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Archivio per la categoria ‘oscuro scrutare’

Morte feroce, morte indifferente

15 Settembre 2008 17 commenti

 

Ieri nella prima fredda domenica di autunno milanese vero e proprio, un ragazzino di 19 anni è stato ammazzato a bastonate. Ci è voluto un attimo perché la canea politica prendesse il sopravvento, tra chi faceva notare – giustamente – come questo omicidio sia frutto dell’aizzamento razzista e fascista che ormai riempie il nostro quotidiano e la quotidiana sfera pubblica del comunicare e del sociale, e chi sgattaiola definendo la morte di Abdoul un banale episodio di violenza metropolitana – e ci permettiamo di dissentire sulla definizione che tali persone possono dare di banalità o normalità. 

Io non conoscevo Abdoul, quindi non mi permetto di dire niente sulla sua storia, sulla sua vita e sulla sua morte. Ma vivo nella zona in cui è stato ucciso, vivo Milano da quando sono nato, combatto la parte più orrenda e oscena di questa città da quando sono nato – non la odio, la combatto. Per cui qualcosa da scrivere ce l’ho, soprattutto dato che la canea ha sommerso le affermazioni più vere e più semplici: quello di Abdoul è un omicidio esemplare, un momento che riassume perfettamente e atrocemente la ferocia e l’indifferenza di questa città e non solo, di tutto il Belpaese schifoso. Infatti nessuno si cura di far notare che il luogo dove è avvenuto l’omicidio di un ragazzino di 19 anni per un pacco di biscotti è a 500 metri da dove le unità militari volute dall’esimio La Russa poltriscono tutto il giorno per "garantire la sicurezza dei cittadini" – ma forse Abdoul non è un cittadino, anche se tutto fa pensare il contrario. Nessuno dice che intorno al luogo ci sono tre (3!) commissariati di polizia e una stazione dei carabinieri (che io sappia, ma forse sono di più), e che le strade intorno alla zona sono un pullulare di volanti a tutte le ore del giorno. Ma anche senza scomodare i tutori dell’ordine in pausa pranzo o caffé, quello che qualsiasi persona dotata di un briciolo di cervello e ancora di un briciolo di umanità dovrebbe chiedersi è: ma non passava nessuno in quei minuti, in quei momenti, che potesse alzare una mano o una parola per fermare il pestaggio? E se passava, perché non ha fatto nulla?

La risposta più feroce di Milano è quella a questa domanda. Ve lo dico io: passava sicuramente qualcuno, ma ha tirato dritto. Ha tirato dritto perché non ci si fa mai i cazzi degli altri, soprattutto quando serve, perché la gente ha paura, e piuttosto che fare una cosa che ritiene giusta ma che è pericolosa, preferisce subire qualsiasi umiliazione e qualsiasi violenza. E ognuno di noi dovrebbe guardarsi allo specchio e chiedersi che cosa avrebbe fatto lui: la risposta onesta a questa domanda distingue chi ancora pensa che ci sia una speranza – in un miliardo – per essere umano, e chi ormai ha perso anche questa ultima triste battaglia. 

à la prochaine

Le brutte notizie non vengono mai sole

4 Settembre 2008 9 commenti

 

Come ripromessomi vedo di parlare anche di altro che non sia la Beneamata, anche se tragicamente in questo post in qualche modo i nerazzurri (intesi come alcuni dei gruppi ultras della Nord) sono i negativi protagonisti. Infatti in Italia di cose allegre, positive e costruttive da raccontare ce n’è ben poche, immersi nella palude del qualunquismo e dell’individualismo peggio delle versioni più cupe degli anni Ottanta. L’Italia è ferma e stagnante, la gente vive al di sopra delle proprie possibilità, tappandosi le orecchie e gli occhi quando va bene, contribuendo attivamente alla caduta nell’abisso quando va male. La gente, perché non c’è un altro termine più nobile per definire le masse che animano le strade e le città italiane in questo momento, vuole colpevoli del proprio disagio, vuole puntare il dito, vuole spingere il proprio dito nell’occhio di qualcuno, vuole colmare con l’odio il senso di inadeguatezza e di sfiga che percepiscono avviluppare il paese. E hanno scelto di conseguenza. Il mio cinismo e il mio approccio etico nichilista mi fa dire "muoiano sotto le macerie che creano", se non che ci sono anche io e non riesco del tutto a rassegnarmi. Così, mentre distruggono a suon di decreti legge quanto costruito (nel bene e nel male) in anni di pseudo welfare e pseudo interesse pubblico, i commentatori si occupano costantemente delle questioni accessorie: nella scuola ad esempio il problema sarà il voto in condotta (sti cazzi) o l’aggressione diretta e senza mezzi termini al tempo pieno e al valore formativo dell’unica parte di scuola italiana che funzionava (le elementari)? Sarà che si cerca sempre più una scuola buona per i ricchi e terribile per i poveri, oppure no? Invece tutti a parlare di sto cazzo di voto in condotta, come se d’incanto risolvesse o meno la scarsa penetrazione della capacità educativa nelle famiglie (perché il problema è lì mica a scuola). 

Arriviamo al tema del post, perché la peggiore notizia della settimana a Milano (se non del mese) è la prossima inaugurazione di Cuore Nero. Per chi non lo sapesse, il circolo culturale dal simpaticissimo nome sarà il punto di ritrovo dei naziskin di tutta la regione, soprattutto di quelli legati alle curve di estrema destra (i protagonisti sono personaggi legati agli Irriducibili dell’Inter, ma non solo loro considerato che il tutto è fatto con i soldi dell’ex cassiere dei NAR, Lino Guaglianone, candidato da AN alle passate elezioni locali). Fin qui in sé sarebbe già una pessima notizia, ma la realtà è sempre peggiore degli incubi, e quindi sarebbe giusto far notare che questo simpatico ritrovo di nostalgici aprirà a 150 metri dalla Cascina Autogestita Torchiera, ampliando il negozio di simpatiche magliette di uno dei militanti del gruppo in un baretto di dubbia frequentazione. Un anno fa più o meno  i loschi figuri stavano per inaugurarlo a 50 metri dalla Cascina, è vero, ma purtroppo pochi giorni prima del lancio qualche benemerito cittadino diede fuoco ai locali rendendo impossibile l’inizio dell’avventura hitleriana. Purtroppo pare difficile che si ripeta il miracolo e nessuno in città si pone il problema di mettere un bel covo di accoltellatori di fianco al luogo in cui le loro vittime preferite si recano ogni giorno. 

Ora, fatto salvo che un posto ai topi di fogna non dovrebbe esistere per svariati motivi che non starò a elencare, ma che sono scritti nei libri di storia e nella Costituzione (unico libro di legge che rispetto, ragione per cui non ne cito altri che pur sarebbero coinvolti), l’idea di aprirlo vicino a uno spazio sociale è buffa e particolare, come anche il fatto che nessuno abbia pensato di dissuaderli, con le buone o con le cattive – e parlo ad esempio dei simpatici omini in divisa, che forse hanno troppo poco lavoro per le mani ultimamente e hanno pensato di  procurarsi un fertile passatempo sulla pelle di qualcun altro: non ci voleva molto a consigliarli nello scegliere un altro territorio no? Ma forse le strategie di prevenzione dei disastri non sono la specialità delle istituzioni italiane e quindi dovremo accontentarci. Come al solito toccherà alle persone difendere la propria libertà di muoversi e di agire dai modi e dalle idee che la storia avrebbe dovuto seppellire con più decisione di quanto non abbia fatto. 

Lo scrivo così nessuno poi potrà recriminare: la responsabilità di ogni macello che succederà è di chi ha scelto di aprire Cuore Nero, di aprirlo in un certo luogo con un certo fine, e di chi lo sta consentendo facendo finta che non abbia alcun effetto su quanto di peggio la città di Milano ha già da offrire. D’altronde dimenticavo che la cosa importante è cancellare un graffito di amore e memoria fatto su una parete di 20 metri di un’area semiabbandonata in una via priva di qualsiasi decoro e cura urbana: questo sì che è il pugno duro contro i violenti e i teppisti. Di fronte a tanta solerzia dell’amministrazione cittadina bisogna essere orgogliosi, dato che il sillogismo è spontaneo: se le autorità non si preoccupano di un circolo di nazisti, vuol dire che non sono pericolosi o problematici, no?

Appuntamento dalle 15.00 in Cascina Torchiera sabato 6 settembre 2008. Ah, dimenticavo, non c’è il campionato sto week end quindi indovinate tutti i dementi che popolano gli stadi del Nord Italia dove saranno? Su, alzate il culo e sostenete la Cascina (parafrasando i CCCP). 

Sempre a proposito di leggi razziali a Milano

6 Giugno 2008 5 commenti

 

Sempre a proposito di leggi razziali a Milano, oggi ho ricevuto una mail che mi segnala come siano in atto le nuove misure del prefetto relativamente ai campi nomadi: da stamattina polizia e carabinieri stanno provvedendo a fotografare, identificare e schedare tutti i presenti nei campi milanesi. Sono sicuro che la gran parte delle persone non ci vedranno niente di strano in tutto questo, anzi che gioiranno, come dimostrano le occhiate di schifo complice che si scambiano le signore impomatate sulla metrò quando entra l’ennesimo rom a suonare una tarantella con l’armonica. Io invece ci vedo qualcosa di strano, anzi di schifoso: se al posto di schedare i rom passassero da casa vostra a chiedervi di farvi una foto e di segnare dove state e con chi state, sono sicuro che non vi sembrerebbe tanto normale. Chi abita in un campo rom non è diverso da me e da voi, è un cittadino europeo (nella maggioranza dei casi), spesso addirittura italiano, ha un documento d’identità valido, e non c’è nessun motivo per cui debba essere schedato, se non un pregiudizio e la necessità di soddisfare la canea mediatico-popolare. Ma questo tipo di soddisfazioni non sono mai un buon preludio. E’ aberrante che l’unico a scrivere cose intelligenti in proposito sia Gad Lerner. Forse perché la sua storia gli ha insegnato come cominciano i periodi bui per la democrazia e l’umanità in generale.

 

Teoremi, patemi, almeno una buona notizia all’anno

26 Aprile 2008 Commenti chiusi

 

So che non sono proprio sul pezzo, dato che la notizia è del 24 aprile sera e io la sto dando dopo due giorni, ma purtroppo non sono stato online: il processo di Cosenza, basato su un teorema allucinante secondo il quale organizzare la partecipazione a un corteo costituisce in sé una associazione sovversiva, si è concluso con una sentenza di assoluzione per tutti gli imputati, con la formula "perché il fatto non sussite". Da questa notizia, di cui tutti dovrebbero essere più che felici, traiamo alcuni importanti insegnamenti – sperando che li traggano anche il pm Fiordalisi e i suoi amichetti del ROS: che il 270 bis non è che proprio attecchisca molto in Italia, almeno per ora, vuoi perché è un reato che vorrebbe colpire i militanti (e non ce ne sono più molti in circolazione), vuoi perché è un reato che si basa tutto su impostazioni accusatorie totalmente indiziarie e sempre deliranti. In secondo luogo questa sentenza avrà interessanti ripercussioni sul processo Diaz, nel quale alcuni difensori degli alti papaveri indagati volevano usare il processo/teorema come giustificazione dell’intervento: mi sa tanto che l’operazione laida non gli riuscirà, e anzi gli tornerà, come dire… un po’ nei denti. Cmq tripudio!

La dignità della polizia italiana: una valutazione delle dichiarazioni spontanee di Giovanni Luperi al processo Diaz

27 Marzo 2008 1 commento

Le avvisaglie si avevano avute già ieri con le dichiarazioni spontanee dei capisquadra, con agenti di polizia con servizio pluriennale che imbastiscono storielle su presunti corpi speciali dei black block che sono usciti non visti da nessuno e da nessun apparecchio audio-video e misteriose apparizioni delle ferite sugli occupanti della diaz probabilmente per un fenomeno mistico  simile a quello delle stimmate di Padre Pio.   Ma le dichiarazioni di oggi di Giovanni Luperi sono ampiamente al di là di quello che ci saremmo aspettati.

Giovanni Luperi all’epoca del g8 di genova nel 2001 era Consigliere Ministeriale Aggiunto in missione alla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, mentre ora è stato promosso a un non ben specificato compito alla Presidenza del Consiglio – anche se da quello che ne sapevo io era interno alla struttura che sono diventati i servizi segreti dopo l’ultima ennesima ristrutturazione. Ho studiato un po’ l’organigramma della polizia italiana, ma quando si arriva a un certo livello apicale è difficile distinguere chi sia il superiore di chi, questo perché quando uno arriva a un determinato livello è difficile fargli accettare di essere subordinato a qualcuno che non sia il padre eterno. Per ovviare a questo kafkiano problemino, di solito si procede a nominare la gente nei ruoli più disparati che sono null’altro che giri di parole per dire: altissimo livello della polizia italiana destinato a compiti superiori e di fatto senza sovraordinazione che non sia politica. Il ruolo di Luperi del 2001 significava questo, nonostante oggi in aula al processo per i fatti della  Diaz  che lo vede imputato abbia speso una buona mezz’oretta a girare intorno alla struttura della Polizia di Stato per spiegare che lui ormai è un poliziotto che fa analisi e raccoglie informazioni e che in ogni caso è subordinato ai direttori delle due principali direzioni del DCPP (la struttura che ha raccolto le varie eredità dell’UCIGOS e di altre branche dei servizi informativi della Polizia di Stato, e considerate che la modifica dell’organigramma della PS è in costante evoluzione): in pratica è tra le dieci persone più importanti nella Polizia di Stato – non saprei collocarlo con più precisione – ma vuole farsi passare per un agente scelto qualsiasi, a cui nessuno dice nulla, a cui nessuno chiede nulla e che non sente di avere alcun ruolo durante una operazione evidentemente importante (considerata la presenza di Dirigenti Generali e Prefetti come se piovessero).

E’ francamente un po’  allibente sentire Giovanni Luperi che dice che durante la riunione con tutti i più alti in grado della PS in cui si decide dell’operazione lui non si rende conto di nulla perché "esce a sciacquarsi la faccia", "gioca a cambiare la suoneria del telefonino di Fiorentino", o "fuma una sigaretta". Vi ricordate la canzone di Elio che usava come scusa per non parlare dei problemi con la tipa "ho un gomito che fa contatto con il piede"? Beh non ci andiamo molto lontani. Nella descrizione di Luperi poi lui semplicemente per dovere accompagna il prefetto La Barbera: da questo punto in poi il suo interrogatorio è un indecoroso scarica barile su altri imputati, possibilmente defunti e quindi in condizione di non controbattere. In pratica il capo di tutto sarebbe il prefetto La Barbera (pace all’anima sua), in subordine Berrettoni che doveva essere lì al suo posto, ma non c’è; della perquisizione sarebbero responsabili i dirigenti locali della DIGOS e della mobile che li dovevano guidare lì e che erano i più alti in grado con funzioni di polizia giudiziaria (che lui si guarda bene dal fare nelle sue parole, e più va avanti e più uno si chiede perché prenda lo stipendio); dei pestaggi sono responsabili gli agenti del Reparto Mobile e in particolare Canterini che li nega in sua presenza più volte, anche se erano giustificati secondo Luperi dalle aggressioni subite e che gli avevano raccontato sul posto (tipo Nucera); infine delle Molotov che lui non sa da dove vengano e perché finiscano in mano proprio a lui che è un povero agente scelto che non conta nulla, sono responsabili "coloro che illegalmente le portarono lì" (Troiani, Burgio, Di Bernardini, per chi non avesse seguito il processo, ovvero altri poliziotti). Onestamente ci saremmo aspettati qualcosa di meglio per giustificare tutto quello che è successo che patetiche scuse e una specie di grottesco gioco "ce l’hai" con i morti e i propri subordinati (quantomeno gerarchicamente se non funzionalmente come amerebbe dire il Dirigente).

Ah, dimenticavo il modo in cui racconta gli eventi. Passi che debba raccontare un sacco di balle per salvarsi la carriera, lui che ben prima di altri aveva individuato i membri delle nuove BR-PCC (con tutta sta gente che ha fatto cose contro le BR non si capisce come questi possano aver fatto due omicidi, o sono dei maghi o la polizia italiana è un branco di dementi), ma che si permetta di fare ipotesi fantasiose circa la gente che ha rischiato di lasciarci la pelle nella Diaz per "rimettere sulla bilancia" la situazione (come dice lo stesso Luperi, lapsus freudiano forse) è veramente al di là del bene e del male: "io quando sono entrato nell’atrio ho visto una quarantina di persone e un sacco di operatori che andavano e venivano, di sangue non ne ho visto, non escludo che le pozze che si vedono in tanti documenti video possano essersi creato quando le persone sono state portate dai piani superiori o fossero celate sotto le persone sedute che io avevo visto". Ovvio, no? D’altronde ci eravamo dimenticati di dire che l’operazione alla Diaz l’ha diretta Babbo Natale a cui si sa tutti i poliziotti di buon cuore, compreso il Capo della Polizia, sono subordinati. Ci saremmo aspettati una misura un po’ più ampia della dignità della Polizia Italiana che questa volgare dimostrazione di pochezza e di viltà. Con tutta franchezza, nonostante il fatto che siamo e saremo sempre dall’altra parte della barricata: abbiamo diritto ad avversari più degni di così. <g>

Processo Diaz: settimana densa di parole da leggere e ascoltare

25 Marzo 2008 Commenti chiusi

 

Questa settimana i processi nei confronti delle forze dell’ordine per fatti collegati al g8 vivranno giorni abbastanza importanti e interessanti. Sul fronte del processo Bolzaneto, conclusa l’arringa dei pm con la richiesta di 76 anni di carcere per 44 imputati e concluse le arringhe dei difensori di parte civile (le vittime per semplificare), arriva il momento del responsabile civile (lo Stato che dovrà dire come e quanto farà fronte ai risarcimenti) e degli avvocati della difesa: proprio questi ci forniranno l’ottimo spettacolo di sgusciare tra prove evidenti alla ricerca di una via d’uscita per i loro assistiti, se non dai fatti almeno dal processo (i cavilli sono sempre in agguato).

Nel processo per i fatti della Diaz invece assisteremo alla conclusione dell’istruttoria (salvo imprevisti e qualche altro testo settimana prossima): tra mercoledì e giovedì infatti oltre agli ultimi testi dovrebbero presentarsi a rendere spontanee dichiarazioni (dopo anni di assenza dall’aula di tribunale che li vede protagonisti) alcuni imputati tra cui certamente i capi squadra (difesi dal candidato della Fiamma Tricolore avvocato Porciani) e soprattutto Giovanni Luperi, uno dei due imputati più alti in grado coinvolti nel processo (l’altro è il "benemerito" e benvoluto dalla sinistra Francesco Gratteri), che ha preannunciato che parlerà per circa due ore. Chi era lì e chi ha a cuore la memoria di Genova potrebbe decidere di fare un salto giovedì 27 marzo per il suo piccolo show (dovevate vedere la faccia di Di Bugno quando il presidente della corte gli ha detto che non avrebbe avuto un’udienza tutta per lui, il dr Luperi… gli toccherà dividere le telecamere con qualcuno… eheh!)

UPDATE 26 MARZO: Mercoledì sono venuti a rendere dichiarazioni spontanee i capisquadra Ledoti, Zaccaria, Stranieri e Cenni. Le loro parole le trovate su supportolegale, qui vi faccio una sintesi. Ledoti sembra Pieraccioni agente del reparto mobile con l’accento del centro sud, arriva ancora zoppicando e accentua la cosa quando si allontana dal banco degli imputati dicendo che dopo la diaz si è fatto refertare una distorsione al ginocchio; ovviamente lui è un buon samaritano che non tocca nessuno, ma che anzi viene aggredito e nonostante questo salva una povera giovane scortandola fino al piano terra, ma non nota nulla di altro pur essendo tra i primi dentro la scuola. Stranieri è un marcantonio di due metri per centotrenta chili, fa veramente brutto, ed è un po’ ridicolo sentirlo raccontare di come sia stato aggredito e sia rimasto contuso, dato che io anche armato contro di lui a mani nude probabilmente non gli farei nulla; ovviamente si accorge di qualche collutazione ma nulla di che. Zaccaria sembra uscito da Il Padrino Parte Terza, e racconta anche lui la solita solfa, solo che tutti i particolari sono sballati, sarà confusione o solo amore? Il peggiore è Cenni: questo come introduzione fa tutta una tirata sulla sua carriera in cui ha fatto da scorta anche ad Arafat quando aveva un mandato di cattura internazionale sulla testa e all’onorevole Berlinguer, e poi racconta il suo arrivo in cui lui per una serie fortuita di circostanze arriva dopo l’ingresso di tutti, trova i suoi uomini tutti contusi, e poi accompagna i primi arrestati regalando loro dell’acqua da brav’uomo qual e’. Oltrettutto è un medium: mentre arriva per ultimo vede dal retro della scuola allontanarsi una trentina di ragazzi incappucciati e vestiti di nero, con dei caschi che non si muovevano a caso, ma con ordine, quasi marciando. Strano che tra tutti i presenti e tutti quelli che hanno sorvolato, visto, raccontato, ripensato a quella notte, questo plotone di gente altamente addestrata non lo ricordi nessuno. Saranno un po’ come le molotov? Domani è il gran giorno, attendete le panzane che ci rifilerà Luperi…

Bolzaneto, la coscienza sporca e il cinismo

21 Marzo 2008 1 commento

 Riprendo brevemente un intervento del mio socio, secondo me perfettamente centrato, tanto che avrei voluto scriverne io prima, su Bolzaneto e la campagna sulla sentenza del processo che sta occupando la sinistra (o cosiddetta tale) e i suoi media, in particolare La Repubblica e L’Unità. Sintetizzo l’intervento del mio socio: dopo anni in cui tutti se ne sono fottuti del processo Diaz e del processo Bolzaneto, promuovendo tutti i protagonisti e ignorando le vittime, lasciando pm e magistratura nel marasma più completo, e cercando di non far coinvolgere la fazione della PS più vicina o più lontana al politico in voga al momento, il PD e i media ad esso collegati in piena campagna elettorale scoprono che Bolzaneto è stato un atto gravissimo. Questo perché porta voti da sinistra, ma anche perché prepara bene il terreno alla "necessaria" conclusione del processo Diaz, ben più grave considerato che coinvolge tutti gli apici della Polizia italiana: condannare gli esecutori materiali dei pestaggi e non toccare i Super Sbirri. Perché le mele marce, si sa, ci sono dappertutto, tra i manifestanti come tra i poliziotti, e questa è la loro verità su Genova, quella che vorrebbero sancire definitivamente con la famosa Commissione Parlamentare, quella che deve passare nei libri di storia (sempre che ci arrivi al posto di Berlusconi come statista di fine millennio): non sia mai che nei libri di storia Genova passi come il momento in cui la foglia di fico sulla natura delle forze dell’ordine italiane come agenti dei poteri forti e tutt’altro che limpidi è caduta, o come il momento in cui diverse migliaia di persone si sono rotte le palle di accettare passivamente i palazzi. No, Genova è la storia di una grande manifestazione e delle mele marce che rovinano la politica con i loro "estremismi", con la loro "irragionevolezza". Per cementare questa operazione oggi Repubblica è riuscita a riesumare dal sarcofago addirittura Amato, sì proprio il Dottor Sottile, che non le manda a dire e spiega per filo e per segno la strategia. C’è molto da imparare su come si concludono i pezzi di storia, ma noi italiani siamo abituati a non imparare mai.  

Coming Soon: un’analisi delle motivazioni della sentenza dei 25

19 Marzo 2008 3 commenti

Il 14 marzo sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna per 24 dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per gli scontri accaduti durante le manifestazioni contro il g8 nel luglio 2001 a Genova. Il tomo sono quasi 700 pagine e la sua lettura non è banale, per cui serve un po’ di tempo per rifletterci. A occhio e croce quello che risulta più evidente è una volontà di ricostruzione dei fatti molto approfondita (pericoloso considerato che un processo non conosce tutto quanto è avvenuto nelle strade di Genova di quei giorni, ma da questa parzialità ne trae delle conclusioni) e l’appoggio a un concetto di concorso sinceramente spaventoso (e analogo a quello usato per condannare 15 persone per i fatti dell’11 marzo 2006 a Milano). Datemi qualche giorno e spero di poter andare più nei dettagli: intanto se volete fare da voi, le motivazioni le trovate su supportolegale.org (ripulite dai nomi degli imputati ovviamente, ma non servono per capire di cosa si parla). 

Bolzaneto: la normalità del male

13 Marzo 2008 4 commenti

Martedì 11 marzo 2008 i pubblici ministeri Petruzziello e Ranieri
Miniati hanno letto le loro richieste di pena per i 45 imputati per i
fatti di Bolzaneto: le condanne ammontano a qualcosa come 76 anni
complessivi
, ma solo per 15 degli imputati la pena supera la soglia
della condizionale
(ventiquattro mesi) e solo per 8 di questi quella
dell’indulto
(tre anni). Per i restanti trenta le condanne sono di
circa un anno (o meno) a testa, anche considerata la peculiarità delle
condizioni che si sono verificate a Bolzaneto – hanno detto i pm. Il
problema è che non c’è nulla di straordinario in Bolzaneto, se non il
fatto che ciò che è accaduto sia sostanzialmente di dominio pubblico.

La caserma del VI Reparto Mobile di Genova a Bolzaneto nel
luglio 2001 era uno dei due luoghi adibiti a ricevere i fermati e gli
arrestati per poi trasferirli ai carceri di destinazione (o rilasciarli
nel caso dei primi). L’altro luogo era Forte San Giuliano, una caserma
dei Carabinieri. A Bolzaneto per l’occasione si costruì una palazzina
in cui le forze dell’ordine operanti in ordine pubblico dovevano
portare i fermati, consegnarli agli uomini della Digos e della squadra
mobile presenti, con i quali dovevano redigere gli atti relativi al
fermo o all’arresto. Gli arrestati poi dovevano essere "passati" alla
polizia penitenziaria, immatricolati, visitati e trasportati (o
tradotti come si dice in gergo) nei carceri di Alessandria, Pavia,
Voghera, Vercelli.
In realtà – come ormai tutti sanno – a
Bolzaneto sin dall’arrivo le persone venivano sottoposte a una sorta di
contrappasso violento e umiliante, una specie di vendetta, in cui le
forze dell’ordine si autoqualificavano di fatto come avversari dei
manifestanti
. Questa è la prima inversione che spesso si cerca di
fomentare per sminuire i fatti della caserma: nessuno delle persone in
stato di "ristretta libertà" ha dato luogo a episodi di resistenza o di
violenza, e quindi la decisione vigliacca e vile di esercitare la
violenza anziché di svolgere il proprio compito ha una sola origine ben
definita. Le persone venivano accerchiate, insultate, minacciate e picchiate nel cortile, poi venivano minacciate e percosse negli uffici della Digos e della squadra mobile, al fine di far loro firmare dei verbali redatti in italiano anche per gli stranieri.
Ogni volta che le persone venivano spostate dalle celle di sicurezza
all’ufficio trattazione atti e viceversa, dovevano passare in mezzo a
due ali di agenti che continuavano a menare calci, pugni, sgambetti, insulti, sputi. Nelle celle di sicurezza le persone non potevano stare sedute, ma dovevano stare in piedi con la faccia al muro, le braccia alzate e le gambe divaricate,
tanto che molti hanno avuto malori e conseguenze anche a medio-lungo
termine per la posizioen imposta. Senza contare gli episodi di violenza
fisica e verbale gratuiti. A questo punto i fermati venivano
rilasciati, non dopo essere stati fotosegnalati dalla scientifica (dove
però non avviene nessun episodio di violenza), mentre gli arrestati
passavano nelle mani della Polizia Penitenziaria, dove il trattamento nelle celle continuava: divieto di andare in bagno o l’accompagnamento con pestaggi e umiliazioni; violenze gratuite; minacce e intimidazioni continue. Dalle celle gli arrestati venivano immatricolati senza consentire loro di avvisare i familiari o i propri consolati,
poi vengono perquisiti e visitati nella stessa stanza, dove agenti e
medici li trattano con violenza e scherno. Poi tornano alle celle e
infine tradotti ai carceri, alcuni dopo oltre 30 ore di permanenza nella struttura temporanea senza cibo e acqua. Per molti l’arrivo in carcere è praticamente una liberazione.

Per tutto questo i pm avrebbero voluto usare il reato di tortura, che però in Italia non esiste,
nonostante il nostro paese sia firmatario della convenzione delle
Nazioni Unite sulla tortura del 1989, che impegna i paesi firmatari a
tradurre in disposizioni di legge il contenuto della convenzione: a
venti anni di distanza nessuna legislatura è stata in grado di portare
a termine questo compito. Al di là di questa carenza i pm hanno deciso
di individuare e punire con pene più severe il cosiddetto livello
apicale, ovverosia i capi dell’ufficio trattazione atti, i capi del
sito di bolzaneto, dell’infermeria, del servizio di traduzione, dei
servizi di vigilanza alle celle: in pratica hanno ritenuto che il loro
ruolo di responsabilità e garanzia fosse più importante e quindi da
punire con più fermezza. Da questo livello hanno deciso di escludere il
responsabile formale del sito, il magistrato Alfonso Sabella che pure
vi era passato e che aveva a maggior ragione un ruolo di garanzia nei
confronti di chi transitava in quei siti. Ma la solidarietà di casta
non conosce confini. Viceversa hanno ritenuto che i livelli intermedi e
gli agenti che effettivamente sono stati i protagonisti dei trattamenti
fossero responsabili solo di episodi da inserire in un clima di
impunità da attribuire ai loro dirigenti. Eccezioni sono ovviamente gli
agenti individuati e riconosciuti con chiarezza come protagonisti di
singoli atti di particolare crudeltà: ad esempio Pigozzi che prende a
due a due le dita della mano di un arrestato, AG, e le divarica fino a
strappargli la mano. Il risultato finale sono una richiesta di pene (da notare che spesso i tribunali comminano pene inferiori alle richieste del pm) di circa 76 anni,
una sola assoluzione, ventinove posizioni in vista di prescrizione e
comunque entro i termini della condizionale, quindici posizioni con
pene un po’ più cospicue.

Tutti soddisfatti? Direi di no, per almeno due motivi importanti (e una miriade di motivi più triviali): in primo luogo queste
condanne equivalgono a meno della metà degli anni di carcere chiesti ed
ottenuti per le 25 persone accusate di aver partecipato agli scontri
della giornata
, e l’atteggiamento dei pm nei confronti degli
imputati è stato improntato a un garantismo e una prudenza esasperati,
tali che se non vi era prova certa del fatto e dell’identificazione di
un imputato come autore di quel fatto, si sono pronunciati sempre e
comunque per l’assoluzione (fermo restando l’ottimo lavoro svolto dai
pm nel clima di difficoltà che un processo contro le forze dell’ordine
rappresenta sempre). Non che nessuno sia interessato al fatto che
queste persone passino mille anni in carcere, ma una condanna più dura
in un caso come questo dove siamo alle porte della prescrizione sarebbe
stato un segnale più forte da parte della procura rispetto a quanto è
avvenuto e quanto avviene tutti i giorni (vedi sotto). E’ facile capire
come chiunque sia passato da Bolzaneto e non abbia denunciato quello
che vi avveniva lo faccia in malafede e si renda corresponsabile di ciò
che è accaduto. Mettete nell’equazione i campi dove tenevano i
desaparecidos in Argentina al posto di Bolzaneto e vedrete che i conti
tornano. Ma la giustizia si fa garante dell’onere della prova della
commissione di un reato solo quando questo reato è esercitato da chi
sta tra i ranghi del potere: infatti per le 25 persone accusate degli
scontri di piazza, non vi è stato alcuno scrupolo né nell’individuare i
singoli reati commessi, né nello scegliere un capo d’accusa che avesse
senso: servivano pene esemplari, e si è usato il reato necessario,
anche a dispetto della realtà. La conclusione amara a cui uno deve
giungere è che è meglio torturare come sottoposto centinaia di persone,
che non spaccare due vetrine o lanciare quattro sassi
: nel primo caso prendi 10 mesi e sei libero, nel secondo prendi 10 anni di galera.

Il secondo punto problematico è la motivazione per le pene contenute
richieste per gli esecutori materiali: secondo i pm le condizioni della
caserma di Bolzaneto sono state eccezionali, nella commistione di
diverse forze dell’ordine, nella poca chiarezza degli ordini, nella
concitazione di quei giorni. Questa straordinarietà ha convinto i
procuratori a non chiedere la recidività delle condotte e a chiedere in
prima persona l’applicazione della sospensione con la condizionale
della pena. Il problema è che quanto
è avvenuto a Bolzaneto non è per nulla eccezionale, ma è la prova
vivente di quanto avviene tutti i giorni in moltissimi luoghi del
paese, nelle caserme, nei centri di permanenza temporanea, nei carceri
e alle volte (si vedano i casi recenti di Aldrovandri e di Sandri per
citarne due) anche nelle strade.
Bolzaneto è la rappresentazione
dell’anima nera di una buona parte delle forze dell’ordine, della
sensazione di chi veste una divisa di essere al di sopra della legge e
di poter esercitare arbitrariamente il proprio potere su tutto e su
tutti, in particolare su coloro che sono detenuti (o comunque
"ristretti" nella loro libertà come i migranti in un CPT o i fermati in
una cella di sicurezza della questura). L’arroganza e la prepotenza di
moltissimi (non tutti, ci mancherebbe, non facciamo della facile
demagogia) membri delle forze dell’ordine è un dato di fatto, e
qualificare Bolzaneto come eccezione forse non rende un grande servizio
alla possibilità che tutto questo cambi. Ma la strada perché le persone
si interessino veramente di come funziona il mondo che le circonda e di
come si esercitano il potere del controllo e della repressione è ancora
molto lunga. Bolzaneto in questo senso è un’occasione persa, alla
ricerca di infilare tutto sotto il tappeto considerandolo come un
episodio terribile ma isolato.
Il male è molto più ordinario di quello che piace pensare.

Maggiori Informazioni: supportolegale.org

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su carmillaonline   e precaria.org

Incontro a Milano: controllo, antiterrorismo e intelligenze criminali in Germania e Italia

9 Marzo 2008 Commenti chiusi

 


10 marzo 2008 – ore 20
Cascina Autogestita Torchiera senzacqua

piazzale cimitero maggiore 18, Milano
[mezzi: bici, tram 14, bus 40, radiobus]


Chi sono i veri cattivi?
controllo, antiterrorismo e intelligenze criminali

Il 31 luglio 2007 Florian L., Axel H., Oliver R. e Andrej H. vengono
chiusi nel carcere Moabit di Berlino. Tutti e quattro gli arrestati,
con indosso tutte in stile Guantanamo, vengono poi trasportati in
elicottero agli uffici del procuratore a Karlruhe la stessa notte, e
posti in stato di arresto investigativo. Lo stesso giorno le case di
altre tre persone, Matthias B. e due altri ricercatori vengono
perquisite e viene loro notificato un provvedimento di indagine.

Una brutta storia di criminali, membri di Al Quaeda o mercanti di schiavi?
No. Ma neppure stinchi di santo: le persone che hanno ricevuto questo
trattamento sono ricercatori e attivisti politici fortemente impegnati
contro l’erosione delle libertà civili e contro la trasformazione
sociale imposta da logiche commerciali. Nei loro testi sono presenti
parole comegentrificazione, disuguaglianze, Parolacce di difficile
comprensione. Ma che in realtà descrivono in modo scientifico il processo di trasformazione a cui sono sottoposti anche i quartieri popolari delle aree centrali delle città (a Milano, L’Isola),soggetti a forti speculazioni del mercato edilizio.

In un mondo ideale, a chi pensa diversamente si contrappongono altre idee. Ma siamo invece in un mondo fin troppo reale. L’arresto di Florian, Axel, Oliver e Andrej sembra essere una delle tante "sviste" della lotta al terrorismo. Una lotta che, così com’è concepita, serve a seminare il terrore, più che a combatterlo.
L’arresto infatti è stato fatto in base all’articolo 129a del codice penale tedesco, introdotto dal Parlamento nell’agosto 1976 per affrontare il problema della RAF (Roten armate fraktion, un gruppo assimilabile alle Brigate rosse). L’articolo
criminalizza la partecipazione, la promozione e l’appoggio a
organizzazione terroristiche, più che gli atti criminali in sé,
rendendo quindi fondamentale la costruzione di una organizzazione
terroristica come prerequisito per l’uso di questo reato da parte di
una pubblica accusa. Dato che si tratta di un "reato associativo", un
individuo può essere perseguito e punito per tutti i reati commessi
dall’organizzazione della quale è parte, anche se non viene provato che
sia coinvolto direttamente in nessuno di essi.

Andrej H. è stato liberato a fine ottobre e il suo mandato di aresto è stato revocato.
Il 10 marzo sarà a Milano, alla Cascina  Autogestita Torchiera
senzacqua, a raccontare la sua storia. E visto che quello che è
successo a lui potrebbe riguardare ciascuno di noi, insieme a Mirko
Mazzali (avvocato) e Blicero (Supporto legale-Genova G8) cercheremo di tracciare i paralleli con le
leggi e le situazioni italiane, di capire quali sono le logiche della
lotta al terrorismo, quali sono i modi per difenderci dalle sue false
interpretazioni.

Per saperne di più

http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1073
(italiano)

http://annalist.noblogs.org
(tedesco-inglese)

http://einstellung.so36.net/it
(italiano)

http://education.guardian.co.uk/higher/worldwide/story/0,,2153121,00.html

(inglese)

Negli ultimi anni in Germania l’opposizione politica e il giornalismo di indagine sono stati pesantemente sotto attacco da parte di polizia e servizi segreti. Molti giornalisti sono stati spiati, molti manifestanti contro il G8 sono stati criminalizzati, e ora anche scienziati sociali con posizioni critiche vengono accusati di essere parte di una organizzazione terroristica per essersi avvicinati ai movimenti sociali e aver usato parole come "gentrification", "precarizzazione" e "marxista-leninista" nelle proprie pubblicazioni, e perché proprio questi materiali sono state ritrovate anche in alcune lettere inviate da un gruppo che ha rivendicato una serie di attentati contro auto ed edifici militari nei dintorni di Berlino dal 2001 in poi.

Dopo il crollo del blocco comunista e la transizione al capitalismo in Germania Est, alcuni degli arrestati sono stati coinvolti in ricerche e azioni contro i processi di "gentrification" (ovvero la sostituzione
della popolazione dei ceti meno abbienti con gente di ceto medio e alto in zone "strategiche" della città, attraverso il rialzo dei prezzi immobiliari). In particolare alcune porzioni orientali di Berlino sono state oggetto di un ampio progetto di ristrutturazione con effetti devastanti per le famiglie con meno reddito, il tutto guidato dalle dinamiche di privatizzazione introdotte dopo la riunificazione. Gli studi condotti su questa transizione, però, non sono stati solo di natura accademica, ma cercavano di spingere il cambiamento sociale attraverso l’organizzazione di comitati di vicinato che hanno preso il nome di "We will all stay" (Resteremo Tutti, ndt), di cui due degli accusati hanno fatto parte. Inoltre le ricerche condotte da uno degli accusati hanno mostrato che più del 50% dei 140.000 abitanti del distretto in ristrutturazione di "Prenzlauer Berg" avevano abbandonato l’area, giungendo alla conclusione che il progetto "si opponeva diametralmente alle politiche del consiglio comunale e distrettuale che afferma di puntare a riabilitare e conservare le attuali strutture sociali". I fondamenti scientifici di questo ragionamento, che illustrano effettivi sviluppi sociali ed economici, sono stati pesantemente criticati dagli attivisti e dai residenti al tempo, generando un grande dibattito politico

L’arresto infatti è stato fatto in base all’articolo 129a del codice penale tedesco, introdotto dal Parlamento nell’agosto 1976 per affrontare il problema della RAF (Roten armate fraktion, un gruppo assimilabile alle Brigate rosse). L’articolo criminalizza la partecipazione, la promozione e l’appoggio a organizzazione terroristiche, più che gli atti criminali in sé, rendendo quindi fondamentale la costruzione di una organizzazione terroristica come prerequisito per l’uso di questo reato da parte di una pubblica accusa.
Dato che si tratta di un "reato associativo", un individuo può essere perseguito e punito per tutti i reati commessi dall’organizzazione della quale è parte, anche se non viene provato che sia coinvolto direttamente in nessuno di essi.

L’articolo 129a è stato usato tradizionalmente per criminalizzare i movimenti di sinistra. Il nucleo fondamentale dell’articolo è il suo stato di emergenza che ne garantisce la possibilità di sospensione dei
diritti civili di base protetti sotto la normale legislazione penale e procedurale. La detenzione è un elemento centrale dell’articolo, dato che i sospetti sono tenuti in prigione per mesi o addirittura anni in
attesa di giudizio, senza alcuna indicazione di che cosa siano in pericolo di fare. I diritti di visita sono praticamente inesistenti: i sospetti sono tenuti in isolamento per 23 ore al giorno, gli è permesso ricevere solo una visita alla settimana, e anche gli avvocati devono parlare ai loro assistiti attraverso un vetro antiproiettile. Spesso i sospetti sono tenuti in prigioni lontane dalle proprie case, rendendo quasi impossibile per amici e parenti le visite. Il diritto alla difesa viene pesantemente limitato, dato che gli avvocati non hanno accesso agli atti di indagine, rendendo la preparazione della difesa dei loro assistiti parecchio complessa, come anche il fatto che la corrispondenza dell’arrestato è totalmente sotto il controllo del giudice.