abbia denunciato quello
che vi avveniva lo faccia in malafede e si renda corresponsabile di ciò
che è accaduto. Mettete nell’equazione i campi dove tenevano i
desaparecidos in Argentina al posto di Bolzaneto e vedrete che i conti
tornano. Ma la giustizia si fa garante dell’onere della prova della
commissione di un reato solo quando questo reato è esercitato da chi
sta tra i ranghi del potere: infatti per le 25 persone accusate degli
scontri di piazza, non vi è stato alcuno scrupolo né nell’individuare i
singoli reati commessi, né nello scegliere un capo d’accusa che avesse
senso: servivano pene esemplari, e si è usato il reato necessario,
anche a dispetto della realtà. La conclusione amara a cui uno deve
giungere è che è meglio torturare come sottoposto centinaia di persone,
che non spaccare due vetrine o lanciare quattro sassi
: nel primo caso prendi 10 mesi e sei libero, nel secondo prendi 10 anni di galera.

Il secondo punto problematico è la motivazione per le pene contenute
richieste per gli esecutori materiali: secondo i pm le condizioni della
caserma di Bolzaneto sono state eccezionali, nella commistione di
diverse forze dell’ordine, nella poca chiarezza degli ordini, nella
concitazione di quei giorni. Questa straordinarietà ha convinto i
procuratori a non chiedere la recidività delle condotte e a chiedere in
prima persona l’applicazione della sospensione con la condizionale
della pena. Il problema è che quanto
è avvenuto a Bolzaneto non è per nulla eccezionale, ma è la prova
vivente di quanto avviene tutti i giorni in moltissimi luoghi del
paese, nelle caserme, nei centri di permanenza temporanea, nei carceri
e alle volte (si vedano i casi recenti di Aldrovandri e di Sandri per
citarne due) anche nelle strade.
Bolzaneto è la rappresentazione
dell’anima nera di una buona parte delle forze dell’ordine, della
sensazione di chi veste una divisa di essere al di sopra della legge e
di poter esercitare arbitrariamente il proprio potere su tutto e su
tutti, in particolare su coloro che sono detenuti (o comunque
"ristretti" nella loro libertà come i migranti in un CPT o i fermati in
una cella di sicurezza della questura). L’arroganza e la prepotenza di
moltissimi (non tutti, ci mancherebbe, non facciamo della facile
demagogia) membri delle forze dell’ordine è un dato di fatto, e
qualificare Bolzaneto come eccezione forse non rende un grande servizio
alla possibilità che tutto questo cambi. Ma la strada perché le persone
si interessino veramente di come funziona il mondo che le circonda e di
come si esercitano il potere del controllo e della repressione è ancora
molto lunga. Bolzaneto in questo senso è un’occasione persa, alla
ricerca di infilare tutto sotto il tappeto considerandolo come un
episodio terribile ma isolato.
Il male è molto più ordinario di quello che piace pensare.

Maggiori Informazioni: supportolegale.org

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su carmillaonline   e precaria.org

Incontro a Milano: controllo, antiterrorismo e intelligenze criminali in Germania e Italia

9 Marzo 2008 Commenti chiusi

 


10 marzo 2008 – ore 20
Cascina Autogestita Torchiera senzacqua

piazzale cimitero maggiore 18, Milano
[mezzi: bici, tram 14, bus 40, radiobus]


Chi sono i veri cattivi?
controllo, antiterrorismo e intelligenze criminali

Il 31 luglio 2007 Florian L., Axel H., Oliver R. e Andrej H. vengono
chiusi nel carcere Moabit di Berlino. Tutti e quattro gli arrestati,
con indosso tutte in stile Guantanamo, vengono poi trasportati in
elicottero agli uffici del procuratore a Karlruhe la stessa notte, e
posti in stato di arresto investigativo. Lo stesso giorno le case di
altre tre persone, Matthias B. e due altri ricercatori vengono
perquisite e viene loro notificato un provvedimento di indagine.

Una brutta storia di criminali, membri di Al Quaeda o mercanti di schiavi?
No. Ma neppure stinchi di santo: le persone che hanno ricevuto questo
trattamento sono ricercatori e attivisti politici fortemente impegnati
contro l’erosione delle libertà civili e contro la trasformazione
sociale imposta da logiche commerciali. Nei loro testi sono presenti
parole comegentrificazione, disuguaglianze, Parolacce di difficile
comprensione. Ma che in realtà descrivono in modo scientifico il processo di trasformazione a cui sono sottoposti anche i quartieri popolari delle aree centrali delle città (a Milano, L’Isola),soggetti a forti speculazioni del mercato edilizio.

In un mondo ideale, a chi pensa diversamente si contrappongono altre idee. Ma siamo invece in un mondo fin troppo reale. L’arresto di Florian, Axel, Oliver e Andrej sembra essere una delle tante "sviste" della lotta al terrorismo. Una lotta che, così com’è concepita, serve a seminare il terrore, più che a combatterlo.
L’arresto infatti è stato fatto in base all’articolo 129a del codice penale tedesco, introdotto dal Parlamento nell’agosto 1976 per affrontare il problema della RAF (Roten armate fraktion, un gruppo assimilabile alle Brigate rosse). L’articolo
criminalizza la partecipazione, la promozione e l’appoggio a
organizzazione terroristiche, più che gli atti criminali in sé,
rendendo quindi fondamentale la costruzione di una organizzazione
terroristica come prerequisito per l’uso di questo reato da parte di
una pubblica accusa. Dato che si tratta di un "reato associativo", un
individuo può essere perseguito e punito per tutti i reati commessi
dall’organizzazione della quale è parte, anche se non viene provato che
sia coinvolto direttamente in nessuno di essi.

Andrej H. è stato liberato a fine ottobre e il suo mandato di aresto è stato revocato.
Il 10 marzo sarà a Milano, alla Cascina  Autogestita Torchiera
senzacqua, a raccontare la sua storia. E visto che quello che è
successo a lui potrebbe riguardare ciascuno di noi, insieme a Mirko
Mazzali (avvocato) e Blicero (Supporto legale-Genova G8) cercheremo di tracciare i paralleli con le
leggi e le situazioni italiane, di capire quali sono le logiche della
lotta al terrorismo, quali sono i modi per difenderci dalle sue false
interpretazioni.

Per saperne di più

http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1073
(italiano)

http://annalist.noblogs.org
(tedesco-inglese)

http://einstellung.so36.net/it
(italiano)

http://education.guardian.co.uk/higher/worldwide/story/0,,2153121,00.html

(inglese)

Negli ultimi anni in Germania l’opposizione politica e il giornalismo di indagine sono stati pesantemente sotto attacco da parte di polizia e servizi segreti. Molti giornalisti sono stati spiati, molti manifestanti contro il G8 sono stati criminalizzati, e ora anche scienziati sociali con posizioni critiche vengono accusati di essere parte di una organizzazione terroristica per essersi avvicinati ai movimenti sociali e aver usato parole come "gentrification", "precarizzazione" e "marxista-leninista" nelle proprie pubblicazioni, e perché proprio questi materiali sono state ritrovate anche in alcune lettere inviate da un gruppo che ha rivendicato una serie di attentati contro auto ed edifici militari nei dintorni di Berlino dal 2001 in poi.

Dopo il crollo del blocco comunista e la transizione al capitalismo in Germania Est, alcuni degli arrestati sono stati coinvolti in ricerche e azioni contro i processi di "gentrification" (ovvero la sostituzione
della popolazione dei ceti meno abbienti con gente di ceto medio e alto in zone "strategiche" della città, attraverso il rialzo dei prezzi immobiliari). In particolare alcune porzioni orientali di Berlino sono state oggetto di un ampio progetto di ristrutturazione con effetti devastanti per le famiglie con meno reddito, il tutto guidato dalle dinamiche di privatizzazione introdotte dopo la riunificazione. Gli studi condotti su questa transizione, però, non sono stati solo di natura accademica, ma cercavano di spingere il cambiamento sociale attraverso l’organizzazione di comitati di vicinato che hanno preso il nome di "We will all stay" (Resteremo Tutti, ndt), di cui due degli accusati hanno fatto parte. Inoltre le ricerche condotte da uno degli accusati hanno mostrato che più del 50% dei 140.000 abitanti del distretto in ristrutturazione di "Prenzlauer Berg" avevano abbandonato l’area, giungendo alla conclusione che il progetto "si opponeva diametralmente alle politiche del consiglio comunale e distrettuale che afferma di puntare a riabilitare e conservare le attuali strutture sociali". I fondamenti scientifici di questo ragionamento, che illustrano effettivi sviluppi sociali ed economici, sono stati pesantemente criticati dagli attivisti e dai residenti al tempo, generando un grande dibattito politico

L’arresto infatti è stato fatto in base all’articolo 129a del codice penale tedesco, introdotto dal Parlamento nell’agosto 1976 per affrontare il problema della RAF (Roten armate fraktion, un gruppo assimilabile alle Brigate rosse). L’articolo criminalizza la partecipazione, la promozione e l’appoggio a organizzazione terroristiche, più che gli atti criminali in sé, rendendo quindi fondamentale la costruzione di una organizzazione terroristica come prerequisito per l’uso di questo reato da parte di una pubblica accusa.
Dato che si tratta di un "reato associativo", un individuo può essere perseguito e punito per tutti i reati commessi dall’organizzazione della quale è parte, anche se non viene provato che sia coinvolto direttamente in nessuno di essi.

L’articolo 129a è stato usato tradizionalmente per criminalizzare i movimenti di sinistra. Il nucleo fondamentale dell’articolo è il suo stato di emergenza che ne garantisce la possibilità di sospensione dei
diritti civili di base protetti sotto la normale legislazione penale e procedurale. La detenzione è un elemento centrale dell’articolo, dato che i sospetti sono tenuti in prigione per mesi o addirittura anni in
attesa di giudizio, senza alcuna indicazione di che cosa siano in pericolo di fare. I diritti di visita sono praticamente inesistenti: i sospetti sono tenuti in isolamento per 23 ore al giorno, gli è permesso ricevere solo una visita alla settimana, e anche gli avvocati devono parlare ai loro assistiti attraverso un vetro antiproiettile. Spesso i sospetti sono tenuti in prigioni lontane dalle proprie case, rendendo quasi impossibile per amici e parenti le visite. Il diritto alla difesa viene pesantemente limitato, dato che gli avvocati non hanno accesso agli atti di indagine, rendendo la preparazione della difesa dei loro assistiti parecchio complessa, come anche il fatto che la corrispondenza dell’arrestato è totalmente sotto il controllo del giudice.

L’Esselunga torna al secolo scorso

29 Febbraio 2008 8 commenti

 

Ripubblico un articolo che ho appena postato su precaria.org. Ne approfitto per consigliare a tutti di tenere d’occhio il sito in questione, perché tutta una rete di precari e attivisti sta puntando a farlo diventare una buona fonte di informazione alternativa selezionata, spigliata e aggiornata, o come dice frenchi popolare e sofisticata. Se avete voglia di partecipare, non dovete fare altro che iniziare a pubblicare le cose nella zona OP e poi piano piano costruire una relazione con la rete che vuole essere la protagonista del sito. Un esperimento interessante per rompere il cerchio, vediamo dove va.

L’Esselunga torna al Secolo Scorso

Il 2 febbraio 2008 una cassiera dell’Esselunga di via Papiniano è costretta
a rimanere alla cassa in attesa di un cambio di turno nonostante un
impellente bisogno di andare al bagno, fino a quando, umiliata, non può
fare altro che pisciarsi addosso. Dopo questo episodio, la
cassiera denuncia quanto avvenuto, ma a parte gli articoli di colore,
nessuno si preoccupa. Tranne i suoi datori di lavoro, che il 28 febbraio pomeriggio hanno pensato bene di mandarle un messaggio inequivocabile: un energumeno l’ha aspettata nello spogliatoio del personale, le ha messo un bavaglio in bocca, picchiandola 
e intimandole che "aveva parlato troppo". Sabato 1 marzo duecento
persone hanno manifestato di fronte al supermercato dove lavora la
donna, ma solo due delle novanta colleghe hanno partecipato allo
sciopero indetto dai confederali (fonte: Repubblica). Chi ha aspettato
fino ad ora per preoccuparsi, è bene che cambi idea in fretta.

Che i supermercati Esselunga non fossero un paradiso
si sa da tempo. Che il loro proprietario, il prode e littorio Caprotti
non fosse proprio un libertario anche questo è cosa nota, nonostante le
arie da liberale tradito che ha cercato di darsi pubblicando un libello
contro le Coop (che per carità nessuno vuole difendere, ci
mancherebbe). Ma quello che sta accadendo nel supermercato di via
Papiniano a Milano ha dell’incredibile, e solo un cieco potrebbe fare
finta di non vedere i prodromi di un rigurgito di metodi e pratiche che tutti speravamo appartenere al passato

Il supermercato di via Papiniano è situato giusto di fianco al carcere
milanese di San Vittore, in una zona popolare tuttosommato abbastanza
vicino al centro. E’ una sede abbastanza grande, già presa di mira in
almeno un paio di occasioni durante la mayday del 2004 da iniziative
legate alla campagna "Picchetta una Catena" – che si proponevano alle
grandi catene di tenere chiuso in maniera sensibile il primo maggio,
festa dei lavoratori – e da azioni successive di sensibilizzazione e di
protesta per le condizioni di lavoro.

All’inizio del mese di febbraio le cronache milanesi – che certamente
questo non è argomento da prime pagine, non certo come le parolacce di
Pippo Baudo – hanno riportato un episodio che già in sé avrebbe
meritato di destare preoccupazione: una cassiera ha chiesto ripetutamente un cambio volante per poter andare in bagno; il cambio le è stato negato fino a quando la povera donna ha dovuto pisciarsi sotto,
scoppiando in lacrime per l’umiliazione. Usiamo le parole per quello
che sono: non si è "orinata addosso", non ha "perso il controllo dei
propri organi escretori". Si è pisciata addosso.  A 44 anni. Per non
fare perdere tempo e denaro all’azienda. Vi viene da vomitare? Anche a
noi.

La donna coraggiosamente ha denunciato l’episodio, e si è presa
dieci giorni di malattia perché stava male. E sfiderei chiunque a saper
affrontare una umiliazione simile senza sentirsi male. Al suo ritorno
al supermercato qualcuno deve aver pensato che era necessaria una bella
lezione: altrimenti poi questi dipendenti si montano la testa, no? Il
28 febbraio 2007 la donna si è recata come al solito nello spogliatoio
del personale per cambiarsi a fine turno prima di andare a casa. prendere delle monete per la macchinetta del caffé. Mentre era nello spogliatoio è stata aggredita alle spalle da un uomo, che le ha messo uno straccio in bocca per impedirle di gridare, le ha sbattuto la testa contro l’armadietto e l’ha fatta svenire. Le parole che hanno accompagnato l’aggressione non lasciano dubbi: "hai parlato troppo!"

L’episodio è avvenuto all’interno del supermercato, e quindi
ad opera di qualcuno che non può non essere stato tollerato – e a
pensare male si fa peccato ma ci si azzecca sempre, quindi noi diciamo inviato – dalla direzione del supermercato stesso. Dopo l’episodio i funzionari della Esselunga hanno parlato di "incidente", non hanno avvisato la polizia, né denunciato l’accaduto, e ovviamente hanno ripulito per bene lo spogliatoio, in modo da rendere adeguatamente impunibile il responsabile

I sindacati hanno indetto per il 1 marzo uno sciopero di tutte le Esselunga di Milano,
e davanti al supermercato di via Papiniano si sono radunate nella
giornata di sabato duecento persone, anche se solo due delle novanta
colleghe della vittima hanno partecipato allo sciopero (fonte:
un’articolo su La Repubblica, nella cronaca milanese). Il prossimo appuntamento è un volantinaggio martedì 4 marzo
davanti agli esercizi commerciali della catena. Quando il 31 ottobre
2004 qualcuno si presentò a un’altra Esselunga con uno striscione che
recitava Tutti Santi (i lavoratori) Tutti Stronzi (i proprietari delle catene)
non andava lontano dalla verità: fossero solo stronzi ci consoleremmo.
Il problema è che inizia a respirarsi una brutta aria, come non si
respirava da tempo in territorio italiano, e sembra che prenderne atto
sia molto difficile, o forse solo scomodo per chi crede che la propria
vita sia agiata e priva di complicazioni.

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Happy Birthday Mr San Precario!

28 Febbraio 2008 Commenti chiusi

Fortunatamente il nostro unico santo preferito compie gli anni sul bisestile, sennò ogni anno ci toccherebbe sbatterci 🙂 Accorrete numerosi!

 

san precario birthday party

 

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San Precario CFC cerca atleti e fuoriclasse!

27 Febbraio 2008 5 commenti

 

In occasione del campionato di centri sociali e associazioni antirazziste di Milano ci riproviamo: nasce la San Precario Cricket & Football Club. Ovviamente siamo dei brocchi, ma almeno speriamo di divertirci. Se qualcuno in ascolto su questo blog ha voglia di giocare a calcio e non ha una squadra si faccia avanti. Scrivete pure a nero chiocciola anche no. 🙂 

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Nessuna Pietà 2

15 Febbraio 2008 Commenti chiusi

 

Come previsto oggi è stata letta la sentenza di appello per il processo del San Paolo. Che cosa successe quella notte potete leggerlo e vederlo sul sito che è stato dedicato alla vicenda: http://www.inventati.org/sanpaolo

Oggi il giudice di appello di Milano ha confermato le condanne di primo grado per due dei quattro compagni accusati di resistenza per non essersi fatti picchiare senza scappare, mentre ha assolto con formula piena anche il secondo partecipante al pestaggio immortalato da un cittadino meglio della media da un balcone nei pressi dell’entrata del pronto soccorso. In pratica, come sempre, le forze dell’ordine non hanno bisogno né di dimostrare alcunché per provare che il loro uso di armi e violenza è sempre e in ogni caso legittimo. Sotto il comunicato alla fine dell’udienza

LO STATO SI ASSOLVE

Venerdi’ 15 Febbraio 2008 è stata emessa a Milano la sentenza
d’appello per i fatti dell’ospedale S. Paolo del 16 marzo 2003:
confermata la condanna di primo grado per due compagni ad un anno e
otto mesi, oltre che il risarcimento complessivo di oltre 100.000 euro,
e la piena assoluzione dei tre membri della forza dell’ordine.

Un giudizio basato sulla sola ricostruzione dell’accaduto fornita da
polizia e carabinieri, gli stessi protagonisti dei pestaggi di quella
notte. Nulla hanno contato le testimonianze del personale
medico-sanitario che ha assistito direttamente alle cariche
indiscriminate dentro e fuori il Pronto Soccorso. Ancora meno hanno
contato le evidenti lesioni riportate dagli amici e dai compagni di
Davide, selvaggiamente massacrati, che sono, invece, gli unici ad
essere stati condannati oggi.

Se il processo di primo grado, si era concluso con la (lieve)
condanna di un poliziotto a quattro mesi per abuso di ufficio (ripreso
da un video amatoriale mentre manganellava una persona a terra) e di un
carabiniere a sette mesi per possesso di una mazza da baseball (pena
caduta in prescrizione), assistiamo oggi alla piena legittimazione da
parte della Magistratura del comportamento, in vero stile scuola Diaz,
delle forze dell’ordine.
Lo Stato, ancora una volta, si assolve tentando di stravolgere la
verità nelle aule dei tribunali, agg

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Nessuna Pietà

14 Febbraio 2008 7 commenti

 

Domani, venerdì 15 febbraio 2008, assisteremo all’epilogo del processo di appello per i fatti del San Paolo: nella sera un ragazzo viene ammazzato a coltellate per strada in via Zamenhoff in quartiere Ticinese, da tre neonazisti che portano al guinzaglio un cane di nome Rommel. Altre tre persone rimangono ferite nell’agguato. Il corpo di Davide viene portato all’ospedale San Paolo, e mentre si consuma il dramma, alcuni membri delle forze dell’ordine vengono a "prendere informazioni", sfottendo. Ne nasce un diverbio, e poi un litigio. A quel punto arrivano i rinforzi, celere, gazzelle e pantere. Caricano fino dentro al pronto soccorso. Alcuni si salvano dalla carneficina solo perché si nascondono in sale emergenza del pronto soccorso. Teste spaccate, ossa rotte. Il tutto filmato. Mazze da baseball estratte da bauli di auto di ordinanza. Grida scomposte.

Il processo di primo grado si conclude con una condanna a quasi due anni di carcere per due ragazzi pestati quella sera. Resistenza. Mentre gli unici tre membri delle forze dell’ordine portati a processo prendono qualche mese per abuso d’ufficio. La giustizia. Domani considerato il giudice dell’appello, finirà pure peggio.

Nel frattempo hanno depositato le motivazioni della sentenza di secondo grado per i fatti dell’11 marzo. Nonostante tutto, 15 condannati a 4 anni. Se volete fate voi il confronto con gli anni che si sono presi gli assassini di Davide (in appello 9 e 6 18 anni, per l’omicida e molti meno per i concorrenti). Assassini. O con gli 11 anni dati per il processo contro i 25 per i fatti del g8 di genova.

Poi quando uno si chiede cosa si intende per persi per persi meglio perversi, forse dovrebbe capire che se questo è il livello dello scontro, nessuno si dovrebbe stupire quando qualcuno si stancherà e farà delle stupidaggini. Un po’ come oggi pomeriggio: un presidio di donne in difesa della 194 con un reparto intero di celere schierato davanti a un ospedale. Manco quelle decine di donne fossero dei rapinatori di altri tempi armati fino ai denti. 

Il popolo vuole così, il popolo vuole violenza e sicurezza, illusorie, in cambio della propria libertà. Proprio come negli anni 20. Ognuno faccia i suoi conti.  

Barbarie o civiltà?

3 Febbraio 2008 3 commenti

Ieri a Cosenza, nonostante sia il luogo meno raggiungibile d’Italia dopo il Gennargentu e nonostante la scarsa disponibilità alla mobilitazione delle persone in media, c’erano 15-20 mila persone a manifestare la propria solidarietà per un processo assurdo e costruito sul nulla cosmico. Un buon risultato, di cui chi si è sbattuto per organizzare il corteo può andare orgoglioso. Come nel caso del 17 novembre a Genova dal punto di vista giudiziario sposterà poco, ma dal punto di vista politico – se non fossimo in piena emergenza democratica –  conterebbe qualcosa.

Approfittando del tour irlandese del mio socio, lo precedo nel pubblicare un suo articolo su Il Manifesto, che fa un po’ il punto sui processi e cerca di riproporre un ragionamento che insieme avevamo già sviluppato nei periodi migliori dal punto di vista della riflessione dell’esperienza di Reload, ormai conclusa. Infatti potete leggere i prodromi di questi ragionamenti nel reader di Chainworkers – una cui versione aggiornata e ragionata dovrebbe uscire tra marzo e aprile per Agenzia X con il titolo "Il Libro di San Precario" – e in alcuni dei folder che costituiscono una delle parti più interessanti della vita collettiva di Reload, in cui si spargeva ai quattro venti e distribuiva online e in tutto il quartiere briciole di ragionamento con cui risvegliare le persone che ci incrociavano. Valgono la pena di un occhiata.

 

Un movimento alla sbarra
Dal G8 del 2001 a oggi sono numerosi i casi
in cui la magistratura ha cercato di trasformare le lotte politiche in
azioni puramente delinquenziali

Simone Pieranni

Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova e
Torino. Ma anche Nuoro, Benevento, Brescia, Caserta, Lecce, Catania,
Cosenza, Rovereto, Cecina. Precariato, G8, antifascismo, anarchici,
blocchi stradali. Metropoli e provincia, lotte sociali e iniziative.
Dal 2001 quasi tutto è unito da un unico elemento: il tentativo e la
necessità di difendersi nei molti processi che – dal G8 genovese in
avanti, fino ad oggi – hanno tenuto occupato gran parte del movimento,
così ampio e composito, fino al luglio 2001. Per questo forte,
attraente e portatore di novità. L’esatta collocazione storica del G8
genovese – così come le sue conseguenze – deve ancora essere inquadrata
in modo organico e storico. Sicuramente, nella vita quotidiana di spazi
sociali, militanti, attivisti, ha segnato uno spartiacque, un decisivo
momento di passaggio, sia per quanto riguarda le mobilitazioni di
massa, e la loro eterogeneità, sia per la criminalizzazione, via via
crescente, delle lotte sociali e dei suoi protagonisti.
L’impatto
emotivo e giudiziario seguito a Genova ha dato vita a numeri da
capogiro, una sfilza di nuovi reati prodromici al blocco totale circa
la possibilità di contestazione dello status quo, un impegno costante e
stancante per gli attivisti e le organizzazioni: difendersi, mantenere
intatta la memoria storica e rilanciare le grandi battaglie sociali. Un
compito arduo, con numeri di partecipanti via via in diminuzione, con
la fine dell’esistenza di molti spazi sociali (a Milano il dato è
macroscopico) e la progressiva atomizzazione dell’attivismo (basti
pensare alla crisi di Indymedia e al trionfo dei blog di movimento):
impegni continui su più fronti giudiziari, a confondersi e insistere
con le nuove tecnologie di controllo sociale, sempre più distribuito,
unitamente alla militarizzazione del territorio e alla riduzione delle
lotte sociali a mero e semplice gestione dell’ordine pubblico. La
repressione è soprattutto questo: processi, accuse, reati, che mirano a
criminalizzare ogni tentativo di opposizione, rilancio e memoria
storica o difesa dei propri diritti, vedi Acerra, le lotte No Tav e le
recenti gestioni dell’emergenza rifiuti. Non contano i colori politici,
le appartenenze: a Genova, e da Genova, nasce una nuova strategia
repressiva. Viene tirato fuori, dopo molto tempo, il delitto di
devastazione e saccheggio. Dal 2001 è stato utilizzato oltre che a
Genova, a Milano e a Torino. Un reato che prevede pene altissime e che
riduce le lotte sociali ad azioni delinquenziali fuori tempo massimo e
soprattutto, quasi, comuni. Un passaggio ideologico decisamente
interessante, dopo anni e anni di reati associativi appioppati, e
accade ancora, come niente fosse. Un reato che segna un cambiamento
generale in tema di controllo sociale: chi si oppone allo status quo, è
un devastatore, un saccheggiatore, un delinquente, un barbaro, un
incivile, un corpo non da estirpare in quanto antitetico, ma da isolare
in quanto aberrante. Un reato fortemente ideologico. Devastazione e
saccheggio, ma non solo, basti pensare alla difese dai fascisti che
diventano, per le procure, rapine, violenze private, resistenze. I
filoni, si parla di circa novemila persone sotto processo solo nella
stagione berlusconianafino al 2005, cui poi si sono aggiunti i sindaci
sceriffi e legalisti di sinistra, interessano tutti i gangli attraverso
i quali il movimento tentò di esprimersi nel luglio 2001:
contrapposizione alle politiche liberiste, lotte sociali riguardanti il
tema della precarietà (e con esso il diritto alla casa, ai servizi, al
reddito), le lotte anti repressive degli anarchici, le lotte dei
migranti.
Per gli anarchici, sempre bastonati, non si è trattato di
un’inversione di tendenza: da sempre l’intelligence italiana, prima
della prima repubblica, durante e dopo, ha mirato a loro in ogni
situazione di difficoltà. Per loro il trattamento è sempre lo stesso.
L’operazione più vistosa è stata la cosiddetta Operazione Cervantes: il
27 luglio 2004 furono perquisite un centinaio di persone, di cui 34
indagate per «associazione sovversiva, terrorismo ed eversione
dell’ordine democratico» (270/270bis), mentre 4 furono gli arresti.
L’indagine era finalizzata all’individuazione degli autori degli
attentati all’istituto scolastico Cervantes e a una caserma di Roma nel
2003 e al tribunale di Viterbo nel gennaio 2004.
Nel filone
repressivo post G8, non manca la criminalizzazione di chiunque si
occupi di precarietà (lavorativa, sociale, di esistenza): ecco i
processi contro gli attivisti della MayDay del 2004 a Milano, il
processo per l’esproprio proletario del 6 novembre a Roma, gli
innumerevoli processi per azioni contro la guerra, il reddito, i
migranti e la casa (Bologna, Roma e Firenze ultimamente con le condanne
a 7 anni per chi manifestò al consolato Usa del 13 maggio 1999). Anche
in questo caso le mosse delle varie procure, sembrano inserirsi nel
solco ideologico delle nuove tecniche repressive: disconoscere il
primato politico delle varie forme di opposizione, per sancirne la resa
giudiziaria delinquenziale e tramutare ogni affaire politico in ordine
pubblico, il controllo in militarizzazione, la quiete sociale con la
delazione, per favorire forme sperimentali – basti pensare alla
prossima introduzione degli steward negli stadi – in cui ciascuno è
controllore degli altri e via via di sé stesso, consentendo il trionfo
dell’atomizzazione e della morte sociale.

Cosenza: domani altra prova di memoria

1 Febbraio 2008 Commenti chiusi

 

Domani, 2 febbraio, a Cosenza si terrà un corteo per rispondere a uno dei vari tentativi di seppellire la nostra memoria collettiva in una marea di fango e di verità giudiziarie improntate alla falsità e alla voglia di condannare molta gente per dissuaderne altra dal fare le stesse cose (ad es: ribellarsi 🙂 Lo so, lo so, è difficile raggiungere Cosenza, e dal Nord è una vera odissea, più o meno lo stesso motivo per cui nei cortei fatti nel Nord dell’Italia, di gente dal Sud più Sud ce n’è sempre troppo poca. E’ uno dei tanti riflessi di una questione italiana che non accenna ad essere risolta nonostante le decine di anni passati: quella meridionale. Nonostante questo, se avete un po’ di tempo e un po’ di energia da spendere andare a Cosenza dovrebbe essere tra le vostre priorità: provateci.

A Cosenza un pm ha accolta la richiesta di sbirri e canazzi che per mesi si sono aggirati per l’Italia cercando un padrone per un fascicolo così schifoso da non essere accettato da nessun pm. A Cosenza Fiordalisi ha trasformato un cumulo di suggestioni, mezze parole, accuse e pregiudizi in un teorema cospiratorio più o meno a livello di pericolosità pari ad Al Qaeda, portando a processo 13 persone ree (nel caso, ma per alcuni manco quello) di aver organizzato delle manifestazioni al Sud e di aver convinto le persone a partecipare a Genova, un momento fondamentale nella storia della fine della democrazia nel nostro civilissimo paese. Convincere le persone a protestare per la magistratura cosentina si chiama associazione sovversiva con la finalità dell’eversione dell’ordine democratico: un po’ forte letto così no? Figuratevi se poteste leggere le fandonie su cui si basa l’accusa, le mezze telefonate scherzando, le mail con scritte stupidaggini su cui gli autori avranno riso per ore, prima di ritrovarsele nel fascicolo come prova di una attempata associazione. Il corteo di Cosenza serve per ricordare a un po’ di persone che non tutti si bevono i litri di stronzate che ci raccontano ogni giorno. Forse Caruso, uno degli imputati, doveva riuscire a far passare in parlamento una revisione del reato di resistenza, per cui quando resisti a qualcuno che ti sta sulle palle allora non è reato. Mezzo movimento sarebbe assolto e gli sarebbe stato grato. 🙂 

Leggete tutte le informazioni necessarie sul sito: http://www.cosenza2febbraio.org

 

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La storia siamo noi

30 Gennaio 2008 Commenti chiusi

 

Nel giorno in cui Silvio viene assolto grazie a una legge voluta da Silvio che cancella dal codice penale uno degli articoli contestati a Silvio, mi accingo a pubblicizzare un video racconta le sensazioni e la partecipazione a un corteo che ha cercato di opporsi alla riscrittura della storia collettiva dei nemici pubblici numero uno, come Silvio direbbe, ad opera dei giudici dell’era di Silvio, che hanno sancito che durante il governo precedente di Silvio, la rivolta che ha popolato le strade di Genova era un atto contro lo Stato e contro lo stesso Silvio (tra le altre cose) e che quindi doveva essere punito con oltre 100 anni di carcere da dividere in 25. Se qualcuno scorgesse delle stranezze in tutto questo, non si preoccupi, sarebbe una persona normale, non un italiano qualsiasi.

Scaricate e guardatevi il video La Storia Siamo Noi

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