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Archivio per la categoria ‘oscuro scrutare’

Nessuna Pietà

14 Febbraio 2008 7 commenti

 

Domani, venerdì 15 febbraio 2008, assisteremo all’epilogo del processo di appello per i fatti del San Paolo: nella sera un ragazzo viene ammazzato a coltellate per strada in via Zamenhoff in quartiere Ticinese, da tre neonazisti che portano al guinzaglio un cane di nome Rommel. Altre tre persone rimangono ferite nell’agguato. Il corpo di Davide viene portato all’ospedale San Paolo, e mentre si consuma il dramma, alcuni membri delle forze dell’ordine vengono a "prendere informazioni", sfottendo. Ne nasce un diverbio, e poi un litigio. A quel punto arrivano i rinforzi, celere, gazzelle e pantere. Caricano fino dentro al pronto soccorso. Alcuni si salvano dalla carneficina solo perché si nascondono in sale emergenza del pronto soccorso. Teste spaccate, ossa rotte. Il tutto filmato. Mazze da baseball estratte da bauli di auto di ordinanza. Grida scomposte.

Il processo di primo grado si conclude con una condanna a quasi due anni di carcere per due ragazzi pestati quella sera. Resistenza. Mentre gli unici tre membri delle forze dell’ordine portati a processo prendono qualche mese per abuso d’ufficio. La giustizia. Domani considerato il giudice dell’appello, finirà pure peggio.

Nel frattempo hanno depositato le motivazioni della sentenza di secondo grado per i fatti dell’11 marzo. Nonostante tutto, 15 condannati a 4 anni. Se volete fate voi il confronto con gli anni che si sono presi gli assassini di Davide (in appello 9 e 6 18 anni, per l’omicida e molti meno per i concorrenti). Assassini. O con gli 11 anni dati per il processo contro i 25 per i fatti del g8 di genova.

Poi quando uno si chiede cosa si intende per persi per persi meglio perversi, forse dovrebbe capire che se questo è il livello dello scontro, nessuno si dovrebbe stupire quando qualcuno si stancherà e farà delle stupidaggini. Un po’ come oggi pomeriggio: un presidio di donne in difesa della 194 con un reparto intero di celere schierato davanti a un ospedale. Manco quelle decine di donne fossero dei rapinatori di altri tempi armati fino ai denti. 

Il popolo vuole così, il popolo vuole violenza e sicurezza, illusorie, in cambio della propria libertà. Proprio come negli anni 20. Ognuno faccia i suoi conti.  

Barbarie o civiltà?

3 Febbraio 2008 3 commenti

Ieri a Cosenza, nonostante sia il luogo meno raggiungibile d’Italia dopo il Gennargentu e nonostante la scarsa disponibilità alla mobilitazione delle persone in media, c’erano 15-20 mila persone a manifestare la propria solidarietà per un processo assurdo e costruito sul nulla cosmico. Un buon risultato, di cui chi si è sbattuto per organizzare il corteo può andare orgoglioso. Come nel caso del 17 novembre a Genova dal punto di vista giudiziario sposterà poco, ma dal punto di vista politico – se non fossimo in piena emergenza democratica –  conterebbe qualcosa.

Approfittando del tour irlandese del mio socio, lo precedo nel pubblicare un suo articolo su Il Manifesto, che fa un po’ il punto sui processi e cerca di riproporre un ragionamento che insieme avevamo già sviluppato nei periodi migliori dal punto di vista della riflessione dell’esperienza di Reload, ormai conclusa. Infatti potete leggere i prodromi di questi ragionamenti nel reader di Chainworkers – una cui versione aggiornata e ragionata dovrebbe uscire tra marzo e aprile per Agenzia X con il titolo "Il Libro di San Precario" – e in alcuni dei folder che costituiscono una delle parti più interessanti della vita collettiva di Reload, in cui si spargeva ai quattro venti e distribuiva online e in tutto il quartiere briciole di ragionamento con cui risvegliare le persone che ci incrociavano. Valgono la pena di un occhiata.

 

Un movimento alla sbarra
Dal G8 del 2001 a oggi sono numerosi i casi
in cui la magistratura ha cercato di trasformare le lotte politiche in
azioni puramente delinquenziali

Simone Pieranni

Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova e
Torino. Ma anche Nuoro, Benevento, Brescia, Caserta, Lecce, Catania,
Cosenza, Rovereto, Cecina. Precariato, G8, antifascismo, anarchici,
blocchi stradali. Metropoli e provincia, lotte sociali e iniziative.
Dal 2001 quasi tutto è unito da un unico elemento: il tentativo e la
necessità di difendersi nei molti processi che – dal G8 genovese in
avanti, fino ad oggi – hanno tenuto occupato gran parte del movimento,
così ampio e composito, fino al luglio 2001. Per questo forte,
attraente e portatore di novità. L’esatta collocazione storica del G8
genovese – così come le sue conseguenze – deve ancora essere inquadrata
in modo organico e storico. Sicuramente, nella vita quotidiana di spazi
sociali, militanti, attivisti, ha segnato uno spartiacque, un decisivo
momento di passaggio, sia per quanto riguarda le mobilitazioni di
massa, e la loro eterogeneità, sia per la criminalizzazione, via via
crescente, delle lotte sociali e dei suoi protagonisti.
L’impatto
emotivo e giudiziario seguito a Genova ha dato vita a numeri da
capogiro, una sfilza di nuovi reati prodromici al blocco totale circa
la possibilità di contestazione dello status quo, un impegno costante e
stancante per gli attivisti e le organizzazioni: difendersi, mantenere
intatta la memoria storica e rilanciare le grandi battaglie sociali. Un
compito arduo, con numeri di partecipanti via via in diminuzione, con
la fine dell’esistenza di molti spazi sociali (a Milano il dato è
macroscopico) e la progressiva atomizzazione dell’attivismo (basti
pensare alla crisi di Indymedia e al trionfo dei blog di movimento):
impegni continui su più fronti giudiziari, a confondersi e insistere
con le nuove tecnologie di controllo sociale, sempre più distribuito,
unitamente alla militarizzazione del territorio e alla riduzione delle
lotte sociali a mero e semplice gestione dell’ordine pubblico. La
repressione è soprattutto questo: processi, accuse, reati, che mirano a
criminalizzare ogni tentativo di opposizione, rilancio e memoria
storica o difesa dei propri diritti, vedi Acerra, le lotte No Tav e le
recenti gestioni dell’emergenza rifiuti. Non contano i colori politici,
le appartenenze: a Genova, e da Genova, nasce una nuova strategia
repressiva. Viene tirato fuori, dopo molto tempo, il delitto di
devastazione e saccheggio. Dal 2001 è stato utilizzato oltre che a
Genova, a Milano e a Torino. Un reato che prevede pene altissime e che
riduce le lotte sociali ad azioni delinquenziali fuori tempo massimo e
soprattutto, quasi, comuni. Un passaggio ideologico decisamente
interessante, dopo anni e anni di reati associativi appioppati, e
accade ancora, come niente fosse. Un reato che segna un cambiamento
generale in tema di controllo sociale: chi si oppone allo status quo, è
un devastatore, un saccheggiatore, un delinquente, un barbaro, un
incivile, un corpo non da estirpare in quanto antitetico, ma da isolare
in quanto aberrante. Un reato fortemente ideologico. Devastazione e
saccheggio, ma non solo, basti pensare alla difese dai fascisti che
diventano, per le procure, rapine, violenze private, resistenze. I
filoni, si parla di circa novemila persone sotto processo solo nella
stagione berlusconianafino al 2005, cui poi si sono aggiunti i sindaci
sceriffi e legalisti di sinistra, interessano tutti i gangli attraverso
i quali il movimento tentò di esprimersi nel luglio 2001:
contrapposizione alle politiche liberiste, lotte sociali riguardanti il
tema della precarietà (e con esso il diritto alla casa, ai servizi, al
reddito), le lotte anti repressive degli anarchici, le lotte dei
migranti.
Per gli anarchici, sempre bastonati, non si è trattato di
un’inversione di tendenza: da sempre l’intelligence italiana, prima
della prima repubblica, durante e dopo, ha mirato a loro in ogni
situazione di difficoltà. Per loro il trattamento è sempre lo stesso.
L’operazione più vistosa è stata la cosiddetta Operazione Cervantes: il
27 luglio 2004 furono perquisite un centinaio di persone, di cui 34
indagate per «associazione sovversiva, terrorismo ed eversione
dell’ordine democratico» (270/270bis), mentre 4 furono gli arresti.
L’indagine era finalizzata all’individuazione degli autori degli
attentati all’istituto scolastico Cervantes e a una caserma di Roma nel
2003 e al tribunale di Viterbo nel gennaio 2004.
Nel filone
repressivo post G8, non manca la criminalizzazione di chiunque si
occupi di precarietà (lavorativa, sociale, di esistenza): ecco i
processi contro gli attivisti della MayDay del 2004 a Milano, il
processo per l’esproprio proletario del 6 novembre a Roma, gli
innumerevoli processi per azioni contro la guerra, il reddito, i
migranti e la casa (Bologna, Roma e Firenze ultimamente con le condanne
a 7 anni per chi manifestò al consolato Usa del 13 maggio 1999). Anche
in questo caso le mosse delle varie procure, sembrano inserirsi nel
solco ideologico delle nuove tecniche repressive: disconoscere il
primato politico delle varie forme di opposizione, per sancirne la resa
giudiziaria delinquenziale e tramutare ogni affaire politico in ordine
pubblico, il controllo in militarizzazione, la quiete sociale con la
delazione, per favorire forme sperimentali – basti pensare alla
prossima introduzione degli steward negli stadi – in cui ciascuno è
controllore degli altri e via via di sé stesso, consentendo il trionfo
dell’atomizzazione e della morte sociale.

Allibismo

25 Gennaio 2008 2 commenti

 

Non è che uno non vorrebbe scrivere anche di altro, oltre che delle partite dell’Inter, ma se oltre alla carenza di tempo cronica, uno ci aggiunge anche lo stato d’animo che suscitano le sorti del paese in cui vivi, diventa veramente una lotta impari. L’unica cosa che riesce a definire come mi sento è "allibito". In una giornata qualsiasi ne potete avere cento esempi, prendiamo ieri.

Ieri per 13 persone sono stati chiesti circa 50 anni di carcere per aver organizzato una serie di manifestazioni e aver cercato di darsi da fare perché anche al sud ci fosse un movimento anti-globalizzazione organizzato. Uno può considerare questa attività legittima o meno, interessante o meno, ma da qui a pensare che sia uno pseudo reato necessita un certo sforzo di fantasia.

Nel frattempo in Parlamento il governo Prodi cadeva con scene degne di un mercato del pesce e non certo della massima istituzione italiana: gente che stappava spumante (offerto dal bar del Parlamento pagato dai nostri stipendi) e mangiava mortadella, gente che per una decisione avversa si sputava in faccia al grido di "frocio di merda, checca". Questo è il livello delle nostre istituzioni. Se io sputo in faccia a un mio collega, vengo licenziato, e pure giustamente, direi. Strano che questo non avvenga per un parlamentare, e che nessuno si ponga il problema del livello di degenerazione della classe politica. Ovviamente molte delle persone che si stavano sputando in faccia non verranno mai tacciate di organizzare alcunché, né tanto meno di reati, né tanto meno messe di fronte alla possibilità di passare anni in carcere.

La vita va un po’ così, dipende da che parte scegli di stare, no?

Sotto il comunicato di supportolegale sulla requisitoria del pm Fiordalisi a Cosenza, nel cosiddetto processo al Sud Ribelle. IN fondo vi invita ad andare a Cosenza, il 2 febbraio. Io non ci riuscirò, ma se potete, è importante tanto quanto il 17 novembre a Genova. La storia alla sbarra è sempre la stessa.

50
anni di pena, questa la richiesta del pm per gli imputati del
Sud ribelle. Siamo giunti alle battute finali del processo che si
tiene a Cosenza e che vede coinvolte 13 persone, accusate a vario
titolo di associazione sovversiva, ai fini di impedire l’esercizio
delle funzioni del Governo italiano durante il Global Forum di
Napoli e al G8 a Genova nel luglio 2001 e creare una più
vasta associazione composta da migliaia di persone volta a
sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito
nello Stato. Niente male, come impianto.
Un processo che fin dalle
sue premesse si farà ricordare come tragicamente farsesco,
grottesco, una commedia all’italiana, più ‘I Mostri’, che
non ‘I Soliti Ignoti’. I momenti in cui non si ride, corrispondono
con la lettura delle ichieste del pm Fiordalisi, voglioso di
prendersi qualche attimo di gloria. Peccato sia oscurato dalla
querelle Prodi si, Prodi no.
Le pene vanno dai 2 anni e sei mesi
ai sei anni. Per tutti gli imputati sono state richieste anche
misure di sicurezza, da tradursi in libertà vigilata per
periodi che vanno da un anno a tre anni. Le comiche però
non mancano nell’iter processuale: è il 2002 quando alcuni
piccoli funzionari di polizia si fanno il giro delle procure d’Italia
per trovarne una disponibile a mettere sotto processo la rete di
attivisti che organizzò il controvertice di Napoli 2001.
Incontrano molte porte in questo peregrinare: gli sbattono tutte
in faccia tranne na, quella della procura di Cosenza e del pm
Fiordalisi il cui imperituro ricordo si lega a quattro inchieste
del CSM su di lui e ad inchieste particolari: fu lui a chiudere
l’inchiesta sulla Jolly Rosso nave facente parte del progetto
COMERIO, su cui anche Ilaria Alpi stava seguendo la pista. E’ il
15 novembre 2002 le case di decine di attivisti di Napoli, Cosenza,
Taranto, Vibo Valentia, Diamante e Montefiscone, vengono nottetempo
devastate dalle perquisizioni delle forze dell’ordine: il risultato è
venti persone arrestate, ad altri cinque furono notificati gli
arresti domiciliari, quarantatre persone finirono indagate nel filone
di inchiesta, computer, libri, intercettazioni telefoniche,
ambientali e telematiche.
Ancora una volta ci tocca dire "Nessun
rimorso": come per Genova, così per Napoli non ci può
essere alcun rimorso in chi ha tentato di opporsi al otere
economico mondiale. Per questo, per dimostrare a questi 13 imputati
di non essere soli, saremo in piazza a Cosenza il 2 Febbraio.

La
Storia siamo noi.


Supportolegale

Genova non è finita… e tre

17 Dicembre 2007 Commenti chiusi

 

L’articolo che è uscito oggi su nazione indiana era stato scritto nella settimana precedente la sentenza. Ovviamente ringrazio Gianni Biondillo e Nazione Indiana per lo spazio che offre a quello che accade nei processi genovesi e comprendo perfettamente la scarsità di tempo che a volte stravolge i tempi di pubblicazione. Il pezzo rimane valido, anche se l’epilogo lo conosciamo già, ma la necessità di prendere posizione e di scegliere nella vita, rimane un principio fondamentale a cui ci hanno abituato troppo spesso a sottrarci, diffondendo una cultura e una società della pavidità che mi fa sinceramente vomitare.

Genova non è finita – 3

Seguire i processi che riguardano i fatti del G8 di Genova del 2001
è un buon viatico per non dimenticare mai quanto ordinaria sia
l’ingiustizia e quanto quotidiana sia la necessità di prendere
posizione e di agire sui piccoli istanti che ogni giorno mettono su un
piatto della bilancia la tua dignità e sull’altro l’opportunità. Ogni
giorno a Genova capita che tu ti renda conto di quanto falsi siano i
giornali, e prima ancora i giornalisti, di quanto repellente sia la
logica teatrale e superficiale che gli attori di un tribunale
interpretano nella loro vita – con alcune pregevoli e ammirevoli
eccezioni – o di come la realtà venga distorta durante l’esercizio
della cosiddetta giustizia.
So che i miei precedenti interventi su
Nazione Indiana hanno cercato di essere meno estremisti e più
democratici – come si ama dire oggi – ma esistono dei momenti, io
penso, in cui una persona deve scegliere da che parte stare, perché è
evidente a tutti che le cose non sono tutte equivalenti, che, come dice
anche il Papa, il relativismo è un male incurabile della modernità, e
un valore spesso abusato per giustificare ciò che non si ha il coraggio
di indicare come sbagliato.

Non fraintendetemi: non è solo frustrazione e fastidio, esistono
anche dei momenti di obiettivo tripudio. Quando dopo immani sforzi di
mediazione e dopo aver ingoiato giganteschi rospi pur di garantire una
partecipazione di massa di 80.000 persone che arrivano con ogni mezzo a
Genova per dimostrarti che non l’hanno dimenticata, e che non hanno
intenzione di dimenticarsi che poche persone – 25 per la precisione, ma
presto sapremo esattamente quanti – sono nelle mire della magistratura
come capro espiatorio da offrire alla storia per spiegare Genova, non
puoi che gioire.
Non puoi che sorridere e guardare il fiume di persone scendere di nuovo
nelle strade di Genova, e lasciarti confondere da quell’inebriante
oppioide che è la speranza. Per un attimo pensi che anche i magistrati
hanno occhi e cervello e cuore, addirittura lasci sorgere in te il
dubbio che il buon senso per una volta abbia la meglio sulla ragione di
stato e sulle necessità del potere e della Storia che lo rappresenta.
Ti basta tornare in aula due giorni dopo per scoprire che non è così.
Ti bastano le facce contratte in una smorfia di disgusto dei pm che
chiedono 225 anni di carcere per 25 persone, o il viso rilassato a
arrogante di chi difende macellai e aguzzini, ti bastano i dialoghi tra
i primi e i secondi che senti di sfuggita fuori dalle aule di
tribunale. Ti basta vedere due avvocati che si scannano insultandosi
come fossero i peggiori nemici e poi si fumano una sigaretta insieme.
Ti basta ascoltare un avvocato che difende un tuo fratello dare del
delinquente a un altro tuo fratello, con la famosa logica che racconta
che vendersi il proprio vicino di casa è un buon modo per allontanare
la propria fine quanto basta per non farsi scrupoli di coscienza.
Perché forse voi non siete abituati a stare in tribunale e allora forse
non vi rendete conto di quello che significa: ognuno in un’aula
interpreta un ruolo, definito e definibile, che ha i suoi margini anche
di eccesso, non solo di moderazione: come se quello che viene deciso da
un tribunale non abbia in palio la vita di una o più persone, come se
la storia non fosse piena di decisioni e assoluzioni e condanne che
fanno ribollire il sangue. L’unico antidoto a tutto questo è quello che
ha chi come me, con estremo cinismo o forse con medio realismo, non
crede nella giustizia, non crede nei teatrini, e crede che a pochi di
quelli che sono protagonisti in quelle aule freghi nulla del senso di
quello che fanno.

Ma a voi forse interessa poco questo mio sfogo, anche se, a ben
guardare un poco capire come funzionano alcuni dei luoghi determinanti
per l’esercizio e il mantenimento del potere, non dovrebbe esservi
completamente indifferente, se siete persone intelligenti. E se non
siete persone intelligenti mi sono sbagliato e passate pure al prossimo
articolo 🙂
Un breve aggiornamento sui processi è fondamentale. E’ giusto che voi
sappiate due o tre cose: settimana prossima il processo più importante
per Genova e per noi giungerà al termine. 25 persone verranno
condannate o assolte dal reato di devastazione e saccheggio, un reato
desueto e ripescato dalle cantine del diritto dai pm Canepa e Canciani
per giustificare una richiesta di pena spropositata – 225 anni – e
un’operazione terroristica contro la fondamentale libertà di
manifestare il proprio pensiero e il proprio dissenso. I giudici
Devoto, Gatti e Realini dovranno decidere se pavidamente accettare le
scelte dei pm in cerca di visibilità e di libri di storia, o se,
coraggiosamente, rispettare non tanto le mie posizioni estremiste,
quanto la Costituzione e il buon senso. Basterebbe quello.
Nel frattempo l’unico poliziotto condannato per lesioni nei processi
genovesi, l’ispettore della DIGOS di Milano Giuseppe De Rosa, è stato
assolto al processo di appello. Era stato condannato a 20 mesi di
reclusione per aver partecipato all’arresto illegale e al pestaggio di
alcuni ragazzi sabato pomeriggio, tra i quali il minorenne con lo
zigomo fuori dalla testa e la maglietta rossa che tutti dovremmo
ricordare. La corte di appello lo ha assolto perché la sua
identificazione non è certa, perché non basta il riconoscimento che un
suo coimputato ha fatto per essere sicuri che quello che manganella
nella foto sia proprio De Rosa. Provate a pensare se c’eravate voi al
posto suo, quanto ci voleva per condannarvi, e avrete presto fatto i
conti con l’emergenza democratica che il nostro sistema sta vivendo
giorno dopo giorno.

Nonostante la moralis interruptus dei pm del processo contro i
manifestanti, che si augurano che gli eccessi delle forze dell’ordine
siano portati a processo e puniti, ma in sei anni si sono guardati bene
dal fare alcunché, i processi contro i tutori dell’ordine per le
torture di Bolzaneto e i massacri della Diaz vanno avanti, tra mille
insidie, piccole scorrettezze e operazioni mediatiche. Seguire i
giornali sul processo Diaz, per esempio, rende facile capire come sia
tutta una questione di immagine, e che della salute delle 93 persone
arrestate – di cui 61 ferite – non interessa a nessuno. Così alle
indagini del pm per falsa testimonianza contro ex capo della polizia De
Gennaro, ex questore di Genova Colucci e ex capo della DIGOS di Genova
Mortola, corrispondono le operazioni speciose degli avvocati delle
difese, con telefonate già ampiamente note di vicini di casa
terrorizzati dai black bloc che mangiano un panino nella piazza poco
sopra la Diaz passati alle radio come dispettuccio da bambino
dell’asilo.
Ci vorrà ancora più di un anno per sapere come finiranno anche questi
processi, nonostante un anno sia il margine ragionevole per vedere anni
e anni di udienze svanire nel nulla con la scusa della prescrizione. E
a quel punto, quale sarà la verità se un tribunale non ce la sancirà?
Saremo costretti tutti, anche i paladini delle istituzioni a riscoprire
il senso delle parole storia sociale e organizzazione dal basso?
Speriamo di sì.

à la prochaine.

Tanto per fare il pari con l’etica dei pm Canepa e Canciani: l’assoluzione di De Rosa in appello per i pestaggi del 21 luglio 2001

4 Dicembre 2007 3 commenti

 

Oggi a  Genova, mentre nell’aula al V piano si celebrava la terzultima udienza del processo contro 25 manifestanti, nell’aula della corte di appello Giuseppe De Rosa, in forza alla DIGOS di Milano e distaccato nel capoluogo ligure in occasione del vertice G8, veniva assolto in secondo grado. Per chi non lo ricordasse Giuseppe De Rosa era fino a questo momento l’unico condannato tra le forze dell’ordine per fatti di piazza, ovvero per i pestaggi, gli arresti illegali, le violenze di quei giorni: è uno dei protagonisti del pestaggio dell’allora minorenne MM il sabato pomeriggio e di altri ragazzi che stavano prendendo in giro lo schieramento di polizia seduti per terra. MM è il famoso ragazzino preso a calci dall’allora vice capo della DIGOS genovese Alessandro Perugini, quello con uno zigomo che sporge fuori di diversi centimetri dal viso (guardatevi la foto). A processo per lesioni per quegli eventi finirono 6 poliziotti (Del Giacco, Raschellà, Perugini, De Rosa, Pinzone, Mantovani), mentre l’allora capo della DIGOS è stato archiviato. De Rosa in primo grado scelse il rito abbreviato: meno prove in cambio di uno sconto di pena di un terzo. Risultato: un anno e otto mesi. Facciamo notare che De Rosa e’ facilmente riconoscibile nella persona che prende parte al pestaggio, ed è ufficialmente riconosciuto da uno dei suoi coimputati (l’ispettore Del Giacco), ma il giudice della corte di appello lo assolve dicendo non che il fatto non è avvenuto, ma che non c’è certezza dell’identificazione dell’imputato. Per convincervi guardatevi le foto sotto. Misteri della fede, oppure il vero segno dell’etica della giustizia nei confronti del fenomeno Genova, con buona pace di Canepa e Canciani i moralizzatori. puah. 

l'ispettore giuseppe de rosa della digos di milano all'opera il 21 luglio 2001 l'ispettore della Digos di Milano Giuseppe De Rosa all'opera nei pestaggi sabato 21 luglio 2001l'ispettore de rosa e altri indagati nell'ambito del cosiddetto processo perugini l'ispettore de rosa soddisfatto osserva il suo operato dopo l'arresto illegittimo di 10 persone che non stavano facendo niente e il loro pestaggio. complimenti!

Apparizioni e sparizioni

23 Novembre 2007 4 commenti

 

Giovanni Luperi all’epoca del G8 di Genova era consigliere ministeriale, e subito dopo è diventato capo dell’UCIGOS, il coordinamento di tutte le DIGOS d’Italia. Giovanni Luperi è stato davanti, dentro e fuori la Diaz durante buona parte dell’operazione, e fa parte di quel capannello di dirigenti che ha in mano il famoso sacchetto contenente le due molotov che verranno accollate ai manifestanti per giustificare la perquisizione ai sensi del 41 TULPS.

Giovanni Luperi ieri, a pochi giorni da una manifestazione di 80.000 persone che chiedeva di non violentare la nostra storia, è stato promosso a vice capo dell’AISI, l’ennesimo nuovo nome dei servizi sergreti civili (fino all’anno scorso si chiamavano SISDE, per chi non avesse grande dimestichezza con le sigle). Nessuno si stupisce, come nessuno si è stupito della promozione di De Gennaro fatta passare come "esonero migliorativo", o di quella di Calderozzi a capo dello SCO, o quella di Gratteri a capo del coordinamento delle forze di polizia, e via dicendo. Nessuno si stupisce ma tutti ancora lì a chiedere una minchia di commissione di inchiesta e "verità e giustizia" a questo Stato? I più ridicoli sono proprio i rifondati che vengono presi a schiaffi quotidianamente dal governo che sostengono: gli hanno fatto ingoiare le missioni di pace, il protocollo sul welfare che è una sostanziale conferma della legge 30, la non riforma né della Bossi-Fini né della Fini-Giovannardi, e non ultimo la bocciatura della Commissione di Inchiesta sul G8 (che sarebbe stata comunque una cialtronata diretta da De Gennaro e Ligotti, il difensore di Gratteri). 

Voglio dire, se un compagno che conosco da dieci anni e che è stato sempre disposto anche a giustificare la mafia come forma di opposizione allo Stato mi dice che è preoccupato per la nostra democrazia, viene da pensare che siamo molto di più che in emergenza, no? 

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La qualità del coraggio

12 Novembre 2007 7 commenti

L’11 marzo 2006 un presidio indetto contro una manifestazione fascista si trasforma in mezzoretta di scontri in un’area limitata (circa 50 metri della via/vetrina di corso Buenos Aires). La vicinanza delle elezioni e la strategia dei carabinieri (assecondati dal pm Basilone) genera una bufera mediatica che riesce a giustificare per una situazione del genere l’uso del reato di devastazione e saccheggio, 4 mesi di galera preventiva per 27 persone, 9 delle quali verranno assolte e 18 condannate per il solo motivo di essere presenti in quel tratto di strada in quel momento a 4 anni di carcere.

Oggi la sentenza di appello per quei 18 condannati, ormai scemato il can can mediatico e i pruriti repressivi, si sperava rendesse giustizia all’assurdità delle condanne in primo grado, decidendo per una derubricazione delle accuse che facesse il paio con la situazione reale vissuta quel giorno e con il buon senso. Invece il giudice ha scelto di confermare le condanne per 15 imputati, contribuendo con il proprio tassello all’operazione terroristica che magistratura, palazzi e forze dell’ordine stanno ordendo contro chi esercita il proprio diritto di manifestare. Come principio della settimana che ci porta al corteo di Genova per riappropriarci della nostra storia non c’è male. 

I magistrati e gli sbirri difettano principalmente di una qualità: il coraggio; il coraggio di cambiare ciò che è sbagliato, sia nelle strade o nelle aule di tribunale. A noi quel coraggio non manca mai, e lo paghiamo sempre in prima persona, ma forse la società in cui viviamo, assetata di ferocia, non merita tutta questa dignità.

La criminale giustificazione di un’assurda ferocia

11 Novembre 2007 7 commenti

 

Nel primo post che ho scritto oggi dopo l’omicidio di Gabriele Sandri da parte di un agente della polizia stradale non erano ancora noti alcuni dettagli che mano a mano che passano le ore si fanno più chiari. Esistono diversi elementi comuni tra la tragica vicenda dell’autogril di Badia al Pino e l’omicidio da parte di Mailat di Giovanna Reggiani: la criminale giustificazione della ferocia da parte di media e opinion maker, figlia della voglia di una cultura dell’odio e della violenza gratuita, del terrore e della gogna.  In ultima analisi questi sono i tratti di una gravissima emergenza democratica, che nessuno vuole affrontare chiamandola con il suo nome.

Gabriele Sandri oggi è stato ucciso in un autogrill da un agente senza alcun motivo (e forse la giustificazione ufficiale, ovverosia una presunta rissa con persone di un’altra auto, come se sparare addosso a quattro coglioni che si prendono a male parole sia una cosa accettabile, è ancora meno dignitosa di un silenzio imbarazzato). La ferocia che sprigiona da questo atto è tale e quale alla ferocia repressa che ha portato tutti a puntare il dito contro un intero popolo nomade e addirittura uno Stato dopo il compimento di un crimine da parte di un membro di quel popolo cittadino di quello Stato. E’ questa sete di ferocia, di giustizia fatta in casa, di uso deliberato della violenza come forma di risposta a ogni atto, che trasuda negli eventi di questi due giorni.

La verità di quanto accaduto in quell’autogrill non la sapremo mai: sappiamo solo che una pallottola ha colpito una persona al collo attraversando ad altezza uomo due carreggiate di un’autostrada, e che per giustificare tutto questo delle persone hanno deciso che la notizia della meta dell’auto colpita potesse essere una buona giustificazione. Ovvero i poliziotti che hanno fermato l’auto con a bordo Gabriele esanime, hanno deciso che il fatto che l’equipaggio fosse composto di tifosi fosse una buona coltre di fumo dietro il quale nascondere (o provare a celare) l’aberrante realtà di quanto avevano fatto. Perché i poliziotti dopo mesi di campagne mediatiche e politiche che li additano come uniche ancore di salvezza per fare sentire i cittadini sicuri, si sono convinti di poter essere giudici ed esecutori immediati di sentenze, in una tragica corsa verso la sospensione della democrazia. Nessuno si ricorda di Genova. 

Ma la vera radice criminale di entrambi questi casi sta nei giornalisti, negli operatori dell’informazione, pronti a scannarsi per pubblicare per primi una notizia, anche falsa, ma che faccia sensazione, che alimenti le porzioni più becere della natura umana, che esalti l’orribile a scapito della ragione. I veri criminali non sono quelli in strada, quelli che commettono reati, anche efferati: questi sono uomini. I veri criminali stanno nelle redazioni, nei centri di gestione e di manipolazione dell’informazione: questi sono topi, perché non ammetteranno mai di aver commesso un errore.

E allora si getterà ancora più fumo negli occhi, parlando di calcio in una tragedia che con il calcio non ha nulla a che fare, parlando di etnie quando le etnie non hanno nulla a che vedere con i fatti. Il dramma vero è che nessuno sentirà il bisogno di dire "ho sbagliato", e di ammettere che le cose come sempre avrebbero potuto andare molto diversamente.  Perché è più facile aizzare il tuo vicino di casa a sparare al nemico immaginario più prossimo, che chiedergli di affrontare seriamente i problemi che rendono la sua vita una merda e che solo insieme potreste riuscire a superare. 

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La vita di un tifoso vale meno della vita di un poliziotto

11 Novembre 2007 10 commenti

 

Il 2 febbraio di quest’anno, durante gli scontri intorno allo stadio di Catania in occasione del derby siciliano con il Palermo muore Filippo Raciti. Subito scatta il can can mediatico e i campionati vengono sospesi: a tempo indeterminato – si dice – ma in realtà poi per una sola giornata, dato che il circo deve continuare.
A distanza di nove mesi da quei fatti, e dopo l’ipotesi che Raciti sia morto per imperizia delle stesse forze dell’ordine e di una loro manovra con una camionetta più che per un’aggressione diretta di un ultras, del caso non si parla più. Le conseguenze concrete del can can mediatico sono: carcere preventivo per una-due persone che non si sa neanche se effettivamente siano colpevoli dell’omicidio; pochissimi arresti per gli scontri che hanno coinvolto centinaia di persone (dei quali dubito che la polizia non conosca nulla); un pacchetto repressivo che ha inasprito le norme su resistenza e reati contro le forze dell’ordine, che è stato praticamente istantaneamente applicato più che altro in ambito politco (vedasi il caso di Villa Ada e altre situazioni di piazza in cui un mezzo insulto a un poliziotto sta facendo rischiare anni di galera a quale attivista).

Stamattina in un autogrill del centro italia un’auto di laziali e una di juventini si incrocia per caso. Scatta un’aggressione e la conseguente chiamata alla polizia. Dalle prime notizie la polizia stradale all’arrivo, non sapendo bene che fare riesce a lasciar partire un colpo di pistola ed ammazzare un tifoso laziale di meno di trent’anni. Io la scena me l’immagino bene: il
superpoliziotto pompato da mesi e mesi e anni di propaganda pro interventista delle forze dell’ordine sui "criminali" per garantire la sicurezza che tira fuori la pistola pensando di essere il giustiziere della notte, e che commette
una sciocchezza tragica, per esempio sparando dietro alla macchina dei laziali in fuga (qed non ci sono andato molto lontano), o qualcosa di ancora più stupido e irragionevole, a meno che non si ritenga che due sprangate equivalgano a una pallottola.

Ragione vorrebbe che si sospendesse il campionato e si varasse un pacchetto speciale per i crimini commessi in servizio dalle forze dell’ordine. Ma così non avverrà: si sospenderà inter-lazio, si troveranno giustificazioni all’omicidio volontario commesso dal poliziotto, si vieteranno le trasferte (causando ancora più incidenti per strada, per caso, totalmente incontrollabili) sostenendo che la colpa sta tutta lì. E il circo andrà avanti come se nulla fosse.

Ancora una volta quando le forze dell’ordine sbagliano, si gira la frittata e si da la colpa al mostro più vicino. Di dignità nella politica italiana e nell’emergenza democratica che stiamo vivendo se ne vede poca. Ancora una volta si scambia il problema con la soluzione, perché alla fine la verità è che per tutti la vita di una persona normale o peggio ancora di un criminale vale meno di quella di un poliziotto.

UPDATE: qed la decisione del Viminale è quella di sospendere Inter-Lazio, di vietare le trasferte e di far svolgere regolrmente il resto delle partite con solo 15 minuti di ritardo sul fischio di avvio. Che schifo.

 

Rinviata la sentenza di appello per i fatti dell’11 marzo a Milano

8 Novembre 2007 Commenti chiusi

 

Stamattina i giudici hanno scelto la via della correttezza procedurale: hanno ascoltato le ultime arringhe delle difese e hanno voluto dare il week-end all’accusa per eventuali repliche. Lunedi’ le ascolterà e si riunirà in camera di consiglio per prendere una decisione. In questo modo la sentenza si avrà lunedì 12 novembre 2007, e questo rinvio non sighifica necessariamente che il tribunale abbia già preso una decisione negativa, ma solo che vuole evitare di essere tacciato di sbrigatività.

Aspettiamo e vediamo.