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Archivio per la categoria ‘pagine e parole’

Genova: il processo ai 25 è finito

7 Dicembre 2007 1 commento

 

Oggi il primo processo sui fatti del g8 2001 a genova è praticamente arrivato alla sua conclusione. Neanche a dirlo, il primo che vedrà una sentenza (mancano ancora l’udienza del 14 dicembre per repliche e controrepliche e l’udienza in cui si leggerà la sentenza che sarà la settimana successiva) è il processo contro 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio. Ci sono volute 150 udienze circa, quasi 200 testimoni (che poi l’accusa non ha quasi usato), migliaia di ore di lavoro: il processo si chiude sulle parole di alcuni imputati e sul ghigno del pm Andrea Canciani mentre i nostri compagni parlano con il cuore in mano della propria vita. Come ultimo sgarro il pm ha voluto consegnare la memoria di accusa non all’inizio durante la sua discussione, ma alla fine dopo averla corretta per bene durante le arringhe dei difensori: un’ultima scorrettezza formale per avere l’ultima parola, o l’ultimo sorriso di sbieco. Quando ho cominciato a lavorare su questo processo nel 2004 pensavo che sarebbe durato una vita, invece sono passati tre anni e vorrei che ne mancassero almeno tanti quanti ne servono per la prescrizione. Qualunque sarà la decisione del tribunale, i pm avranno la soddisfazione di poter dire di aver dato vita a un processo storico e storicamente temo ingiusto. Sotto potete leggere le dichiarazioni di VV, uno degli imputati, che mi paiono molto belle e condivisibili. Avrei voluto che si facessero all’inizio del processo, sarebbe stato tutto molto più politico e intenso, anche se non so se avrebbe cambiato qualcosa. 

Innanzitutto vorrei fare una breve premessa: in quanto anarchico,
ritengo i concetti borghesi di colpevolezza o innocenza totalmente
privi di significato.
La decisione di voler dibattere in un processo di “azioni criminose”
che si vogliono imputare a me e ad altre persone, e soprattutto
l’esprimere qui le idee che caratterizzano il mio modo di essere e di
percepire le cose, potrebbe essere oggetto di valutazioni sbagliate: è
necessario quindi precisare da parte mia che lo spirito con cui
rilascio questa dichiarazione, dopo anni di spettacolarizzazione
mediatica dei fatti di cui si dibatte qui dentro,è quello in cui anche
la voce di qualche imputato si faccia sentire. Con questo breve
intervento comunque non cerco né scappatoie né giustificazioni: per me
sarebbe assurdo anche il fatto che la corte decida che sia legittimo
rivoltarsi non spetta ad essa.

Rileggere dei fatti accaduti sotto una certa ottica, con un certo
tipo di linguaggio (quelli della burocrazia dei tribunali per intenderci) non equivale solo a considerarli parzialmente, ma significa
distorcerne la portata, la loro collocazione storica, sociale e
politica, significa stravolgerli completamente da tutto il contesto in
cui si sono verificati.

Quello che mi si contesta in questo processo, il reato di
devastazione e saccheggio, implica secondo il linguaggio del codice penale che “una pluralità di persone si impossessa indiscriminatamente
di una quantità considerevole di oggetti per portare la devastazione”:
per questo tipo di reati si chiedono condanne molto alte, e questo
nonostante non si tratti di azioni particolarmente odiose o crimini
efferati.
Mi sono sempre assunto la piena responsabilità e le eventuali
conseguenze delle mie azioni, compresa la mia presenza nella giornata
di mobilitazione contro il g8 del 20 luglio 2001, anzi sono onorato di
aver partecipato da uomo libero ad un’azione radicale collettiva, senza
nessuna struttura egemone al di sopra di me.
E non ero solo, con me c’erano centinaia di migliaia di persone, ognuno
che con i propri poveri mezzi, si è adoperato per opporsi a un
ordinamento mondiale basato sull’ economia capitalista, che oggi si
definisce neoliberista…la famigerata globalizzazione economica, che si
erge sulla fame di miliardi di persone,avvelena il pianeta, spinge le
masse all’esilio per poi deportarle ed incarcerarle, inventa guerre,
massacra intere popolazioni: questo è ciò che definisco devastazione e saccheggio.

Con quell’enorme esperimento a cielo aperto fatto su Genova (nei
mesi precedenti e nelle giornate in cui si tenne quella kermesse di
devastatori e saccheggiatori di livello planetario) che qualche
ritardatario si ostina ancora a chiamare gestione della piazza, è stato
posto uno spartiacque temporale: da Genova in poi niente più sarebbe
stato come prima, né nelle piazze né tanto meno nei processi a seguito
di eventuali disordini.
Si apre la strada con sentenze di questo
tipo ad un modus operandi che diventerà prassi naturale in casi simili,
cioè colpire nel mucchio dei manifestanti per intimorire chiunque si
azzardi a partecipare cortei, marce, dimostrazioni…non credo sia fuori luogo luogo parlare di misure preventive di terrorismo psicologico.

Non starò qui a dibattere invece sul concetto di violenza, su chi la
perpetra e su chi da essa si deve difendere e via dicendo: questo non
per assumere atteggiamenti ambigui riguardo l’utilizzo o meno di certi
mezzi nella lotta di classe, ma perché reputo questa sede non adatta
per affrontare un dibattito che è patrimonio del movimento antagonista
al quale appartengo.

Due parole in merito al processo alle forze di polizia.

Si prova con il processo alle cosiddette forze dell’ordine a dare un
senso di equità…i pubblici ministeri hanno voluto paragonare ad una
guerra fra bande le violenze tra polizia e manifestanti: senza troppi
giri di parole dico solo che io non mi sognerei mai di infierire
vigliaccamente su persone ammanettate, inginocchiate, denudate, o in
palese atteggiamento inoffensivo col preciso intento di umiliare nel
corpo e nella mente…
Sono ormai abituato a sentirmi paragonare a provocatore, infiltrato ecc
ed è dura, ma essere paragonato ad un torturatore in divisa no… questa
affermazione è a dir poco rivoltante!
È degna di chi l’ ha formulata.

E poi allestire un processo a poliziotti e carabinieri, giusto per
ricordare che siamo in democrazia significa ridurre il tutto ad un pugno di svitati violenti da una parte, e dall’altra a casi di
eccessivo zelo nell’applicazione del codice. Questo, oltre ad essere sinonimo di miseria intellettuale, indica la debolezza delle ragioni
per cui sprecarsi al fine di preservare l’attuale ordinamento sociale.

Dal mio punto di vista processare la polizia parallelamente ai
manifestanti significa investire le cosiddette forze dell’ordine di un ruolo troppo importante nella vicenda; significa togliere importanza ai
gesti compiuti dalla gente che è scesa in strada per esprimere ciò che
pensa di questa società, relegando tutti quanti nel proprio ruolo
storico di vittime di un potere onnipotente. Carlo Giuliani, così come tanti altri miei compagni, ha perso la vita
per aver espresso tutto ciò col coraggio e con la dignità che
contraddistingue da sempre i non sottomessi a questo stato di cose e
finché i rapporti tra le persone saranno regolati da organi esterni
rappresentanti di una stretta minoranza sociale, non sarà l’ultimo.
E siccome sono disilluso ed attribuisco il giusto significato al
termine democrazia, l’idea che un rappresentante dell’ordine costituito
venga processato per aver compiuto il proprio dovere mi fa sinceramente
sorridere. Lo stato processa lo stato direbbe qualcuno a ragione.

Sicuramente ci saranno delle condanne e non le vivrò di certo come
segnale di indulgenza o di accanimento nei nostri confronti da parte
della corte. Esse andranno valutate, in qualsiasi caso, come un attacco
a tutti coloro che in un modo o nell’altro avranno sempre da mettere in
gioco la propria esistenza al fine di stravolgere l’esistente nel
migliore dei modi possibile.

Punti di vista

28 Novembre 2007 1 commento

Alle volte mi stupisco di quanto sia facile rappresentare la distanza siderale tra i punti di vista di persone che in teoria dovrebbero fare parte del medesimo contesto culturale o sociale. Uno dà per scontate mille cose, e poi ci si trova a fare i conti senza neanche capire bene perché. E’ un fenomeno spaesante, ma allo stesso tempo continuo e necessario.

Così mentre mi ritrovo un giorno a dormire come un sasso per la stanchezza di un corteo da 80.000 persone in cui poteva succedere di tutto e in cui è successo solo quello che abbiamo lavorato perché accadesse, a genova, dove le persone non tornavano per fare un corteo da 6 anni. E il giorno dopo non dormo per la rabbia: perché mi tocca sentire l’avvocato difensore di una persona per l’assoluzione della quale ho lavorato in questi anni che cerca di salvare il culo del proprio assistito buttando merda su un pezzo volenti o nolenti importante di ciò che è stato Genova, venendo meno a quel minimi microbico patto di solidarietà che facilmente spiega che a Genova o si salvano tutti o non si salva nessuno, perché è anche giusto che sia così. Rabbia nel constatare il poco peso di parole importanti come solidarietà e rispetto. Già perché è troppo facile lasciare altri a farsi il culo per anni in un aula di tribunale e arrivare all’ultimo momenot e buttare tutto all’aria. 

Poi capita di aprire il blog del collettivo a cui partecipi e ritrovare nelle parole di un tuo compagno qualcosa al tempo stesso di semplice e di inespugnabile, la convinzione che non è tutto uguale e che ci sono delle distinzioni da fare tra quello che ha un senso e quello che non lo ha. E che non si è poi così soli a trovarsi sempre dalla parte del torto, che per chi non lo avesse capito è quella giusta.

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Repost: prime volte nella storia d’italia, i pm alla riscossa, e parole di precisione

26 Novembre 2007 Commenti chiusi

Non ho tempo di fare un cazzo oggi, sommerso dagli sbattimenti e dal tenere dietro alle cose che arrivano addosso come meteore mentre pensavi di avere tuttaltro da fare. Fortunatamente c’è chi si sbatte al posto mio e a me non resta che rimandare a ciò che scrive qualcun altro: spesso il rumore mediatico di fondo ci impedisce di soppesare bene le notizie, infatti, ed è bene invece riuscire a dare un peso giusto alle parole giuste.

Ad esempio mettere in fila la notizia dell’identificazione dei due agenti protagonisti durante l’irruzione alla Diaz di un colloquio poco edificante – "Siamo uno a zero per noi per ora", "si dobbiamo ammazzarli tutti" –  sembra essere un microscopico contraltare ad un evento che non ha precedenti nella storia italiana, ma che stranamente ha poco spazio sui quotidiani. In questi giorni infatti l’ex capo della polizia De Gennaro sta ricevendo insieme all’ex questore di Genova Colucci e all’ex capo della DIGOS Spartaco Mortola gli avvisi di conclusione indagine per induzione a falsa testimonianza e falsa testimonianza (rispettivamente). E’ un fatto senza precedenti ma non tutti sembrano notarlo. A questo secondo me è interessante interpolare il bel post di caparossa sul tema "impunibilità delle forze dell’ordine, morti accidentali, derive sociali". 

Seguendo questa linea di ragionamento è facile accorgersi come i pm siano i personaggi sulla cresta dell’onda, raramente come in questo caso per eventi che ci fanno sorridere, molto più spesso per operazioni becere e di pura autopromozione, ovviamente sulla pelle di chi indagano. Il nostro beneamato Basilone, protagonista della prima condanna in fatti politici per devastazione e saccheggio nella storia penale italiana, si ripete: evidentemente la pubblicità garantita dalla precedente operazione andava scemando e aveva bisogno di un nuovo palcoscenico. La mia personale speranza è che i cinesi, che non sono quattro pirla come il movimento milanese, gli facciano un culo come una capanna, e gli facciano passare per sempre la voglia di farsi pubblicità mettendo in galera la gente per tempi poco raccomandabili. Auguri di pronta relazione con l’ambasciata della grande madre cina.

Per finire, c’è da segnalare che non sono l’unico a postare raccolte di interventi, giacché anche i soci di Wu Ming fanno lo stesso: il brano migliore del nuovo giap (a proposito: scrivete loro e rincuorateli sul fatto che l’errore che hanno commesso nella dedica, del tutto involontario, è umano e non ha rovinato il gran lavoro dietro questa newsletter, fatelo che mi si stanno deprimendo per la cosa!!!) è senz’altro quello che inizia con "ragazzi anche io sono di sinistra, ma…. sei uno stronzo!". La frase rappresenta la mia sensazione sulla gente con cui ho a che fare nel 90% dei casi. Che disastro l’umanità.  

Il mostro dell’autunno: blackswift è tornato

19 Novembre 2007 Commenti chiusi

 

E’ stato peggio di un parto, il mostro dell’autunno ad opera di Blackswift. Il racconto è pronto da due mesi ma tra revisioni delle ultime cose (grazie blanquita), impaginazione (grazie carlo finalmente abbiamo una versione in pdf decente), e organizzazione del corteo di genova, non ce l’abbiamo fatta prima di adesso a spedire la newsletter. Ed è quasi il momento del mostro dell’inverno! In ogni caso ripubblico qua il testo della newsletter e spero vi andrete a leggere volentieri: Settembre andiamo, è tempo di migrare.

Pre Scriptum

Siamo spesso da biasimare in questo,
è ben provato che con un’aria devota e un’azione pia
inzuccheriamo lo stesso diavolo.

Autunno

Una nuova newsletter aperiodica per un nuovo mostro, quello dell’autunno. Andiamo al sodo, che è una newsletter di grande urgenza, almeno per noi. Gli eventi narrati, opera di fantasia, speriamo siano un gustoso divertissment sull’evento mediatico settembrino: Garlasco e la sua mostruosità, la mediaticità e le sorelle K, le trasmissioni e l’attenzione della gente, le discussioni e le battute. Decidendo di dedicarci alla fiction finiamo spesso per tentare ribaltamenti quotidiani di vicende annose e di ampio successo mediatico, ma in questo ci teniamo a precisare alcuni aspetti e ritirare fuori, graditamente, ancora una volta un articolo di Carlotto. Forse lui, meglio di noi, riuscirà a spiegarvi perché i delitti passionali in famiglia hanno così successo e perché lo abbiamo voluto tingere di un complottismo, in grado di sradicare minimamente i fatti dalla loro intima e reale vicissitudine. Lo pubblichiamo nel momento in cui, per altro, i delitti di famiglia sono già dimenticati: ora vanno di moda i pirati della strada, ancora più diabolici nei loro fili ideologici (su alcool, droghe, proibizioni, al solito). E allora la doppia citazione in partenza, ce ne regala, immediata un’altra, piuttosto convivente con i fatti da noi narrati.

Di chi è la colpa? Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovranno rispondere di tutto ciò; ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole.. non c’è che da guardarsi allo specchio. Io so perché l’avete fatto. So che avevate paura.

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Alla fine sono solo sei anni

12 Ottobre 2007 Commenti chiusi

Sei anni: da genova sono passati sei anni, e nessuno sembra più voler ricordare o volersi scandalizzare delle enormità che vengono dette nelle aule di tribunale da pm sempre più compiacenti a una visione del mondo che sembra essere stata pensata da una divisa [ unoduetrequattro ], o della faccia tosta di testimoni falsi come giuda (che forse di secondo nome fa Toccafondi). Mentre a genova si consuma lo stupro della nostra memoria collettiva (v. sotto l'editoriale a firma SupportoLegale uscito su Liberazione e Manifesto mercoledì), a Milano è cominciato il processo di appello per i fatti dell'11 marzo. Da un pezzo sul mio blog e da uno sul blog del mio socio blackswift ha elaborato un intervento su carmilla dedicato alla nouvelle vague culturale da cui stiamo venendo invasi.

In compenso sei anni sono anche il numero di anni che i nuovi lavoratori vedranno come tempo minimo di contratto a termine grazie all'ipocrita e vergognoso patto sul welfare che in tutta fretta dopo un referendum bulgaro (tra l'altro caratterizzato da scarsa partecipazione e dubbi sistemi di votazione) i sindacati confederali si sono affrettati a sostenere e il Governo a trasformare in ddl. Nulla di buono uscirà da questo accordo, che non è nient'altro che un altro passaggio nel quale i precari vengono presi in giro, i problemi della ristrutturazione del mercato del lavoro esasperati, il tutto camuffato da un generico appello al welfare che con il benestare delle persone non ha nulla a che fare. Mi ricorda la situazione in cui mia madre mandò finalmente affanculo i sindacati confederali, dopo l'accordo sulla scala mobile: direi che il salto nella merda è abbastanza analogo, con buona pace di democratici e "innovatori" di sinistra alla ichino. Se dobbiamo essere governati da ragionamenti di destra, ridatemi quella vera, almeno lo scontro è senza maschere.

Sembrano due cose distanti, ma il problema è che non lo sono per niente. L'offensiva culturale e politica che subiamo è la stessa, è bipartisan, e gli unici a non farne parte sono quelli nella nostra stessa situazione di merda. O forse anche loro sono parte di quella platea silente, ipocrita e compiacente, che non si smuove mai, a meno che non si tocchino quelle poche schifosissime cose da cui è coinvolta direttamente. Troppo facile così. Troppo facile lo scandalo a tempi alterni.  

PS: ah, dimenticavo quasi, hanno dato il Nobel per la pace ad Al Gore e il Nobel per la letteratura a Doris Lessing. QUalcuno ha ancora dei dubbi sulla regressione cerebrale planetaria?

 

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Mercoledì 3 ottobre: Milano Giallonera a XXY

1 Ottobre 2007 2 commenti

 

Mercoledì 3 ottobre blackswift partecipa insieme ad altri autori milanesi di noir e letteratura di genere a un incontro presso XXY, in via Bianchi d'Espinosa, nella profonda Niguarda. Tutti invitati a partecipare, ricchi premi e cotillons. Ovviamente post incontro cercheremo di ragionare anche qui sugli spunti interessanti che ne sortiranno.

 

 

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Giovedì 27 settembre, Blackswift a Brescia

24 Settembre 2007 Commenti chiusi

 

Giovedì 27 settembre Blackswift presenzia a Brescia, ore 20.00 presso il caffé letterario di vicolo Beccaria 10. Si parlerà di Monocromatica, ma anche dei più recenti Novecento e Uno, dei mostri delle quattro stagioni (in arrivo novità) e della necessità di ricostruire un'opzione culturale diversa da quella dominante. Ci vediamo lì! 

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William Gibson parla del presente attraverso la SF

21 Agosto 2007 5 commenti

William Gibson è stato senza dubbio uno degli autori più importanti nel panorama della letteratura di genere e non degli anni ottanta e novanta: negli ottanta quando scriveva e nei novanta per l'eco dei suoi libri degli anni ottanta. Negli anni novanta si è perso, uccidendo la stima che ognuno di noi provava per il suo talento con libri indignitosi (Idoru o Virtual Light andrebbero cancellati dagli annali delle pubblicazioni). Il nuovo millennio ha portato all'autore di stanza Vancouver nuova linfa e ispirazione: dopo un decollo modesto in American Acropolis, il suo penultimo libro Pattern Recognition è un capolavoro sui livelli di Neuromancer. Ogni volta che vado in Inghilterra mi porto indietro una nuova pubblicazione che in Italia si vedrà tra mesi: l'anno scorso ho potuto gustarmi Anansi Boys di Neil Gaiman (molto modesto a dire il vero), e quest'anno ho messo in saccoccia Spook Country

Gibson con il precedente libro è tornato a scrivere Science Fiction nel senso più profondo del termine: libri che descrivono paradigmi per interpretare la realtà, chiavi di lettura per decifrare quello che ci sta accadendo intorno, con l'alibi vagamente tranquillizzante della collocazione in un futuro più o meno remoto. In una recente intervista l'autore adottato da Vancouver ha spiegato perché la sua Science Fiction non è più ambientata nel futuro ma nel presente. Oltre a confermare il carattere di modulo interpretativo del presente che la fantascienza ha da sempre avuto, Gibson sintetizza molto bene l'immediatismo a cui i nostri tempi ci hanno destinato: "There's a character in my previous novel, Pattern Recognition ,
who argues that we can't culturally have futures the way that we used
to have futures because we don't have a present in the sense that we
used to have a present. Things are moving too quickly […]"

Spook Country è sicuramente un lavoro meno intenso da un punto di vista delle potenzialità e della profondità delle sue implicazioni cognitive e culturali, rispetto a Pattern Recognition, ma segna un ritorno a molte delle cose che hanno reso William Gibson unico nel panorama letterario, senza per questo imboccare la strada suicida della monotonia: il romanzo usa il classico stile di montaggio a mosaico senza sbavature, e inserisce la tecnologia nella quotidianità, rendendola al tempo stesso un perno della storia e una scusa per parlare di altro. Come al solito lo scrittore nordamericano risulta sempre un po' artefatto quando parla di tecnologia in senso stretto, ma questo è un limite che all'epoca dei suoi primi romanzi (nell'1982) era diventato un suo punto di forza, traducendo le prospettive tecnologiche in qualcosa di verosimile ma non scontato, accennato, sfumato nella sua possibilità.

Il libro e l'autore si crucciano su un nodo culturale su cui anche io mi incastro da tempo: le tecnologie, in particolare alcune tecnologie, modificano in maniera sostanziale la nostra percezione della realtà, definiscono il nostro contesto cognitivo e di fatto alterano la nostra visione di ciò che siamo, di ciò che sono gli altri e il mondo in cui ci muoviamo. Le tecnologie sono un fattore di pesante influenza antropologica e culturale in altre parole.

Il problema, adesso come negli anni ottanta e novanta (e come anche nell'800, basti pensare allo scontro ideologico tra Tesla e Edison), è che le tecnologie non sono di tutti, ma appartengono a persone ben precise, alla sfera dell'economia, a soggetti che attraverso il controllo di queste tecnologie possono esercitare un controllo profondo sulla nostra evoluzione come esseri umani (individualmente e collettivamente, socialmente).

"The original only exists on the server, when I'm done, in virtual dimensions of depth, width, height. Sometimes I think that even if the server went down, and took my model with it, that that space would still exist, at least as a mathematical possibility, and that the space we live in…" He frowned.
"Yes?"
"Might work the same way." He shrugged, and picked up his burger.
You, she thought, are seriously creeping me out. 

[…]

"Right now, if you hadn't been told it was here, there'd be no way for you to find it, unless you had its URL and its GPS coordinates, and if you have those, you know it's here. You know something's here, anyway. That's changing, though, because there are an increasing number of sites to post this sort of work on. If you're logged into one of those, have an interface device" – he pointed to the helmet – "a laptop and wifi, you're cruising."
She thought about it. "But each one of those sites, or servers, or… portals…?"
He nodded. "Each one shows you a different world. Alberto's shows me River Phoenix dead on a sidewalk. Somebody else's shows me, I don't know, only good things. Only kittens, say. The world we walk around in would be channels."
She cocked her head at him. "Channels?"
"Yes. And given what broadcast television wound up being, that doesn't sound so good. But think about blogs, how each one is actually trying to describe reality."
"They are?"
"In theory."
"Okay."
"But when you look at blogs, where you're most likely to find the real info is in the links. It's contextual, and not only who the blog's is linked to, but who's linked to the blog."
[…]
"Then why aren't more people dooing it? How's different from virtual reality? remember when we were all going to be doing that?" The yellow rectangle was made of die-cast yellow metal, covered with glossy paint. Part of a toy.
",We're all doing VR, every time we look at a screen. We have been for decades now. We just do it. We didn't need the goggles, the gloves. It just happened. VR was an even more specific way we had of telling us where we were going. Without scaring us too much, right? The locative, though, lots of us are already doing it. But you can't just do the locative with your nervous system. One day, you will. We'll have internalized the interface. It'll have evolved to the point where we forget about it. Then you'll just walk down the street…" He spread his arms, and grinned at her.
"In Bobbyland," she said.

Ma nel libro di Gibson, come nella realtà esistono meccanismi che sfuggono tra le pieghe di una maglia non così fitta come la si vorrebbe di controllo della definizione della realtà. Nei libri dell'autore di Vancouver (ed è questo l'altro tema che ritorna con prepotenza negli ultimi due libri e che non si viveva con intensità dai tempi di Neuromancer  e Count Zero) la linea di fuga dell'uomo è rappresentata dalla coscienza, dalla consapevolezza dei processi in atto, anche solo intuitiva: il personaggio più enigmatico del libro si fa guidare nelle sue missioni dagli spiriti, fondendo e fondando la sua percezione della realtà su un curioso miscuglio di dati reali e di intuizioni a livello irrazionale e intimo. Gli spiriti entrano tanto quanto la tecnologia nella definizione della sua realtà, la modificano, la costruiscono: i loa cubani di Tito (in questo libro al Voodoo haitiano Gibson sostituisce la Santeria cubana) rappresentano nella letteratura di Gibson il sincretismo delle vie di fuga dell'uomo con una realtà definita nei suoi paradigmi interpretativi da un presente tecnologico, l'irrazionale che costituisce un elemento cruciale della percezione del sé e del mondo interpolandosi con il razionale. Per non renderlo tutto troppo mistico ovviamente Gibson inserisce altri personaggi che incarnano l'uomo che attraversa la tecnologia integrandola nella propria percezione della realtà, ma i loa rimangono la dimensione più evocativa di questo scontro tra imposizione di realtà e costruzione di realtà.

In fondo in fondo i loa sono agenti culturali, come uno scrittore, come un giornalista, o come anche qualcuno che cerca di portare il proprio modo di fare politica e di percepire il mondo soprattutto all'interno del mondo reale e non nel proprio idilliaco ghetto in cui tutti (e in maniera abbastanza scontata) la pensano più o meno in maniera simile (alla fine il paradigma imposto della compagnitudine non è molto meglio del paradigma imposto da Google… ci sembra solo più ideologically correct, ma non è detto che questo sia meglio del politically correct del colosso di Mountain View e del suo don't be evil…)

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Luglio col Bene che ti Voglio

23 Luglio 2007 2 commenti

D'estate si sa, il giallo tira. La gente ha voglia di storie, che cominciano, che finiscono, in cui i vinti vincono e i cattivi perdono, che poi al largo, sulla barchetta, durante l'aperitivo, già c'è la scottatura a dare fastidio, ci manca anche un impiccio letterario. Potremmo pure dire che il giallo sta tirando un pò tutto l'anno, come i complotti, gli intrighi, i giochi di potere.

La memoria pop letteraria dalla quale attinge blackswift è popolata di rotocalchi estivi, quelli che poi ci fasciavi le uova, la verdura o li mettevi per terra quando si doveva dare il bianco ai muri, con storie apocalittiche, per lo più famigliari, di disgrazie, di impercettibili attinenze con il reale. Una sorta di precursore di reality fiction che proprio perché partiva dalla realtà (omicidi tra le mure domestiche, storie italiane di scappatelle finite in tragedie, ecc) costituiva una straordinaria via di fuga, nel negozio del parrucchiere, del barbiere, nei cortili estivi, sulla spiaggia.

Lupo Liboni inaugurò la stagione dei nuovi mostri per l'estate. Balordo, mezzo, anzi tutto, fascistoide, si era tirato dietro le ire funesti delle comari di mezza Italia, specie quelle che scrivono sui quotidiani. Carlotto ne fece un ritatto che impressionò, parlando di insofferenti e prevedendone la fine che da lì a poco Lupo avrebbe trovato.

Una storie minore, assurta agli onori delle cronache, in mancanza di scalini, scaloni, scalate e intercettazioni. L'Italia lo voleva morto e lui morì. E allora, in epoca di romanzi criminali e di rivalutazione di hard boiled alla Ellroy, è un piacere dipingere la vicenda di Lupo Liboni in qualcosa di piccolo e grande allo stesso tempo. Una storia di balordaggine, inserita in uno dei periodi bui dell'Italia. Una straordinaria e casuale concomitanza di date. Una bizzarra, e molto meno comica delle premesse, storiella che non sembra molto più strana di quanto si potrebbe leggere sui giornali.

La chiamiamo reality fiction. Partenza dal reale per trasfigurare la realtà stessa. O per dare una propria lettura, con l'artifizio delle storie. E' solo un racconto, un divertissment. Un piccolo mostro per l'estate 2007.

Che gli insofferenti continuino a correre.

Su Blackswift esce il mostro dell'estate da portarvi sotto l'ombrellone: Luglio col Bene che ti Voglio.

Per ripassare: il folder sugli insofferenti che neanche i reloadiani hanno dimostrato col tempo di capire bene (si sa che quasi sempre si predica bene ma si razzola male <g>)

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In attesa del mostro…

19 Luglio 2007 Commenti chiusi

 

Blog un po' spento ma l'estate spegne i neuroni in alcuni sensi e li riaccende in altri. Con il mio socio siamo in fervente attività di programmazione per Blackswift (che vi ricordo al momento è raggiungibile solo attraverso il suo dominio secondario noswift.org). In attesa di pubblicare per voi il mostro per l'estate, il racconto sotto l'ombrellone, come tutti gli autori che si rispettino, abbiamo finalmente pubblicato il racconto cinese di reality fiction che per ora campeggiava solo nella home page del blog di quel rimbambito che scrive narrativa insieme a me. E' pigro, cosa ci devo fare?

Gustatevi La Ragazza è Senza Nome di D.G. Blackswift !

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