Il giorno inaspettato dei campioni
Camminiamo normalmente verso via Procaccini, decidendo di attraversare Sarpi. Ogni tot io accelero il passo costringendo blanca a tirarmi per la manica. “Non lo faccio apposta, è che proprio mi prende l'ansia da partita e non riesco a trattenere il passo”.
Arrivo al quattro quattro due e non c'è ancora un cazzo di nessuno. Scelgo il mio tavolo nell'angolo. Chiacchiero con ale mentre ci guardiamo la seconda divisione inglese, in cui contrariamente a ogni pronostico il Birmingham vince ridando fiato alle speranze di playoff dello Stoke City, la prima squadra di ale, quella per cui batte il suo cuore gallese. Addirittura gli avversari del Birmingham si fanno parare un rigore casuale dato al novantatreesimo.
Non so se interpretare la cosa come un segno positivo o negativo. Sono le quattordici e cinquantatre. Non so nulla. Non sono nulla. Un fascio di nervi. Al termine della partita con la Roma avevo giurato che avrei fatto lo sciopero del tifo.
Al primo tocco di Materazzi già mi parte la prima bestemmia. Al secondo tocco sono già lì che sbraito come se fossi seduto di fianco a Sinisa in panchina. Alla prima occasione da gol netta sono già in piedi sul tavolo. Mentre la partita si snoda e vedo i ragazzi che comunque stanno giocandosela, guardo blanca che mi osserva con commiserazione: “il mio fioretto non è valso un cazzo, lo so… sono un mezz'uomo”.
Ma intanto mischia in area, scarpate, Materazzi, gooooooooool. Salto in braccio a Montalbano (un cristone quarantenne bergamasco con due braccia larghe come le mie coscie) e poi corro a lanciarmi sul mucchio di gente abbracciata in mezzo al pub. Altro che Biffi. Qui mi sento a casa, tutto sommato. Sono in un covo di tifosi nerazzurri, non di sportivi da bar, non di vecchi-so-tutto-io, ma tifosi invasati per i colori nerazzurri.
Mi risiedo e quelle merde della terza squadra della Juve, con la stessa maglia, ma disputanti campionato nel territorio toscano, segnano il pareggio alla prima azione. Mi incazzo come un caimano con la nostra difesa disposta a rombo-raggera a quattro dimensioni, in pratica a caso, ma non demordo. E' maturo, lo sento, soprattutto quando serpeggia la notizia che la Roma ha preso la prima pera da Doni.
Bastardi, lo sapevo che dopo averci rotto le uova nel paniere perdevano a bergamo come dei pusillanimi. Pagliacci. “Forza ragazzi mettete quella cazzo di palla nel sacco”. L'assedio è assiduo ma il gol non arriva. In compenso arriva il gol capolavoro di Zampagna, che se lo avessi avuto di fianco lo avrei baciato in bocca, nonostante il suo probabile rifiuto.
Nell'intervallo tutti parlano, fumano, bevono, discutono. Tutti ci credono, ma credono anche che la sfiga è sempre dietro l'angolo. La logica dell'interista, lo scetticismo incarnato in corpi e cuori troppo carichi di passione da troppi anni, e fegati troppo carichi di torti e disastri dell'ultima giornata o dell'ultimo minuto.
Dopo due minuti nel secondo tempo si infortunano in serie Burdisso e Julio Cesar. Ci guardiamo per cercare di interpretare attraverso i volti di chi ci sta vicino e le sue bestemmie se sia un segno del destino eroico che ci attende o della sfiga in agguato dietro l'angolo camuffata da vecchina con il kalashnikov. Julio resiste, si tappa il sangue nel naso, e garantisce i cinque minuti di recupero.
I ragazzi ci credono, ma il Siena fa la partita della vita. Stronzi gobbi mancati maledetti. Sembrano il Piacenza contro il Genoa due anni fa, quando il Torino li pagò più di Preziosi, costringendo quest'ultimo a comprarsi la famosa partita con il Venezia che è costata ai genoani l'inferno della C.
Ibra, Cruz e company però danno il bianco. “Mettete quella cazzo di palla nel sacco, dio caimano!”. Il grido si leva solenne. Cruz si lancia in profondità, Manninger esce scomposto: “è rigore!” “che cazzo dici era fuori area di un metro!” “è rigore, guarda è dentro e lo sposta fuori” “il guardalinee lo trasforma in una punizione” “meglio così” “meglio così un cazzo”.
Materazzi mette la palla sul dischetto. Tutto il pub è in silenzio: chi si copre la testa per non guardare, chi stringe i pugni e fa respirazione yoga, chi ha le labbra cucite e ostenta calma olimpica, ma dentro si sente il cuore che gli sfonda la cassa toracica e la lingua che si gonfia. Tiro, gooooooooooool. Esplode il quattro quattro due. la gente si lancia in un pogo violento, abbracci, urla. Ci giriamo verso la televisione. Materazzi rimetti il pallone sul dischetto: “ma che cazzo fa quella merda di ayroldi, lo fa ripetere?” “io adesso muoio” “ho un infarto”. Ricala il silenzio. Matrix parte, tiro, gooooooooooool.
E' tripudio. Perrotta accorcia le distanze ma non ce ne frega un cazzo. Adesso la partita è il simbolo della riscossa, della vittoria, dell'eroismo. Mancini che non ha mai fatto un cambio prima dell'ottantesimo in vita sua, decide di esaurire i cambi al ventesimo della ripresa. Due minuti dopo Maicon si infortuna e sembra non poter riprendere il gioco: trenta minuti (contando il recupero) in dieci contro undici. Con SOLO un gol di vantaggio. Incubi.
Inter è sofferenza, Inter è terrore, Inter è non poter aver certezze. Uno si chiede perché è nato interista. La partita procede, il gioco della beneamata scende di tono, e soffriamo qualche scarica adrenalinica dei senesi guidati da quel rossonero di Beretta, infoiato come un coccodrillo a digiuno.
Scocca il novantesimo. Cinque minuti di recupero. Julio Cesar rallenta i rinvii dal fondo, ma sembriamo incapaci di tenere quella cazzo di palla. Ma agli allenamenti la melina non la insegnano più. Ayroldi fischia: il quattro quattro due esplode, tutti esplodiamo.
“Fermi tutti, mancano tre minuti a Bergamo”. Giriamo canale. Punizione dal limite basso dell'area per la Roma. Tre minuti ancora da giocare. Parte la punizione e non succede un cazzo, se non che un romanista rimane a terra un po'. Rosetti allunga il recupero di un minuto. I secondi scorrono lenti, ma la Roma non fa un cazzo, non fa un cazzo, non fa un emerito cazzo. Triplice fischio. Siamo campioni d'Italia. Dopo diciotto anni. Ero piccolo quando ho visto lo scudetto allo stadio con la mia minchia di bandierina degli ottanta anni dell'inter. Ero giovane quando ci hanno fottuto almeno tre campionati, di cui uno comunque ce l'eravamo mandato in vacca da soli. Non ci credo.
La gente si abbraccia si salta in testa. Ale spara Amala Pazza Inter Amala sullo stereo a tutto volume, siamo in strada, salgo su una macchina e grido come un pazzo, la gente ci guarda giustamente come invasati. Urli fino a che non hai più voce, urli per farti sentire da tutti, urli per sentire gli altri urlare.
Va avanti così per un'ora. Poi ci spostiamo in Duomo. Una bolgia di umanità in nerazzurro, bandiere, striscioni, cori, aste, pupazzi, trombe, trombette, sirene, ragazze, ragazzi, bambini, vecchi, adulti, bianchi, neri, gialli. Gridiamo, gridiamo, gridiamo ancora, scandiamo cori, fino a che non siamo esausti.
Torniamo a casa. Sul tram c'è una signora giapponese con la madre vecchia che sembra uscita da un manga. La signora fa sedere la madre sul sedile del tram e poi tira fuori dalla borsa la sua bandiera a scacchi nerazzurri e la appende al finestrino del tram. La guardo e rido come un cretino, come uno che una volta tanto non è deluso, non è meditabondo, brontolone, scassacazzi.
Rido perché sono felice.