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Inter in Wonderland: il Re Pescatore e la maledizione della Luna Blucerchiata

25 Ottobre 2010 Commenti chiusi

I tri(3)plettati eroi nerazzurri ormai veleggiano di mondo in mondo, di dimensione in dimensione, alla ricerca della Serie di Oz e della Terra dei Cachi. E’ infatti dal giorno in cui sono usciti vittoriosi da uno stadio lontano da casa in una notte di pura gloria che hanno smarrito la via del continuum spazio-temporale originale, proiettati in mille avventure una più assurda dell’altra, risolvendo ogni tappa del loro viaggio come una specie di videogame fin troppo reale. Così, dopo la puntata corsara appena vissuta, i nostri beneamati si sono ritrovati a galleggiare sulla propria nave in acque meno tormentate e più famigliari. Per un attimo hanno pensato di essere finalmente riusciti a tornare a casa, novelli Ulisse sulle rive di un Itaca nerazzurra. Purtroppo per loro si è rivelata l’ennesima illusione, l’ombra di un mondo a loro assimilabile, irradiata dalla malefica e maledetta Luna Blucerchiata.

Ai nostri eroi lo stadio di San Siro, immerso in una fitta pioggerellina autunnale, non sembra neanche casa loro: si sentono solo i doriani maledetti che non la smettono un attimo di cantare. I proteiformi corsari nerazzurri sanno riconoscere l’odore della fregatura quando la vedono e per questo dismettono i panni arrembanti appena indossati per trasformarsi in semplici e miti pescatori. Lanciano le loro reti nel mare verde del Meazza e le issano a bordo con movimenti regolari: a ogni tornata, raccolgono messi di creature marine di ogni tipo, che si spartiscono secondo il proprio gusto. Mastro Lindo, subentrato in squadra al posto del troppo pugnace Tredita, e Capitan Corto Maltese frangono i flutti al centro del campo, mentre per il resto è tutto come sempre, con un Orco Marino fuori dall’ordinario insieme a un nanetto riccioluto che in una sera così sembra un sosia di San Pietro, soprattutto se paragonato all’Olandese che con la pioggia si dimentica di come volare tra le folate di vento di una tempesta.

Draghiamo per 45 minuti il quadrante marino avversario, ma in sottofondo si sente sempre lo stesso rumore: titic, titoc, titic, titoc. Tutto lo stadio comincia a guardarsi il polso per capire chi è che ha un orologio tanto rumoroso. Non si rendono conto che tale frastuono è semplicemente l’eco delle decine di passaggi ripetuti fino alla nausea, il fruscio continuo delle reti che vengono lanciate, issate, riparate e rilanciate. Poi all’improvviso, da una maglia non ben cucita, la maledizione della Luna Blucerchiata fa il suo corso e la squadra si ritrova sott’acqua.

La reazione è rabbiosa e l’identità corsara dei nostri eroi, il loro orgoglio, riesce difficilmente ad essere contenuto dagli umili vestiti che hanno indosso in una giornata come questa. Fino a che il più determinante dei nostri beneamati non capisce che a superstizione si può reagire solo con superstizione. Sul campo compare il Re Pescatore e dopo messi di reti bucate, di pesci sfuggiti, e di raccolte di conchiglie dal dubbio valore, riporta la chiatta nerazzurra sopra il livello del mare. E consente ai compagni di continuare a navigare alla ricerca del portale che riporterà tutti a casa.

Serata non difficile da interpretare: la maledizione della Luna Blucerchiata ci impedisce da anni di fare i tre punti con i maledetti ciclisti travestiti da giocatori di calcio e in alternativa da pesci. In una sera in cui le nostre stelle brillano meno del solito ci manca solo l’errore marchiano del solito Buco con il Difensore intorno per mandarci sotto. Per fortuna ci pensa il Re Pescatore, altrimenti sarebbe buio come solo una notte in mezzo all’oceano può essere. Rimane la domanda del perché il Bambino d’Oro non giochi un po’ prima delle colonne d’Ercole del triplice fischio e perché l’Iguana Terrestre della Banlieues non possa imparare a fare i movimenti giusti, tanto da apparire troppo simile al peggior Fulmine di Teguchigalpa, ora pensionato dorato nel campi di Appiano Gentile.

Benny merita fiducia, anche se sta scontando la sua retorica del bel gioco, che quando non è accompagnato dai tiri in porta diventa un semplice esercizio di stile. E l’Inter è una squadra e un popolo che punta alla sostanza. Quattro partite e cinque punti non è un bello score. Ma è tutto quello che abbiamo saputo raccimolare. Purtroppo. Si poteva e doveva fare meglio. Tiremm Innanz.

Inter in Wonderland: il narco-castello

18 Ottobre 2010 1 commento

Arriviamo sull’isola inondata di luce e di pace. Tutto è silente nei dintorni dello stadio e le due squadre si affrontano su una piana sgombra di vento e di passioni. Sembra di assistere a una foto più che a un evento dotato anche di figure in movimento. Tra le fila nerazzurre tornano a calcare il campo il Capitano Duracell e la coppia difensiva Muro-Orco, mentre davanti il Leone è affiancato dai soliti giovani virgulti. Il Castello è sorvegliato dagli unidici titolari rossoblù, con qualche qualità, ma non troppe, giusto per non esagerare.

La partita si snoda senza sussulti, mentre i nerazzurri lentamente avvolgono le mura medievali e i merli degli spalti in una fitta ragnatela: dopo aver bloccato il castello, passano agli spalti, ai tifosi, allo stadio intero, all’isola. Anche il mare sembra essere diventato una lenta e piatta superficie oleosa. Lentamente, ogni cosa si assopisce, e quando meno chiunque se lo aspetti, ecco il colpo ferale: il Leone con una finta di corpo che anche al rallentatore sembra velocissima manda a stendere mezza difesa – Astori penso avrà gli incubi con il nostro puntero come protagonista ancora per qualche giorno – e la piazza nell’angolino di precisione e potenza.

Il tempo scorre inesorabilmente. Passano 45 minuti, poi 60. Non succede nulla se non una fortuita traversa di Chivu nella nostra porta (se non ci pensiamo noi a scaldare il match, si potrebbe giocare per altri due mila minuti senza scorgere un’accelerazione significativa di alcun tipo) e una doppia parata di Giulione Manolesta, giù proiettato verso la svolta corsara della nostra saga. Entra il nostro Homo Dribling al posto di Totò che ha fatto una buona partita; entra il Sindaco finalmente di nuovo su un campo di calcio e per scaldare un po’ gli animi anestetizzati dal Narcocastello finge di farsi male dopo appena 5 minuti; entra anche Calimero al posto dell’Olandesina, la notte e il giorno a confronto sulla riga del fallo laterale, praticamente.

Finisce con l’anestetica vittoria nerazzurra. E fin qui tutto bene. Però uno si sarebbe anche stufato di ripetere che “contano i tre punti”. Quando in tempi non sospetti ho sostenuto che il “bel gioco” alla Barça è in realtà una gran rottura di palle, sono stato sbeffeggiato, ma spero che la partita di oggi mi renda merito. Per fortuna che Ciccio punta sullo spettacolo: se fosse stato uno che cercava il risultato a tutti i costi, in una partita come quella di oggi avrebbe potuto solo sfoderare l’araldo dell’eutanasia e farla finita al minuto numero cinque.

Zzzzzzzzzzzzzzzz

Inter in Wonderland: beneamata caritas

4 Ottobre 2010 3 commenti

Sul pascolo di San Siro arrivano i grufolanti ladri di sempre a strisce bianconere, accolti dal pubblico milanese delle grandi occasioni: più gobbi che interisti sugli spalti, ma i peggiori almeno confinati al terzo blu. Se non si considera il campo ovviamente. Benny schiera la stessa squadra di mercoledì, tutto lo stadio è basito ma apprezza il coraggio. Con il senno di poi capiamo che era l’unica possibilità che aveva: quindi il coraggio della necessità è la tragedia della speranza.

La partita dura 15 minuti, con i nostri eroi da veri condottieri che chiudono la squadra colorblind nella sua area. Le occasioni non sono eclatanti, ma la squadra c’è. Poi tutti paiono pensare che la pausa delle nazionali sia già cominciata. Tutti quelli della squadra che tifo io per lo meno. Polu va sotto Krasic come un tir e subiamo tre azioni da brividi. Anche per i grufolatori impuniti finisce la gara. Ma siccome la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, l’Iguana delle Banlieues si infortuna e tocca vedere in campo il Principe Ranocchio Zoppo. Il Leone, felice come un gatto in una vasca da bagno di acqua bollente, si sposta a sinistra, e magicamente comincia a bersi Grygera in ogni forma e dimensione. Peccato che poi appena alzi la testa per metterla in mezzo nell’area piccola ci sia il vuoto pneumatico, con il Principe ormai nella lista ufficiale dei desaparecidos.

Finisce il primo tempo e tutti pensano lo stesso: ok, bravo elio, bravi tutti, bella squadra, ma segnare, no? A metà dell’intervallo si scalda il Bambino d’Oro: Speedy si è infortunato, Polu va al centro nel suo ruolo (e si vede), e il baby dimostra di essere in rampa per un rientro da titolare a sinistra. Da notare come la presenza di un terzino a sinistra abbia di fatto scaraventato nell’oblio il maradona biondo dei ladri di polli, come già si vide nella doppia sfida con il CSKA l’anno scorso.

Benny nell’intervallo fa un discorso chiaro e senza fronzoli ai suoi uomini: ricordate che noi siamo belli, buoni, bravi, senza macchia e senza paura; più che una squadra di calcio con gli attributi, dobbiamo sembrare una fiera di beneficienza della Caritas; giochiamo a calcio come se fosse uno sport, per vincere c’è sempre tempo. I giocatori lo hanno guardato tutti un po’ basiti, ma il richiamo degli aerei per le proprie case durante la pausa delle nazionali ha tolto lucidità ai draconici protagonisti della scorsa stagione.

Il secondo tempo nonostante la nostra versione Beneamata Caritas vede le due più grandi occasioni nerazzurre: una viene sparata di testa dal Colosso sul portiere, l’altra il Principe Ranocchio Zoppo, dopo un aggancio perfetto, la piazza sul fotografo che staziona al posto dell’arbitro di linea. I venti minuti finali sono uno spot contro il calcio: il Drago che sputacchia fumo e catarro viene lasciato in campo a perdere palloni che rischiano di trasformarsi in contropiedi e a nascondersi dietro i mediocampisti bianconeri per non ricevere il pallone; il Leone si sfava e decide che non si torna oltre la metà campo; Totò abbandonato sulla fascia non sa bene che cazzo fare; il Principe Ranocchio fa venire da piangere come i grandi guerrieri quando li vai a trovare all’ospizio. In panchina il nulla cosmico, o così sembra pensarla Benny. Non succede niente e la beneficienza è fatta: un punto in due gare con due squadre da parte destra della classifica; un punto al posto dei minimo quattro che avremmo dovuto raccogliere a tutti i costi. E il Milan a pari punti. Che merda.

Non facciamo drammi, ancora una volta, però io inizio un po’ a rompermi le gonadi dell’atteggiamento supponente e molle con cui la squadra si presenta in campo, soprattutto contro le avversarie più blasonate. Non vedo la furia e la fame che ho tanto amato dei miei eroi. Benny ancora non ha capito come convincere i suoi giocatori a fare quello che dice lui e non viceversa. E questo, se permettete è un bel problema. Non avevamo un numero così alto di infortunati dai tempi dei sei mesi horribilis del secondo anno di Mancini, dopo Tribai per intenderci. Perché con la squadra spompa a centrocampo non si faccia il terzo cambio è uno dei misteri di fatima. Ricordo a tutti che il calcio non è uno sport: conta vincere; per l’estetica c’è Mediaset; per l’amore per la giustizia c’è Trigoria; noi interisti siamo abituati ad altro. Ora pausa nazionali. Ovviamente, ci sono anche le note positive: il Bambino d’Oro, Totò che fa vedere cose egregie, la conferma di un grande momento di forma del Leone. Ma è un po’ poco. Decisamente troppo poco all’inizio di ottobre.

Inter in Wonderland: aiutini…

26 Settembre 2010 Commenti chiusi

La bella addormentata nerazzurra entra in campo con l’unico undici possibile per legge. Ma il problema non è la scelta dei titolari o lo stato di forma di alcuni di essi (in pesante e inspiegabile regresso), quanto la logica con la quale si è giocato il match. La palla viene fatta passare da un bipede all’altro, senza particolare necessità di farci qualcosa di specifico.


Dopo trenta minuti di niente, finalmente il bordocampista che è in ognuno di noi capisce cosa sta succedendo: per dieci minuti i nostri hanno pensato che si giocasse a pallavolo (non si spiegano altrimenti i posizionamenti a centrocampo), poi a qualcuno viene il dubbio di sbagliarsi, e infatti si passa a giocare a mosca cieca, seguita da nascondino.


Finiti i 45 minuti ogni tifoso che si rispetti si aspetta che Benny abbia spiegato un po’ meglio che stiamo ancora giocando nella Serie di Oz. Ma qualche malefico borgataro deve aver sciolto sostanze stordenti nelle bibite dei nostri eroi. Perché il secondo tempo è ancora più soporifero del primo. I nostri avversari, dapprima increduli, lentamente si rendono conto che per interpretare al meglio l’Alba dei Mortacci Viventi è necessario provare a fare qualche tiro in porta. Cosa che riesce loro, ma senza grandi risultati.


Intanto i nostri eroi continuano la scansione di tutti i giochi da età prescolare: rialzo, indovina chi, strega comanda color, bandiera, dando vita a una specie di incompresa versione dei giochi della demenza. Il dramma lo si raggiunge quando il Colosso e Totò, in lingua madre brasiliana, si autoconvincono con una sessione improvvisata di ipnosi a due che l’ultima prova delle Olimpiadi dell’Interdizione è “ce l’hai”. Prima uno poi l’altro scagliano la palla sull’avversario avviando il suo contropiede. E se al primo giro ci salviamo, al secondo Vucinic si lancia al grido di “bubusettete” e ci punisce per l’ennesima volta.


Dei nostri non si salva nessuno. Troppo brutti e spenti per essere veri.


Subiamo la adeguata punizione per puntare a un pareggino salva apparenze, di cui la Roma non si accontenta, giustamente. Alcuni tornati indietro di due settimane sulla preparazione, altri con la testa altrove, tanto da sbagliare passaggi e movimenti elementari. Benny dimostra grande polso riuscendo a ridare concentrazione alla squadra, solo però nel tunnel degli spogliatoi, perché fuori questo non si vede.


Inutile fare drammi perché può succedere, però avrei preferito perdere per aver provato a vincere, che per inerzia. Forse la verità è che non riusciamo proprio a non tendere la mano ai burini, anche se ce la mordono ogni anno. Perché forse siamo umani, troppo umani, e quando vedi uno sventurato sull’orlo della fossa, come fai a non dargli il tanto agognato… aiutino? Ecco, adesso almeno cambino per un paio di settimane l’inno, qualcosa tipo “Grazie Inter, che ci hai resuscitato e fatto vince, grazie Inter…” Non vi piace? Manco a me.

Inter in Wonderland: due più due fa sempre quattro

23 Settembre 2010 Commenti chiusi

Nella landa desolata del Paese-che-non-c’è i cavalieri della beneamata scendono in campo con l’unico 11 possibile, considerati i degenti, gli sbarbati nerazzurri in fieri e le chiocce, una delle quali – Speedy – dovrà anche entrare in campo quasi subito al posto del Muro acciaccato. Nella bruma della prima partita autunnale risuonano rimbombi, colpi, boati, esplosioni. Gli Scrondi del Tavoliere, decisamente abbelliti dalla permanenza nella massima Serie di Oz, attoniti si guardano intorno: non capiscono se siano cannonate o il ritmico e aggressivo percuotere di tamburi. Loro non lo sanno, ma è il rumore dei nemici, che finalmente anche Ciccio assaggia anche se in versione decisamente soft.

A sfoderarne una versione hardcore ci pensa Almiron, lo scrondus maximus considerati i suoi trascorsi, a meno di 30 secondi dal calcio d’inizio, con un proiettile da 40 metri che scalfisce i pilastri della porta nerazzurra. Il problema, come dicono dalle parti in cui sono nato, è che “se esci il ferro, poi devi saperlo usare”. Forte di questa massima di periferia, l’Inter davanti alla successiva assenza di bellicosità degli Scrondi, dimostra che non c’è trippa per gatti.

I nostri eroi sbucano da ogni collina, da ogni tumulo, da ogni ripiegamento del terreno, seminando il panico tra i giocatori avversari. Li sbeffeggiano, li aggrediscono, e imbasticono mitragliate talvolta a salve, talvolta no. I rumori e le esplosioni si sono avvicinati fino a entrare in campo: e purtroppo gli Scrondi scoprono troppo tardi che sono le armi cariche dei nerazzurri. Altro che medioevo! Ed è forse solo grazie allo stress post-traumatico di tutte queste esplosioni che anche il Principe si sblocca, nel modo meno nobile, deviando di faccia l’ennesimo assist di un Leone che brucia l’erba con i piedi e gli artigli eburnei.

Nei secondi 45 minuti il monologo di raffiche e proiettili continua: due rigori, trasformati dal nuovo rigorista, il Leone; finalmente una marcatura con un missile terra aria del Principe; svariate occasioni mancate di un soffio. Il gong finale lo suona Calimero, entrato da pochi secondi, quando lascia risuonare la sua testa vuota al suono dello sterile cannone del Tavogliere su punizione. Il tuono sprigionato dalla percussione umana improvvisata suona anche come l’epitaffio su una partita mai cominciata.

L’Inter sale di condizione e sale in cattedra, ma tanto quanto la vittoria di misura contro i siculi non rendevano giustizia alla superiorità espressa in campo, così la larga goleada odierna la accentua forse esageratamente. La squadra del Tavoliere è meglio di quello che sembra da questo match. Molti giocatori stanno tornando ai loro livelli, ma la panchina è veramente cortissima e speriamo di non avere in fretta il fiatone. E merita un plauso anche la scelta di Benny di sostituire i migliori giocatori in campo per dimostrare che in squadra sono tutti uguali. Bravo!

Due più due fa sempre quattro. Se le punte lavorano così tutta la squadra gira a mille. Godiamoci i tre punti e la partita. Godiamoci anche che per ora due partite su due con la curva ospite schierata in mezzo ai tifosi normali del terzo anello rosso, grazie alla mirabolante invenzione della Tessera del Tifoso, che ha reso obsoleto il settore ospiti, una delle poche intuizioni intelligenti di chi progetta l’ordine pubblico negli stadi. Siamo tutti curiosi di vedere come finirà con i drughi in mezzo alla gente civile. Take no prisoners, suppongo. Che mestizia.

Inter in Wonderland: non esiste rosa (nero) senza spine

20 Settembre 2010 Commenti chiusi

I cavalieri della tavola romboidale (magari!) nerazzurra entrano in campo con quella che è la formazione titolare in questo momento, con il solo Drago al posto dell’infortunata Olandesina, il Capitano d’Acciaio al posto di Marika e il Colosso nella sua posizione naturale. Di fronte si trovano il muro di spine delle Rose Nere palermitane, con qualità solo in pochi settori del campo e che non perde in casa da un anno e mezzo, con grande grinta e con un discreto culo, almeno per buona parte del match.

I ragazzi sfoggiano i migliori 45 minuti dall’inizio della nuova stagione, martellando il rovo avversario con tanto gioco, decespugliatori, cesoie, tante azioni e buone occasioni. Tutto gira abbastanza bene, ma la fortuna non ci assiste: la fiammata del Drago dalla tre quarti si spegne sulla traversa ignifuga di Sirigu e il rimpallo sulla sua testa finisce a lato anziché in porta. Prima e dopo il Colosso e il Drago seminano il panico assistendo il Leone e il Principe. Ma la palla non entra. D’altronde forse dei cavalieri medievali con in mano un paio di forbici sotto steroidi non avrebbero fatto gran figura nemmeno nelle più sfrenate saghe epiche.

Viceversa su calcio d’angolo il rimpallo della difesa finisce proprio sui piedi dell’uomo rosanero lanciato in contropiede (potere delle spine prensili) che guadagna rapidamente l’area nerazzurra e appoggia per Pastore: paratissima dell’Acchiappasogni che nulla può sulla ribattuta. Prima e unica vera azione da gol rosanero e spina conficcata nel cuore e nella rete dei nostri eroi. Le bestemmie si sprecano.

Seguono altri 15 minuti con due azioni da gol clamorosamente sparate addosso a Sirigu e fuori dal Principe, sgroppate di chiunque, financo dell’Orco, ma ogni maglietta scura viene avviluppata dalle grinfie del roveto. E il risultato non cambia.

Nei secondi 45 minuti i ragazzi perdono la bussola, e in particolare Polu, il buco con il difensore intorno si renderà protagonista di un secondo tempo allucinante, tanto da far ampiamente dubitare delle capacità intellettive di chi lo ha lasciato lì da solo a farsi saltare per un intero tempo di gioco. Aiuto. Per 15 minuti è solo Palermo. Il rovo libera i suoi tentacoli di spine e comincia a pungere di brutto, con i nostri eroi e le loro armature impotenti di fronte alla forza vegetale.

E a questo punto tocca a noi giocare di rimessa e Benny passa a un 4-4-2 un po’ sghembo con il Drago in mezzo, il Capitano e la Pantera esterni e il Leone prima punta: prima il Principe tocca a lato un cross basso perfetto come non è mai successo prima, poi il Leone raccoglie un palleggio perfetto del Principe stesso, dà fuoco al difensore rinsecchito rosanero e batte Sirigu. Finalmente. Dopo neanche 4 minuti rischiamo di subire il pareggio, ma fortunatamente Pastore non ha ancora imparato a usare il piede sinistro. Intanto “Chi l’ha visto?” riceve plurime richieste per accertare la localizzazione di Ciccio dato che evidentemente ci stanno prendendo a pallonate dei fottuti arbusti le cui uniche qualità di nota sono petali e spine.

Per fortuna del mister il Drago – gran partita – e il Colosso – bentornato! – scambiano sulla fascia e mettono in mezzo per il Leone che non si fa pregare una volta avvicinato alla porta e raddoppia. Un minuto dopo il culo (in questo caso impersonato dall’arbitro Romeo) finalmente gira e si mette a favore di vento nerazzurro: Polu bruciato per l’ennesima volta cade strattonato e rovina a terra, sgambettando Cassani. Per me è rigore tutta la vita, ma fortunatamente non faccio l’arbitro.

All’alba del 75esimo Ciccio finalmente alza il suo tasso glicemico e si decide a cambiare qualcuno: entrano il Bambino d’Oro e Calimero laterali di centrocampo. Ma Polu rimane misteriosamente in campo ed è proprio sulla sua fascia che continuiamo a vedere i famosi volatili per diabetici. D’altronde una fascia Polu-Calimero può esistere solo nella versione più oscura del mondo parallelo in cui si svolge la Serie di Oz. Peraltro il Bambino d’Oro non vedrà biglia per tutti i minuti giocati o quasi. Non contento pare che Ciccio, per dimostrare la sua vena offensiva e il suo bel calcio, avesse richiamato altri 123 difensori arrivando fino ai pulcini B, ma che non abbia potuto schierarli per mancanza di una deroga immediata della Lega Calcio (che pure aveva preventivamente chiesto, non si sa mai!).

C’è il tempo per un palo clamoroso di Pastore e Mariga seconda punta (!). Venti minuti (15 + 3 di recupero, ok, ma tant’è) di assedio di un roveto ai Campioni d’Europa, modello Camp Nou aprile 2010. Peccato che si giochi al Barbera. Per carità: in questo momento l’importante sono solo i tre punti, e finché arrivano quelli va tutto bene. E abbiamo giocato un ottimo primo tempo. E certamente la sfiga del primo tempo ci ha compensato con il culo e una svista arbitrale grossa così (tipo le dimensioni di Rocco Siffredi, cit.) nel secondo tempo. Ma le epopee vivono di altro. Vivono di slancio e di determinazione, di gesta e di narrazioni fantastiche. E soprattutto non possono tollerare l’ipocrisia: non ce la si venga a menare con il gioco offensivo e la vocazione a fare il Barcellona de’ noartri. Si dica che si sta cercando di capire che cazzo fare e che la coperta (o l’asciugamano, visti i tempi) in panchina è corta. I tifosi devono tifare e tiferanno. Non temete, non ci tiriamo indietro dal nostro ruolo di carne da cannone nelle grandi battaglie campali. Ma almeno non ci sentiremo presi in giro. Sappiamo che non esiste una rosa (nero) senza spine. E ce ne faremo una ragione.

Inter in Wonderland: the dark side of the lord, il limbo dei tormenti

12 Settembre 2010 1 commento

Al ritorno dalle nazionali, gli eroi nerazzurri arrivano alla Pinetina immersa in un silenzio surreale. Circospetti i nostri beniamini si avvicinano agli uffici di Ciccio Benny, dai quali non fuoriesce un suono. Il buio domina la valle di Appiano, è mattina presto, ma nonostante tutto si dovrebbe almeno intravedere il Sole. Uno per uno, in fila indiana, entrano nelle strutture nerazzurre per cercare di capire che cosa stia succedendo. Nelle stanze i mobili sono coperti da lenzuoli candidi e immobili, qualche ragnatela inizia a fare capolino agli angoli delle pareti. L’Inossidabile Capitano, primo fra tutti ad entrare, guarda atterrito i proprio compagni di squadra.
Finalmente, nell’ultima stanza, quella del mister, trovano Ciccio seduto dietro la scrivania, zitto, lo sguardo concentrato e perso nei propri pensieri. I ragazzi, a un cenno del capitano, si schierano lentamente di fronte al neo allenatore, in attesa di capire dalle sue parole che cosa sia accaduto. O che cosa stia accadendo. Dopo interminabili minuti, Benny focalizza lo sguardo sui nuovi arrivati e comincia una piccola orazione greve, senza alzare la voce, come se fosse di estrema importanza per tutti capire la delicatezza del momento e il pericolo che si sta correndo.

“Quando sono arrivato qua il primo settembre, tutto era cambiato. Voi non c’eravate. Alcuni di voi a casa con le famiglie, altri in viaggio per giocare con la propria nazionale. Sono arrivato e i prati verdi erano diventate distese desolate, le mura prima sgargianti opprimenti barriere grigie, i visi sorridenti tirati musi da zombie. Non so cosa sia accaduto. Non so quale svolta abbiamo sbagliato. Ma so che il luogo dove ci troviamo, questo sepolcro prematuro, non è più il Paese delle Meraviglie che avevate conosciuto fino a poco tempo fa. Abbiamo attraversato l’ennesimo specchio che ci ha riportato nel passato, o forse nel futuro. So solo che le insidie saranno ancora più numerose, e che quello che pensavamo fosse un gioco e niente più che un gioco, è improvvisamente diventato qualcosa di molto più letale e pericoloso. Siamo arrivati nel lato oscuro del Paese dei Cachi. E non so se riusciremo a tornare da dove siamo venuti. Non abbiamo altra scelta che stare vicini e cercare di combattere tutti insieme per ritrovare il sorriso e per far tornare i colori in questa landa perduta. Siete con me? Saremo soli e sarò solo contro tutti, saremo i capri espiatori, le vittime designate, siete disposti a combattere con me?”

Gli eroi perplessi, e con loro i tifosi impotenti spettatori, hanno trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui il mister ha parlato. Poi si sono guardati l’un l’altro, alcuni increduli, altri spaventati, altri ancora sardonici. E hanno lasciato che a parlare fossero i fatti. Si sono girati e sono andati sul campo di allenamento, aspettando che Ciccio li raggiungesse per provare a raddrizzare un’avventura che stava prendendo una piega veramente tetra. Il cunicolo dopo il trionfo al Bernabeu forse era solo l’inizio. Ma almeno sanno di non essere soli nell’odissea che stanno per intraprendere. Si sono voltati verso i piccoli spalti. E hanno visto che la gente era ancora lì. Per loro. E per se stessi. E per i colori del cielo e della notte. Si sono tornati a guardare l’un l’altro e hanno cominciato a preparare la successiva partita.

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In un San Siro trasfigurato e diafano, mezzo vuoto nonostante la bella giornata, con il terzo anello blu vuoto di sostenitori che grazie alla tessera del tifoso hanno potuto comprarsi un comodo posto nel terzo anello rosso in mezzo ai sostenitori della Beneamata (complimenti!), Benny schiera ancora il 4-2-3-1 con importanti novità: dietro i terzini sono l’Inossidabile Uomo d’Acciaio – che sa il fatto suo – e un Crystal che definire in stato confusionale è dire poco. Il ragazzo non ne azzecca una e il suo attaccante lo marca meglio di quanto faccia lui a parti invertite: togliamolo da quella posizione perché tra poco diventerà un bersaglio mobile a San Siro e non so se lo merita. In mezzo il Pelato e la Marika, davanti al trittico Principe-Olandesina-Leone si aggiunge l’Iguana delle Banlieues.

Nei primi minuti la squadra gira, di fronte al coraggiosissimo 5-4-1 tutti dietro la palla del pretino Guidolin, e grazie a una dormita colossale della difesa furlana l’Orco può segnare di sinistro mentre finisce di fumarsi una sigaretta. I minuti passano e il limbo in cui sembrano essersi perduti la determinazione e gli automatismi nerazzurri inizia a manifestarsi. E’ difficile individuare un colpevole: sicuramente Crystal non ne imbrocca una, ma c’è da dire che il Leone sembra non avere voglia di correre e bruciare l’erba: o meglio corre, ma è come se qualcosa non quadrasse; l’Iguana non fa una sovrapposizione o un movimento giusto manco a pagarlo, imitato a ruota dal Principe (passi che tu non abbia lo scatto, ma i movimenti sono rimasti a Madrid insieme alle offerte di cui ci avevi parlato? ti aspettiamo!); Marika ha dei numeri, ma deve ancora imparare la parola tattica. Ci sono anche gli aspetti positivi: da quando si è ventilato l’arrivo dell’Anuro Ligure l’Orco ha ritrovato smalto e il Muro è implacabile; l’Olandesina ha almeno 60-70 minuti di autonomia (forse non doveva giocare la seconda partita con l’Olanda perché la mia sensazione è che non sia al top a causa del piccolo risentimento patito); il Pelato e il Capitano sono dei martelli, ringiovaniti – per ora – dalla convocazione in nazionale.
Le poche cose buone non ci salvano e su un innocuo calcio d’angolo pigliamo un fico da Floro Flores Florellin tutto solo in area. E’ il dramma, il tormento dei tormenti, è il vuoto che i tifosi leggono nello sguardo dei loro campioni: non un vuoto dovuto ai muscoli che ancora non rispondono al meglio, ma un vuoto di agonismo, come se le gonadi nerazzurri fossero state levigate fino a diventare bellissimi preziosissimi fragilissimi ornamenti di cristallo. Finisce il primo tempo, inizia il secondo tempo. Ma il limbo permane sul terreno di gioco.

D’altronde anche i furlan ci mettono del loro dato che nei primi 15 minuti il tempo effettivo di gioco tra sceneggiate e finti infortuni rasenta i 120 secondi. Incredibilmente a dare la scossa è l’uscita di Crystal con il Capitano d’Acciaio terzino sinistro e Speedy Gonzales sulla fascia destra che in cinque minuti fa quello che l’Iguana non è riuscito a fare in 60: scende fino in fondo e prova a crossare. Due volte. Incredibile. La squadra si scuote un po’, ma il tono fisico è in discesa verticale. Dentro la Pantera per l’Iguana. Ma la solfa non cambia. La squadra è già in apnea mentale e fisica da tempo.

Com’è come non è riusciamo a procurarci un rigore. Il Leone va sul dischetto. E sbaglia, tanto per rinnovare i tormenti del limbo, ma almeno la ribatte dentro. La squadra non ne ha più. Dentro Calimero – buona la prima anche se per poco – per il Principe con passaggio fugace al rombo ma con l’Olandesina prima punta. Misteri della fede. E del limbo. Marika sta con le bombole ad ossigeno. Il numero di passaggi sbagliati rasenta l’80%. Si contano i centesimi che ci separano dalla fine. Rischiamo di fare la frittata tantissime volte, ma la partita finisce così.

La testa non c’è. Il fisico non c’è. Siamo nel limbo. Speriamo di trovare una via d’uscita. Ma oggi abbiamo strappato con i denti i 3 punti. Ed era tutto quello che contava: brutti, sporchi, cattivi, cinici, fortunati. Quello che volete, ma servivano solo i tre punti. Per il resto, aspettiamo che le nebbie si diradino.

Inter in Wonderland: la palla è quadrata

31 Agosto 2010 Commenti chiusi

Finita l’altalena emotiva e fisica di balzi e rimbalzi sul tappeto elastico, la banda degli eroi nerazzurri con il loro nuovo condottiero orizzontale si affaccia alla maratona della Serie di Oz (o quello che è diventata, che con tutti questi turbillons di nani e ballerine non ci si capisce un cazzo). Benny mette in campo la squadra in maniera simile alla prima amichevole della pre-season, con il Pelato e Marika in mezzo al campo, ma è costretto a variare le due fasce con i tandem Inossidabile-Pantera a destra e Crystal-Leone a sinistra.

Primo tempo che scorre bloccato: sarà il ritardo di condizione che non ci dà 90 minuti, sarà il peso della figura di merda rimediata venerdì, sarà quel che sarà, ma la squadra sembra imballata. Il Principe non è ancora lui, il Leone fa solo timidi tentativi di azzannare, l’Olandesina e Marika sono quelli che si mettono più in mostra. Le migliori occasioni sono degli avversari, arroccati nella loro metà campo in stile “fortezza medievale” con un modernissimo 9-1-1. Fortunatamente sparano fuori entrambe le chances, ma la palla si dimostrerà quadrata: la faccia mostrata nel lato occupato dai rossoblù nel secondo tempo è di fronte ai nostri eroi, e non ci sarà modo di girarla altrove. Solo per una decina di minuti del primo tempo, Ciccio rispolvera una tattica mourinhana: abbassa la squadra, per allungare il campo e aprire gli spazi NON gestendo il possesso palla: ne escono le uniche semioccasioni nerazzurre dei primi 45 minuti.

La compagine nerazzurra entra in campo nel secondo tempo con altro piglio. E mette sotto il Bologna. Marika continua la sontuosa partita, il Principe sembra ritrovarsi almeno per 10-15 minuti, l’Olandesina corre come un pazzo e finalmente Crystal fa quello che deve fare: correre lungo la fascia e creare la superiorità numerica (si dice così, no?). Appena questi meccanismi si oliano, il Bologna prende solo pallonate in faccia, in particolare sulle mani di Viviano che fa almeno tre interventi miracolosi, mentre sull’ultima deviazione di una punizione dell’Olandesina sfodera tutto il culo di cui dispone. Per quanto mi riguarda, dopo sta partita, che marcisse altri 3-4 anni a Bologna: non dico tanto, ma cazzo, non fare i miracoli contro la squadra di cui sei il terzo portiere!

Anche l’ingresso di Totò e dell’Iguana delle Banlieues (scelte da me sostanzialmente condivise e che mi fanno sperare che Ciccio inizi a orientarsi) non cambiano l’inerzia della partita, nonostante il match guerriero del Muro e dell’Orco, la superprestazione dell’Inossidabile nonostante i suoi 37 anni, e la buona prova complessiva.
Purtroppo la faccia del dado della sorte non volge al meglio e la partita termina a reti inviolate, un pareggio come gli esordi in campionato degli ultimi tre anni. Un pareggio che però mi lascia meno amaro in bocca di venerdì sera e qualche speranza in più. Certo, tutte energie buttate, dato che è già fuga per lo stellare Milan della fantasia e del bel calcio, il quale è predestinato a vincere con merito lo scudetto facendo 30 punti nelle prime dieci partite. Ricordatevelo! Tanto se non avete buona memoria ci penserà il circo del calcio televisivo a non farvelo scordare!