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Archivio per la categoria ‘pagine e parole’

Pynchon, McEwan e il plagio

8 Dicembre 2006 Commenti chiusi

 

Rispondo per le rime al mio socio che, approfittando della mia vita troppo indaffarata, si permette di pubblicare notizie di T.P. senza il mio consenso 🙂

T.P. infatti ha partecipato in maniera del tutto inedita a una campagna che l'altro giorno ha visto diversi autori inviare un commento in sostegno di McEwan sotto attacco per l'uso di parti di un testo già edito nel suo ultimo romanzo Atonement. L'accusa è ovviamente quella di plagio, e la risposta è quella facilmente intuibile sia di necessaria accuratezza storica sia di continuità del plagio nell'arte e nella letteratura.

Evidentemente i critici di mezzo mondo, che peraltro stanno bersagliando da quasi un mese T.P. per il suo romanzo dai più definito incomprensibile e privo di valore (inutile far notare che L'arcobaleno della Gravità ha subito lo stesso trattamento dai baroni della penna che non scrive ma giudica), non hanno ancora capito nulla né dell'influenza del plagio nella costruzione di una cultura condivisa, né tantomeno di tutti i ragionamenti che sono alla base della libera circolazione dei saperi. D'altronde un mondo in cui i saperi circolano senza barriere è un mondo in cui i critici hanno ben poco lavoro da fare, senza la possibilità di individuare facilmente riferimenti, copie, originali e ramificazioni tra un lavoro e un altro. Tutti sanno che i peggiori conservatori sono i critici. Non ci stupiamo quindi delle critiche a McEwan, che speriamo bene se ne fotta ampiamente.

Viceversa Against the Day (il nuovo libro di T.P.) è uscito il 21 novembre, la mia copia è stata messa su una nave il 22 e dovrebbe arrivarmi a giorni. Oggi sono passato all'American Bookstore in Cairoli, tanto per farmi la mia scorpacciata di sbirri a difesa dell' "assediata" fiera degli oh-beh-oh-bej (600 uomini del reparto mobile per combattere gli abusivi, pietà!) e per vedere dal vivo la forma mastodontica e da "sacre scritture" del nuovo pynchoniano: non c'è che dire, un bel mattone bianco latte! 🙂

 

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Fantasia e cultura popolare

30 Novembre 2006 Commenti chiusi

 

Una delle cose  che più mi ha affascinato nella mia vita è la rielaborazione dei miti e delle leggende da parte della cultura popolare. Per dieci anni ho giocato di ruolo con un gruppo di amici, e per almeno quindici (in questo momento la crisi economica mi taglia i fondi disponibli) ho letto fumetti di ogni tipo possibile; tuttora almeno il 50% delle mie letture sono nell'ambito della letteratura di genere, e una buona share di quello che navigo on line ha almeno a che fare con questi argomenti. 

La rinascita del fantasy che è avvenuta verso la metà degli anni novanta è decisamente centrata sulla capacità da parte di alcuni autori di attualizzare e reinterpretare attraverso il filtro della moderna cultura popolare antichi miti e storie che fanno parte del patrimonio collettivo. I migliori giochi di ruolo che sono usciti sulla scena negli ultimi venti anni sono la serie della White Wolf che è ambientata in una versione alternativa del mondo con tinte allo stesso tempo più crude e più fosche (il cosidetto Gothic Punk), e il cui sistema di gioco per la prima volta mette la narrazione davanti all'accumulo di punti esperienza e tesori (in sostanza un passaggio netto da un focus sulla quantità a un focus sulla qualità). La letteratura di genere (l'ho già scritto in questo blog ma mi ripeto) è stata uno dei tramiti più rilevanti degli ultimi decenni nella battaglia culturale che ha cercato di spostare a destra o a sinistra il punto di vista di intere generazioni, e tuttora molti scrittori di genere fanno un uso spudoratamente politico delle proprie opere, ben sapendo che è attraverso il mito e la cultura popolare che si possono influenzare giochi di ben più lungo respiro.

E' quindi con un certo stupore che scopro oggi dal solito blog di Sterling, che esiste una lista ufficiale di capolavori della cultura popolare. La cosa bellissima è che attraverso questa lista ho letto titoli di cui non conoscevo l'esistenza. La cosa che un po' mi terrorizza è pensare che si possa catalogare con una parvenza di obiettività quali sono i "veri" capolavori che stendono un ponte tra la nostra fantasia e la cultura popolare.  Allo stesso tempo è bello scoprire che le fonti di elaborazione della fantasia e di una percezione diversa del quotidiano che ci circonda non riescono a diminuire: continuano a crescere, a modificarsi e intrecciarsi, come un gioco infinito. I miti e le leggende, la nostra fantasia collettiva, sono forse uno dei pochi aspetti eterni dell'homo sapiens. 

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Attaccato al futuro

17 Novembre 2006 Commenti chiusi

E' morto il 10 novembre l'ultimo autore di fantascienza fisicamente più vecchio del genere letterario stesso: Jack Williamson. Me ne sono accorto oggi leggendo il blog di Bruce Sterling, che oltre ad essere un noto autore cyberpunk è anche un commentatore che offre spunti sempre molto interessanti sulla realtà circostante.

I suoi libri erano polpettoni assolutamente indigeribili dopo gli anni 30 e 40, space opera ante litteram con il giusto mix di avventura e romance, di invenzioni incredibili ed eroi senza macchia e senza paura. Ha cominciato a pubblicare sulla leggendaria Amazing Stories di Hugo Gernsback, per poi proseguire a pubblicare intere saghe: dalla Legione dello Spazio (la sua prima e migliore opera) fino ad arrivare a quelle scritte con Fredrick Pohl, altro specialista della space saga che andava molto di moda negli anni 60-70 ma che ormai trova poco spazio nella fantasia dei lettori più svezzati. Ciò non toglie che ripensare a un ragazzino di 20 anni che nel 1926 scrive di spazio, antimateria, alieni e astronavi su una rivista, tirando su qualche soldo quando la fantascienza non esisteva neanche come genere definito in quanto tale, è un immagine lattiginosa che riempie di un po' di nostalgia per tutte quelle cose che nella propria vita si sono viste nascere, diventare comunità e poi venir depredate dall'istinto commerciale e dall'incapacità di coniugare comunità e soldi. Un esempio per tutti, per quanto mi riguarda: i giochi di ruolo e la parabola Stratelibri/Avalon, con tutto il rispetto per le cose anche buone che hanno saputo fare alle volte. 

Un altro pezzo di storia se ne va, e non sarà certo l'ultimo, ma è sempre un'ottima scusa per parlare di cose interessanti che giacciono nel passato di molti di noi 🙂

 

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L’idra divisa

7 Novembre 2006 Commenti chiusi

Finalmente dopo un travagliato iter sono riuscito a finire il libro The Many-Headed Hydra di Peter Linebaugh e Marcus Rediker [edito in italiano da Feltrinelli], due storici e sociologi marxisti americani dalla prosa leggermente convoluta (spesso per eccesso di cose da dire più che per incapacità lessicale). Il libro attraversa quasi tre secoli (dagli inizi del '600 alla metà dell'800) lungo le sponde dell'Atlantico, cercando di analizzare le caratteristiche rivoluzionarie di vari fenomeni legati alla scoperta dell'Oceano che divide Europa e West Indies.

E' molto interessante come il XVII e XVIII secolo siano diventati un fulcor attorno al quale sono state prodotte moltissime parole, basti pensare al ciclo di System of the World di Stephenson e ai libri di Wu Ming in prossima uscita. Sono due secoli estremamente densi di cambiamenti, in cui il paradigma di tutta la realtà è mutato radicalmente: la scienza infinitesimale da un lato e la finanza e la prima globalizzazione dall'altra. In mezzo eresie, utopie, e le più grosse società alternative che la storia moderna abbia conosciuta (quella dei pirati per chi non avesse inteso il riferimento 🙂

La tesi del libro è abbastanza lineare, ma decisamente centrata nella percezione del mondo statunitense: tra il '600 e '700 si viene a creare un nuovo enorme mercato, quello a cavallo dell'Atlantico, che necessita una ridefinizione delle strutture del capitalismo in modo da consentire la stabilizzazione di questa prima forma di globalizzazione. Da un lato l'evoluzione della finanza, dall'altro la compressione delle possibilità di libertà offerte da questa nuova prospettiva di ricchezza. Un nuovo mercato ha bisogno di forza lavoro, di braccia le più abbruttite possibili che possano essere trasformate in soldi senza tanti compromessi. Il proletariato nasce in questo contesto, l'idra dalle molte teste che terrorizza l'ercole degli stati coloniali e mercantili è un soggetto variegato nella classe, nel colore della pelle, nelle aspettative, nella nazionalita', nella religione: in una parola, è la motley multitude, la moltitudine eterogenea.

Secondo gli autori, nel corso di due secoli si susseguono terreni di scontro tra l'attitudine di condivisione, democrazia e libertà della moltitudine e il volontà di sottomissione dei padroni. Prima i commons e la sottrazione dei terreni e dei beni comuni da parte degli stati coloniali ai danni di coloro che li hanno utilizzati insieme per secoli. Poi il dispositivo delle piantagioni, poi quello della nave, infine quello della fabbrica, vero culmine della riorganizzazione del capitalismo moderno industriale. A questi processi gli autori contrappongono le molte teste dell'idra eterogenea: la ribellione dei servi, le eresie antinomiane, il vagabondaggio e il brigantaggio metropolitano, il fenomeno della costituzione di pseudo stati protocomunitari come i maroons nelle isole caraibiche della prima metà del seicento; le rivolte degli schiavi e il processo che porta alla rivoluzione americana; lo Stato Marittimo e le sue regole totalmente separate dal governo di ciò che non sta per mare, che raggiunge il suo apice nella Pirateria e nelle sue forme egualitarie e crudeli di autogoverno; il luddismo, le battaglie abolizioniste, la rivoluzione francese e la comparsa del concetto dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani (con eco biblica ripetuta a più riprese su un Dio che non guarda in faccia a nessuno [God is no respecter of persons]).

Fino a qui la lettura dei due autori mette in fila e sistematizza una serie di momenti di conflitto intenso e prolungato lungo l'arco di tre secoli in maniera estremamente densa e interessante. La visione americanocentrica si rivela nel punto in cui i due autori rilevano la sconfitta storica del proletariato, ovverosia nel momento in cui la battaglia della classe lavoratrice si separa dalle lotte razziali e coloniali. Secondo Rediker e Linebaugh il momento in cui la lotta dei neri e degli schiavi diventa un ramo diverso del conflitto rispetto alle più accettabili rivendicazioni degli operai bianchi, maschi, europei o cmq non indigeni, è il momento in cui inizia la sconfitta dell'idra multiforme. La lettura è evidentemente fortemente influenzata dalla realtà statuniteste, così densamente intrisa del problema della segregazione dei neri e delle minoranze etniche, un problema che emerge anche in Europa, ma con una forza sociale meno dirompente. Seppure è evidente che un attitudine egualitaria (come quella degli IWW) è una caratteristica fondamentale della costruizione di soggettività conflittuali che non si prestino al noto giochino del divide et impera, è altrettanto vero che le sconfitte dei movimenti proletari nella storia del mondo (e i loro successi) non possono essere semplicemente ricondotti a questa separazione, a questa sorta di peccato originario.

Certo gli esempi che citano gli autori nell'ultimo capitolo espongono perfettamente la tendenza umana alla divisione basata sull'interesse personale, che ha fatto sì che il capitalismo vincesse antropologicamente prima ancora che in altri campi: il trasformismo di Thomas Hardy e della L.C.S. da società alleata con il popolo di Sheffield che distrugge un enclosure e che solidarizza con le battaglie abolizioniste di Olaudah Equiano, a eminenza grigia dietro il Compromesso di Aprile nel quale il Parlamento inglese modificò all'ultimo minuto una presa di posizione contro lo schiavismo aggiungendo il termine graduale alla parola abolizione; la storia di C.F. Volney da autore di Ruins, or Meditations on the Revolutions of Empire, uno delle migliori satire sul potere e sul rapporto tra classi privilegiate e popolo, a teorico della White Supremacy cacciato dagli Stati Uniti per le posizioni troppo estreme; le parole di William Blake che passano dall'universalismo a una Gerusalemme inglese e libera.

Ma se leggere la storia dei conflitti di due secoli non è un esercizio di stile, le parole con cui è cominciata l'avventura poetica di Blake, la loro potenza espressiva e rivoluzionaria, rimangono un'esortazione che conoscere la storia non può che rafforzare: quella a cercare sempre e comunque la soggettività coraggiosa e crudele che porterà a cambiare qualcosa intorno a sé, spinta dal desiderio di una vita migliore e più degna, in sprezzo al guadagno e al vantaggio individualista.

Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?

And what shoulder and what art
Could twist the sinews of thy heart?
And, when thy heart began to beat,
What dread hand and what dread feet?

What the hammer? what the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? what dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?

When the stars threw down their spears,
And watered heaven with their tears,
Did He smile His work to see?
Did He who made the lamb make thee?

Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful symmetry?

Un ultima dedica di queste parole a chi vive ancora nel tabù morale e sociale della violenza, che ci circonda in ogni istante e in ogni luogo, ma che ci causa tanto scandalo e tanto desiderio di giudizio.

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Message in a bottle

3 Novembre 2006 Commenti chiusi

En passant leggo un articolo di Repubblica Online solleticante, se non altro perché fa il punto della situazione sul rapporto tra esseri umani, storia e futuro. La cosa che più mi ha stimolato è pensare che questo è uno dei temi del romanzo sci-fi che stavo abbozzando su blackswift, e che giace mezzo abbandonato da più di sei mesi. Forse è arrivato il momento di riprendere in mano Nullahop 🙂

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Crossways: wu ming, la negritudine del punk e le mie letture

2 Novembre 2006 Commenti chiusi

 

Oggi su carmillaonline e sul sito della wu ming foundation, wu ming 1 pubblica un bellissimo articolo sulla negritudine del punk rock, mettendo in mostra non solo il suo talento nello scrivere (di cui siamo da sempre invidiosi) ma anche la propria decisa propensione a integrare la storia, la cultura popolare e la politica (ah, vizioso!). Non ripesco i contenuti del pezzo di wm1, che va letto per intero, ma continuo a rilevare con curiosità la convergenza a distanza delle cose su cui sta lavorando la foundation e quelle su cui sto studiacchiando io. I primi punti dell'articolo infatti riassumono per sommi capi le basi della diffusione della danza e della musica nera nel contesto della diaspora africana del '600 e '700, e sono certo che il nuovo libro degli autori di Q vedrà come centrale i conflitti in Nordamerica proprio nel corso del XVIII secolo, in cui le storie e le lotte di schiavi, marinai, protoproletari, deportati, nativi ed eretici (i vecchi amori non si scordano mai 🙂 si sono incrociate in un calderone esplosivo dalle potenzialità rivoluzionarie.

Io continuo lemme lemme la mia lettura di Redicker e del suo The Many Headed Hydra, che narra proprio di questi punti di incrocio e dei vettori del conflitto in quel secolo e in quel contesto. Il capitolo sulla rivolta del 1741 a New York, sembra scritta in parallelo con un brano dell'articolo di wm1. Casualità? Forse o forse no. Forse alcuni passaggi della storia moderna meno indagati e meno raccontati sono quelli che celano le possibilità più interessanti e la sensazione profonda che non ci siano mai stati tempi tranquilli per chi ci vuole male. Sorrido delle coincidenze che si palesano nella mia vita intellettuale e mi metto a camminare sul sentiero che mi fanno intravedere.

 

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Il polpettone harmony camuffato da romanzo storico

29 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Dovevo accorgermi che Il Monaco Inglese di Valeria Montaldi era un pacco quando mi sono bloccato due giorni sulle prime dieci pagine a causa dell'eritema cerebrale che mi avevano provocato. Esistono due modi per usare un lessico forbito, per inserire parole difficili e inusuali all'interno di un testo: possono essere una pennellata di un affresco complesso e impressionante, oppure un adesivo appiccicato sul cenacolo di Leonardi. Vi lascio immaginare quale dei due paragoni si applichi meglio al libro della Montaldi.

Presentato dalle recensioni sotto le mentite spoglie di un romanzo storico, Il Monaco Inglese è un Harmony di 450 pagine: se è vero che la ricostruzione storica della Milano del '200 è attenta e stimolante (e ci mancherebbe considerata la sfilza di medievalisti che ringrazia l'autrice) e che la trama è ben ordta, l'ostentato istinto materno/sentimentale e la voglia di mettere in mostra erudizio dal sapore un po' posticcio rendono alcuni passaggi fastidiosi all'occhio del lettore come un artiglio d'acciaio su una lavagna per un musicista.

L'enfasi che è garantita al libro da recensioni e propaganda RCS è decisamente superiore al merito dell'opera, ma nonostante questo  rimane godibile fino a 50 pagine dalla fine. Il finale all'insegna del famoso motto "l'amore vince sempre e il bene trionfa" ne uccide il fascino spedendo il tomo nell'imo degli  Harmony ipertrofici. 

Consigliato a chi ama il genere sentimentale.

Voto complessivo 6—

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Una storia in sei parole

26 Ottobre 2006 2 commenti

 

La rivista Wired ha resuscitato un episodio della bibliografia di Hemingway, che riteneva il suo più grande capolavoro una storia scritta in sei parole: "For sale: baby shoes, never worn." (In vendita: scarpe da bambino, mai usate. ndt).

Wired ha così invitato diversi autori di fantascienza, fantasy e horror moderni ha provare a fare la stessa cosa, pubblicando i risultati migliori: tra i miei preferiti si confermano solo un paio dei miei autori più amati, mentre compare qualche sorpresa. Molti dei miei beniamini in realtà hanno preso la cosa in maniera un po' buffonesca, e forse avrebbe fatto meglio con molta più onestà a rifiutare di fare una cosa che, magari anche giustamente, reputavano una colossale stronzata.

Ecco la mia personale compilation:

His penis snapped off; he’s pregnant! (Gli cadde il cazzo; era incinta!) – Rudy Rucker

With bloody hands, I say good-bye. (Con le mani sporche di sangue, mi allontano) – Frank Miller

It cost too much, staying human. (Costa troppo, restare umani) – Bruce Sterling

I’m dead. I’ve missed you. Kiss … ? (Sono morto. Mi sei mancata. Mi dai un bacio?) – Neil Gaiman

The baby’s blood type? Human, mostly. (Il gruppo sanguigno del bambino? Umano, principalmente) – Orson Scott Card

Kirby had never eaten toes before. (Kirby non aveva mai mangiato un alluce prima di allora) – Kevin Smith

Ecco l'esempio di chi era meglio se evitava: 

Tick tock tick tock tick tick. – Neal Stephenson

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Against the Day

24 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Oggi, 24 ottobre, alcuni bastardi hanno già ricevuto la loro copia del nuovo libro di Thomas Pynchon, Against the Day. I più la riusciranno ad avere solo intorno al 21 di novembre, compreso il sottoscritto. Per il momento ci dobbiamo contentare di sbirciare il blog più informato sui dintorni di Pynchon e qualche altro sito, tra i quali il nuoverrimo wiki dedicato proprio all'ultima fatica del genio indiscusso dell'autore nordamericano. 

Chi ha dato una prima scorsa al libro ci ha solo detto che: è lungo 1085 pagine e circa 410.000 parole, è diviso in 5 parti (The Light over the Ranges, Iceland Spar, Bilocations, Against the Day, Rue du Départ), e che il libro a cui assomiglia di più è Gravity's Rainbow, probabilmente il miglior libro scritto in lingua inglese dopo l'Ulysses di James Joyce. Non è dato sapere se l'avviso che era comparso a luglio su amazon.com come anticipazione, scomparso nel giro di un giorno e poi riapparso, sia effetivamente opera o meno di Pynchon, né se sia scritto da lui ma per prenderci per il culo (cosa altamente probabile), ma già le indiscrezioni che emergevano da quell'abstract rendevano il libro molto papabile e interessante. Senza contare il fatto che non manca ovviamente l'alter ego dell'autore, un autentico must per ogni cultore di P., il marinaio Pig Bodine.

Adesso dopo aver provato un brivido nel vedere la copertina del nuovo libro che aspettiamo tutti da dieci anni, non mi resta che aspettare un mese (!) che mi arrivi diretto a casa… sigh!

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Fetish!

17 Ottobre 2006 Commenti chiusi

Almeno una volta nella giornata di ognuno è necessario liberare il proprio erotismo. Vi sono mille modi per farlo, molti dei quali assolutamente impercettibili ai più e sfruttabili anche laddove sarebbe complicato ispirarsi ai modelli classici dell'onanismo e della pornografia. Ho sempre pensato di essere un filantropo (#satira!) e quindi ho deciso di condividere con tutti voi un blog dedicato alle immagini tratte da grandi biblioteche. Tutti in piedi per piacere per the hot library smut. Immaginate l'odore di polvere depositato nella cellulosa, le pagine pesanti per gli anni che hanno visto trascorrere, scorrere le dita lungo le copertine spesse e irregolari, sfogliare lentamente ogni volume voluttuosamente, golosamente. Puro godimento.

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