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Posts Tagged ‘Campionato 2010-2011’

Inter in Wonderland: tanta roba

16 Gennaio 2011 1 commento

I nerazzurri zoomorfi entrano in campo con l’attuale formazione titolare (stante la lungo degenza dello Stregatto con i Guantoni e del Folletto). I primi dieci minuti si parte a razzo: ci prova il Principe, ci prova il Facocero che ara la fascia come nei suoi momenti migliori, il Principe prende il palo incredibilmente di testa da un metro su torre dell’Orco Volante, e il Leone fa vedere che oggi ad ogni palla tra i suoi piedi farà scattare ogni allarme in territorio felsineo fino alla settima generazione. Mai visto sguardi di terrore così profondo nei difensori avversari, per lo meno non da molto tempo a questa parte.

Proprio mentre l’intensità scende e la giungla sembra farsi pià fitta e oscura, il Drago trova il gol (in fuorigioco, diciamolo, così almeno evitiamo che qualcuno mi stressi con discussioni di lana caprina) dopo che il Leone ha attirato su di se ogni giocatore rossoblu nell’arco di 40 metri escluso il portiere. Altri dieci minuti in cui la palla rimane sempre tra i piedi dei nerazzurri. Il Sindaco – da buona Mangusta – trotterella da tutta la partita con aria un po’ svagata, ma alza la testa e con un sinistro affetta come una lama monomolecolare 50 metri di campo e tutti e 11 i giocatori bolognesi: il Principe raccoglie, si allarga e beffa Viviano con un pallonetto delizioso, urlando di gioia insieme a tutto lo stadio.

Prima del fischio che mette fine ai primi 45 minuti c’è gloria anche per Gatto d’Argento (era di Piombo, ma sta acquisendo valore) Castellazzi, che inizia a trovare la fiducia con i compagni di reparto, e per il Facocero in tandem con il Sindaco che quasi la buttano dentro allo scadere. Al rientro dagli spogliatoi, nessuno ci ha avvisato, ma non è solo la festa per il record di presenze in A con maglia nerazzurra infranto dal Capitano, che a un certo punto fa una corsa di 50 metri per evitare un corner e non contento poi fa un secondo scatto scartando l’avversario che lo pressa commuovendo l’intero stadio. E’ anche lo showdown del Mamba. I felsinei suonano le sirene per l’evacuazione ma è troppo tardi: prende palla a metà campo, semina 3 avversari, serve il Principe che di tacco (è il primo della partita, ma ormai non sono meno di 6-7 a match) restituisce il favore, stoppa, finta, insacca, raccoglie l’ovazione dello stadio. Pazzesco.

E non è finita: passano nemmeno dieci minuti e da fermo su punizione pennella all’incrocio una palla imprendibile per Viviano. Doppietta, game e partita. Il gol del Bologna, l’ingresso di Big Mac, del Bambino Addormentato nel Bosco e di Bradipo Bandev sono solo accessori.

Infatti lo stadio e la curva inneggiano al Capitano e lo guardano saltellare sotto gli spalti anziché seguire gli avvenimenti del campo. Altri 3 punti. Bene. Giocando un buon calcio, il vecchio calcio dell’Inter degli ultimi anni. Servono cambi in mezzo per non sfiancare chi sta facendo finalmente il suo. Però intanto allo stadio ci si diverte. Ed è già qualcosa. Io stasera mi godo Eto’o, mi godo Zanetti, mi godo la mia squadra del cuore.

Inter in Wonderland: tangled and released

9 Gennaio 2011 Commenti chiusi

Nella giungla si fa fatica a muoversi, bisogna rimuovere fronde, liane, rami a ogni passo, guardarsi attorno per non subire agguati, restare all’erta. E questo costa tanta energia. E in campo si vede. La squadra zoologicamente c’è. Ma i minuti nelle gambe e gli anni sulle spalle si sentono. Anche con un Eto’o in più e un Pandev in meno. La palla scotta tra i piedi e il primo tempo non facciamo tre passaggi di fila. Nonostante questo in 45 minuti non si vede un tiro in porta che sia uno, Catania chiuso e pronto a ripartire, Inter in attesa di tirare il fiato. Però si contano 3 colpi di tacco. Ormai un must per l’Inter brasileonardiana. Sorbole!

Inizia il secondo tempo e Leopardo sposta il Drago che ansima come se avesse appena finito un chi-loom di 8 metri più indietro e avanza il Cuchu, e poco dopo toglie Ghiru – comunque ancora positivo – inserendo il Bradipo Panda, che continua a fare al massimo passaggi a un metro e mezzo e cercare falli che a Catania dopo i torti subiti dai rossoneroazzurri non ti fischieranno mai. E’ la mossa giusta anche se prendiamo subito gol dopo tre rimpalli in cui i primi sul pallone dentro la nostra area sono sempre gli avversari.

E’ la mossa giusta perché dopo aver preso lo schiaffo del gol, la squadra si stringe a coorte e il Cuchu si trasforma temporaneamente in una Mangusta segnando sapido i due gol che ci portano al vantaggio. Se non fosse per la solita Udinese che riesce nell’impresa di farsi fare il quarto gol a tempo scaduto staremmo festeggiando ancora di più.

Il Leone si sa che è un animale della savana e non della foresta, ma un minimo di impegno in più dopo 50 giorni di assenza a un milione di euro di salario mensile, non mi sembra una richiesta troppo esosa. Bisogna capirlo però: non è più l’unico attaccante considerato in rosa. E’ spostato un po’ dietro il Principe – ancora in pesantissimo ritardo di condizione. Vedi di correre come sai fare tu, manco ti avessimo chiesto di fare il terzino… Il Facocero è in risalita, ma evidentemente in difficoltà fisica. La difesa fa il suo al meglio delle sue possibilità, e anche il Gatto di Marmo tra i pali fa il suo mestiere egregiamente.

La cosa che mi rende più felice è l’esordio della Ranocchia e la vittoria di grinta. Per il resto la fatica si vede. Soprattutto in mezzo al campo. E la squadra si regge sui nervi e sull’orgoglio. C’è bisogno di una pausa. Mercoledì dentro riserve e giovani: se si vince così bene, altrimenti pazienza. A volte bisogna fare delle scelte. E questo è il momento delle scelte irrevocabili. Intanto godiamoci il piccolo passo avanti in classifica ottenuto su un campo veramente duro.

Inter in Wonderland: Welcome to the Jungle!

7 Gennaio 2011 1 commento

Lontani i verdi campi elisi della Terra dei Cachi, remote le viscere della terra ottenebrate dalla nebbia e dall’umidità del purgatorio del volger dell’anno, il prode Leopardo dalla schiena ritta trascina i nostri beneamati nel loro ambiente naturale: non più omelie e salamelecchi, pelosi elogi e viziosi panegirici, ma l’azione, nient’altro che l’azione. I proteiformi eroi nerazzurri indossano i panni delle belve e attirano i poveri pulcinella un po’ impettiti per un campionato al di sopra delle aspettative (e grazie a svariati gol oltre il 92esimo) e che fanno della corsa e dell’agonismo la principale qualità nella giungla più fitta.

Qui finalmente in mezzo alle fiere ritroviamo, ed è la notizia più lieta, il Principe della Foresta: si muove come un tempo, scatta come un tempo (almeno per 70 minuti) e poco manca che la butti in fondo al sacco come un tempo. Ma i tifosi interisti sanno aver pazienza. Anche perché avere come compagno di reparto il Bradipo Panda, capace di partire con dieci metri di vantaggio su Piolo Cannavaro e di arrivare un secondo in ritardo sul difensore al pallone, trasforma il recupero della perfetta forma in un impresa francamente improba. D’altronde si sa che i Panda priviligiano svaccarsi su una pietra con in bocca un bastoncino di bambù, troppo pigri anche solo per essere carnivori (sono sempre orsi, anche se la loro dieta tradisce qualche piccolo problema di dinamismo).

Dietro alle due punte finalmente il pesce preferito per giocare nel trito campionato del Paese-che-non-c’è, il luogo a cui fa bene che i nostri cugini biretrocessi vincano, per diktat del padrone della ferriera: il rombo. Ei fu. Un Drago Stankovic a pieno regime e scatenato su tutto il fronte, il Sindaco Motta, ormai noto come la Mangusta, la Volpe glabra Cambiasso e il Bue d’Acciaio, il nostro infaticabile capitano, che ancora un po’ dopo l’ennesima discesa piazza un diagonale millimetrico che rischierebbe di avviare anzitempo i lavori per il nuovo stadio. Io per primo avrei iniziato a smontare le gradinate per portarmi a casa un souvenir di una serata in cui avviene cotanta azione.

In difesa davanti a un’improbabile Gatto di Marmo con il nome di Castellazzi, legato con liane e rampicanti ai tronchi della porta, un ottimo Ghiru (che non dorme per nulla, aiutato a turno dalla Mangusta o dal Cuchu), un Orco Lucio di proporzioni bibliche, un Topolino Cordoba che compie recuperi impensabili per un 35enne e un Maicon Facocero dalle discese sempre più rade. Nonostante tutto ciò e nonostante la sofferenza ad ogni palla spiovente in mezzo all’area, prendiamo solo un gol quando pulcinella Pazienza si infila come una freccia nella difesa.

Per i napoletani è solo il temporaneo pareggio della rete incredibile che confezionano la Mangusta e il Drago con un triangolo da antologia e sinistro nell’angolino. Dopo il pareggio la canea nerazzurra riprende il controllo della partita, ma sembra faticare a sfruttare al meglio le molte occasioni che si creano, lasciando qualche speranza agli avversari. Proprio dopo tanti moccoli all’indirizzo del Facocero brasiliano, questo compie la sua prima discesa stagionale e scocca un cross perfetto su cui El Cuchu, sapido come una volpe pelata argentina può essere, si lancia come una freccia per il 2-1.

Il secondo tempo ripete il copione del primo tempo: noi attenti, coperti, abbastanza corti, con la difesa bassa e la voglia di ribaltare l’azione. Lasciamo spesso l’iniziativa all’avversario e sui pallone a spiovere tra il Gatto di Marmo e la poca mobilità dei difensori andiamo in difficoltà, senza sbandare. Sul corner che ormai tutti disperavano che il Panda Bradipo fosse in grado di battere, il miracolo: non solo scodella la palla in area, ma il Sindaco Mangusta sale più in alto di tutti e beffa il portiere partenopeo. Partita in ghiacciaia e solo voglia di chiuderla. Ci riusciremo trasformando la giungla nelle sabbie mobili e rischiando di quadruplicare con il capitano e non solo.

Non si può più scherzare: i giocatori ci mettono l’anima, le gambe e il cervello. C’è ancora molto da migliorare, soprattutto in fase difensiva e davanti con un Pandev inguardabile nonostante gli sforzi che fa per non sembrare un ex atleta. Alcuni uomini sono ancora a mezzo servizio, ma si vede che è cambiato il modo di affrontare gli impegni. Se serviva che Benny se ne andasse per vedere tutto ciò, viva l’esonero. Per ora la formazione la fanno i senatori, ma servirà cambiare per crederci.

Inter in Wonderland: fichi marci

4 Dicembre 2010 Commenti chiusi

Inter in campo con una formazione che riteniamo grossomodo obbligata: dietro la solita difesa over 35 salvo il nuovo titolare Natalino, piedi buoni e cervello fino. In mezzo Deki, Cambiasso e Muntari, per preservare Motta. Davanti il tridente degli zero (0) gol: birillo Pancev, pupazzo di neve Sneijder, la trottola Biabiany. A prima vista sembrano scelte sensate, ma noi i giocatori non li vediamo negli occhi prima che entrino in campo, non li osserviamo in allenamento e nelle loro camere in albergo durante il ritiro, perché forse faremmo altre scelte, o forse no, non lo sapremo mai.

Comincia la partita e si capisce che siamo entrati in campo molli come fichi marci: tutti i giocatori hanno una paura fottuta di farsi male e nessuno mette la gamba, con il risultato netto di lasciar giocare sempre troppo l’avversario, che invece ha tutto da guadagnare dalla partita. Deki e il Cuchu giocano ognuno in 3 metri quadrati, con Muntari che cerca di trasformarsi in Lampard o Gerrard, con i risultati che tutti si aspettano. Davanti Biabiany e Pandev non fanno un movimento giusto manco se glielo si traccia con un segnale luminoso, e Sneijder, che già di suo gioca con la voglia di una lumaca in letargo non sa a chi cazzo dare la palla mai. Però con davanti due ignoranti tattici come quelli, uno tutto concentrato a dribblare se stesso e l’altro a cadere sperando di prendere un fallo, è difficile capire se giochi contro l’allenatore o contro il suo amor proprio.

Nonostante questo il primo tempo vede possesso palla nerazzurro e dominio di campo biancoceleste, come da copione. Deki a un certo punto si rompe le palle e quando è costretto a fermarsi per l’ennesimo guaio muscolare (sarà colpa di Maga Magò, nda) si sente echeggiare la frase di Marcellus Wallace: “Senti quella fitta? E’ l’orgoglio che te la sta mettendo nel culo.”

Già, perché se tanto dobbiamo prendere pallonate in faccia almeno facciamolo con i primavera in campo in modo da non rischiare veramente nessuno. Invece Deki, col suo temperamento sanguigno si è fatto fottere dalla voglia di dimostrare di non essere un mezzo giocatore. Ed è stato punito dalla sfiga che comunque ci accompagna quest’anno e che rischia di togliercelo anche al Mondiale per Club.

In ogni caso nel primo tempo si registrano solo un rimpallo verso la porta di Mauri dopo svarione difensivo che viene fermato da un gran intervento di Castellazzi e dalla gambona del Capitano, e poi un rimpallo che dopo il salvataggio sulla linea del Cuchu finisce sull’anca di Grava e in fondo al sacco. Da notare come sull’angolo da cui scaturisce il gol tutti sono lì a dire che cosa devono fare gli altri e nessuno si preoccupi, tra i nerazzurri, di cosa deve fare in prima persona: un emblema perfetto della società di oggi in generale e dell’Inter beniteziana in particolare.

Sul finire del primo tempo tutti vedono che Muntari ha la lingua penzoloni e inizia a dare i numeri – che gli valgono il solito strameritato giallo a inizio ripresa. Chiunque l’avrebbe cambiato, ma il genio che siede in panchina (e in questo caso non è colpa di nessun altro, mi spiace) deve aspettare che più molle di un fico marcio e stanco come un cammello dopo aver attraversato il Sahara perda palla nella trequarti laziale innescando il contropiede biancoceleste: gran palla a scavalcare il povero Natalino, che comunque cerca di fare la diagonale corretta, e tocco sotto a superare Castellazzi. E’ evidente che l’Inter in campo non c’è.

Fuori Muntari e dentro Alibec, ma attenzione, non senza un tocco di genio: punta centrale anziché largo a sfruttare la sua velocità per saltare l’uomo – dato che tra Pancev e Banany non ci si può sperare neanche a esser ciechi. Ci vogliono dieci minuti perché Benny inverta le posizioni del macedone e del rumeno. Ma ormai è tardi. Anche se, dopo decine di rimpalli che finiscono nel vuoto o alla peggio sui piedi avversari, Goran Pancev riesce a imbroccare due rimbalzi di fila che gli rimangono miracolosamente entrambi sul sinistro, e a insaccare il 2-1.

Improvvisamente i nerazzurri si risvegliano e provano a vincere la partita. E se non fosse che il nostro di rimpallo si spegne sul ginocchio di Muslera anziché in porta come quello di Biava, potremmo pure riuscirci. Ma la sorte ha ancora in serbo uno sgarro per noi: Benny manda in campo Santon per cercare di dare un po’ di forze fresche in fascia. Peccato che l’ex Bambino d’Oro non ne voglia sapere e anzi alla prima occasione si mette in barriera come primo uomo, si gira (forse non ha mai giocato in una squadra d’oratorio dove ti insegnano che non ti devi girare mai) e allarga pure la gamba trovando la deviazione perfetta per scavalcare Castellazzi (che comunque non può prendere gol così sul suo palo). Grazie Davide, quando hai detto che vai in prestito al Genoa o al Crotone per ricominciare la tua scalata sociale dallo zero su cui ti sei posizionato?

La traversa a tempo scaduto di Sneijder che improvvisamente sembra voler giocare a calcio cinque minuti è una beffa, e ringraziamo Rocchi che non vuole umiliarci fermandosi al novantesimo con il 4-1 praticamente già in saccoccia in due contro il solo Cordoba in precipitoso rientro. Sconfitta meritata. Vittoria della Lazio meritata. Game Over per il nostro campionato.

Quest’anno puntiamo al terzo posto che è tutt’altro che garantito. Il vero cruccio è che questa nostra sconfitta non serva neanche a lanciare la Lazio verso il traguardo finale, dato che è lapalissiano che a gennaio gli uomini di Reja inizieranno a imbarcare spianando la strada alla squadra del Presidente del Consiglio in tempo di elezioni. E scusate se ho ampi dubbi che le compagini giallorosse o bianconere possano impensierire anche solo lontanamente i cugini. Lo dico da agosto: ci toccherà bere l’amaro calice fino in fondo, e vedere gli odiati biretrocessi raggiungerci a quota 18 (sempre che con la grande capacità societaria che ci ritroviamo Abete non colga l’occasione per toglierci uno scudetto per farci tornare sotto il palmares nazionale rossonero). Con il rammarico di poter fare palesemente meglio di così. E di doverci ritrovare ogni settimana a scazzare su chi dovrebbe assumersi la responsabilità delle gare indecorose che continuiamo a subire come tifosi.

Inter in Wonderland: Dio benedica i mediocampisti!

28 Novembre 2010 Commenti chiusi

Entriamo in campo con lo stadio mezzo vuoto e uno striscione lapalissiano: “scusate, siamo ancora a tavola…”. Seguito da un ben più gustoso: “Abete, vecchio rimbambito, l’amaro ce lo offri tu?”. Un po’ di verve non guasta mai, anche perché il midday match senza stadi all’altezza è solo una levataccia camuffata. La verve la vorremmo vedere anche nelle gambe e nella testa degli 11 in campo, ma i primi 10 minuti sono horror vacui allo stato puro: dietro la solita sessuagenaria difesa Cordoba-Lucio-Matrix-Zanetti con esterni del 4-4-1-1 Santon da un lato e Biabiany dall’altro. Punte Sneijder e Pandev. Nessuno di questi vede la palla per almeno una decina di minuti, nei primi tre dei quali il grande ex Valdanito ce la piazza su cross di un Angelo che sembra Garrincha – per dire come stiamo conciati – e sul piazzamento tipo subbuteo dei nostri centrali di difesa e del portiere.

Benny fa la prima mossa giusta in svariate settimane – escluso mercoledì sera: Santon arretrato a terzino dato che da ala non riusciva a scartarsi neanche da solo, Cordoba a sinistra e Zanetti a dare un po’ di aiuto al centrocampo, dove Giovinco-Candreva-Angelo sembrano il trittico dell’Ave Maria destinato a fare a fette il nostro centrocampo tutta la partita. Fortunatamente però è la giornata dei mediocampisti: Deki mostra che la rabbia è tutto quando le gambe e la testa non girano, spinge, strappa palloni, e alla fine trova due gol simili che portano l’Inter in vantaggio. Poi continuiamo a spingere: calcio d’angolo di Sneijder, spizzata di testa e Cambiasso triplica. Sembra non dico di tornare a vedere la vera Inter, ma almeno dei giocatori con la voglia di vincere.

Ci vuole poco per perdere di nuovo la testa e Matrix confeziona l’ennesimo errore individuale di questa sua fine di carriera (che tutti speriamo avvenga in tempi molto più rapidi del previsto, altri sei mesi non so se possiamo reggerlo): per cento volte ha sparato la palla a 50 metri di distanza, ma per questa volta decide di toccarla piano proprio sui piedi di Crespo che non si fa pregare e ci infila una seconda volta. Fine della prima parte, inizio della seconda parte.

Santon non rivede il campo, giustamente, ormai relegato a bambino viziato che è convinto di essere arrivato dopo la maglia da titolare di due anni fa contro il Manchester. Da domani banchetti nerazzurri per proporne la cessione della metà nell’ambito dell’affaire Ranocchia: un po’ di gavetta in provincia non gli farebbe che bene. Dentro Natalino, un primavera dai piedi buoni e dalla tranquillità olimpica che aiuterà la squadra a correre un po’ di più e a mettere in cassaforte il risultato (nonostante un errore marchiano nel primo affondo del Parma sulla sua fascia che però finisce sui piedi di Castellazzi). Purtroppo l’inizio del secondo tempo è molto simile al primo: molli molli molli. E il Parma ci infila sempre sulla fascia con Candreva e Angelo che sembrano farsi beffe di due senatori come Cordoba e Zanetti più e più volte. Per fortuna i parmensi sparano il possibile pareggio sul palo. Sugli spalti si conferma il pronostico: o ne facciamo altri due, o la pigliamo in saccoccia.

Per venti minuti c’è quasi solo il Parma. Davanti Sneijder sembra un fantasma e Goran Pancev non tiene un pallone neanche se gli danno un retino per farfalle. Incredibile come non riesca ad azzeccare un movimento che sia uno, ma forse sta cercando di entrare nel guinness dei primati. Finalmente dentro il sindaco Motta per un positivo anche se come al solito confusionario Biabiany. Magicamente tornano le geometrie e i tocchi di prima a testa alta. Anche Wesley sembra risvegliarsi dal torpore, forse per spirito di competizione da maschio alfa del centrocampo. Tempo cinque minuti e Motta la butta dentro: viene giù lo stadio. Altri cinque minuti e il mediocampista Deki corona la sua prima tripletta in Italia. La partita è finita. Ma c’è il tempo per vedere in campo un disciplinato Obiorah e due parate decisive di Castellazzi, finalmente non più dedito solo a studiare con attenzione la linea di porta per vedere se cambia colore.

Finisce 5-2 per noi. Ma allo stadio abbiamo visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Il risultato che maschera molte lacune: errori difensivi incredibili, scarsissima voglia di giocare da parte di alcuni giocatori fondamentali per l’Inter e involuzione ai limiti della regressione genetica di alcuni giocatori, Pandev e Santon su tutti. Thiago Motta accende la luce. Ma la strada per uscire dal buio della notte è ancora lunghissima.

Inter in Wonderland: cunscià de sbat via…

22 Novembre 2010 Commenti chiusi

Arriviamo camminando alla chetichella, sperando che nessuno ci noti, in terra straniera e clivense. Benny rispolvera il suo fortunatissimo 4-4-1-1-mascherato-da-4-2-3-1 che i nerazzurri hanno dimostrato di saper interpretare alla perfezione (sempre che capiscano quello di cui parla l’allenatore, cosa di cui ormai è lecito dubitare). La difesa rimaneggiata sapremo che farà quel che può e anche un po’ meno contro lo spauracchio Pellissier e il suo vice, Moscardelli. A centrocampo almeno tornano i titolari, seppur con poca benzina e lucidità nelle gambe. Davanti un fuoriclasse, Eto’o, un giocatore di calcio perso nei profumi della sua dolce metà (o forse di altro, non lo sapremo mai), e due chiaviche.

Il campo è indecoroso anche se ci si dovesse fare del motocross, figuriamoci giocare a calcio, ma per i clivensi dall’altissimo contenuto tattico-tecnico adattarsi non sarà un problema. Viceversa i palati raffinati nerazzurri, ormai abituati al caviale delle grandi occasioni non riescono a ritrovare la loro anima prolet e la capacità di lottare nel fango fino all’ultimo pallone.

Si rivede un’Inter molle e incapace di pungere, ma capacissima di deprimersi e di rendersi inetta alla reazione alle avversità. Dopo 15 minuti decenti, in cui una delle due chiaviche schierate in un ruolo a metà tra un esterno di centrocampo e un’ala riesce a divorarsi un gol già fatto, scompariamo dal campo e al 30esimo Santon marca Pellissier come neanche un bambino di 5 anni saprebbe fare: il clivense d’Aosta plana come un aliante indisturbato e insacca il primo gol della partita. La reazione è furente: tic… toc… tic… toc… Ach, mi sono addormentato. A provarci sono gli unici due fuoriclasse che non hanno bisogno di padre-padrone in panchina per essere in grado di giocare a calcio: Eto’o e Lucio. Con i loro limiti anche Deki, Cambiasso e Zanetti. Eto’o ci prova pure troppo dato che un suo momento di ordinaria follia con testata à la Zidane ci priverà dell’unico attaccante degno di questo nome fino al 2011.

Nel secondo tempo grande è la carica inferta negli spogliatoi agli spenti depositari del titolo italiano ed europeo: la mestizia si impadronisce degli animi nerazzurri vedendo uomini che hanno conquistato tutto solo qualche mese fa giocare come neanche nel peggiore degli oratori. Viene il momento delle sostituzioni: Nwanko per Cambiasso, e va be’; Alibec per Biabiany, che fa in 20 minuti quello che ne’ Pandev ne’ il francese sono riusciti a fare dall’inizio della stagione; Mancini per uno stremato Deki, che ogni interista interpreta come il segno dell’Apocalisse.

A ben vedere l’azione in cui Rigoni: recupera palla; scappa a Santon; lo aspetta sulla linea di fondo per 10 secondi prima che il ragazzo, che ha meno di 20 anni, si decida a fare finta di marcarlo senza riuscirci; crossa con tre difensori dell’Inter che osservano immobili Moscardelli che insacca come se fosse stato teletrasportato in mezzo all’area; beh, forse qualche sentore dell’Apocalisse poteva già rappresentarlo. Ci si mette pure Sorrentino che fa una partita come quelle che Castellazzi faceva contro di noi quando giocava alla Doria e che ormai non fa più satollo di euro e prepensionamento, e che toglie dalla porta due gol fatti di Deki e Eto’o. Il cui gol al 47esimo suona più come una presa in giro che altro.

Come si dice qui a Milano: sem cunscià de sbat via. Ghe nient de fa. Irriconoscibili. Impresentabili. Inaccettabili. Errori su errori fatti dalla società, in primis dal presidente e da Branca, già dal 23 maggio. Errori reiterati dalla scelta di un allenatore evidentemente non adatto a questa rosa e dall’incapacità di conferire una qualsiasi autorità all’allenatore scelto. Un allenatore in balia di sé stesso e delle sue convinzioni. Giocatori incapaci di giocare a calcio senza una balia autoritaria che li prenda a calci in culo. Erano almeno 15 anni che non eravamo messi così in classifica e in prospettiva. E l’epilogo di questa situazione lo conosciamo tutti. E il dramma è che probabilmente non servirà a nulla. Ma forse ritrovarsi fuori dalle fasi finali di CL quest’anno e fuori dalla CL l’anno prossimo farà riflettere più di tante voci che hanno predicato nel deserto dei blog e del tifo interista.

Almeno una certa categoria di interisti che non sopportavano più di essere antipatici e vincere sarà contenta: chissà se sanno che tra di loro c’è quasi tutta la dirigenza interista! Però, volete mettere che goduria questo campionato equilibrato in cui non siamo chiamati a giocare da protagonisti?

Inter in Wonderland: november rain

15 Novembre 2010 11 commenti

In una serata crepuscolare dominata dal tambureggiare di una fastidiosissima e tetra pioggerella di novembre l’Inter tornata sulla Terra si dispone ad affrontare una squadra di cadaveri tenuta insieme con il bostiq e la retorica nazional popolare. Avendo imboccato la via del realismo anche Benny propone finalmente il rombo in campo e sugli spalti si sprecano gli elogi per la scelta finalmente dotata di senso, elogi che si spengono sulla bocca dei tifosi quando ci si accorge che la linea difensiva è composta da 4 centrali: forse l’unica soluzione per bloccare la squadra ancora di più che con fantasiosi 4-2-3-1 con mezzo mediano e 4-4-2 con giovani implumi esterni di centrocampo.

La mestizia si insinua senza soluzione di continuità nei cuori dei tanti supporters nerazzurri presenti al Meazza e confinati al terzo anello pur avendo pagato in anticipo un abbonamento del secondo. Per di più la linea di centrali ultratrentenni viene posizionata da Benny all’altezza del centrocampo, così che dopo soli 3 minuti Ibra parte in contropiede dalla metà campo rossonera: la diagonale perfetta dell’unico giocatore di calcio del reparto difensivo – Lucio – sembra aver spento il pericolo, quando la nostra arma segreta – Matrix – si avventa sul nostro ex regalando un rigore solare. Almeno avesse storpiato per sempre lo svedese avremmo capito il vantaggio concesso alla squadra nemica, ma così sembra solo un favore gratis. C’è anche da dire, e il proseguio della partita lo confermerà, che senza tale stupidaggine la seconda squadra di Milano non avrebbe segnato manco senza il portiere.

La tanto attesa reazione nerazzurra non si fa attendere: dopo 40 minuti di niente infatti, eccezion fatta per l’infortunio muscolare di un ragazzo di 19 anni che non ha fatto il mondiale e non è recidivo, e l’ennesima applicazione del Lodo Gattuso (quello per cui il Gennaro nazionale prende solo un cartellino ogni tre falli da ammonizione), è ammirabile lo scatto dei nostri 11 per raggiungere gli spogliatoi.

Al rientro in campo ci attendiamo la mossa definitiva: e infatti fuori Milito (ennesima ricaduta, che strano!) e dentro un Pandev versione ira d’iddio, con Eto’o punta centrale stritolata da Nesta e Thiago Silva. Così nei tifosi nerazzurri si fa strada la certezza che anche con il sottoscritto in porta la partita non sarebbe potuta cambiare se non in peggio.

Il metro Tagliavento, a noi costato un Inter-Samp in 9, che se applicato avrebbe fatto giocare in 7 la seconda squadra di Milano, almeno ci concede di giocare 10 morti viventi contro 11 per una trentina di minuti: ed ecco il colpo di genio, propiziato da un intervento da rosso diretto di Ibra su Matrix quale noi avremmo voluto vedere a parti inverse, con una fascia destra ribattezzata la fascia della non sovrapposizione e dell’ignoranza tattica animata da Zanetti e Biabiany, e una fascia sinistra con Chivu e Pandev che non riescono a fare un triangolo neanche con un manuale di geometria delle medie stampato sulla parte interna della retina.

In trenta minuti di superiorità numerica non tiriamo manco in porta e perdiamo – dopo due anni e rotti – una partita in casa, il derby, andando al quinto posto e lanciando i nostri più detestati avversari al primo, primato immeritato se non nel campionato del “ciapa no” che va di moda nella Terra dei Cachi. Non solo: nei tre scontri diretti con le “pretendenti” al titolo abbiamo raccimolato l’abbacinante cifra di 1 punto avendo giocato due delle tre partite in casa. E dulcis in fundo abbiamo fatto 20 punti su 36 disponibili. Quasi il 50%, mica pizza e fichi!

Ora, qualsiasi persona di buon senso capirebbe che la pazienza è finita, e che è tempo di puntare il dito. Io non mi tiro indietro e faccio un bell’elenco senza priorità, così che ognuno possa scagliarsi sul bersaglio che preferisce. Il primo imputato è la società, nella persona del suo Presidente e del Direttore Sportivo: un minuto dopo la serata più entusiasmante di questa generazione – e non solo – di tifosi, con le frasi sul FPF e la concessione a Mourinho di scappare sulla macchina di una squadra avversaria, hanno sparato nelle gonadi (palle o ovaie poca differenza in termini di dolore metaforico) di tutti coloro che erano lì per gioire e festeggiare; sempre grazie, dal profondo del cuore, per la capacità unica di rovinare le feste, per poi lasciare l’allenatore che si è scelto da solo nel guado circondato da alligatori, spesso vestiti pure di nerazzurro e senza uno straccio di giocatore nuovo a scuotere gerarchie e zolle di terra.

Il secondo imputato, però, poche cazzate, è proprio l’allenatore e il suo staff: non è credibile che la squadra non sappia fare un movimento offensivo, che la palla circoli sempre in orizzontale con gli uomini nascosti dietro l’avversario, che si scelga di intasare i luoghi del campo dove la palla dovrebbe viaggiare e si svuotino quelli dove gli uomini dovrebbero stazionare; sullo staff non c’è più nulla da dire, ma se la società volesse finalmente cambiare registro senza esonerare l’allenatore (ammettendo la propria stessa incompetenza) dovrebbe almeno silurare il preparatore atletico, senza se e senza ma.

Il terzo imputato sono i giocatori: non è tollerabile vedere gente così molle in campo, giocatori di serie A immobili e incapaci di una verticalizzazione una, dediti più a mettersi in mostra per la propria inettitudine o per la propria isolata classe che a giocare a calcio, nell’assenza assoluta di qualcuno che li richiami all’ordine (a Coutinho qualcuno potrà dire di non fare le veroniche mentre stai perdendo un derby? o qualcuno lo chiama l’uomo a Sneijder e Lucio che cincischiano con la palla tra i piedi? o qualcuno da due calci in culo a Biabiany per spiegarli cosa vuol dire dare profondità?); se anche qui la società e l’allenatore avessero la più pallida voglia di far cambiare le cose, qualcuno scalderebbe la panchina per scelta tecnica almeno per 2-3 match, con un primavera al suo posto nel rettangolo verde. Il risultato non cambierebbe, ma almeno ci sarebbero degli alibi da spendersi.

Non ho mai vissuto una serata con davanti un’Inter così impotente, con la sensazione che avremmo potuto giocare 900 minuti e non buttarla dentro mai. E il peggio è che è una sensazione che si trascina di partita in partita. Ed è incredibile che 80mila persone infreddolite, ricacciate nell’osceno palco del Meazza, nella sporcizia e nella scomodità per cui hanno pagato un cinquantesimo del loro stipendio, debbano assistere allo spettacolo di una tale assenza di dignità e di pudore di gente che guadagna al minimo 100 se non 1000 volte più di loro.

Semplicemente inaccettabile.

Inter in Wonderland: lost in Salento

11 Novembre 2010 Commenti chiusi

I nerazzurri hanno attraversato le lande della Terra dei Cachi e della Serie di Oz, hanno trionfato ovunque e sfatato il mito dei Citroni. Poi hanno preso il largo nel limbo nebbioso di ciò che non si sapeva sarebbe stato o che si temeva sarebbe potuto essere. Sono stati pescatori, pirati, corsari, marinai, uomini di mare nel mare alla deriva. E infine naufraghi che arrivano stremati su una spiaggia sconosciuta, con un cartello con scritto Salento. Nessuno se ne rende conto, ma il viaggio fantastico volge al termine. Anche le fattezze degli eroi che hanno popolato la fantasia di tanti tifosi perdono di intensità e di carattere, riavvicinandosi ai lineamenti di persone che conosciamo ogni giorno: niente più orchi, niente più fate, troll, muraglie, castelli, cavalieri, damigelle e creature mitologiche. Il Salento è la fine dell’errare vagabondo nel limbo, approdando sul lato sbagliato dell’Oceano del Sogno. Quello della vita di tutti i giorni.

E così anche le parole di questo umile narratore di una stagione fantastica devono adeguarsi e tornare a raccontare la cruda realtà, con i suoi nomi e cognomi, come un tempo quando iniziò la Cronaca di ciò che veniva dopo il Cataclisma Purificatore dell’estate del 2006. In quell’agosto ho ricominciato a sognare, ma ritrovare la via della fantasia è stato un percorso tortuoso e impervio, tanto quanto la via del ritorno è drastica e immediata.

Entriamo in campo con un 4-4-2 contro gli ennesimi avversari privi di giocatori di fascia, con almeno metà squadra fuori ruolo: Santon a destra al posto che a sinistra, Chivu terzino invece di centrale, Cordoba centrale sinistro, Obi interno di centrocampo, Biabiany e Coutinho esterni di centrocampo. Questione di scelte obbligate si dirà: ma alla fine altre soluzioni avrebbero potuto mettere almeno un 50% di giocatori in più nel posto dove si trovano più a loro agio. La speranza in una partita diversa dalle ultime dura sì e no 12 minuti. Ci mangiamo due gol clamorosi di cui uno con un Pandev che gioca chiaramente contro l’uomo pacioso che siede scomodo e preoccupato in panchina.

Poi sono 33 minuti di niente conclusi incredibilmente con Coutinho spostato al centro che rende un po’ di più. Rientriamo in campo e la mollezza non vede alternative. Milito per Pandev ci dà qualche speranza, che si infrange contro la sfiga di un palo clamoroso. Passano i minuti e la squadra si spezza, lasciando sempre più spazio a un Lecce che probabilmente dovrebbe ancora militare nella serie cadetta. Finalmente esce Biabiany, il giovane più molle che abbia mai visto in un campo di serie A, per Deki, e magicamente si gioca quasi a pallone. Poi il miracolo: al 30esimo passiamo in vantaggio nonostante un tocco sbagliato (ma un movimento giusto) del bomber argentino su assist di Eto’o. Purtroppo serve solo un minuto per ritornare sulla terra con uno schianto. Il primo calcio d’angolo del secondo tempo e il secondo di tutta la partita (mi pare) e quella cariatide di Olivera può saltare indisturbato e infilarci il pareggio.

Se fossimo una squadra di media classifica come pare ambiamo ad essere quest’anno si potrebbe malignare su qualche magagna a favore di bookies e scommettitori ben introdotti. L’entrata in campo del reietto Mancini è il segnale dell’Apocalisse, la rivelazione della sfiga e dell’abbruttimento che si sono incarnati nei nerazzurri. Siamo l’Anticristo della squadra del triplete. La sua nemesi. E solo noi possiamo sconfiggerci ed esorcizzarci. La domanda è: tra quanto tempo?

Invece la drammatica verità è che non abbiamo idea di che cosa stia succedendo. Viviamo in balia degli eventi e ci ritroviamo quarti, meritatamente, pur nel campionato del “ciapa no”. Non ci siamo con la testa, non abbiamo “garra” e se non stiamo giocando per far saltare l’allenatore forse è pure peggio: vorrebbe dire che 8/11 della squadra hanno smesso di pensare di essere calciatori e si sentono baby pensionati d’oro. Un po’ alla Suazo per intenderci, con la differenza che l’honduregno almeno evita di mostrarsi in giro.

Dimostriamo un po’ di dignità: un bel silenzio stampa, una cappa di silenzio per ritrovare fede e concentrazione e forse anche la via per l’immaginazione al potere che ci ha permesso di fare cose straordinarie l’anno scorso. O al massimo per suonare un silente requiem del sogno: perché se giochiamo così, settimana prossima assisterò dal terzo anello blu al secondo set.

Inter in Wonderland: ritorno al passato

7 Novembre 2010 2 commenti

E’ sabato sera. A Milano non c’è niente di interessante da fare. A parte andare a vedere la recente trionfatrice di Europa e Italia desiderosa di riscatto contro una neopromossa. Eppure sugli spalti umidi del Meazza ci sono sì e no 30mila persone, indice di una tifoseria, prima che una squadra, con la pancia piena e la testa completamente svuotata di motivazioni. Sul rettangolo di gioco in campo aperto scendono i nostri pirati da due soldi, sul cui corpo i cerotti coprono un’area maggiore che non la divisa nerazzurra.

Nel cielo volteggiano delle spente Rondinelle, reduci da cinque sconfitte consecutive, tra le quali si cela mesto e con le ali ripiegate un airone cinerino sul finir della carriera. L’ultima volta che l’ho visto spiegare le ali era proprio qui a San Siro, con una maglia da ciclista, un paio di anni e rotti fa, prima che si ributtasse nell’anonimato della categoria a cui appartiene, la serie B. I primi dieci minuti fanno ben sperare, nonostante il 4-4-1-1 strettissimo che usa praticamente solo la fascia centrale del campo (una volta che il 4-2-3-1 si poteva usare, ovviamente si preferisce mettere il Mozzo Totò e Darko il Macedone come centrocampisti di fascia). Ma da un contropiede incredibile sbagliato all’ultimo passaggio tra il redivivo Principe Corsaro e un sempiterno Leone degli Oceani, pigliamo un gol con rimpallo favorevole. Il Meazza rivede le ali del maledetto airone cinerino dispiegarsi.

Quello che accade dopo è incomprensibile: i marinai nerazzurri cominciano a vagare sul campo senza una metà, in preda alle idee più stravaganti. Ognuno gioca un po’ dove cazzo gli pare, impervio alle parole dell’allenatore, dei compagni e pure del pubblico. Uno spettacolo di mezz’ora troppo brutto per essere vero, che evoca cupamente ai pochi presenti i fantasmi di un passato che credevamo sepolto per sempre: il Bucaniere e talvolta difensore Polu sembra essere in campo per sbaglio, forse ossessionato dai troppi milioni che percepisce all’anno; l’Olandese Volante finalmente spostato in mediana fa una delle migliori partite di questo scorcio, ma poi sviene negli spogliatoi inspiegabilmente, forse un calo di dignità (più che di pressione); e dulcis in fundo Quattropinte, il nostro difensore più aggressivo schierato nonostante fosse mezzo infortunato (ma il Bambino Pirata ha la lebbra? a giudicare da come claudica nel secondo tempo dopo due scatti forse sì, ndr) completa l’infortunio (muscolare, tanto per confermare che qualche problemino nella preparazione c’è).

Negli spogliatoi siamo certi che Benny abbia strigliato a dovere i suoi che però forse non lo hanno ascoltato neanche per un minuto, tutti presi dalla contemplazione delle icone del Vate-che-fu. D’altronde se anche in società si struggono nel rimpianto e nel ricordo, non si capisce perché non dovrebbero farlo i giocatori. Allo svenevole Olandese Volante subentra uno che per tanti anni ho considerato solo un dribblomane e che invece nel campo aperto tempestato dalla merda di rondine e airone si dimostra uno dei migliori in campo: l’arpionista Obi ce la mette tutta, non tira mai indietro la gamba e a lui vanno tutti gli onori per aver combattutto fino all’ultimo. Intanto anche il Capitano d’Acciaio zoppica ma resta in campo dato che il fottuto volatile cinerino stronca probabilmente la carriera del miglior difensore che abbia mai visto all’inter dai tempi di Giacinto Facchetti. Che le sue ali si possano spezzare e possano essere inchiodate sulle assi di legno per il resto dell’anno: il movimento del ginocchio di Walter Samuel (non merita soprannomi oggi) è una pietra tombale sulla stagione e temo sulla vita sportiva del nostro favoloso centrale.

Solo il Leone degli Oceani continua a combattere, nonostante la sorte avversa e il discreto culo nel rimpallo dei bresciani, nonostante un Principe Corsaro allo stremo delle forze e un Darko il Macedone che non ci mette mai la gamba. Nel suo sporco lavoro è aiutato solo dagli spunti individuali: un indemoniato Orco Marino a tutto campo; il Bambino Pirata che fa quello che può con una gamba sola; il redivivo Bucaniere che svaria sulla fascia sinistra insieme al Capitano e all’arpionista Obi; e l’unico dotato del potere del sogno, il Mozzo Totò. E da solo il Leone trova il rigore che vale il pareggio. E per poco se il Principe fosse quello di una volta, troveremmo anche una incredibile vittoria.

Invece restiamo con la sensazione di un anno maledetto dalla sorte e incancrenito dalla assenza di volontà di una società che ha scelto di crogiolarsi nella sua pancia piena, nell’impossibilità di ripetere quanto fatto l’anno scorso, nel lamento per la sindrome di abbandono, e di lasciare alla deriva dei mari in tempesta un modesto allenatore, sul quale però è troppo facile fare il tiro a segno (anche se lui fa di tutto per aiutare il compito dei cecchini, anziché mettersi al riparo). E’ un ritorno al passato: forse per questo nelle partite casalinghe è tornato anche a suonare ogni volta “Solo Inter”, l’inno di anni in cui la società non esisteva e se esisteva, esisteva male; l’inno di anni in cui gli allenatori si cambiavano come pannolini, dopo averli usati per cagarci dentro; l’inno di un’Inter che pensavamo scomparsa per sempre e che invece era solo mascherata dall’ingombrante presenza di un messia. Presidente, dirigenti, giocatori, staff: fateci un favore, archiviate quell’inno per quando potremo festeggiare di nuovo, ma nel frattempo ricordatevi che state indossando una divisa che merita amore e dedizione, non la mesta sensazione di un crepuscolo di appagamento e delusioni. Abbiate il coraggio di fare delle scelte, di difenderle e di sognare un futuro – e non il passato – della Beneamata. Dimostrateci di essere degni dell’amore che riversiamo ogni giorno su questi colori. O abbandonate la nave senza fare tante manfrine.

Inter in Wonderland: venerdì di magra (consolazione)

30 Ottobre 2010 Commenti chiusi

Chiunque sa che agli uomini di mare non deve essere dato da mangiare pesce. Chiunque. Tranne evidentemente il cuoco e il dietologo dell’Inter, che in un impeto di ortodossia religiosa decidono nel giorno di un match tanto importante per i nostri corsari spompati di fornire solo di pagasio e altre amenità di carne bianca ai nostri eroi. I risultati si vedono subito: la carenza di ferro, emoglobina e proteine rende i nostri arrembanti pirati confusi e privi di lucidità, malinconici in un certo senso. L’unico che – da buon musulmano – si spiana un intero rotolo di carne tritata e compattata di quelli che si usano nei kebabari di ogni città che si rispetti, condito di cipolle intere, patatine, salsa yogurt e salsa piccante è il nostro disprezzatissimo Calimero. Nessuno si rende conto di quanto questa sua diversità religiosa sarà determinante nella serata di Marassi.

Il buon Calimero è infatti obbligato a prendere posizione sul ponte di comando già al ventesimo minuto al posto di un Pelato Mastrolindo a cui la carenza di fibre muscolari di animali non nuotanti nella pancia causa l’ennesima ricaduta muscolare. Nella confusione generale di una battaglia marina che si preannuncia amara per i nostri colori, Calimero spara un bolide centrale e di facile presa, ma o’Animalo, il portiere dei grifoni al posto degli artigli sfodera una delle zampe palmate, lasciando scivolare la palla in rete.

Il resto dei novanta minuti prosegue tra conati di vomito dei nostri novelli pirati con il mal di mare e quelli dei solidali rossoblù: i nostri eroi non riescono a raggiungere il castello di poppa avversario manco se avessero a disposizione 270 minuti; i nemici affonderebbero la nave della beneamata neanche con l’ausilio di una decina di catapulte. Facciamo in tempo a perdere anche Julio Manolesta per l’ulteriore postumo dell’assenza di carne rossa nella dieta del giorno e a concludere la partita assediati con una difesa a cinque come neanche il peggior Castel di Sangro.

Diciamocela tutta: una partita di merda, vinta immeritatamente, con interpreti veramente al di sotto delle loro possibilità, tranne poche sufficienze e nulla più. I tre punti erano fondamentali, ma siamo inguardabili. E l’impossibilità da parte di Benny di imporre all’Olandese Volante di scendere sulla linea dei centrocampisti e di non piazzarsi a sbagliare assist e palloni in serie a ridosso delle punte sta diventando imbarazzante e non aiuta. Per non parlare di un Bambino d’Oro che non riesce a recuperare palloni che vengono spazzati da Totò che corre di gran carriera lungo tutta la fascia. Difficile non ammettere che le perplessità iniziano a superare il credito accordato a Benny e alla squadra tutta. Ma come tifoso posso solo arrivare a fine serata senza voce. Il resto non dipende da me