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Archivio per la categoria ‘movimenti tellurici’

Un paese piccino picciò

21 Maggio 2009 27 commenti

 

Ti svegli la mattina.Scendi al bar a fare colazione, troppo pigro per mettere su dell’acqua a bollire e farti un the. Al bar sorseggi un cappuccio e mangi una ipercalorica brioche al cioccolato ricolma di burro o qualsiasi cosa ci mettano per renderla così grassa e dolce. Ascolti i discorsi della gente: sugli zingari, sui negri, sugli africani, sui soldi facili, sul pudore quando devono averlo gli altri, sui mezzucci, su un paese che è sempre uguale a sé stesso, fatto per i furbi e per i pavidi, inviso a gente integra e coraggiosa. Ti sale la nausea e sali sull’autobus. Litighi con il conducente che novanta volte su cento odia non solo i passeggeri (questo sarebbe comprensibile dopo ore e ore a farti spaccare le palle per tutti i problemi dell’ATM) ma i passeggeri stranieri e quelli che non sembrano ariani. Poi litighi con una vecchia che ritiene che il problema sia che "i marocchini prendono il suo stesso autobus e puzzano". Ti viene voglia di spaccare il cranio di quella ottusa ottuagenaria, se non che ti rendi conto che intorno a te sei l’unico a scandalizzarsi e a prendere parola. Ti ammutolisci e continui. Vai al lavoro, a scuola nel mio caso, affronti gli insulti omofobi e razzisti che i ragazzini imparano alla tv e nelle loro famiglie, cerchi di spiegare loro perché sono atteggiamenti idioti, che una persona è una persona e la sua stronzaggine è indipendente da fattori quali il colore della pelle o la sessualità, ma che ha a che vedere con altro. Ti rendi conto che per la maggior parte di loro contano solo i soldi, i vestiti, gli oggetti. E basta. Esci da scuola, il pomeriggio vai a fare un corso per pazzi: ti lasci ammaliare dalla loro innocenza e dalla loro buona coscienza. Poi ti parlano bene di Berlusconi. Lo stesso giorno in cui leggi che il capo del governo del tuo paese ritiene che tutte le istituzioni siano contro di lui dato che lo vogliono trattare come un cittadino qualunque soggetto alla legge. Allora guardi quelle persone che non hanno malizia e ti rendi conto che il cancro che invade il tuo paese è ormai alla fase terminale. Che c’è poco da fare. Prima di uscire vai dal medico, in via Adda al 10, il tuo medico della mutua. Non ci sei mai andato perché per fortuna non ti ammali mai. Entri. Scruti le pareti, guardingo ormai di un mondo che senti sempre più distante. Sulla bacheca alle spalle del medico che ti fa battute sul tuo cognome "che non è certo terrone, no?" vedi in bella vista due foto del Duce. Dovrai anche cambiare medico della mutua, sempre che serva a qualcosa. Perché non sei per nulla certo che il prossimo non ce ne abbia due di Hitler alle spalle. Prendi la tua ricetta e fuggi trattenendoti per evitare di dover picchiare anche quello che dovrebbe curarti. Almeno lo deridi dicendogli che i tuoi studenti migliori sono stranieri, che gli italiani sono una etnia ormai involuta e con scarso futuro. Non capisce la battuta. Cerca di sembrare più democratico di quello che è. Dopo cena potresti uscire: l’ultima volta con le persone con cui vai a calcetto hai dovuto fare una discussione sull’embargo su Cuba, scoprendo che 30 anni dopo qualcuno ancora pensa che fosse motivato "dai missili dei russi che minacciavano la democrazia"; qualche sera fa invece, il giorno dello scudetto scopri che il gruppetto di persone con cui vedi la partita ha fatto fare le magliette "szero tituli" a Calci e Pugni, il marchio dei nazi di Milano, per non fare la fatica di cercare uno stampatore online. E’ questione di priorità. E di integrità. Va bene tornare a vivere le passioni di una persona normale: il calcio, gli hobby, la vita ordinaria al di là e prima della politica. Ma la vita al di là della politica è piena di merda, macchiata in ogni suo istante del male che sta rapidamente e inesorabilmente ingoiando il paese in cui vivi (e non solo). 

Datemi un solo motivo per cui valga la pena pensare che gli umani possano salvarsi, possano essere migliori di quanto abbiano mai dimostrato di esserlo. Perché ci sono giorni in cui non c’è nulla che potrebbe convincermi a restare ancora in loro compagnia. 

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Aggiornamento comunicato Mayday Milano sui fatti dell’ultimo primo maggio

11 Maggio 2009 Commenti chiusi

Dato che se n’è parlato molto in questo blog, riporto il comunicato uscito dopo una settimana di molte delle realtà organizzatrici del corteo. Ci è voluto molto per capire che cosa fosse avvenuto e per farlo leggere a tutti e raccogliere le firme. Penso che questo scritto rispetto al primo sia meno manchevole e più ragionato. Ora la palla è nelle mani di tutti/e noi.

 

Comunicato n° 1
Testosterone partout, justice nulle part

Al termine della MayDay di Milano, il primo maggio scorso, è
avvenuto un fatto gravissimo: l’abuso di un uomo su una donna. Come
uomini e donne che partecipano al processo di costruzione della MayDay,
ci sentiamo direttamente coinvolt* in quello che è successo e siamo
rimasti colpiti nel cuore dal fatto che sia accaduto in uno dei nostri
spazi. Anzi, in quello che per noi è uno degli ultimi spazi residui di
libertà ed espressività della città di Milano.

A mente un po’ più fredda rispetto alle prime ore dopo il fatto, ci
sentiamo di scrivere ancora qualche riflessione, che dirigiamo a chi ha
partecipato alla MayDay, a chi l’ha seguita da lontano o da vicino, a
chi ci ha criticato e attaccato e a chi ci ha aiutato a capire cosa
fosse successo. Soprattutto le dirigiamo alla ragazza che ha subito
sulla sua pelle la violenza, a cui va il nostro abbraccio sincero.

Vogliamo che questo episodio serva per riflettere sulla violenza, su
quella di tutti. Sulla violenza di genere, prima di tutto, ma anche su
quella di chi si vuol fare giustizia da sè, come è successo venerdì
scorso in piazza Castello. Ce lo diciamo da anni: le violenze avvengono
in casa, avvengono sul lavoro, avvengono ovunque. Perché i nostri
luoghi dovrebbero esserne immuni? Lo dicevamo, certo, ma ora la
crescita della MayDay ci ha messo di fronte a una giornata che
rappresenta uno spaccato troppo ampio della società per poter essere
immune da alcunché. Anche tra le persone che partecipano alla MayDay
c’è chi è stato contagiato dal lessico del maschilismo imperante, dal
declino culturale e politico del nostro paese.

Non l’abbiamo visto solo nella violenza sessuale che è accaduta, ma
anche nella reazione violenta dei presenti (per tacer della polizia che
ha manganellato colpendo a caso, nel mucchio, e senza un motivo). Lo
abbiamo letto negli articoli di giornale, nelle dichiarazioni di De
Corato e Penati che hanno usato l’accaduto in modo strumentale, per far
campagna elettorale. L’abbiamo visto nei commenti nauseabondi di chi ha
accusato la vittima di esserla andata a cercare. Infine, l’abbiamo
letto nel nostro primo comunicato, scritto con fretta e stanchezza, in
cui abbiamo infilato un paio di espressioni e un paio di mancanze che
hanno causato giuste critiche.

La questione di genere è da sempre interna ai nostri percorsi
politici. La stessa MayDay, grazie alla sua componente pink e alla
partecipazione delle donne e di gruppi e collettivi che lavorano sul
nesso tra genere e precarietà, ha sempre assunto il genere come
tematica centrale. Anche per questo abbiamo riflettuto a lungo su come
affrontare questo problema e abbiamo deciso di avviare un percorso di
costruzione di una tavola rotonda di confronto, da svolgersi nelle
prossime settimane. Vogliamo riprendere le questioni di genere e
renderle in modo ancora più forte una componente importante della Long
MayDay, facendo in modo che ci accompagnino fino al prossimo primo
maggio.

Chiediamo a tutte le realtà e le persone che hanno partecipato ai
percorsi legati alla MayDay negli ultimi nove anni di aiutarci ad
aprire un confronto per assumere insieme la responsabilità collettiva
di questo percorso. Vogliamo che anche in futuro la MayDay continui a
essere uno spazio aperto, di partecipazione, allergico alle sirene
securitarie e alle spinte a rinchiudersi nel territorio sicuro, ma
claustrofobico, delle proprie identità.

Milano, 6 maggio 2009
info@euromayday.org
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Punto San Precario
Serpica Naro
Autorganizzati della Scala
Diversamente Strutturati
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Re.Re.Pre. – Rete dei Redattori Precari
Uninversi.org
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FOA Boccaccio [Monza]
Cascina Autogestita Torchiera senzacqua [Milano]
Corsari Milano
SOS Fornace [Rho]
CSA Magazzino47 [Brescia]
CSA Paci’ Paciana [Bergamo]
Pacio – spazio libero [Piacenza]

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Police partout justice null part

9 Maggio 2009 2 commenti

 

Ci ho messo qualche giorno a metabolizzare la cosa, a digerire la rabbia che mi risale nella gola più degli antibiotici. Giovedì 7 maggio la Corte di Cassazione si è pronunciata sul processo per i fatti del San Paolo, confermando la sentenza di appello. Se non sapete di cosa sto parlando adesso faccio un piccolo riassunto senza pretese di esaustività. E’ una storia di merda, senza se e senza ma, e si conclude dimostrando una cosa sola: che la giustizia è al servizio del potere e del più forte, che per i deboli e per chi si oppone a un sistema non c’è altro che repressione e violenza. E che non si capisce perché si dovrebbero ripagare braccia e menti del potere con altro che questa stessa moneta.

Immaginate una sera di primavera. Dipingetevi in riva a un canale di acque placide, circondati da molta gente ma non troppa. Raffiguratevi l’aria leggera dei primi mesi caldi, la luce che scompare sempre più tardi oltre l’orizzonte, il pensiero che si ricomincia a vivere per strada con meno fatica. Prendete un martello e frantumate lo specchio in cui avete rappresentato questa scena: quel colpo sono le coltellate che un vostro amico, un vostro compagno si prende in una vietta laterale, insieme ad altre due persone, a pochi passi da un commissariato di polizia e da un noto centro sociale. Gli aggressori sono un nazista e i suoi due figli, con un cane chiamato Rommel, tanto per capirci. La vittima è Davide Cesare, detto Dax, che muore praticamente sul colpo. Delle altre due persone una rimane gravemente ferita. 

Ora immaginatevi a correre a perdifiato verso l’ospedale dove hanno portato il corpo del vostro amico e gli altri. Immaginate di non sapere nulla di come sta, impazziti alla ricerca di una buona notizia qualsiasi. Arrivate davanti al pronto soccorso del San Paolo e ci trovate la polizia, entrate, chiedete, nessuno sa nulla, nessuno vi risponde. Poi esce un carabiniere in borghese e ironizza sul fatto che il vostro amico è morto. Altri agenti intanto stanno interrogando in malo modo le altre persone ferite come se fosse colpa loro aver preso una coltellata. Percepite la rabbia che monta? Percepite la sensazione di impotenza?

Ecco, ora immaginate che le forze dell’ordine anziché defilarsi per evitare che gli animi si scaldino continuino a sfottere e che parta qualche spintone. Immaginate che arrivi un reparto della celere e che scenda dal furgone già in assetto antisommossa e cominci a caricare, fino dentro le corsie del pronto soccorso. Immaginate gente messa a terra, ammanettata e picchiata a manganellate, e carabinieri girare intorno all’edificio con mazze da baseball tirate fuori dai cofani delle auto di servizio. Siete ancora lì? Guardate una ragazza con un braccio rotto chiusa in auto e minacciata, poi lasciata a duecento metri di distanza con la minaccia di non farsi più vedere, inseguimenti, grida, insulti, pestaggi. E immaginate che qualcuno abbia filmato tutto.

Poi arriva il processo. Contro quei poliziotti e quei carabinieri che si sono comportati da animali sanguinari? Che hanno deriso la morte di un vostro amico? Contro i tre nazisti che hanno ammazzato una persona? No. I tre nazisti fanno un processo a parte e il maggiorenne prende poco più di dieci anni di carcere, mentre il padre che lo accompagnava praticamente nulla. Se c’eravate voi di fianco a un’omicida a incitarlo vi davano sicuro 20 anni per concorso morale. Ma a loro no. Ma non è questo il processo: il processo San Paolo vede come imputati quattro dei ragazzi davanti all’ospedale tra cui uno dei feriti e il ragazzo ammanettato a terra e pestato a manganellate da un carabiniere e un poliziotto coraggiosi. Loro sono accusati di resistenza, perché ovviamente da terra avranno cercato di evitare i colpi per esempio. A processo ci sono anche due carabinieri e due poliziotti, per lesioni e abuso d’ufficio. 

Il processo è a senso unico: giudice e pm vogliono dimostrare la famosa tesi del tutti colpevoli della violenza, nessuno responsabile. Gli avvocati delle forze dell’ordine che sono bravi ragazzi che onorano la divisa e che magari hanno sbagliato ma senza malafede, a massacrare di botte gente che voleva solo sapere cosa era successo a un loro amico accoltellato. Secondo voi com’è finita? E’ finita che le forze dell’ordine nonostante i video, nonostante tutti sappiano cosa è successo, sono state praticamente tutte assolte. Due dei compagni presenti (tra cui quello colpevole di aver tentato di schivare i colpi mentre era ammanettato e pestato a terra come immortalato in un video) sono stati condannati a un anno e sei mesi e a pagare i danni al pronto soccorso (fatti dalle forze dell’ordine) per 120 mila euro. 

Poi chiedetevi perché quando vi ritrovate coinvolti in una situazione di tensione con di mezzo la polizia non dovreste cercare di spaccare quanto più cose e persone possibili. Tanto pagherete comunque. Essere ragionevoli non conviene in un mondo in cui ha ragione solo il più feroce e il più figlio di puttana. 

I dati che riporto potrebbero non essere tutti esatti. I server di autistici sono incasinati e la mia memoria vacilla, ma la sostanza c’è tutta: non sarà un mese in più o in meno di condanna a cambiare l’aberrazione che rappresenta. E quanto dimostra il sistema in cui viviamo e come ognuno dovrebbe regolarsi. 

Il giorno dopo questa sentenza ho portato i pischelli della mia prima media al Museo di Storia Naturale. Arrivato ai Giardini di Porta Venezia ho incrociato le macchine della Digos che solerti sorvegliavano innocui rifugiati sdraiati sull’erba. Mi hanno salutato come una vecchia conoscenza, mentre li guardavo in cagnesco e bestemmiavo sottovoce. Sono tornato a scuola verso le 13.30 e ho incrociato i bambini delle elementari che tornavano da una bellissima gita alla caserma del reparto mobile (di via Cagni penso) di milano, gente meritoria, che ha partecipato anche se un po’ defilata alle cariche su via Tolemaide e ai fatti di piazza Alimonda (se qualcuno non lo sapesse la piazza dove è morto Carlo Giuliani). Ho visto i bambini scendere, con i poliziotti in divisa antisommossa che gli davano il cinque e facevano grandi sorrisi, ognuno con il suo cappellino della Polizia Italiana. E’ un quartiere difficile quello della mia scuola, e qualcuno pensa che questa sia "educazione alla legalità", che serva a far diventare persone migliore i ragazzi destinati a una vita sospesa tra violenza e criminalità. Io penso di no. E non per ideologia, ma perché penso che uno non debba diventare una persona capace di distinguere il bene dal male solo perché ha come modello coloro che esistono solo per punire. Penso che un ragazzino dovrebbe capire come si fa a vivere insieme agli altri e non idealizzare il ruolo dei cani da guardia. 

Mi sono fermato e mi sono chiesto. Quei sorridenti e affabili celerini avranno avuto il coraggio di raccontare a quei bambini in gita del processo San Paolo, dei loro errori della violenza in cui si tuffano come un pesce nell’acqua? Non penso. Perché anche gli sbirri se ne vergognano ed avere il coraggio non è una dote di cui abbondano nella media: intendiamoci, non è un problema delle forze dell’ordine. La pavidità è un problema dell’uomo. Ma per insegnare ai ragazzi a diventare degli uomini e delle donne adulti forse dovremmo essere capaci di trasmettere cose diverse che non l’autorità e la necessità di vivere sorvegliati e imprigionati, repressi e controllati: coraggio, onestà, responsabilità. Basterebbe questo. Nessuna delle qualità che quei celerini potrà mai dire a cuor leggero di avere a meno di non dimenticare troppe vicende della storia recente del nostro paese. 

Mai come oggi mi echeggia in testa un famoso slogan del maggio 68 francese: Police par tout, Justice null part. La giustizia quella vera, non quella dei tribunali ma la virtù a cui si appellano quando emettono le loro sentenze, è antitetica alla violenza e al sopruso che la polizia e le forze dell’ordine rappresentano nel loro agire quotidiano. E non vedo all’orizzonte un evento che cambi questo stato di cose e che mitighi il mio odio e la mia rabbia.

 

L’origine della regressione

3 Maggio 2009 21 commenti

 

Quando uno si chiede perché l’Italia è un paese retrogrado basta che provi a leggere i giornali. Ma non per averne le prove, ma per capire da dove comincia tutto.
A Milano il primo maggio ormai da anni si tiene forse la più grande manifestazione autorganizzata e non finanziata da alcuna organizzazione (partito o sindacato o associazione che siano) d’Europa. Quest’anno in piazza c’erano più di centomila persone: un tripudio di colori, umori, persone, idee, slogan, canti. Dal nostro carro il tamarrissimo Oscar White ha fatto un free style proletario proprio di fronte al Duomo, mentre i Petardi lo sostenenvano con le loro basi: una manifestazione enorme e importantissima, ma di cui stranamente non avreste trovato alcuna traccia sugli organi della cosiddetta informazione.
I giornali di sinistra non la pubblicizzano perché antitetica ai loro finanziatori (il Partito per Liberazione, la CGIL per Il Manifesto). I giornali principali del panorama italiano la snobbano perché di solito è una manifestazione pacifica, gioiosa e che parla di un tema scomodo su cui troppa gente ha la coscienza sporca. Poi non c’è mai nessuno di famoso a fare né da testimonial né da accaparratore, e quindi le redazioni di Repubblica, Corriere e via dicendo non sanno che pesci pigliare. Peccato che forse dimenticano che raccontare eventi rilevanti nelle principali città italiane sarebbe forse il minimo che dovrebbero fare. Di una parata di questo calibro non si parla. Non è "interessante".
Poi improvvisamente succede un fatto orribile (lasciate perdere i commenti che sono il solito ricettacolo di dementi): alla fine del corteo, nella situazione di delirio che pervade il Castello Sforzesco alla fine di ogni Mayday Parade, una ragazza subisce una violenza da parte di un imbecille. Gli amici della ragazza e chi si trovava nei paraggi ha dato una lezione all’imbecille fino a farlo giungere nei pressi della polizia. La polizia ha pensato bene di menare un po’ le mani riuscendo a dare luogo al primo semiincidente in otto anni di Mayday. Magicamente sui siti di Corriere e Repubblica adesso la mayday c’è, ma si vuole infrangere ogni record: sul sito di Repubblica un articolo di 2000 battute riesce a entrare nei dettagli supposti e possibili del fatto, senza mai spiegare che cos’è la Mayday Parade. Idem il corriere.
Ecco: quando ci si chiede perché i giornalisti vengono visti con astio e sospetto, o da dove cominci il clima di ferocia e di degrado culturale e etico che vibra nell’aria milanese e italiana, la risposta è molto semplice. Comincia tutto da qui, dalla ricerca ossessiva del marcio e del peggio per raccontare solo quello, tralasciando i fatti e ciò che accade di imponente, per focalizzarsi sul minimo segno di sporcizia. Sarebbe come entrare a Versailles e occuparsi solo di un avvelenamento di un personaggio avvenuto nei suoi giardini di un ciuffo di polvere a terra, ignorando completamente la sua architettura e la sua storia.
Qualcuno un tempo ebbe a definirsi nano sulle spalle di giganti. Ora purtroppo siamo ridotti ad essere solo nani e per di più deformi nel corpo e nello spirito, soprattutto. Quello che rimane poi è solo rabbia e sdegno.

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Mayday Mayday 2009! Tutti in piazza XXIV Maggio ore 15.00!

30 Aprile 2009 Commenti chiusi

 

 

 

 «MayDay Countdown 2009» è uno spazio condiviso che raccoglie una scarica adrenalinica di iniziative di avvicinamento alle MAY DAY di tutto il erritorio nazionale.
I progetti politici e socio-culturali che danno vita a questo countdown sono attivi, radicali e radicati da anni nei rispettivi territori. Le tematiche vive su cui si è entrati in azione sono le politiche del lavoro (precarietà, welfare), le rivendicazioni dei migranti, le devastanti politiche ambientali e socio-culturali che affliggono le regioni metropolitane. Ogni soggetto propone creativamente le sue pratiche comunicative, in sintonia con le rivendicazioni della MayDay, e nel rispetto dell’autonomia e delle differenze dei protagonisti di ogni iniziativa. Le azioni saranno tutte caratterizzate dall’incisività e dalla precisione con cui andranno a colpire i responsabili delle
politiche che ci hanno trascinato nel baratro della crisi.
Nelle settimane che precedono il primo maggio, le metropoli italiane saranno infiammate da un’energia insolita… precari, giochiamo a fare la crisi?

Segui il Countdown su http://italy.euromayday.org/countdown

* Le prime tappe del Countdown *
21 Apr – Universi Precari (seconda parte)
24 Apr – Nuove forme di agitazione sindacale in azione a Milano -> 
25 Apr – Obbligati allo scontro!
26 Apr – Fiera: restituiti gli scarichi fognari all’hotel NH
26 Apr – IKEA: chi mente paga
27 Apr – Monza: We are Homeless
28 Apr – Mayday batte Infojobs 6 a 0
29 Apr – Monito del Santo al Museo della Scienza e della Tecnica

* Appello EuroMayday *

* Spot Video *

* Spot Audio *: [ unoduetrequattrocinqueroma ]

* Primo maggio 2009 *
Milano, Porta Ticinese Ore 15.00
Palermo Piazza Marina Ore 16.00
Roma, Porta maggiore. Ore 12.00

Berlino, Brema, Den Bosch, Gent, Gornja Radgona, Amburgo, Hanau,
Helsinki, Liegi, Lisbona, Malaga, Porto, Terrassa, Tubingen, Vienna.

** Mayday: make them pay! **

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Mayday Mayday 2009 Countdown

27 Aprile 2009 2 commenti

 

Il Primo Maggio si avvicina e le menti si scatenano 🙂

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25 aprile

24 Aprile 2009 5 commenti

 

Per me le feste nazionali laiche sono le uniche che abbia un senso celebrare. Non ho mai sopportato le feste religiose, il loro corredo di moralismo e di ipocrisia, mentre i momenti corali di un popolo e della sua storia mi emozionano e mi riportano alla mente ricordi e desideri di aver vissuto altre epoche e altri momenti storici. Da sempre per me il 25 aprile è decisamente la festa più importante, nonostante la rilevanza che nella mia personale storia politica ha avuto il primo maggio e quella che dovrebbe avere agli occhi della gente l’8 marzo. Ogni volta che si avvicina vado a rileggermi pezzi della storia di questo paese e non solo, riassaporo le parole di vecchi e combattenti, cercando di ritrovare quell’eroismo semplice e senza fronzoli, disperato per alcuni versi, anche intorno a me e dentro le cose che faccio. Devo ammettere che è molto difficile di questi tempi, assediati dall’indifferenza e dalla scarsità di intelligenza, circondati dai luoghi comuni che pensano che ogni decisione valga quanto un’altra, che tutto sia relativo sempre e comunque. Non mi stancherò mai di ripetermi e di ripetere alle persone con cui ho a che fare tutti i giorni, sia che abbiano 10 anni o che ne abbiano 70 che non è tutto uguale, che esistono cose giuste e cose sbagliate, per le quali valga la pena combattere o che valga la pena disprezzare. Non è tutto uguale, non basta avere la propria opinione per essere un uomo o una donna: la libertà che tanto riempie la bocca di tutti è la possibilità di scegliere che cosa sia giusto e di combattere per esso, non la generica affermazione che ognuno può fare quello che vuole, basta che i fatti gli diano ragione. Viviamo in tempi poveri di spirito e di chances, ma non possiamo che crucciare noi stessi per quello che vediamo intorno a noi. Forse un tempo, un tempo di rivolta e di dolore, le cose più minute avevano un significato più importante, ed era più facile distinguere che cosa volesse dire giusto e sbagliato. 

Chi mi vuole incontrare, domani mi troverà la mattina nel giro delle lapidi dei partigiani dell’Isola (ormai non ce n’è più neanche uno, ma il giro si fa lo stesso con le autoradio a manetta con  i canti partigiani, partenza ore 8.30 in via Sassetti), il pomeriggio in corteo (che io sappia partenza Porta Venezia ore 15.00), e la sera  a Partigiani in Ogni Quartiere, un’esperienza che forse rappresenta una delle poche possibilità che abbiamo di ricominciare a costruire una coscienza diversa in questo Paese. Se oggi dovessi consigliare a qualcuno che inizia a fare politica dove provare a fare qualcosa, gli direi di iscriversi all’ANPI e usare lo scudo di quella enorme organizzazione nazionale ancora rispettata (forse l’unica in una terra di insulti e di volgarità come quella del costume culturale e politico italiani) per ricostruire da zero i valori che la Liberazione e la Resistenza incarnano e hanno incarnato. A domani. 

Fascisti carogne, tornate nelle fogne

3 Aprile 2009 21 commenti

 

Devo dire la verità, a me gli slogan old-style, per quanto riguarda le salde (?) basi della democrazia italiana (?), sono quelli che mi suonano meglio. D’altronde che altro si può voler dire a un branco di dementi privi di cervello che nel 2009 vanno ancora in giro a sostenere idee che dovrebbero essere scomparse da tempo dall’albo della storia ufficiale? Bisogna parlare nella loro lingua, quella del vituperio e della violenza, perché se ragionassero non sarebbero fascisti. Purtroppo l’Italia moderna degli anni 00 è molto prona al linguaggio e ai contenuti xenofobi e ignoranti che ci trasformano in una caricatura neanche troppo divertente del ventennio. E responsabili ne siamo tutti, non solo quei quattro mentecatti con il braccio alzato, ma tutti noi che non riusciamo a spiegare ai nostri studenti, ai nostri figli, ai nostri amici e parenti perché alcune cose anche se sembrano delle barzellette fuori dal tempo sono tuttora molto pericolose. Così perdiamo eoni di tempo a cercare di giustificare cose sciocche e che non necessiterebbero neanche di due parole, e non riusciamo a far capire a ragazzini di 8 anni che uno è cretino indipendentemente dal colore della pelle, e che le cose non si risolvono sempre a schiaffi, e che essere forti con i deboli e deboli con i forti non è una qualità chiamata furbizia ma un difetto chiamato viltà. 

Così gente come Roberto Fiore può ancora circolare impunito – così come il suo socio di un tempo Riccardo De Corato – e anzi presentarsi ed essere eletto. Lui è l’ultimo di una schiera di gente immonda che può riciclarsi affidandosi alla voglia della gente di dimenticare anziché combattere. E puntuale come un orologio quando si avvicinano le elezioni, insieme a topi di fogna di tutta europa, si presenta a Milano, pensando che nessuno se ne accorga. E’ anche vero che è stupefacente come qualcuno finalmente inizi a pensare che certa gente non dovrebbe poter circolare in nessuna città del mondo (e non solo), ma forse se questo fosse avvenuto tempo addietro queste merde non ce le ritroveremmo ancora tra le palle. Scusate il francese. 

Questa domenica i pariti nazi-fascisti xenofobi di tutta europa si sono dati appuntamenti a Milano. Tramontata la mossa a sorpresa che li avrebbe visti a Palazzo delle Stelline (uno dei luoghi più paludati di Milano, un po’ come se io facessi un convegno di teologia a Sant’Ambrogio), hanno deciso di ritrovarsi in uno degli hotel di amici e amichetti di cui non mancano dalle parti della Capitale Morale d’Italia, i cui abitanti  un tempo avrebbero bruciato palazzo e abitazione del manager dell’hotel, ma che ora si limitano a stigmatizzarlo  con due mormorii. Ritrovo quindi all’Hotel Cavalieri. Siccome non basta, hanno pensato bene di fare anche due presidi, forti – come al solito altrimenti non avrebbero mosso un dito – dello spalleggiamento di British National Party e altri ceffi che non disdegnano l’uso delle armi e della violenza abbastanza gratuitamente: il primo alle 11 di mattina davanti a Sant’Ambrogio, il secondo vicino a Piazza Affari (non si capisce bene a fare cosa). Nessuno sa se faranno veramente questi ritrovi o se sono mere provocazioni, fatto sta che una volta di più le autorità cittadine non ritengono che questi loschi figuri vadano fermati (se non altro per evitare problemi di ordine pubblico). Uno a volte si ritrova ad avere nostalgia dei wanna-be golpisti turchi che piuttosto di avere un governo religioso erano disposti al colpo di stato: io piuttosto che vedere in giro questi topi di fogna, preferirei vedere la città militarizzata. A mali estremi estremi rimedi: certo il sogno di vedere i vecchietti dell’ANPI sparargli con i fucili dalle finestre mi sembra un po’ troppo ambizioso, e Milano è sempre stata una città un po’ compiacente e che evita il confronto diretto (purtroppo). 

Meno male che almeno questa volta (le altre volte guarda caso durante un governo di sinistra) CGIL, ANPI, e altri hanno deciso di agire con una certa determinazione sui centri di potere della città per chiedere di vietare il raduno, ma non si spingeranno più in là di questo (un reclamo verbale "vibrante") e di un presidio davanti a Palazzo Marino, a cui invito comunque chiunque può ad andare. Certo è che la speranza che qualcuno decida di agire in maniera più concreta e scaltra come è successo prima dell’inaugurazione di Cuore Nero rapprenta il mio miglior auspicio. E sono sicuro che Milano non è ancora così povera di coraggio antifascista. Lo dico prima così non si potrà dire che nessuno lo sapeva: far circolare certa gente porta guai. Trincerare un presunto diritto ad esprimere idee e azioni fasciste dietro la libertà di espressione è un sofismo che con chi ha un minimo di senso e sensibilità storiche non attacca. Questa gentaglia desiste solo quando la bocca gliela si tappa a stivalate. Se così non fosse non sarebbero fascisti, ma persone civili di idee differenti dalla mia: i nostri nonni lo sapevano meglio di noi e forse toccherà pure a noi impararlo a nostre spese.

PS: non si tollererà alcuna provocazione nei commenti di questo post.

Genova: dall’altra parte della barricata

29 Marzo 2009 6 commenti

 

Pre Scriptum: quella merda del mio socio approfittando della mia temporanea carenza di connessione mi ha bruciato sul filo di lana e ha pubblicato la recensione di questo libro prima di me, nonostante il testo glielo abbia prestato io. 

Genova sembrava d’oro e d’argento è il secondo romanzo di Giacomo Gensini, ex celerino. Scritto senza particolare bravura e senza particolare infamia, ha però un grande pregio. E’ la storia di uno stronzo. E’ la storia vista e raccontata da qualcuno che sta dall’altra parte della barricata, anche se definire la barricata è l’impegno più interessante. Ha i suoi limiti e i suoi pregi, e devo dire che mi aspettavo di peggio.
Ormai di Genova hanno parlato tutti, e non c’è motivo per cui non ne parli anche la voce di uno sbirro del VII Nucleo Antisommossa – i famosi Canterini boys – e proprio per questo per me, che ho vissuto quei giorni, i giorni successivi e gli anni che hanno trascinato con loro le ricostruzioni, gli atti dei tribunali e i racconti di chi è stato e di chi stato non è, è un libro interessante.
Se dovessi darne una descrizione direi che è la dichiarazione di ineluttabilità di quanto è avvenuto e di quanto avviene, direi che alla fine dei conti per chi sta da quella parte della barricata archiviata la constatazione di un sistema marcio di cui essere ingranaggio, l’unica giustificazione è quella dell’inevitabilità del tutto, della dimensione intrinseca alla natura umana e alla società di quanto Genova è stato e ha rappresentato per tutti. E io penso che sia un po’ troppo comodo.

"Il consumismo, l’ipercompetitività, il mito del successo, l’individualismo patologico esasperavano le frustrazioni e acuivano la violenza. Un sistema fuori controllo e sempre più squilibrato provocava squilibri. Per questo la finzione dei diritti non poteva durare a lungo. Prima o poi, se l’apparato (del quale chi più chi meno facevamo parte) voleva sopravvivere, la repressione doveva diventare metodica e libera dagli  ideali delle rivoluzioni del diciottesimo secolo."
"I potenti e le lobby che li sostenevano si vedevano nella città dei Doria per decidere le loro quote di mondo. Niente di più. Noi e i manifestanti non avevamo alcun ruolo in tutto questo, non eravamo influenti, se non a un livello infinitesimale. Ma avremmo fatto un sacco di colore."


Il libro è onesto, secondo me, e molto istruttivo di come si percepisce lo sbirro medio del reparto mobile, delle contraddizioni che vive, delle ragioni che si da, al di fuori della retorica e dell’ipocrisia. Anche quando dipinge i poliziotti come uomini e non come robot o come fanatici: mette a nudo le contraddizioni e perpara il terreno per la vittima sacrificale delle spiegazioni che Gensini si è dato di Genova: la necessità antropologica e storica.
"Fatto sta che le veline ottenevano un unico scopo: renderci ogni giorno più nervosi. Caricarci come molle. […] Era il peggior modo possibile di reagire, ma anche l’unico. E non parlo della solita storia di rischiare la pelle per milletrecento euro al mese, con tutta la retorica annessa. Queste alla fine erano cazzate: l’avevamo scelto. Parlo del fatto che noi comunque eravamo e restavamo uomini. Credevano davvero che indossare un caso e una tuta ci rendesse immuni alla fatica e alla paura? Immuni alle emozioni… alla tensione, alla rabbia? No… nessuno di loro lo credeva davvero, […] ma fingevano che non fosse né possibile né accettabile, difendendo l’ipocrita mondo immaginario raccontato in tv."
"Perché quello che condividiamo non è la divisa, ma un segreto. Un segreto sull’umanità e sulla sua miseria. Sullo squallore della sua cieca violenza, sui suoi egoismi, sulle ipocrisie. Noi sappiamo cosa c’è dietro la facciata. Ed è questo che ci rende fratelli."
"Ma gli scioperi, gli sfratti, le rivendicazioni sociali di qualunque tipo sono un’altra cosa. Ogni volta dobbiamo trasformarci in automi, ogni volta. Quello che ci salva è che i nostri antagonisti scatenano regolarmente su di noi la loro rabbia, come fossimo stati noi a decidere. E noi non possiamo fare altro che difenderci."
"Lo spettacolo è incredibile, Genova sembra bruciare di mille incendi, un fumo nero e denso sale al cielo. Sirene lontane, grida lontane e un sole che sorride cattivo, soddisfatto dello spettacolo. Genova avvolta dal fumo e dalla rabbia… bellissima e nuda. Non so perché alzo le braccia al cielo e grido un grido di trionfo, grido la mia rabbia e la mia gioia. Grido per liberare la tensione. Grido perché era cos che l’avevo immaginata e desiderata. Grido perché so che questo è solo l’inizio."


Dopo questa sbrodolata di tuttosommato apprezzamenti veniamo al dunque. L’accusa più grande che si trova nel libro sostanzialmente è che laddove i poliziotti sono meccanismi inconsapevoli ma schietti del conflitto di potere, i manifestanti sono invece parte di quel conflitto di potere stesso. L’autore assume nei confronti della nostra parte della barricata un atteggiamento solo un filo meno stereotipato del solito, cercando di condirlo con l’esperienza diretta: la Rete Lilliput dei poveri deficienti che hanno difeso i violenti, i disobbedienti un branco di politicanti ipocriti e pagliacceschi, i black bloc quelli che volevano scontrarsi sul serio, gli antagonisti, i violenti.
"Una società individualista non può essere non violenta. L’individuo ha una grande considerazione di sé stesso. Alla fine sopporta la violenza solo in astratto, e solo se riguarda gli altri, ma ci mette poco a peedere la testa se riguarda lui. Non ti tiro un sasso per la fame nel mondo e le politiche neoliberista, te lo tiro se mi dai una manganellata. [….] Via Tolemaide è una conseguenza naturale. Noi, se non altro, ci risparmiamo l’ipocrisia di un sorriso falso. Noi non siamo non violenti. Noi siamo quello che siamo."


Devo dire che è una lettura interessante, e in alcuni tratti simile a quella che do io delle vicende genovesi, e che forse un giorno riusciremo ad approfondire, quando le ferite si saranno rimarginate e la ragione prenderà il posto dell’emozione. Gensini individua perfettamente alcuni meccanismi, quelli del potere, e anche mi strappa un sorriso quando mi rendo conto di quanto siano simili le sue posizioni rispetto alle decisioni delle tute bianche o dei vertici della polizia e dei giornalisti. Questo dimostra quanto è sottile il crinale che si può percorrere per interpretare i fatti, e quanto sia semplice sciogliere la propria responsabilità in un fatalismo ipocrita, salvo poi accusarne gli altri.
E’ su questo crinale che alcune crepe si aprono nell’onestà intellettuale di Gensini. L’esempio più eclatante sono: l’omissione della carica sul lungo mare a cui partecipa anche il VII nucleo e che nel libro viene liquidata con il commovente episodio di François (i dirigente del reparto che secondo me è identificabile in Michelangelo Fournier) che rifiuta di caricare la gente senza una via di fuga (ci ricordiamo tutti come è andata, no?); la trasformazione di uno degli arrestati più celebri del g8, il ragazzo brancato in piazza Tommaseo che canta la Marsigliese mentre lo portano via in un gigante ciclopico per forza e coraggio (il tizio è alto 175 cm e non particolarmente nerboruto). Mi si risponderà che gli eventi sono frutto di fantasia e non DEVONO corrispondere al vero. Reality Fiction. Ci mancherebbe, io sono d’accordo, quando servono ad alimentare la narrazione, ma non quando sembrano solo una patina giustificatoria su qualcosa per cui si ha la coscienza un po’ sporca. La mattanza.
E’ su questo livello che il libro non mi è piaciuto molto, sul poco coraggio nel prendere posizione su alcune vicende, per scioglierle tutte nell’ineluttabilità di eventi che era deciso andassero a finire così, come se la morte di Carlo, o la perquisizione alla Diaz, o anche gli scontri potessero finire in un solo modo, predestinato da qualche Demiurgo non troppo sveglio.
"Ma intuisco che non è tutta la verità. Che in tanti hanno congiurato per quella morte di cui non conosco ancora niente. Non solo l’impreparazione dei giovani carabinieri, la follia dell’essere umano e il cinismo dei media. NOn solo la demagogia di chi ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone in piazza senza servizio d’ordine. Non solo il destino."

Il problema che il libro solleva è che Genova non è solo una singola barricata. Chi c’è stato e chi non c’è stato non può fare finta di nulla. Deve capire che cosa significano le mille barricate che ha rapprentato, chi c’era da un lato e chi era dall’altro, e soprattutto come sono passate le persone da un lato all’altro. Ognuno sa che non è così semplice liquidare la questione con la retorica dello "scontro con gli sbirri maledetti" o con quella del "potere occulto che ha deciso che dovevamo essere uno strumento di violenza". Genova è complicata, ha vissuto di 300.000 anime e oltre, di violenza, di spettacolo, di potere, di parole, di azioni, di simboli.
"Alla fine ho capito una cosa: era in quello che eravamo, lì era nascosta l’essenza della nostra tragedia. Il settimo nucleo aveva un destino e quel destino era nel suo carattere, nel carattere degli uomini che lo componevano e lo comandavano. Era solo andata come doveva andare e in fondo lo sapevano tutti, anche noi."
Io invece non ho capito questo. Io a Genova non ero quello che ero, né quello che sono. E’ troppo comodo nascondersi dietro al fato, agitare un cinismo un po’ ostentato e confortevole, decidendo di non affrontare quello che si è fatto e come lo si è fatto. Io sono contento di aver letto questo libro, mi ha fatto pensare e ripensare a quello che ho vissuto e a come lo ho vissuto, e mi ha esposto un altro punto di vista. Ma non è il mio.
Su quelle barricate, ognuno di noi deve salirci e ci è salito. E ha scelto. Come ho già scritto in molti altri interventi, vivere significa essere partigiani, significa scegliere, significa sbagliare. Io so che quello che abbiamo fatto è stato qualcosa di grande, e non cerco giustificazioni per quanto di sciocco o sbagliato possa esservi stato. Il giorno che racconteremo noi la storia di Genova, spero di poter dire che in essa non ci sarà nessuna concessione all’ipocrisia, e che avremo cercato di affrontare la verità di quello che abbiamo conosciuto senza nasconderci dietro un dito. Avremo cercato di spiegare perché per alcuni è stata solo politica, per altri è stata vita, per altri un incidente, per altri ancora un’occasione. Avremo cercato di raccontare un punto di vista totalmente opposto a quello del celerino Gensini: che i sistemi non cadono da soli, ma cadono quando le persone decidono che è il momento di dire basta e di inventarsi qualcosa di nuovo e terribile. Anche a costo di fare molte cose sbagliate.


We have been nought, we shall be all.

 

Connivenze, quando non è più un problema di termini

26 Marzo 2009 6 commenti

 

La staffetta partigiana che frequenta il sito come veicolo di informazione antifascista mi ha segnalato una comunicato stampa di alcuni consiglieri regionali che sembrerebbe implicare che la Fondazione de Le Stelline abbia concesso i locali del famoso palazzo milanese per l’incontro tra i partiti di estrema destra europei facenti capo al cosiddetto European National Front. Sarà pur vero che sembra di essere tornati negli anni ottanta, solo con un po’ di tecnologia in più e un bel po’ di pudore in meno, ma non ricordo nel corso di tanti anni di schifezze perpetrate dalla destra a milano un atto di provocazione così esplicito. "E’ la solita provocazione a due mesi dalle elezioni", alcuni diranno, e hanno ragione. Ma è una provocazione che meriterrebbe una risposta di tutta la città, che come al solito starà zitta fino a che il proprio orticello non verrà intaccato. Brecht doveva dedicare la sua poesia a Milano, in cui siamo costretti a rimpiangere democristiani e socialisti, ladri sì, ma non certo fascisti come quelli che si aggirano tutti i giorni nelle strade. 

dal sito di Muhlbauer:

OPPOSIZIONE CHIEDE ALLA REGIONE DI REVOCARE LA CONCESSIONE DEL PALAZZO DELLE STELLINE PER IL RADUNO NAZIFASCISTA DEL 5 APRILE

Ieri Forza Nuova ha annunciato formalmente che il raduno
nazifascista previsto per il 5 aprile si terrà presso il Centro
Congressi “Palazzo delle Stelline” di Milano. Cioè, in una struttura
pubblica, gestita dalla Fondazione Stelline, di cui sono enti fondatori
Regione Lombardia e il Comune di Milano.
Per questo motivo, oggi, tutta l’opposizione in Consiglio Regionale,
mediante una lettera firmata dai consiglieri Luciano Muhlbauer (Prc),
Franco Mirabelli e Maria Grazia Fabrizio (Pd), Bebo Storti (Pdci),
Carlo Monguzzi (Verdi) e Marco Cipriano (Sd), ha chiesto al Presidente
Formigoni e all’Assessore alla Cultura, Zanello, di intervenire
urgentemente presso gli organi della Fondazione, affinché la
concessione dello spazio venga revocata (la lettera può essere
scaricata in formato pdf in fondo a questo post).
Infatti, il raduno internazionale sponsorizzato da Forza Nuova dovrebbe
dare voce a organizzazioni politiche di cui sono note e conosciute le
tesi negazioniste, razziste e neofasciste. E ciò non contrasta soltanto
con i principi fondamentali affermati dalla nostra Costituzione –e
questo in realtà dovrebbe bastare-, ma persino con lo Statuto della
Fondazione e con la legge regionale che l’aveva istituita.
Inoltre, c’è da segnalare che nella giornata di oggi ci sono state
anche le prese di posizione ufficiali della Camera del Lavoro di Milano
e dell’Anpi provinciale, che chiedono ambedue a Sindaco, Prefetto e
Questore di vietare l’iniziativa del 5 aprile.

Inviato da
staffetta partigiana incazzata rossa

26 Mar 2009, 20:17