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Inter in Wasteland: no brain and no balls make big players small

3 Aprile 2011 2 commenti

Arriva il derby. Arriva il match che può sancire un clamoroso sorpasso. In campo una squadra entra con la rabbia e la determinazione di chi vuole vincere a tutti i costi. Purtroppo non è quella con i colori giusti. Quella con i colori giusti è diventata la squadra dell’amore e della generosità, e alla fine della fiera ci lascerà le penne.


Leopardo manda in campo la squadra dei senatori con pandev al posto di un deki il cui dinamismo in mezzo ci sarebbe servito come il pane (oltre che la sua grinta nei derby): il duo Motta-Cuchu dimostra di non essere adatto a giocare partite di livello, con la sua staticità e l’incapacità di reggere entrambe le fasi. A questo si aggiunge una serata decisamente no per Maicon, colto da ciuca triste per colpa di Dani Alves, e una stanchezza che ormai sembra atavica nelle gambe.


Dopo neanche un minuto siamo sotto di un gol, con un Robinho abbandonato al suo lieto destino dal Colosso e un rimpallo che finisce proprio sui piedi dell’avversario più pericoloso: il nuovo cocco di casa Berlusconi, Pato. I nerazzurri si accasciano e rischiano di prenderne un secondo, ma poi capiscono di poter dire la loro e per i venti minuti finali del primo tempo pressano e spaventano un Milan in versione Lecce all’ultima giornata: la puntata del Pazzo finisce su Abbiati, la testata di Motta finisce quasi dentro, il Leone si mangia un altro gol pesante come quello di Torino, riempiendo gli occhi di milioni di interisti di lacrime di rabbia.


Rientriamo per i secondi 45 minuti senza cambiare un Pandev che non ha visto una boccia e senza dare segnali alla squadra. La partita sembra equilibrata, ma Chivu infilato per l’ennesima volta in contropiede per la scarsa protezione dei mediocampisti e un intervento solo abbozzato di Ranocchia non si ferma e si presta ad un rosso diretto per abbattimento in corsa di Pato. Dopo pochi minuti un cross sbagliato da Abate si stampa sulla testa di Pato per il 2-0: ci fosse l’Inter che abbiamo conosciuti in questi anni la reazione sarebbe stata veemente, mentre questa Inter si accascia e aspetta solo il fischio finale. E vedere milionari che fanno i bambocci in mezzo al campo per far passare i minuti senza stancarsi troppo come se fosse normale perdere il derby è una roba da far uscire di testa anche Gandhi e trasformarlo nel colonnello Kurz. Nel frattempo riesce anche a prendere il terzo gol da un Cassano che mostra al mondo la sua brillante intelligenza facendosi espellere per doppia ammonizione a partita finita. E solo Julio Cesar ci risparmia l’umiliazione di un altro 6-0. E loro al contrario di noi, non si sarebbero fermati. Uno spettacolo indignitoso.


C’è poco da dire: se perdi due scontri diretti su due e negli scontri con le prime quattro hai fatto in tutto 7 punti nell’anno calcistico, se non perdevi due derby da otto anni, se per due volte quando hai il destino nelle tue mani perdi malamente senza mai essere veramente in partita, vuol dire che non è il tuo anno. O meglio: che quest’anno hai panza e testa piena di molte, troppe altre cose. Io non ho mai voluto essere la squadra dell’amore: ho passato anni a prendere per il culo milanello bianco e se il risultato è che con l’amore si arriva sempre a un passo dalla vittoria finale, questo nobile sentimento i giocatori e l’allenatore (?!) dell’Inter se lo possono tenere in saccoccia.


Poteva essere trionfo, invece è la Terra Desolata, l’abisso della tua insufficienza, dell’ultimo passo mai davvero compiuto per andare fino in fondo. E considerato che Leo ha fatto lo stesso l’anno scorso con il Milan, è anche la dimostrazione che è a lui che manca la cattiveria dell’ultimo passaggio, perso com’è nell’estetica della propria esperienza di vita. Abbiamo perso e una squadra con 7 gare al passivo in un anno non merita lo scudo. I nostri odiati cugini hanno dimostrato di tenerci di più (anzi a dire il vero da come hanno gridato per le strade di Milano di essere disperati all’idea di perdere anche quest’anno). E’ andata così. Ma l’anno prossimo non partiremo con l’handicap. Perché non sarebbe accettabile per chi vive e colora di passione i colori nerazzurri. E perché io mi sono già bello che rotto i coglioni di rendere il campionato italiano interessante: lo preferivo noioso come negli ultimi 4 anni.

Inter in Wonderland: november rain

15 Novembre 2010 11 commenti

In una serata crepuscolare dominata dal tambureggiare di una fastidiosissima e tetra pioggerella di novembre l’Inter tornata sulla Terra si dispone ad affrontare una squadra di cadaveri tenuta insieme con il bostiq e la retorica nazional popolare. Avendo imboccato la via del realismo anche Benny propone finalmente il rombo in campo e sugli spalti si sprecano gli elogi per la scelta finalmente dotata di senso, elogi che si spengono sulla bocca dei tifosi quando ci si accorge che la linea difensiva è composta da 4 centrali: forse l’unica soluzione per bloccare la squadra ancora di più che con fantasiosi 4-2-3-1 con mezzo mediano e 4-4-2 con giovani implumi esterni di centrocampo.

La mestizia si insinua senza soluzione di continuità nei cuori dei tanti supporters nerazzurri presenti al Meazza e confinati al terzo anello pur avendo pagato in anticipo un abbonamento del secondo. Per di più la linea di centrali ultratrentenni viene posizionata da Benny all’altezza del centrocampo, così che dopo soli 3 minuti Ibra parte in contropiede dalla metà campo rossonera: la diagonale perfetta dell’unico giocatore di calcio del reparto difensivo – Lucio – sembra aver spento il pericolo, quando la nostra arma segreta – Matrix – si avventa sul nostro ex regalando un rigore solare. Almeno avesse storpiato per sempre lo svedese avremmo capito il vantaggio concesso alla squadra nemica, ma così sembra solo un favore gratis. C’è anche da dire, e il proseguio della partita lo confermerà, che senza tale stupidaggine la seconda squadra di Milano non avrebbe segnato manco senza il portiere.

La tanto attesa reazione nerazzurra non si fa attendere: dopo 40 minuti di niente infatti, eccezion fatta per l’infortunio muscolare di un ragazzo di 19 anni che non ha fatto il mondiale e non è recidivo, e l’ennesima applicazione del Lodo Gattuso (quello per cui il Gennaro nazionale prende solo un cartellino ogni tre falli da ammonizione), è ammirabile lo scatto dei nostri 11 per raggiungere gli spogliatoi.

Al rientro in campo ci attendiamo la mossa definitiva: e infatti fuori Milito (ennesima ricaduta, che strano!) e dentro un Pandev versione ira d’iddio, con Eto’o punta centrale stritolata da Nesta e Thiago Silva. Così nei tifosi nerazzurri si fa strada la certezza che anche con il sottoscritto in porta la partita non sarebbe potuta cambiare se non in peggio.

Il metro Tagliavento, a noi costato un Inter-Samp in 9, che se applicato avrebbe fatto giocare in 7 la seconda squadra di Milano, almeno ci concede di giocare 10 morti viventi contro 11 per una trentina di minuti: ed ecco il colpo di genio, propiziato da un intervento da rosso diretto di Ibra su Matrix quale noi avremmo voluto vedere a parti inverse, con una fascia destra ribattezzata la fascia della non sovrapposizione e dell’ignoranza tattica animata da Zanetti e Biabiany, e una fascia sinistra con Chivu e Pandev che non riescono a fare un triangolo neanche con un manuale di geometria delle medie stampato sulla parte interna della retina.

In trenta minuti di superiorità numerica non tiriamo manco in porta e perdiamo – dopo due anni e rotti – una partita in casa, il derby, andando al quinto posto e lanciando i nostri più detestati avversari al primo, primato immeritato se non nel campionato del “ciapa no” che va di moda nella Terra dei Cachi. Non solo: nei tre scontri diretti con le “pretendenti” al titolo abbiamo raccimolato l’abbacinante cifra di 1 punto avendo giocato due delle tre partite in casa. E dulcis in fundo abbiamo fatto 20 punti su 36 disponibili. Quasi il 50%, mica pizza e fichi!

Ora, qualsiasi persona di buon senso capirebbe che la pazienza è finita, e che è tempo di puntare il dito. Io non mi tiro indietro e faccio un bell’elenco senza priorità, così che ognuno possa scagliarsi sul bersaglio che preferisce. Il primo imputato è la società, nella persona del suo Presidente e del Direttore Sportivo: un minuto dopo la serata più entusiasmante di questa generazione – e non solo – di tifosi, con le frasi sul FPF e la concessione a Mourinho di scappare sulla macchina di una squadra avversaria, hanno sparato nelle gonadi (palle o ovaie poca differenza in termini di dolore metaforico) di tutti coloro che erano lì per gioire e festeggiare; sempre grazie, dal profondo del cuore, per la capacità unica di rovinare le feste, per poi lasciare l’allenatore che si è scelto da solo nel guado circondato da alligatori, spesso vestiti pure di nerazzurro e senza uno straccio di giocatore nuovo a scuotere gerarchie e zolle di terra.

Il secondo imputato, però, poche cazzate, è proprio l’allenatore e il suo staff: non è credibile che la squadra non sappia fare un movimento offensivo, che la palla circoli sempre in orizzontale con gli uomini nascosti dietro l’avversario, che si scelga di intasare i luoghi del campo dove la palla dovrebbe viaggiare e si svuotino quelli dove gli uomini dovrebbero stazionare; sullo staff non c’è più nulla da dire, ma se la società volesse finalmente cambiare registro senza esonerare l’allenatore (ammettendo la propria stessa incompetenza) dovrebbe almeno silurare il preparatore atletico, senza se e senza ma.

Il terzo imputato sono i giocatori: non è tollerabile vedere gente così molle in campo, giocatori di serie A immobili e incapaci di una verticalizzazione una, dediti più a mettersi in mostra per la propria inettitudine o per la propria isolata classe che a giocare a calcio, nell’assenza assoluta di qualcuno che li richiami all’ordine (a Coutinho qualcuno potrà dire di non fare le veroniche mentre stai perdendo un derby? o qualcuno lo chiama l’uomo a Sneijder e Lucio che cincischiano con la palla tra i piedi? o qualcuno da due calci in culo a Biabiany per spiegarli cosa vuol dire dare profondità?); se anche qui la società e l’allenatore avessero la più pallida voglia di far cambiare le cose, qualcuno scalderebbe la panchina per scelta tecnica almeno per 2-3 match, con un primavera al suo posto nel rettangolo verde. Il risultato non cambierebbe, ma almeno ci sarebbero degli alibi da spendersi.

Non ho mai vissuto una serata con davanti un’Inter così impotente, con la sensazione che avremmo potuto giocare 900 minuti e non buttarla dentro mai. E il peggio è che è una sensazione che si trascina di partita in partita. Ed è incredibile che 80mila persone infreddolite, ricacciate nell’osceno palco del Meazza, nella sporcizia e nella scomodità per cui hanno pagato un cinquantesimo del loro stipendio, debbano assistere allo spettacolo di una tale assenza di dignità e di pudore di gente che guadagna al minimo 100 se non 1000 volte più di loro.

Semplicemente inaccettabile.