Genova: il processo ai 25 è finito
Oggi il primo processo sui fatti del g8 2001 a genova è praticamente arrivato alla sua conclusione. Neanche a dirlo, il primo che vedrà una sentenza (mancano ancora l’udienza del 14 dicembre per repliche e controrepliche e l’udienza in cui si leggerà la sentenza che sarà la settimana successiva) è il processo contro 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio. Ci sono volute 150 udienze circa, quasi 200 testimoni (che poi l’accusa non ha quasi usato), migliaia di ore di lavoro: il processo si chiude sulle parole di alcuni imputati e sul ghigno del pm Andrea Canciani mentre i nostri compagni parlano con il cuore in mano della propria vita. Come ultimo sgarro il pm ha voluto consegnare la memoria di accusa non all’inizio durante la sua discussione, ma alla fine dopo averla corretta per bene durante le arringhe dei difensori: un’ultima scorrettezza formale per avere l’ultima parola, o l’ultimo sorriso di sbieco. Quando ho cominciato a lavorare su questo processo nel 2004 pensavo che sarebbe durato una vita, invece sono passati tre anni e vorrei che ne mancassero almeno tanti quanti ne servono per la prescrizione. Qualunque sarà la decisione del tribunale, i pm avranno la soddisfazione di poter dire di aver dato vita a un processo storico e storicamente temo ingiusto. Sotto potete leggere le dichiarazioni di VV, uno degli imputati, che mi paiono molto belle e condivisibili. Avrei voluto che si facessero all’inizio del processo, sarebbe stato tutto molto più politico e intenso, anche se non so se avrebbe cambiato qualcosa.
Innanzitutto vorrei fare una breve premessa: in quanto anarchico,
ritengo i concetti borghesi di colpevolezza o innocenza totalmente
privi di significato.
La decisione di voler dibattere in un processo di “azioni criminose”
che si vogliono imputare a me e ad altre persone, e soprattutto
l’esprimere qui le idee che caratterizzano il mio modo di essere e di
percepire le cose, potrebbe essere oggetto di valutazioni sbagliate: è
necessario quindi precisare da parte mia che lo spirito con cui
rilascio questa dichiarazione, dopo anni di spettacolarizzazione
mediatica dei fatti di cui si dibatte qui dentro,è quello in cui anche
la voce di qualche imputato si faccia sentire. Con questo breve
intervento comunque non cerco né scappatoie né giustificazioni: per me
sarebbe assurdo anche il fatto che la corte decida che sia legittimo
rivoltarsi non spetta ad essa.
Rileggere dei fatti accaduti sotto una certa ottica, con un certo
tipo di linguaggio (quelli della burocrazia dei tribunali per intenderci) non equivale solo a considerarli parzialmente, ma significa
distorcerne la portata, la loro collocazione storica, sociale e
politica, significa stravolgerli completamente da tutto il contesto in
cui si sono verificati.
Quello che mi si contesta in questo processo, il reato di
devastazione e saccheggio, implica secondo il linguaggio del codice penale che “una pluralità di persone si impossessa indiscriminatamente
di una quantità considerevole di oggetti per portare la devastazione”:
per questo tipo di reati si chiedono condanne molto alte, e questo
nonostante non si tratti di azioni particolarmente odiose o crimini
efferati.
Mi sono sempre assunto la piena responsabilità e le eventuali
conseguenze delle mie azioni, compresa la mia presenza nella giornata
di mobilitazione contro il g8 del 20 luglio 2001, anzi sono onorato di
aver partecipato da uomo libero ad un’azione radicale collettiva, senza
nessuna struttura egemone al di sopra di me.
E non ero solo, con me c’erano centinaia di migliaia di persone, ognuno
che con i propri poveri mezzi, si è adoperato per opporsi a un
ordinamento mondiale basato sull’ economia capitalista, che oggi si
definisce neoliberista…la famigerata globalizzazione economica, che si
erge sulla fame di miliardi di persone,avvelena il pianeta, spinge le
masse all’esilio per poi deportarle ed incarcerarle, inventa guerre,
massacra intere popolazioni: questo è ciò che definisco devastazione e saccheggio.
Con quell’enorme esperimento a cielo aperto fatto su Genova (nei
mesi precedenti e nelle giornate in cui si tenne quella kermesse di
devastatori e saccheggiatori di livello planetario) che qualche
ritardatario si ostina ancora a chiamare gestione della piazza, è stato
posto uno spartiacque temporale: da Genova in poi niente più sarebbe
stato come prima, né nelle piazze né tanto meno nei processi a seguito
di eventuali disordini.
Si apre la strada con sentenze di questo
tipo ad un modus operandi che diventerà prassi naturale in casi simili,
cioè colpire nel mucchio dei manifestanti per intimorire chiunque si
azzardi a partecipare cortei, marce, dimostrazioni…non credo sia fuori luogo luogo parlare di misure preventive di terrorismo psicologico.
Non starò qui a dibattere invece sul concetto di violenza, su chi la
perpetra e su chi da essa si deve difendere e via dicendo: questo non
per assumere atteggiamenti ambigui riguardo l’utilizzo o meno di certi
mezzi nella lotta di classe, ma perché reputo questa sede non adatta
per affrontare un dibattito che è patrimonio del movimento antagonista
al quale appartengo.
Due parole in merito al processo alle forze di polizia.
Si prova con il processo alle cosiddette forze dell’ordine a dare un
senso di equità…i pubblici ministeri hanno voluto paragonare ad una
guerra fra bande le violenze tra polizia e manifestanti: senza troppi
giri di parole dico solo che io non mi sognerei mai di infierire
vigliaccamente su persone ammanettate, inginocchiate, denudate, o in
palese atteggiamento inoffensivo col preciso intento di umiliare nel
corpo e nella mente…
Sono ormai abituato a sentirmi paragonare a provocatore, infiltrato ecc
ed è dura, ma essere paragonato ad un torturatore in divisa no… questa
affermazione è a dir poco rivoltante!
È degna di chi l’ ha formulata.
E poi allestire un processo a poliziotti e carabinieri, giusto per
ricordare che siamo in democrazia significa ridurre il tutto ad un pugno di svitati violenti da una parte, e dall’altra a casi di
eccessivo zelo nell’applicazione del codice. Questo, oltre ad essere sinonimo di miseria intellettuale, indica la debolezza delle ragioni
per cui sprecarsi al fine di preservare l’attuale ordinamento sociale.
Dal mio punto di vista processare la polizia parallelamente ai
manifestanti significa investire le cosiddette forze dell’ordine di un ruolo troppo importante nella vicenda; significa togliere importanza ai
gesti compiuti dalla gente che è scesa in strada per esprimere ciò che
pensa di questa società, relegando tutti quanti nel proprio ruolo
storico di vittime di un potere onnipotente. Carlo Giuliani, così come tanti altri miei compagni, ha perso la vita
per aver espresso tutto ciò col coraggio e con la dignità che
contraddistingue da sempre i non sottomessi a questo stato di cose e
finché i rapporti tra le persone saranno regolati da organi esterni
rappresentanti di una stretta minoranza sociale, non sarà l’ultimo.
E siccome sono disilluso ed attribuisco il giusto significato al
termine democrazia, l’idea che un rappresentante dell’ordine costituito
venga processato per aver compiuto il proprio dovere mi fa sinceramente
sorridere. Lo stato processa lo stato direbbe qualcuno a ragione.
Sicuramente ci saranno delle condanne e non le vivrò di certo come
segnale di indulgenza o di accanimento nei nostri confronti da parte
della corte. Esse andranno valutate, in qualsiasi caso, come un attacco
a tutti coloro che in un modo o nell’altro avranno sempre da mettere in
gioco la propria esistenza al fine di stravolgere l’esistente nel
migliore dei modi possibile.