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Archivio per la categoria ‘movimenti tellurici’

Come truccare un’elezione americana

27 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Se c'è una cosa per cui adoro l'approccio americano ai problemi, è l'attitudine alla disclosure delle peggio cose, ovverosia, tradotto in parole povere, la capacità che hanno di esporre i meccanismi che si celano dietro gli eventi più banali in maniera esaustiva. E' il caso di questo articolo dove si spiega come fare per truccare un'elezione americana, tecnicamente parlando. Ovviamente nell'articolo non si prende minimamente in considerazione la parte politica della questione (e come le forme di manomissione spesso avvengano a quel livello, come nelle ultime due elezioni presidenziali americane) o la parte criminale del tutto (che invece in Italia l'ha sempre fatta da padrone, dai 100 euro a cranio offerte da Forza Italia in Campania alle ultime elezioni, fino alla tradizione siculo-cuffariana di evidente successo). Simm' a mafia, che ce ne facciamo del giochino hi-tech? 🙂

Tra l'altro la soluzione è semplice: fare politica tutti i giorni senza andare a votare. 

 

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Quando la privacy è un problema per gli affari

26 Ottobre 2006 Commenti chiusi

E' curioso notare come in America si sia finalmente sollevato un polverone sugli effetti collaterali che la paranoia securitaria della destra statunitense sta aizzando nella società e nella legislazione del paese da ormai un decennio a questa parte (in effeti anche qualcosa di più): ovviamente il problema rispetto alla tutela della privacy e della sfera della riservatezza dei propri dati è emerso solo quando i grandi manager e i businessmen d'oltreoceano hanno scoperto che i servizi di sicurezza americani potevano copiare, sequestrare e trattenere i loro computer portatili senza dover addurre alcuna motivazione; il tutto grazie alle nuove legislazioni antiterrorismo che come noi tutti conosciamo fin troppo bene hanno in una decina di anni di fatto distrutto ogni parvenza di tutela dall'arbitrarietà dell'esercizio del potere (già in sé quasi un ossimoro, ma a volte già la formalità può essere una buona conquista di partenza).

Una situazione analoga a quella italiana, in cui dopo decenni e decenni di intercettazioni ai danni di chiunque, si grida allo scandalo solo quando a essere coinvolti in una palese violazione ingiustificata della sfera privata sono politici e grandi nomi delle industrie: in un consueto doppiopesismo dove le angherie subite da chi ha più soldi e potere sono più rilevanti di quelle subite tutti i giorni da centinaia di persone (doppiopesismo che ha il suo riflesso nella commissione delle pene detentive e pecuniarie, guarda caso!!). E' curioso, ma nessuno ci fa mai caso… Peccato, no?

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Fini, il velo, la religione, la destra che si insinua

25 Ottobre 2006 Commenti chiusi

In prima pagina del corsera (che leggo in quanto indicatore del mainstream che più indicatore non si può) oggi la mia attenzione è stata attratta da un riquadrino firmato dal leader di AN Gianfranco Fini. L'articolo è dedicato a una disanima del problema del velo, ma quello che per me risulta interessante (al di là della questione del velo che mi pare uno specchietto per le allodole come confermerà la lettura integrale della lettera) è la capacità del leader di AN di riciclarsi come politico rispettabile e la sua maestria nell'insinuare la prospettiva della destra conservatrice e bigotta (storicamente cammuffatta sotto l'egida del liberalismo) in frasi grondanti buon senso e rassicurazioni prevostali. C'è da dire che la sinistra italiana è da tempo incapace di rispondere sullo stesso piano, orfana di politici capaci e di pensatori degni di questo nome (non me ne vogliano le eccezioni).

Nella lettera (che trovate se cliccate sul tasto "continua" del post), Fini parte da una disanima ragionevolissima sul perché non sia il velo il problema ma l'estermismo islamico e l'assenza di libertà che esso porta con sé, per approdare a una condanna del multiculturalismo come forma  di negazione della società aperta. Leggendo lo scritto del leader postfascista, non si può che provare un brivido scoprendo di seguire perfettamente e ragionevolmente il filo logico del discorso. Fermarsi a pensare costituisce spesso un provilegio non per tutti, e forse il buon giornalismo avrebbe voluto un contraddittorio, ma si sa, è roba di altri tempi (dico il buon giornalismo 🙂

Perché fermandosi a pensare Fini scrive: "accettare che si costituiscano, all'interno di una società pluralista, identità culturali separate e chiuse mina alla radice il pluralismo e minaccia la società aperta"; oppure "Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e quei diritti che costituzionalmente spettano a tutti i cittadini senza eccezioni, non ci si può appellare ai principi della legge islamica per esigere spazi o prerogative giuridiche speciali quali, per esempio, le scuole coraniche"; oppure ancora "Perché la concessione di «diritti collettivi» determinerebbe una sorta di feudalizzazione del nostro diritto positivo, calpesterebbe gli stessi diritti individuali dei membri del gruppo". Nella mia testa risuonano le campane dei campanili, gli oratori, i privilegi della Chiesa Cattolica, le sue scuole per cui il governo di centro destra ha costruito la parificazione non solo dei meriti ma anche dei contributi alle famiglie, veicolando parte dei soldi dello Stato direttamente nelle tasche della CEI e della Compagnia delle Opere, nonché, dulcis in fundo, il dannato crocefisso in aula e le misure punitive che adesso sono state implementate per chi non segue l'ora di religione in classe. 

Lungi da me sposare la tesi del laicismo a tutti i costi di scuola francese che alla fine è un specchio triste della tendenza a eliminare le contraddizioni tipica della gestione pubblica della politica corretta alla Americana (così da tenere tutta la merda in casa, per così dire), certo è che un po' di sano atteggiamento egualitario (diverso da ugualitario, spero tutti comprendano) non guasterebbe. Se Fini è davvero convinto dell'identità liberale italiana, abbia il coraggio di negare alla Chiesa Cattolica le stesse cose che negherebbe a questi supposti "barbari islamici" che tanto lo preoccupano. Oppure provi a negare alla comunità ebraica le proprie scuole. Allora sì che ne guadagneremmo tutti, eliminando spiacevoli doppio pesismi dovuti a valutazioni ben più geopolitiche e moraliste di quanto non si vorrebbe dare a bere a tutti quanti.

 

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La scoperta dell’acqua calda negli States

25 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Una breve per raccontare una cosa che mi stupisce sempre: ora voi ovviamente immaginerete che io sia intriso di un forte senso di antiamericanismo, e questo è vero se per americanismo intendete tutto quello che l'America rappresenta per il mondo, ma è falso se intendente in senso assoluto, visto che ho un sacco di amici americani e di cose che mi affascinano dell'America, solo che non emergono normalmente nella cultura generale…. 🙂

Indipendentemente da questo però, uno dopo tutti questi anni ancora si stupisce di scoprire che probabilmente Bush tiene circa 35.000 persone chiuse in una prigione segreta da qualche parte? La cosa stupefacente è che al di là dell'oceano qualcuno possa ancora pensare qualcosa di buono rispetto all'approccio di GWBJr con la libertà. Veramente, un po' più di realismo non guasterebbe! 

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Muffe

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

 

Esistono due categorie di cose nel mondo, semplificando: le cose che durano per sempre e le cose che dopo un po' fanno la muffa. Evidentemente in storia e in politica la memoria appartiene alla seconda categoria. In questi giorni infatti se ne stanno sentendo un po' di tutti i colori (principalmente virati al nero, ironia della sorte doverne parlare per me!), tra gocce d'acqua in un bicchiere scambiate per tempeste e urla di dolore che ci raggiungono da episodi di qualche decennio fa. La questione non è banale e merita qualche parola in più di quella che gli si può dedicare.

Ma andiamo con ordine: saltando a pie' pari il dibattito revisionista che sta avendo luogo tra Fabre, Luzzatto e altri sul Corriere della Sera (per il quale ho in canna un post da qualche tempo, ma mai abbastanza per reputarlo finito), arriviamo al recente "scandalo" Pansa, uno storico che come tanti altri ha deciso che essere famoso è più interessante che fare il proprio mestiere. Fortunatamente al di là di chi non glielo manda a dire, offrendo sul piatto d'argento l'occasione per il can can moderatista di tutta la vulgata dei costruttori di opinione e di buon senso, c'è anche chi riesce a spiegare con ironia e chiarezza che la Resistenza non è un gadget da usare a proprio piacimento per migliorare i propri introiti. Robecchi domenica su "Il Manifesto" mi ha fatto pisciare addosso dal ridere (se non ci fosse da piangere), e Carmillaonline mi offre spunti in punta di bit 🙂 (primo fra tutti la bellissima storia di Erminia Mattarelli [prima parteseconda parteterza parte] che è una risposta più che sufficiente al revisionismo sensazionalista di Pansa).

Ma la cronaca italiana è un continuo pullulare di episodi che dimostrano la voglia fortissima che esiste nel paese non solo di cancellare con un colpo di spugna uno dei periodi migliori della nostra storia, ma di ribaltarlo, riabilitando soggetti che fino a poco tempo fa non avevano neanche la legittimità di respirare. I tempi cambiano, la memoria è un ingranaggio collettivo fin troppo poco oliato, e c'é chi studia alacremente da decenni il modo in cui recuperare una tradizione che ha sempre e solo significato per i nostri genitori e i nostri nonni miseria, violenza e ignominia.

Settimana scorsa infatti la giunta di Rieti (guidata da qualcuno che orgogliosamente esibisce ancora il suo gagliardetto di Figlio della Lupa) ha approvato una delibera per intitolare una via a quel simpaticissimo personaggio che era Alessandro Pavolini, secondo questi luminari un intellettuale e una figura importantissima per Rieti e per la sua stazione sciistica di Terminillo (motivo più che valido per intestargli una via, no?). Ma chi è Alessandro Pavolini?

La risposta a questa domanda non è difficile, perché fortunatamente il web è pieno di informazioni illuminanti:  perché al di là delle cariche imponenti rivestite durante il Ventennio, il ragazzo è noto alla storia con il nomignolo di "Superfascista", vinto grazie alla sua più brillante trovata… la fondazione delle Brigate Nere. Ora, certamente si potrà dire che questo soggetto ha anche scritto saggi e poesie, ma mi pare che il suo nome sia legato a doppio filo a qualcosa di ben più rilevante e meritevole di essere ricordato con sdegno e orrore, più che altro. Pare però che a Rieti non sappiano leggere, anche se sanno scrivere non solo i nomi sulle targhe, ma anche i commenti nei forum, che penso si qualifichino da soli….

 

Il problema è ovviamente più ampio e non si limita all'ormai mio personale leit motif della sconfitta culturale della sinistra italiana, ma investe il concetto di storia, cronologia e memoria in senso più vasto. E' da tempo che rifletto su questo problema, e parte delle cose che faccio sono un tentativo di risposta attiva alla questione. La storia dovrebbe essere qualcosa di più di una mera cronologia, del tentativo di ridurre gli eventi a un prodotto di fattori scientificamente determinati, perché purtroppo o per fortuna, quando ci sono di mezzo gli esseri umani, c'é sempre molto poco di scientifico e razionale. Il mio cruccio da molto tempo, e il fatto che i movimenti siano uno degli ambiti in cui lavoro di più non aiuta, è come dare spazio all'esperienza, come fare sì che la nostra memoria collettiva trasudi l'esperienza di cui è impregnata e non solo la fredda sequenza di eventi che sono tutta quantità e pochissima qualità. Come possiamo scrivere una storia sociale delle cose che viviamo o che sono state vissute? Come possiamo rendere merito alla densità di quello che ci circonda? 

Negli ultimi 30 anni ci sono stati sforzi decisamente maggiori per cercare di dare una soluzione a questo problema, ma è la mentalità diffusa nella società che è antitetica a questo approccio alla storia: le persone vogliono dimenticare, scelgono quotidianamente l'oblio rispetto alla partecipazione, e combattere questa deriva antropologica mi pare una sfida mostruosa nelle sue dimensione, anche se decisamente l'unica che valga la pena di cogliere. Da una lato gli istituti di storia orale (da De Martino al lavoro di Cesare Bermani, tanto per citare i più noti) e dall'altro quelli dedicati alla storia sociale (ad es. l'IISH di Amsterdam) ci stanno mettendo una pezza, ma sempre terribilmente in ritardo rispetto agli strumenti che servirebbero per affrontare efficacemente la questione. Purtroppo il mondo degli storici è totalemtne avulso alla sperimentazione e questo rende tutta la battaglia ancora più ardua, ma forse un giorno si riuscirà a lavorare in molti su una piattaforma dignitosa. Il rischio è che lo faccia prima qualcun altro e un altro pezzo di relazioni diventi nient'altro che il nuovo pollo da spennare nell'epoca della monetizzazione totale. Gli esperimenti non mancano e il terreno dell'educazione partecipata (vedi anche ultimi articoli sul blog di Herny Jenkins [prima parteseconda parteterza partequarta partequinta partesesta partesettima parte]) è un ambito importante in cui ragionare e lavorare, anche qui per lungo tempo snobbato un po' da tutti.

Abbiamo evidentemente letto poco Gramsci e la questione che ha posto per lungo tempo sull'egemonia culturale, e ci ritroviamo a fare i salti mortali per oliare l'ingranaggio collettivo della memoria e di quel pezzo di storia che solo la nostra esperienza può descrivere.

"Take chronology out of history: what's left?
Experience.
And I am not speaking of skill. I am speaking of living, dense experience. Your religion (as many others I would say) just states that concerning the present being so damn important: it says that presence is the only experience you can truly know, that past and future are not experiences you can live, but appearances of other people's experiences. At the same time it reveres anchestor because your religion deems they lived theri experiences and that from that learning came understanding, and maybe it can get down to you as well, if you think about it 🙂

In a paper we would distinguishes chapter for their heading (sometimes) or for the small nice drawing at the end of a paragraph, or for the sign on that really nice book. At the same time those are not the element that defines our experience of the book or the  chapter or the story. Those are the placeholders.
They are by no means more meaningful than the rest, rather I would say the contrary. The feeling of that novel or chapter will stay with you, will become part of your experience, while the placeholder will be your brain chronology of detail. Some are better and remember placeholder very neatly, some (like me) tend to confound them and mingle them with the experience itself. But the distinction (and I think the similitude as well) still stands.

You know chicago weather and that saved your ass. But I don't think you would deem important to know the first time you understood that a certain smell meant it was going to rain or snow very soon, rather the fact that you can tell that smell and connect it with rain, snow and with your life.

History is defeat and a slow progress towards nothingness, but experience is so deep and feeling, it makes you perceive how dense reality is and at the same time how passing and fleet.

The real problem is: how can we pass on experience and break the domination of chronology? how can we keep screens when we need them and devise a way to not lose all paper with it? We need to make an effort, just as me, refraining from reading your attachment

We need to make an effort, just as me, refraining from reading your attachment in the hope a paper letter will come and give me more depth. In the same way maybe we have to make an effort and build a new concept of story, of science, of perception.

Going back to your religion, buddhist were not the only one saying that separation is an illusion. Leibniz spoke of monads, and though reality was defined by so little elements that their cumulated perception could seem objective but was in the end totally subjective, a paradox which leads to reality being appearance.
You see it's curious. As soon as I began thinking on this things I began reading the Barock Cycle by Neal Stephenson. My brain and my experience resonating with each other: did I chose the book because I was thinking on history, experience, perception? Or did I think of these things because I perceived the book as coming by?
There is no way to tell, but the two elements together make my experience dense and meaningful, more than the sequence of the events." (from a mail to Soph, hope she does not mind 🙂

 

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Incontrotempo (3?)

23 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Il weekend appena trascorso sono andato a fare visita ai fratelli e alle sorelle di acrobax, per la terza edizione di incontrotempo: ottimi i momenti di relazione e chiacchera, e anche il nostro dibattito "Dai media mainstream al media sociale" è andato bene, anche se si è trasformato nella parodia di quei corsi di autostima organizzati dalle società informatiche della West Coast americana 🙂

Le aspirazioni degli acrobati erano più importanti e puntavano a rendere diverso questo incontrotempo dalle precedenti edizioni, ma le tragedie che ultimamente li hanno colpiti e la fase che intorno non è esattamente delle migliori quanto a partecipazione e soggettività non li hanno certo aiutati. Rimane un'ottima cosa il fatto che in tanti ci si sia potuti incontrare e si sia potuto parlare di molte cose. Sarà un anno duro, ma forse è l'anno giusto per consacrare la morte definitiva di una soggettività movimentista e la tanto agognata "tracimazione nel sociale" (ipse, cioè frenchi, dixit 🙂

Mi fermo qui, perché oggi ho un sacco di roba interessante da postare e poco tempo.  

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Schiavi e Colonie: una cronaca da un punto di vista insolito

14 Ottobre 2006 1 commento

E' ormai qualche mese che spilucco un libro molto interessante, ma un po' palloso, che ho incrociato al Fort Van Sjakoo ad Amsterdam (uno dei miei spot preferiti nella capitale olandese, secondo solo ad ascii e al divano di janneke 🙂 mentre cercavo materiale di documentazione sulle interazioni tra schiavi, deportati e popolazioni locali. Un post di oggi su BibliOdissey mi ha fatto tornare in mente che devo ancora finirlo e continuare la ricerca.

Il post presenta la pubblicazione completa online di una cronaca del primo secolo di colonizzazione in Perù realizzato da un indigeno che conservava un atteggiamento ambivalente nei confronti dei colonizzatori: se da un lato ne conosceva e narrava i soprusi, non poteva evitare di provare un certo fascino per gli spagnoli di cui aveva imparato la lingua. La cronaca è illustrata in maniera molto bella ed è abbastanza assodato che fu uno dei pochi libri a raggiungere Filippo III e a dargli un assaggio di quello che i suoi uomini stavano combinando nell'America Meridionale.

Come molti temi, che a prima vista sembrano poco approfonditi, anche il tema delle relazioni tra strati più poveri e derelitti delle colonie (nativi, schiavi, bianchi deportati, ovvero servi e fuorilegge) è un tema estremamente interessante, perché come sappiamo la storia la scrive chi vince, e tutta la fatica che i colonizzatori hanno fatto per sottomettere le esperienze di libertà e di libera sperimentazione di forme di società altre nelle prime fasi della colonizzazione è un pezzo di storia sociale totalmente taciuta. Quando avrò finito il libro cercherò di postare qualche estratto significativo, ma per il momento posso già segnalare qualche link di approfondimento su The Many-Headed Hydra: da Common-place, da struggle.ws, da un sito di eco-attivismo, da Aspen Review Politics and Culture. Ripeto: il libro è molto interessante ma il suo taglio a metà tra lo storico e il sociologico lo rende un po' pesantino da digerire.

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Liber* tutt* ! (quasi)

14 Ottobre 2006 Commenti chiusi

E' di pochi istanti fa la notizia che i condannati per i fatti dell'11 marzo hanno ottenuto l'interruzione delle misure cautelari e la concessione dell'obbligo di firma due volte alla settimana. E' già tutta un'altra storia. Usciamo da sto cazzo di incubo dopo 8 mesi! 

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Wikipedia batte Zhong Guo!

12 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Leggo oggi sul solito brillante boing boing, che le autorità cinesi hanno deciso di rendere visibile wikipedia nonostante il progetto abbia rifiutato di auto censurarsi. Ovviamente la censura di stato verrà effettuata attraverso un proxying del sito (presumo), ma è certo che è un bello smacco per Google, Yahoo e compagnia che per amor di un mercato da cento milioni di utenti hanno beatamente sorvolato sulla questione della libertà di espressione (e nel caso di Google sul suo motto Don't Be Evil, sul quale non commentiamo per decenza).

Ulteriori commenti su: Virtual Economics, presto altri.

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Genova: riprendono i processi

28 Settembre 2006 Commenti chiusi

A Genova intanto sono ripresi i processi, il primo dei quali, quello per Bolzaneto va avanti con la camera delle torture, inesorabile due volte alla settimana (lunedì e venerdì).

Il processo contro 25 persone per devastazione e saccheggio, invece, è stato nuovamente rinviato al 7 novembre, dato che il Presidente del collegio (Marco Devoto) è ancora al CSM in sostituzione di un altro giudice. Nel frattempo uno dei due giudici a latere, Gatti, anche detto amichevolmente il procione, ha deciso di diventare pm, vai a capire perché. La sua nomina non è ancora stata pubblicata, ma da quando lo sarà ci sono 6 mesi per finire il processo o si cambia collegio. Cambiare collegio significa, in caso di non consenso delle parti, ricominciare il processo, e quindi andare molto in là nel tempo. Con buona pace di chi ha amore per la legge, noi speriamo vivamente che sto processo non veda mai la sua conclusione.

Intanto nel processo per l'irruzione alla scuola Diaz si sono viste due udienze. Nella prima Giovanna Botteri e Fausto Pellegrini hanno ribadito le scene che già si conoscono, con qualche dettaglio piccante della Botteri circa armi e premeditazione della crudeltà dell'operazione. Ma è con la seconda udienza e l'arrivo dei primi testi provenienti dalle file di sbirri e carabinieri che la cosa si fa divertente. Giovedì 28 ottobre, oggi, si dovevano sentire gli agenti DIGOS Anna Vannozzi (che ha fatto la gnorri alla grande), Garbati (che si è data per pazza a tempo indeterminato facendo quindi assumere le sue precedenti dichiarazioni al tribunale) e Antonio Sbordone, della DIGOS di Napoli.

Con quest'ultimo è iniziata ad emergere la strategia arrogante della difesa, che sintetizziamo con le parole di uno degli avvocati: "non abbiamo paura, non vi preoccupate".  In ogni caso Sbordone nonostante sia stato indagato per lo stesso processo e poi archiviato (non si capisce bene perché) decide di non avvalersi della facoltà di non rispondere e si inerpica nella irta via dell'esame da parte del pm Zucca. Cerchiamo di riassumere cosa colpisce del suo interrogatorio: ripete almeno 110 volte che sono entrati per primi Canterini e i suoi (con l'avv. Romanelli che sarà diventato verde dopo la 30esima, ci spiace per lui); conferma che è entrato 3-4 minuti dopo i ragazzi del vii nucleo in contemporanea a Gratteri, Luperi, La Barbera, che quindi avrebbero visto tutte le fasi delle perquisizioni; stranamente non vede nessun pestaggio ma solo qualcuno già menato o dolorante, e interpreta la frase che sente dire a Gratteri "qui sono già fatti tutti, andiamo di sopra", come un chiaro riferimento allo stato di ubriachezza degli occupanti della scuola. Non pensiamo servano commenti.

Speriamo vivamente che continuino a non avvalersi perché leggere le trascrizioni è stato molto divertente. 

Maggiori informazioni sul sito di supportolegale e di indymedia italia 

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