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Inter in Wonderland: november rain

15 Novembre 2010 11 commenti

In una serata crepuscolare dominata dal tambureggiare di una fastidiosissima e tetra pioggerella di novembre l’Inter tornata sulla Terra si dispone ad affrontare una squadra di cadaveri tenuta insieme con il bostiq e la retorica nazional popolare. Avendo imboccato la via del realismo anche Benny propone finalmente il rombo in campo e sugli spalti si sprecano gli elogi per la scelta finalmente dotata di senso, elogi che si spengono sulla bocca dei tifosi quando ci si accorge che la linea difensiva è composta da 4 centrali: forse l’unica soluzione per bloccare la squadra ancora di più che con fantasiosi 4-2-3-1 con mezzo mediano e 4-4-2 con giovani implumi esterni di centrocampo.

La mestizia si insinua senza soluzione di continuità nei cuori dei tanti supporters nerazzurri presenti al Meazza e confinati al terzo anello pur avendo pagato in anticipo un abbonamento del secondo. Per di più la linea di centrali ultratrentenni viene posizionata da Benny all’altezza del centrocampo, così che dopo soli 3 minuti Ibra parte in contropiede dalla metà campo rossonera: la diagonale perfetta dell’unico giocatore di calcio del reparto difensivo – Lucio – sembra aver spento il pericolo, quando la nostra arma segreta – Matrix – si avventa sul nostro ex regalando un rigore solare. Almeno avesse storpiato per sempre lo svedese avremmo capito il vantaggio concesso alla squadra nemica, ma così sembra solo un favore gratis. C’è anche da dire, e il proseguio della partita lo confermerà, che senza tale stupidaggine la seconda squadra di Milano non avrebbe segnato manco senza il portiere.

La tanto attesa reazione nerazzurra non si fa attendere: dopo 40 minuti di niente infatti, eccezion fatta per l’infortunio muscolare di un ragazzo di 19 anni che non ha fatto il mondiale e non è recidivo, e l’ennesima applicazione del Lodo Gattuso (quello per cui il Gennaro nazionale prende solo un cartellino ogni tre falli da ammonizione), è ammirabile lo scatto dei nostri 11 per raggiungere gli spogliatoi.

Al rientro in campo ci attendiamo la mossa definitiva: e infatti fuori Milito (ennesima ricaduta, che strano!) e dentro un Pandev versione ira d’iddio, con Eto’o punta centrale stritolata da Nesta e Thiago Silva. Così nei tifosi nerazzurri si fa strada la certezza che anche con il sottoscritto in porta la partita non sarebbe potuta cambiare se non in peggio.

Il metro Tagliavento, a noi costato un Inter-Samp in 9, che se applicato avrebbe fatto giocare in 7 la seconda squadra di Milano, almeno ci concede di giocare 10 morti viventi contro 11 per una trentina di minuti: ed ecco il colpo di genio, propiziato da un intervento da rosso diretto di Ibra su Matrix quale noi avremmo voluto vedere a parti inverse, con una fascia destra ribattezzata la fascia della non sovrapposizione e dell’ignoranza tattica animata da Zanetti e Biabiany, e una fascia sinistra con Chivu e Pandev che non riescono a fare un triangolo neanche con un manuale di geometria delle medie stampato sulla parte interna della retina.

In trenta minuti di superiorità numerica non tiriamo manco in porta e perdiamo – dopo due anni e rotti – una partita in casa, il derby, andando al quinto posto e lanciando i nostri più detestati avversari al primo, primato immeritato se non nel campionato del “ciapa no” che va di moda nella Terra dei Cachi. Non solo: nei tre scontri diretti con le “pretendenti” al titolo abbiamo raccimolato l’abbacinante cifra di 1 punto avendo giocato due delle tre partite in casa. E dulcis in fundo abbiamo fatto 20 punti su 36 disponibili. Quasi il 50%, mica pizza e fichi!

Ora, qualsiasi persona di buon senso capirebbe che la pazienza è finita, e che è tempo di puntare il dito. Io non mi tiro indietro e faccio un bell’elenco senza priorità, così che ognuno possa scagliarsi sul bersaglio che preferisce. Il primo imputato è la società, nella persona del suo Presidente e del Direttore Sportivo: un minuto dopo la serata più entusiasmante di questa generazione – e non solo – di tifosi, con le frasi sul FPF e la concessione a Mourinho di scappare sulla macchina di una squadra avversaria, hanno sparato nelle gonadi (palle o ovaie poca differenza in termini di dolore metaforico) di tutti coloro che erano lì per gioire e festeggiare; sempre grazie, dal profondo del cuore, per la capacità unica di rovinare le feste, per poi lasciare l’allenatore che si è scelto da solo nel guado circondato da alligatori, spesso vestiti pure di nerazzurro e senza uno straccio di giocatore nuovo a scuotere gerarchie e zolle di terra.

Il secondo imputato, però, poche cazzate, è proprio l’allenatore e il suo staff: non è credibile che la squadra non sappia fare un movimento offensivo, che la palla circoli sempre in orizzontale con gli uomini nascosti dietro l’avversario, che si scelga di intasare i luoghi del campo dove la palla dovrebbe viaggiare e si svuotino quelli dove gli uomini dovrebbero stazionare; sullo staff non c’è più nulla da dire, ma se la società volesse finalmente cambiare registro senza esonerare l’allenatore (ammettendo la propria stessa incompetenza) dovrebbe almeno silurare il preparatore atletico, senza se e senza ma.

Il terzo imputato sono i giocatori: non è tollerabile vedere gente così molle in campo, giocatori di serie A immobili e incapaci di una verticalizzazione una, dediti più a mettersi in mostra per la propria inettitudine o per la propria isolata classe che a giocare a calcio, nell’assenza assoluta di qualcuno che li richiami all’ordine (a Coutinho qualcuno potrà dire di non fare le veroniche mentre stai perdendo un derby? o qualcuno lo chiama l’uomo a Sneijder e Lucio che cincischiano con la palla tra i piedi? o qualcuno da due calci in culo a Biabiany per spiegarli cosa vuol dire dare profondità?); se anche qui la società e l’allenatore avessero la più pallida voglia di far cambiare le cose, qualcuno scalderebbe la panchina per scelta tecnica almeno per 2-3 match, con un primavera al suo posto nel rettangolo verde. Il risultato non cambierebbe, ma almeno ci sarebbero degli alibi da spendersi.

Non ho mai vissuto una serata con davanti un’Inter così impotente, con la sensazione che avremmo potuto giocare 900 minuti e non buttarla dentro mai. E il peggio è che è una sensazione che si trascina di partita in partita. Ed è incredibile che 80mila persone infreddolite, ricacciate nell’osceno palco del Meazza, nella sporcizia e nella scomodità per cui hanno pagato un cinquantesimo del loro stipendio, debbano assistere allo spettacolo di una tale assenza di dignità e di pudore di gente che guadagna al minimo 100 se non 1000 volte più di loro.

Semplicemente inaccettabile.

La Lega dei Citroni: buio pesto

3 Novembre 2010 11 commenti

In campo, in una terribile notte tempestosa di inizio novembre, non entrano i nostri eroi, non entrano pirati e corsari, fiabe e mostri mitologici, ma solo deprimenti primati, quadrumani degni del giorno in cui si festeggiano i morti. Le immagini scorrono sui televisori e sotto gli occhi attoniti di chi ha seguito la squadra fino alle desolate lande di Albione.

Gli ominidi nerazzurri sembrano nani di fronte alle cavalcate dell’elementare 4-4-2 della bianca squadra inglese. E’ solo questione di tempo prima che arrivi il primo affondo. E solo la scarsità dei nostri avversari non rende peggiore il passivo al termine di 45 minuti di orrore. Il bombardamento degli speroni ai danni delle speranze e della fiducia dei tifosi nerazzurri è accentuato dall’apparente incapacità di reagire dei non più bipedi in campo.

C’è solo il tempo per uno squillo di un primate olandese per il resto dei minuti completamente assente dal campo, prima di assaggiare l’amaro sapore di un secondo colpo al cuore. A cui segue l’ennesima uscita dal campo in barella e l’ennesimo esordio di un giovane primavera. Purtroppo questa volta non porterà fortuna. Il tempo scorre, e gli ominidi non si trasformano in Homo sapiens, né tantomeno le cavalcate degli avversari rallentano o ci danno tregua.

Nemmeno il momento di grazia di uno dei pochi a onorare la nostra storia recente e passata e futura, un lampo con cui ci regala l’illusione di poter sopravvivere all’incrinamento del nostro cuore di cristallo, rischiara l’orizzonte. E’ buio pesto. E’ notte fonda. Senza stelle. E quando a pochi istanti dalla fine arriva anche la terza coltellata c’è solo voglia di gridare e di picchiare i pugni sulla tastiera mentre lo streaming avanza inesorabile, bit dopo bit, verso la sentenza finale di disfatta.

E’ la sconfitta più amara della stagione, forse solo pari come modalità e come sensazioni a quella di Montecarlo, quando ancora si potevano accampare scuse sulla fase primorde della stagione. E’ la disfatta sul palcoscenico dove pensavi di aver trovato energie mentali e stimoli che altrove ti mancavano, quello su cui ti scopri umano meno che umano, ominide e quadrumane, anziché eroe. E’ la recita che ti riporta alla realtà. E al fatto che qualcuno deve assumersi la responsabilità di quello che sta succedendo a una squadra che a novembre sembra già arrivata a fine aprile: vuota di energie, di luce, di volontà e soprattutto di speranza. E gli infortuni sono un indizio di colpevolezza, non un alibi.

Il credito è finito. Per me da oggi la strada è tutta in salita: il mio tifo sempre seguirà i colori del cielo e della notte, ma c’è chi da oggi dovrà subire lo scrutinio di ogni paia di occhi genuinamente e per sempre nerazzurri, senza il beneficio del dubbio. Il tradimento del sogno e la mistica della dura realtà no pasaran!

Inter in Wonderland: aiutini…

26 Settembre 2010 Commenti chiusi

La bella addormentata nerazzurra entra in campo con l’unico undici possibile per legge. Ma il problema non è la scelta dei titolari o lo stato di forma di alcuni di essi (in pesante e inspiegabile regresso), quanto la logica con la quale si è giocato il match. La palla viene fatta passare da un bipede all’altro, senza particolare necessità di farci qualcosa di specifico.


Dopo trenta minuti di niente, finalmente il bordocampista che è in ognuno di noi capisce cosa sta succedendo: per dieci minuti i nostri hanno pensato che si giocasse a pallavolo (non si spiegano altrimenti i posizionamenti a centrocampo), poi a qualcuno viene il dubbio di sbagliarsi, e infatti si passa a giocare a mosca cieca, seguita da nascondino.


Finiti i 45 minuti ogni tifoso che si rispetti si aspetta che Benny abbia spiegato un po’ meglio che stiamo ancora giocando nella Serie di Oz. Ma qualche malefico borgataro deve aver sciolto sostanze stordenti nelle bibite dei nostri eroi. Perché il secondo tempo è ancora più soporifero del primo. I nostri avversari, dapprima increduli, lentamente si rendono conto che per interpretare al meglio l’Alba dei Mortacci Viventi è necessario provare a fare qualche tiro in porta. Cosa che riesce loro, ma senza grandi risultati.


Intanto i nostri eroi continuano la scansione di tutti i giochi da età prescolare: rialzo, indovina chi, strega comanda color, bandiera, dando vita a una specie di incompresa versione dei giochi della demenza. Il dramma lo si raggiunge quando il Colosso e Totò, in lingua madre brasiliana, si autoconvincono con una sessione improvvisata di ipnosi a due che l’ultima prova delle Olimpiadi dell’Interdizione è “ce l’hai”. Prima uno poi l’altro scagliano la palla sull’avversario avviando il suo contropiede. E se al primo giro ci salviamo, al secondo Vucinic si lancia al grido di “bubusettete” e ci punisce per l’ennesima volta.


Dei nostri non si salva nessuno. Troppo brutti e spenti per essere veri.


Subiamo la adeguata punizione per puntare a un pareggino salva apparenze, di cui la Roma non si accontenta, giustamente. Alcuni tornati indietro di due settimane sulla preparazione, altri con la testa altrove, tanto da sbagliare passaggi e movimenti elementari. Benny dimostra grande polso riuscendo a ridare concentrazione alla squadra, solo però nel tunnel degli spogliatoi, perché fuori questo non si vede.


Inutile fare drammi perché può succedere, però avrei preferito perdere per aver provato a vincere, che per inerzia. Forse la verità è che non riusciamo proprio a non tendere la mano ai burini, anche se ce la mordono ogni anno. Perché forse siamo umani, troppo umani, e quando vedi uno sventurato sull’orlo della fossa, come fai a non dargli il tanto agognato… aiutino? Ecco, adesso almeno cambino per un paio di settimane l’inno, qualcosa tipo “Grazie Inter, che ci hai resuscitato e fatto vince, grazie Inter…” Non vi piace? Manco a me.

Supercoppa Nobilis: la differenza tra vincere e perdere

28 Agosto 2010 1 commento

Che fosse una giornata infausta per i colori nerazzurri si avvertiva durante tutta la fase prepartita: chi ha dormito male, chi si è svegliato con la schiena incriccata, chi nervoso, chi con i testicoli incrociati a x, chi con un nuovo varicocele, chi si è dimenticato delle sue più elementari regole di scaramanzia, ecc. ecc. La giornata è stata mesta, nuvolosa, ma non fresca, appiccicosa, con un cielo grigio che opprimeva tutta una città ricca, brutta e senza alcuna attrattiva, il cui simbolo è uno schema di rombi bianco rossi (i colori dei Colchoneros). Nonostante tutto questo però, lo stadio Louis II è pieno e tutti sperano in qualcosa che volga la giornata al meglio. Nell’ennesima impresa. Che non arriverà. Sfiga. O forse no. Forse solo la differenza tra vincere e perdere, tra vincenti e perdenti.

Ciccio Benny schiera in campo quasi la stessa formazione del Bernabeu e della Supercoppa Italiana. Eh, sì, perché da buono chef pensa di aggiungere quel paio di tocchi che possono trasformare un capolavoro gastronomico in una torta di merda: dentro il Drago al posto della Pantera e schieramento iniziale con un inguardabile 4-1-4-1 un po’ sghembo. Nei primi cinque minuti sbarelliamo e si torna all’ormai consueto 4-2-3-1. Seguono 15 minuti di vera Inter, in cui i nostri eroi si fanno onore.
Ma tra il ventesimo e il venticinquesimo del primo tempo la squadra inizia ad andare in anossia cerebrale e muscolare: non teniamo più una biglia, ogni passaggio di prima è una palla buttata via, gli avversari sono sempre i primi sul pallone. Sembra di vedere la gara di maggio, ma a parti invertite.

Il primo tempo termina meritatamente sullo 0-0, ma i segnali sono pessimi. Ciccio non cambia nulla nonostante palesemente ci siano parecchi giocatori che non ci stanno capendo un cazzo: Crystal in primis, il Pelato in secundis, il Drago sfiatato in terzis. Ma non solo loro.
Bisogna aspettare la cappella delle cappelle, a cui aggiunge la sua parte di colpa anche l’Acchiappasogni prendendo gol sul suo palo, per vedere una reazione sulla panchina. Dentro la Pantera e fuori Deki, ma nessun altro segno atto a scuotere la squadra. Che puntualmente segue il copione dei precedenti 30 minuti. Il secondo gol con fuga solitaria sulla fascia e il Colosso che sta a guardare da lontano (ah, chi diceva che non aveva più voglia di giocare con la nostra maglia forse non aveva tutti i torti, no?) mentre il colchonero la tocca in mezzo per El Kun tutto solo.
Per l’arrembaggio finale Ciccio si scompone: dentro Totò per l’Olandesina (in effetti in debito di ossigeno dopo aver corso come un ossesso e predicato nel deserto), e di nuovo nessuna variazione tattica di rielievo. Cambia poco. Quando al 45esimo Busacca ci concede un rigore che il Principe spara sul portiere con scarsa convinzione il destino è già segnato da tempo.
Riassaggiamo il sapore della sconfitta.

Ora, lo so che è un gioco infame, ma non si può esimersi dal farlo: tre mesi prima una squadra di undici uomini disposti a tutto ha giocato una finale con il coltello fra i denti e al top della condizione (raggiunta rischiando tutto in campionato), contro una squadra con la maglia a strisce biancorosse, con un condottiero che a ogni imperfezione saltava in aria gridando indicazioni e spronando la truppa, vincendo 2-0; tre mesi dopo gli stessi (o quasi, anche se è un quasi che pesa) uomini con 30 minuti scarsi nelle gambe (la preparazione atletica mica la programmo io, eh!) e senza palle hanno affrontato una squadra a strisce biancorosse, con un condottiero dallo sguardo bovino che ha assistito inerte a tutto il match senza riuscire a scuotere di un millimetro l’andamento della gara, perdendo 2-0. Il confronto è impietoso.
I due homini novi del ciclo nerazzurro che si va aprendo – Bancaleon e il suo protetto Ciccio Benny – si stanno giocando molto della propria credibilità e del proprio futuro. Sul fronte diretto dal primo le strategie hanno portato al momento a un totale flop o poco ci manca. Sul fronte del secondo il primo obiettivo importante della stagione è andato a ramengo, e dire che gli era stato servito su un piatto d’argento solo da cogliere e degustare. Le prime cartucce sono state buttate nel cesso. E con loro un buon 50% del credito disponibile presso la mia augusta persona e presso la maggior parte dei tifosi.
Nonostante questo è tempo di guardare avanti. Dopo tutto se non avessi postato stamattina tutto si sarebbe risolto per il meglio e molte delle parole dei paragrafi precedenti sarebbero ben diverse. Quindi se dovete lapidare qualcuno, quel qualcuno sono io. Non mi riesco a dare pace, pur con tutte le razionalizzazioni esposte sopra, del mio grossolano errore in ambito scaramantico. Dio perdona. Nero no. Neanche se stesso.