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Archivio per la categoria ‘storia e memoria’

Dax

13 Ottobre 2007 4 commenti
Non c'è Futuro Senza Memoria
Piazza Vetra, Milano, 13 ottobre 2007 

Una settimana densa di segnali

7 Ottobre 2007 3 commenti

 

E' stata una settimana intensa, dura da digerire, in cui
controllare la voglia di spaccare i banchi delle aule di tribunale è
stato tutt'altro che facile. E' stata una settimana che ha aperto con
decisione la chiusura di alcuni tra i processi più importanti della
nostra fase di movimenti, che ne definiranno la coda repressiva e la
verità storica che molti associeranno agli eventi oggetto del caso
processuale. In questi giorni sia io che il mio socio stiamo
riflettendo molto sul senso del lavoro che ormai da qualche anno
facciamo nello stare dietro ai processi, ai loro meccanismi
comunicativo/burocratici e al loro senso politico, anche perché le
operazioni in atto sono di fatto convergenti (che avesse ragione
Mastella? 🙂

Infatti a Genova si stanno lentamente esaurendo le
testimonianze degli imputati del processo di Bolzaneto, l'unico in cui
forse giudici e procuratori trattano le forze dell'ordine con il
sarcasmo necessario: sarà anche perché è il processo in cui queste
ultime rischiano meno. In ogni caso le panzane che tutto il personale
del lager di Bolzaneto è venuto a raccontare in aula non sono
meritevoli di attenzione, se non per iniziare a far salire il livello
di bile.

In compenso nel processo contro 25 manifestanti per
devastazione e saccheggio relativo agli scontri di piazza i pm Anna
Canepa e Andrea Canciani hanno esordito con una requisitoria
estremamente politica pur dichiarando dall'inizio che loro malgrado si
devono occupare solo dei fatti del processo, ovvero dei crimini
commessi dai manifestanti. Condannano le violenze della polizia e dei
carabinieri, e la loro incapacità di gestire l'ordine pubblico in
maniera diversa da quella di una guerra tra bande, ma di fatto offrono
agli avvocati difensori della polizia nel processo Diaz elementi facili
da strumentalizzare per portare un attacco ai pm che hanno causato le
dimissioni di Gianni De Gennaro e l'unico processo politico ai vertici
della polizia italiana a memoria di uomo. Quello che si dice
solidarietà professionale. 

Canepa e Canciani sono infuriati,
questa è la verità: ma non tanto con i manifestanti, che comunque
secondo loro si arrogano il diritto di manifestare e protestare sopra
le righe (o forse fuori dalle linee), ma soprattutto con politici, con
leader, con tutti coloro che sono venuti a testimoniare solo per
partito preso, ricordandosi le violenze della polizia e non quelle dei
manifestanti. I pm sono la verità incarnata, si sa, si sentono
depositari del verbo e non tollerano che qualcuno a parte loro si
permetta di fare politica in un'aula di tribunale. Quindi la loro
rabbia va verso chi si permette di ricordarsi il sangue dei
manifestanti e non che l'assalto al blindato poteva finire in una
tragedia dieci volte maggiore che non quella del defender in piazza
alimonda, oppure che alla fine della fiera le cariche sono durate in
tutto un paio di minuti, in termini di contatto corpo a corpo, e che
quindi non possono giustificare tutta questa enfasi sulla reazione dei
manifestanti totalmente illegittima.

Canepa e Canciani, come farà
anche il capo procuratore Fontana nell'appello del processo per i fatti
dell'11 marzo a Milano, confermano di negare in apertura di
requisitoria, proprio il senso ultimo delle loro arringhe: manifestare
a genova con qualsiasi cosa che non fosse pura testimonianza era ed è
reato, la reazione delle forze dell'ordine è stata esagerata ma neanche
troppo, e se non fosse stato per loro ci sarebbero state più vittime, e
tutto quanto è avvenuto a genova è avvenuto con la imperdonabile
copertura di politici che non sono capaci di fare il loro mestiere,
ovvero governare il potere per conto del potere. I due pm prevedono le
linee difensive e le impugnano, gridano come ossessi contro chi
cercherà di dimostrare che la reazione dei manifestanti era legittima e
che le forze dell'ordine hanno fatto alcunché. Quello che di male
potrebbero aver fatto sta in altri processi e non ci riguarda, perché è
evidente a tutti che non si tratta di un'unità temporale definita, in
cui ogni evento influenza gli altri, o meglio lo è ma solo per lo stato
psicologico delle forze dell'ordine.

L'aggressione politica dei
pm a tutto ciò che non è la loro personale visione della democrazia e
dell'ipocrita moralità della legge, è netta e senza alcun tentativo di
diplomazia. I difensori dei 25 siano avvisati.

Intanto l'altro
processo genovese, quello per l'irruzione alla Diaz e al mediacenter,
entra nella fase della guerra totale: se da un lato la procura ha
tirato in ballo il capo della polizia come concorso in istigazione in
falsa testimonianza, inanellando una serie di richieste di indagine per
false testimonianze a carico di pubblici ufficiali che non si vedevano
da tempo (ma che tutti sanno avvenire regolarmente quando ci sono da
coprire le malefatte del corpo), dall'altro gli avvocati delle difese
rilanciano usando i tipici strumenti di chi non trova nei fatti alcuna
salvezza: attacchi mediatici ai pm, accuse di furto ai danni dello
Stato, tentativi di dilazione nel tempo, sarcasmo e l'attesa e
innegabile complicità del tribunale, che piuttosto che ammettere il
marcio che si annida nelle forze dell'ordine nostrane si taglierebbe
tutte e due le mani, nonostante le evidenze.

In questo contesto
processuale si è inserito l'appello per i fatti dell'11 marzo a Milano.
L'apertura del capo sostituto procuratore ci dice esattamente di che
cosa si tratta, attraverso una negazione (excusatio non petita…):
"questo non è un processo politico; le scelte fatte dal pm Basilone non
sono state delle operazioni di speculazione policia". Come a dire: non
provate a dire che i magistrati fanno parte del meccanismo del potere,
perché vi spezziamo le reni, pezzenti che non siete altro!

Infatti
è chiaro a tutti che una condanna a 4 anni (in realtà 6 ma ridotta per
il rito abbreviato) per essere presente a qualche metro da una
barricata in fiamme, non è per nulla una conduzione politica di un
processo. Come le scazzottate su un treno con un fascistello divenute
rapina con 3 anni e 8 mesi di condanna non lo sono. O l'assoluzione
delle forze dell'ordine che irruppero nel pronto soccorso del San
Paolo. O gente che è in autoesilio per essere stata condannata a 4 anni
per aver rubato un prosciutto. Tutto questo non è politico e non è
strumentale: anche dire che il fatto più grave è l'incendio dell'AN
point in un palazzo chiaramente abitato (è disabitato da dieci anni ed
è anche stato occupato circa un anno prima dei fatti a scopo
dimostrativo). 

La bile sale. I processi che affrontiamo sono
un'offensiva assoluta non solo contro alcune persone, presi come
vittime sacrificali della chiusura di una fase storica, ma anche contro
la realtà storica di quello che è avvenuto e di quello che ha
significato. Intorno non accade nulla: quelle trecentomila persone che
sul lungo mare sono state violentate dalle cariche e dai lacrimogeni
per ore non sentono il bisogno di gridare a canciani che i lanci non
"erano esclusivamente limitati a piazza Rossetti"? O che la sensazione
delle cariche in via Tolemaide era molto di più che quella di "un paio
di minuti di corpo a corpo"? O che ancora quando ci racconta che tutti
gli attacchi più gravi delle forze dell'ordine contro i manifestanti
(Manin, Tolemaide, Corso Italia) diversamente da quanto sbandierato
sono stati iniziati proprio dalla polizia e dai carabinieri, dovrebbe
vergognarsi? Dove sono queste trecentomila persone? Si nascondono in
una vita che gli faccia dimenticare di vivere in un regime più subdolo
di quello che c'era mezzo secolo fa, ma che non è molto diverso in
termini di obiettivi? E dove sono le persone che hanno reso Milano
medaglia d'oro della resistenza? Stanno facendo una faccia schifata
mentre fascisti di ogni risma se la ridono nei salotti buoni e nel
consiglio comunale? Che cosa fanno per cambiare qualcosa? Nulla.

Perché
agire è sbagliato. E' immorale. E' pericoloso, soprattutto perché
rischierebbe di convincere un po' tutti che è la cosa più normale e
naturale da fare.

Materiali

Udienze di Bolzaneto: PeruginiGugliottaPoggiTolomeo e FornasiereNurchis

Udienze Diaz

Udienze 25: prima parte e seconda parte della requisitoria del PM

Processo 11 marzo: requisitoria PM all'appellodovevadoevado

Processo San PaoloI fatti del San Paolo

I punti di vista al volo miei e del mio socio

Supportolegale

Tra un film e l’altro, il solito copione sul g8 di genova

10 Settembre 2007 14 commenti

 

Mentre balzellon balzelloni mi porto tra i cinema della rassegna milanese dedicata ai festival di Locarno e Venezia, non trovo il tempo di esprimere la mia rabbia per la trasmissione di Lucarelli (Blu Notte) di ieri sera, dedicata al g8 di Genova. Capisco che fare uscire elementi nuovi in una trasmissione su rai tre sia difficile, ma un po' di coraggio in più non sarebbe guastato, e soprattutto qualche grossolano errore in meno (sono i dettagli che fottono gli anni di lavoro in tribunale svolti dalle segreterie legali e dagli avvocati) e qualche specifica in più (ad esempio per chiarire chi è veramente Sabella) mi avrebbero evitato l'impulso di lanciare il televisore dalla finestra del mio socio. In ogni caso proprio il mio socio ha scritto un post sul suo blog che riassume perfettamente anche il mio punto di vista. Forse gli ho regalato un pezzo di cervello qualche tempo fa e non me lo ricordo, o viceversa, chissà…. 

PS: ehi socio se non citi blanca e l'audace presenti e incazzate anche esse, mi sa che ti fanno lo scalpo. 

Sharif

24 Agosto 2007 7 commenti

La prima volta che ho avuto a che fare con Sharif, o sceriffo, come lo chiamavamo tutti,  è stata una delle sere in cui come reload avevamo cominciato a gestire insieme ai pergolani lo spazio anche durante le serate. Sharif era talmente ubriaco da non reggersi in piedi e da non riuscire ad essere spostato dalla sedia arancione di gomma e metallo su cui era riverso. Erano le cinque del mattino, io e marvin stavamo chiudendo la baracca insieme a quattro altri disperati e non ce la facevamo più. Lo abbiamo preso di peso e lo abbiamo portato con tutta la sedia fuori sul marciapiede, poi abbiamo chiamato un'ambulanza per timore che se fosse rimasto lì da solo avrebbe rischiato il coma etilico. 

Sharif era un egiziano di non si sa bene quanti anni, non si sa bene di quale città, e non si sa bene da quanto tempo fosse in Italia, arrivato con suo fratello Mario alcolista peggio di lui, ma con molta meno voglia di provare a tirarsene fuori di lui. Lo sceriffo era l'esemplificazione vivente di come la ferocia milanese e italiana può aggredirti e ferirti, lacerarti. Sharif era un alcolista, ed era un brava persona, un uomo buono. Sharif era anche vittima di sé stesso, ma gli anni in cui ho condiviso il quartiere Isola con lui mi hanno dimostrato che sarebbe bastato poco per renderlo una persona felice.

Di lui le leggende del quartiere raccontavano che fosse stato un grande chef prima di cadere nella trappola dell'alcool, e quando lo vedevamo con noi dietro i fornelli in Pergola dava prova del fatto che queste voci forse non erano del tutto infondate. Il romanticismo della sua figura stava tutto nelle voci che lo circondavano, e nei piccoli fatti di disperazione quotidiana che ti sembravano trasformare quelle voci in delle grottesche storielle. Sharif che spaccia pochi grammi di hashich per sbarcare il lunario, Sharif che ci aiuta a tenere aperta Pergola, sperando di poter dormire per una notte nel cortile senza dover cercare una panchina qua e là, Sharif che mi supplica una birra, l'ennesima e io che gli rifilo un the caldo. Sharif che mi guarda cercando di farmi capire che sa che lo sto facendo per ridurre il suo abbrutimento, ma che con la sua voce roca mi chiede lo stesso un'ultima birra. Sharif besce bollo zigarett.

Sharif è una leggenda urbana e una storia vera, di quelle che ti aiutano a capire la città in cui vivi, che ti aiutano a percepire come le cose sotto sotto siano molto meno rosee e piacevoli di quelle che vorresti immaginarti. Un egiziano che con la sua vita sregolata e semplice nei suoi bisogni riusciva sempre a strapparti un sorriso, e al tempo stesso un commento amaro su come ogni chance fosse effimera di fronte a lui. Mille volte si è rimesso in sesto, vivendo con noi e trovando lentamente un modo di vivere un po' più rispettoso di sé stesso. Mille volte lo abbiamo ritrovato abbrutito. Senza soluzione di continuità.

Sharif rimane per me un esempio della vita diafana di un migrante a Milano, nel bene e nel male, una figura a cavallo della vita ordinaria che pensiamo sia normale e della vita straordinaria e misera che è spesso la normalità. Sharif è un pezzo della mia vita nel quartiere Isola.

Sharif è morto qualche giorno fa, rimasto a Milano a barcamenarsi negli stenti. E' morto da solo, come è vissuto da solo, nella semipermeabilità delle nostre vite parallele. Ho voluto bene a Sharif e avrei voluto riuscire a descrivere meglio il senso paradossale che ha avuto nelle nostre vite. Sta sera gli offro un ultimo the virtuale, alla cannella come piaceva a lui, con una marea di zucchero, e forse stasera potrei dargli anche l'ultima birra.

 

Categorie:storia e memoria Tag:

Fascismo in doppio petto

2 Luglio 2007 8 commenti

Notevole l'ex premier Silvio Berlusconi e le sue affermazioni che sicuramente troverebbero terreno d'intesa con il nascituro PD:

Lo Stato, a detta di Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, ha
abdicato all'uso legale della forza nei confronti di minoranze di
cittadini che bloccano servizi e opere pubbliche nel Paese. Parlando
alla scuola di formazione politica organizzata dal presidente della
Regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha detto: "Lo Stato ha abdicato
ha abdicato all'uso legale della forza; trecento persone alla Stazione
Tiburtina bloccano un intero Paese, un manipolo di persone dice no alla
Tav, in questo Paese ci possono essere delle minoranze che bloccano
opere pubbliche e servizi. Lo Stato non li contrasta, abdica all'uso
legale della forza, perche' al Governo c'e' una sinistra che vede
queste manifestazioni come esercizio di democrazia".

Per altro chiosa la Merkel:

Angela Merkel e' a favore di dell'impiego dell'esercito in patria per
far fronte al crescente pericolo terroristico. In una dichiarazione
rilasciata al termine della riunione della direzione della Cdu, il
cancelliere ha spiegato che "nel contesto dei pericoli terroristici"
deve essere possibile l'impiego della Bundeswehr "in settori limitati",
poiche' la vecchia separazione tra sicurezza interna ed esterna
"appartiene al passato"
.

fonte: repubblica online 

Io ho i brividi: il fatto che soggetti come questo si riempiano la bocca di parole come democrazia e libertà fa ribaltare nelle tombe tutti coloro che hanno versato sangue per una repubblica. Oggi è il giorno dei rivoltamenti di stomaco.    

A cinque anni dal massacro di avellaneda: Dario y Maxi presente!

26 Giugno 2007 Commenti chiusi

 

Cinque anni fa, il 26 giugno 2002, al culmine di una fase di lotta incredibile per tutto il mondo e in particolare per il sudamerica, le forze dell'ordine argentine reprimono nel sangue l'ennesimo corteo. Gli scontri nascono per volontà di fronteggiamento della polizia federale, che non vuole concedere il blocco stradale sul puente puerrydon, storico luogo dei piqueteros della capitale. In Argentina non è come dalle nostre parti, e gli sbirri non si fanno remore a estrarre fucili e sparare a gratis sulla folla, la memoria della dittatura e della resistenza sono ancora molto vive nelle persone, nonostante gli ultimi anni in cui la tranquillità ha portato molta più indifferenza.

Maxi viene ammazzato mentre si sta ritirando per tornare con i compagni verso le proprie sedi. Dario lo sorregge, si ferma in stazione di Avellaneda per aiutare il compagno sperando di salvarlo. Il commissario Franchiotti e alcuni altri sgherri entrano in stazione, vedono Dario, figura carismatica dell'MTD di Lanus, tra i più autonomi e combattivi, e lo freddano a fucilate. Un fotografo immortala la scena che costerà a Franchiotti e soci una pesante condanna (anche se i mandanti politici del duplice omicidio, Duhalde e compagnia, non saranno mai additati come i veri colpevoli).

Dario e Maxi erano compagni eccezionali. Io non li ho conosciuti di persona, ma persone con cui ho condiviso tutto erano i loro fratelli, le loro sorelle, le loro amanti. Per me ricordare la passione che ho sentito ogni mese alla celebrazione della loro morte è uno dei motivi per cui continuare a lottare e a ritenere l'attivismo politico una spinta fondamentale. Un giorno tornerò in Argentina, e ho il timore che non sarà per un breve passaggio.

Dario y Maxi presiente! Seguimos en la lucha! 

Genova 2001 e la storia italiana

21 Giugno 2007 6 commenti

 

Proprio in questi giorni mi ero messo a risistemare i riassunti dei processi per un nuovo printi di supportolegale, e un articolo un po' a metà tra riassunto e commento per carmylla per riportare l'attenzione sulla conclusione del processo ai 25 (che proprio tra questa e la prossima settimana vedrà la conclusione dei testimoni e quindi l'imbocco della dirittura d'arrivo verso la sentenza). I fatti di ieri mi obbligheranno a scriverne un altro quando saranno più chiare le strategie degli apparati di sicurezza: direi settimana prossima o quella dopo. Nel frattempo vi ripropongo qui l'articolo pubblicato su carmilla (tnx valerio! 🙂

 

Genova 2001 e la storia italiana

di Blicero (Collettivo Supportolegale)

I fatti del G8 di Genova entrano di diritto nelle tormentate storia e identità culturale italiane. In questi giorni di Mio Fratello è Figlio Unico
e di interventi di giornalisti americani che cercano di spiegare ai
loro figli nati in Italia le matrici culturali del Bel Paese (v. ultimi
numeri di Internazionale), c'è un evento forse unico nella
nostra storia recente che ha le caratteristiche per costituire un
ulteriore capitolo nella formazione della memoria collettiva del
popolino italico.
Ciò che accadde il 20 e 21 luglio 2001 a Genova infatti è un muro
contro il quale si infrange l'identità di ognuno di noi: difendere i
manifestanti, accusare la polizia, difendere lo Stato, accusare i
teppisti, disegnare complotti da un lato o dall'altro.

Fortunatamente il tentativo disperato da parte di media e
istituzioni culturali e politiche del paese di far calare il sipario su
un evento così importante per tutti coloro che lo hanno vissuto
direttamente o indirettamente e per la storia non solo del paese, ma
anche e soprattutto dei conflitti politici a livello internazionale,
sta andando incontro a una sconfitta sempre più netta.
E' pure vero che per ora sui manuali di storia delle superiori troviamo
pagine e pagine per giustificare l'11 settembre e le guerre che ne sono
state l'inevitabile reazione (o origine, forse siamo noi che non
abbiamo capito nulla!), mentre non troviamo neanche un paragrafo sul G8
di Genova. Ma la memoria delle persone è diventata più viva negli
ultimi anni, anche grazie al lavoro di molti gruppi, collettivi e
individualità che non si sono stancate di seguire ciò che è rimasto di
quegli eventi: i processi.

Prosegui la lettura…

La scomoda verità di Placanica

1 Giugno 2007 1 commento

Tra i vari processi dedicati agli eventi del G8 di Genova, da sempre come indymedia e come supportolegale abbiamo dedicato particolare attenzione al cosidetto processo ai 25. Il processo ai 25 vede 25 persone accusate di devastazione e saccheggio (un reato che prevede dagli 8 ai 15 anni di pena e la cui fattispecie è relativa a tempi e fatti di guerra più che di pace) per tutto quello che è accaduto a Genova: più capri espiatori di così è difficile immaginarne. Tra il 2004 e il 2005 l'attenzione su questo processo è stata molto alta, poi complici una lunga assenza del giudice e il lunghissimo esame triturapalle del miglior aiutante dei pm (l'assistente Zampese, l'uomo più noioso del mondo) negli ultimi tempi è andata un po' scemando. Ciò nonostante entro l'estate il processo si concluderà e ai primi di autunno si avranno le conclusioni di accusa e difesa e la sentenza.

Oggi per un attimo tutti sono tornati a concentrarci sull'aula al quinto piano del tribunale di genova dove Devoto, Gatti, Realini, Canciani, Canepa e via discorrendo decidono del destino di 25 persone. Oggi in aula c'era per la seconda volta nel processo Placanica. E questa volta ha deciso di dire la sua versione dei fatti. Ovviamente tutti i bravi ragazzi con un cuore così sono accorsi pensando di sentire finalmente una verità che soddisfacesse le loro brame di dietrologia, ma sono rimasti delusi.

Placanica ha raccontato la sua verità, ovviamente strumentale ad autoassolversi, ma che sui nodi su cui molti di noi si sono scervellati in questi anni dilania finalmente il velo lattiginoso del dubbio. Io penso onestamente che la versione di Placanica sia tutto sommato attendibile: lui che come un cretino viene adagiato in preda alle allucinazioni da gas nel defender, il defender che segue il battaglione anche nella disastrosa e inutile carica in via Caffa, la rotta del battaglione, l'incaglio del defender, il panico, gli spari, la morte di Giuliani, la fuga.

Il punto, e lo dico soprattutto con chi oggi si è stracciato le vesti a fine udienza, non è confutare questo iter dei fatti, ma farsi le domande giuste, e disprezzare i fatti realmente scandalosi: perché i defender con i feriti non si sono levati dal cazzo? perché è stata ordinata la carica in via Caffa? perché i poliziotti e i carabinieri che guardavano da 50 metri di distanza i due defender incastrati non sono intervenuti ma hanno aspettato che succedesse il peggio? E soprattutto perché Placanica che ha sparato seppur nel panico ammazzando una persona viene archiviato mentre io mi prenderei omicidio volontario e 30 anni di galera?

Il problema non è il quarto uomo (che secondo me non c'è mai stato), né misteriose traiettorie, né occultamenti di cadavere. La vicenda di piazza Alimonda è triste nella sua ordinarietà italiota. Quello che non è ordinario è quello che ci sta intorno, prima e dopo, e soprattutto a monte e a valle. Ma di questo non si può parlare, perché le aule di tribunale non se ne interessano, e sicuramente le stanze della politica hanno bocche estremamente ben cucite su una vicenda che prima verrà gettata nel dimenticatoio, prima consentirà di cancellare la memoria del momento di maggiore rischio per gli equilibri della democrazia italiana degli ultimi 20 anni.

à la prochaine

Fare senza dimenticare quel che si voleva fare

22 Maggio 2007 3 commenti

"Ciò che Ulisse salva dal loro, dalle droghe di Circe, dal canto delle Sirene, non è solo il passato o il futuro. La memoria conta veramente – per gli individui, le collettività, le civiltà – solo se tiene insieme l'impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare" [Italo Calvino, Corriere della Sera, 10 agosto 1975] 

Un tempo gli intellettuali a disposizione erano diversi, ma abbiamo perso anche loro insieme al ricordo di troppe guerre e all'avvento dell'opinione svilita e abusata, senza coscienza. Che abisso.

Ho letto questa frase prima di andare a letto. Sono stato perseguitato da un sogno in cui cercavo di leggerla a diverse classi di ragazzini e ragazzine di ogni età. Ogni volta che provavo a leggerla succedeva qualcosa che mi impediva di farlo correttamente: venivo interrotto, oppure sbagliavo un verbo, o l'intonazione e le pause richieste dalle virgole, oppure la lingua mi si incagliava trasformando le parole in suoni inarticolati. Non mi sono svegliato tranquillo.

 

Memoria a ostacoli: 62esimo anniversario della Liberazione

26 Aprile 2007 1 commento

 

Da quando sono nato sono stato abituato al fatto che il 25 aprile è un giorno speciale. I miei non sono questo mostro di impegno sociale (mia madre già qualcosa di più di mio padre), ma il 25 aprile è sempre stato un giorno che mi è appartenuto, e penso che le canzoni partigiane sono una delle poche cose che mi muove a commozione. Con il passare degli anni, l'esercizio della memoria, della più pura e semplice delle attività, quella di ripercorrere con il pensiero alcuni eventi e di riflettervi, è diventata sempre più ardua, nell'impetuoso mare del revisionismo, delle scuse non richieste, della riconciliazione a tutti i costi nel nome di una misurata farsa democratica che mi fa vomitare.

Da ormai alcuni anni a questa parte il mio 25 aprile comincia con il rito più intimo e significativo del giro delle lapidi dedicate ai partigiani in quartiere Isola: un gruppo via via più sparuto (ogni anno si perdono almeno 2-3 persone) fa un giro in macchina (già una cosa sfigata di suo, ma comprensibile considerata l'età media di 70 anni) a deporre le corone di alloro con il tricolore dell'ANPI e del Comune, presso una ventina di lapidi divise tra la zona di Lagosta, Centrale, Gioia. Il giro è molto intimo, e assolve perfettamente il compito di riconciliarti con un pezzo di storia che non hai vissuto direttamente ma che senti sulla tua pelle come qualcosa di vivo. Una sensazione evidentemente sempre meno diffusa.

Pensavo che avremmo raggiunto il minimo storico di questi giri di lapide due o tre anni fa quando ci litigammo la lapide in piazza Clotilde con un altro gruppo di persone, ma oggi quando in via Confalonieri, durante il giro delle lapidi del 25 aprile, i vecchietti del PSI hanno voluto mettere anche una corona sotto la targa dedicata a Bettino Craxi, quasi finisce in rissa. D'altronde di questi tempi mettere sullo stesso piano chi si è fatto ammazzare per cacciare i fascisti e chi ha rubato i soldi di metà della popolazione per poi morire in piena crisi di vittimismo dopo essere scappato dall'Italia ad Hammamet, è proprio il minimo del revisionismo che si possa accettare. Dopo un po' di insulti a mezza voce, il primo ostacolo è saltato.

Dopo 100 metri secondo ostacolo: il monumento ai caduti della Resistenza vicino a Largo De Benedetti è chiuso nelle lamiere del cantiere di Garibaldi Repubblica. Per poter mettere le DUE corone devo: scavalcare la recinzione del cantiere, scalare un impalcatura, appendermi al monumento e finalmente appoggiare le corone. Poi dopo questo improvvisato e provvido parkour, posso scendere e tornare alla macchina e ripartire per le ultime lapidi.

Uno pensa che per ricordare una cosa che dovrebbe essere nel dna di tutti, io abbia gia' fatto abbastanza fatica. Ma no.

Vado a Bergamo per il pranzo del 25 aprile. Quando arrivo a Dalmine (l'uscita per il Paci Paciana) scopro che fino al 6 maggio è chiusa in arrivo da Milano. Ok. Esco a quella dopo. Mi faccio 15 minuti di coda al casello per rientrare in autostrada, tornare indietro 5 km, pagare 30 centesimi e finalmente arrivare al Paci. Dove però il pranzo è in ritardo di due ore. Meno male che mi vogliono bene e mi danno da mangiare in anticipo di straforo (raga' mi sono dimenticato di lasciare la sottoscrizione, che pezzente!).

Torno a Milano per l'inizio del corteo. Decido di ascoltare Radio Popolare. La tesi della radio è che la nascita del partito democratico sia il motivo fondante di rinnovata partecipazione al 25 aprile. Una tesi bislacca, ma che nella ressa di puttanate che sentiamo e leggiamo tutti i giorni non fa una grinza. Se non che tutti gli intervistati danno addosso al governo e alla mancanza di memoria storica, e affermano di essere al corteo per i motivi di sempre: ricordare i valori fondanti della nostra vita moderna come cittadini di una società moderna. Il commento dell'intervistatore di Radio Popolare, evidentemente scontento che la realtà non si confaccia alla linea della radio, cerca prima di rimediare con un militante dei DS di venti anni che è entusiasta del PD come "momento in cui vrrà finalmente dato spazio a noi giovani" (PIETA'). La chiosa del giornalista è che i pareri raccolti a parte quello del giovani militante "non fanno statistica": nel senso che in Italia siamo riusciti a trasformare in un esercizio dialettico anche la più banale delle scienze.

Spengo la radio innervosito. Passso da casa e poi finisco in Porta Venezia. Alle 15.30 la coda del corteo (normalmente ancora in Loreto) è già oltre Palestro. Becco i popolarini e dico: "poca gente quest'anno". Loro: "ma va, molta di più". Certo d'altronde sono stati invitati sul palco il lider maximo Bertinotti e quell'arpia della Moratti, che c'entra con il 25 aprile come un cetriolo sottaceto nel caffelatte.

Mentre giro per il corteo ormai affranto, solo pochi attimi di felicità quando vedo 12 ragazzi dei campi palestinesi agitare una bandiera della Palestina su una asta lunghissima che si vedrà dalla prima all'ultima fila del corteo. Poi mi giro e vedo un cretino con una bandana nera con la celtica e una tipa con il cappellino bianco che fanno foto, mentre nessuno gli dice un cazzo. Lo prendo a male parole sperando che reagisca per accartocciarlo su un palo. Non funziona. Fa finta di non sentirmi e in qualche modo riusciamo a fotografarli (presto online). 

E' il simbolo di questo momento di memoria ad ostacoli: annacquato da ogni gruppetto alla ricerca di farvi rientrare qualsiasi querelle, dimenticato, strumentalizzato,  frammentato, sfottuto dai fascisti, ignorato dalle persone normali, che difficilmente sapranno dirti chi era contro chi nel 1943. Che tristezza. Mi allontano dal corteo mentre in piazza si consuma l'ennesimo suicidio politico della sinistra, che afflitta dal senso di colpa ha invitato la Moratti a parlare dal palco, completa vittima di sé stessa.

Almeno il successivo cinema brechtiano con Le vite degli altri mi ha risollevato dalla depressione più nera, un film in cui si riafferma come le decisioni degli uomini abbiano più valore di quello che si vorrebbe far sembrare per farci accontentare di una vita senza opinioni, senza tempo, senza spazio, senza voglia e senza possibilità. 

PS: sono cotto dal sonno e non rileggo. non mi crocefiggete troppo 

Prosegui la lettura…