Archivio

Archivio autore

Inter in Wonderland: la palla è quadrata

31 Agosto 2010 Commenti chiusi

Finita l’altalena emotiva e fisica di balzi e rimbalzi sul tappeto elastico, la banda degli eroi nerazzurri con il loro nuovo condottiero orizzontale si affaccia alla maratona della Serie di Oz (o quello che è diventata, che con tutti questi turbillons di nani e ballerine non ci si capisce un cazzo). Benny mette in campo la squadra in maniera simile alla prima amichevole della pre-season, con il Pelato e Marika in mezzo al campo, ma è costretto a variare le due fasce con i tandem Inossidabile-Pantera a destra e Crystal-Leone a sinistra.

Primo tempo che scorre bloccato: sarà il ritardo di condizione che non ci dà 90 minuti, sarà il peso della figura di merda rimediata venerdì, sarà quel che sarà, ma la squadra sembra imballata. Il Principe non è ancora lui, il Leone fa solo timidi tentativi di azzannare, l’Olandesina e Marika sono quelli che si mettono più in mostra. Le migliori occasioni sono degli avversari, arroccati nella loro metà campo in stile “fortezza medievale” con un modernissimo 9-1-1. Fortunatamente sparano fuori entrambe le chances, ma la palla si dimostrerà quadrata: la faccia mostrata nel lato occupato dai rossoblù nel secondo tempo è di fronte ai nostri eroi, e non ci sarà modo di girarla altrove. Solo per una decina di minuti del primo tempo, Ciccio rispolvera una tattica mourinhana: abbassa la squadra, per allungare il campo e aprire gli spazi NON gestendo il possesso palla: ne escono le uniche semioccasioni nerazzurre dei primi 45 minuti.

La compagine nerazzurra entra in campo nel secondo tempo con altro piglio. E mette sotto il Bologna. Marika continua la sontuosa partita, il Principe sembra ritrovarsi almeno per 10-15 minuti, l’Olandesina corre come un pazzo e finalmente Crystal fa quello che deve fare: correre lungo la fascia e creare la superiorità numerica (si dice così, no?). Appena questi meccanismi si oliano, il Bologna prende solo pallonate in faccia, in particolare sulle mani di Viviano che fa almeno tre interventi miracolosi, mentre sull’ultima deviazione di una punizione dell’Olandesina sfodera tutto il culo di cui dispone. Per quanto mi riguarda, dopo sta partita, che marcisse altri 3-4 anni a Bologna: non dico tanto, ma cazzo, non fare i miracoli contro la squadra di cui sei il terzo portiere!

Anche l’ingresso di Totò e dell’Iguana delle Banlieues (scelte da me sostanzialmente condivise e che mi fanno sperare che Ciccio inizi a orientarsi) non cambiano l’inerzia della partita, nonostante il match guerriero del Muro e dell’Orco, la superprestazione dell’Inossidabile nonostante i suoi 37 anni, e la buona prova complessiva.
Purtroppo la faccia del dado della sorte non volge al meglio e la partita termina a reti inviolate, un pareggio come gli esordi in campionato degli ultimi tre anni. Un pareggio che però mi lascia meno amaro in bocca di venerdì sera e qualche speranza in più. Certo, tutte energie buttate, dato che è già fuga per lo stellare Milan della fantasia e del bel calcio, il quale è predestinato a vincere con merito lo scudetto facendo 30 punti nelle prime dieci partite. Ricordatevelo! Tanto se non avete buona memoria ci penserà il circo del calcio televisivo a non farvelo scordare!

Supercoppa Nobilis: la differenza tra vincere e perdere

28 Agosto 2010 1 commento

Che fosse una giornata infausta per i colori nerazzurri si avvertiva durante tutta la fase prepartita: chi ha dormito male, chi si è svegliato con la schiena incriccata, chi nervoso, chi con i testicoli incrociati a x, chi con un nuovo varicocele, chi si è dimenticato delle sue più elementari regole di scaramanzia, ecc. ecc. La giornata è stata mesta, nuvolosa, ma non fresca, appiccicosa, con un cielo grigio che opprimeva tutta una città ricca, brutta e senza alcuna attrattiva, il cui simbolo è uno schema di rombi bianco rossi (i colori dei Colchoneros). Nonostante tutto questo però, lo stadio Louis II è pieno e tutti sperano in qualcosa che volga la giornata al meglio. Nell’ennesima impresa. Che non arriverà. Sfiga. O forse no. Forse solo la differenza tra vincere e perdere, tra vincenti e perdenti.

Ciccio Benny schiera in campo quasi la stessa formazione del Bernabeu e della Supercoppa Italiana. Eh, sì, perché da buono chef pensa di aggiungere quel paio di tocchi che possono trasformare un capolavoro gastronomico in una torta di merda: dentro il Drago al posto della Pantera e schieramento iniziale con un inguardabile 4-1-4-1 un po’ sghembo. Nei primi cinque minuti sbarelliamo e si torna all’ormai consueto 4-2-3-1. Seguono 15 minuti di vera Inter, in cui i nostri eroi si fanno onore.
Ma tra il ventesimo e il venticinquesimo del primo tempo la squadra inizia ad andare in anossia cerebrale e muscolare: non teniamo più una biglia, ogni passaggio di prima è una palla buttata via, gli avversari sono sempre i primi sul pallone. Sembra di vedere la gara di maggio, ma a parti invertite.

Il primo tempo termina meritatamente sullo 0-0, ma i segnali sono pessimi. Ciccio non cambia nulla nonostante palesemente ci siano parecchi giocatori che non ci stanno capendo un cazzo: Crystal in primis, il Pelato in secundis, il Drago sfiatato in terzis. Ma non solo loro.
Bisogna aspettare la cappella delle cappelle, a cui aggiunge la sua parte di colpa anche l’Acchiappasogni prendendo gol sul suo palo, per vedere una reazione sulla panchina. Dentro la Pantera e fuori Deki, ma nessun altro segno atto a scuotere la squadra. Che puntualmente segue il copione dei precedenti 30 minuti. Il secondo gol con fuga solitaria sulla fascia e il Colosso che sta a guardare da lontano (ah, chi diceva che non aveva più voglia di giocare con la nostra maglia forse non aveva tutti i torti, no?) mentre il colchonero la tocca in mezzo per El Kun tutto solo.
Per l’arrembaggio finale Ciccio si scompone: dentro Totò per l’Olandesina (in effetti in debito di ossigeno dopo aver corso come un ossesso e predicato nel deserto), e di nuovo nessuna variazione tattica di rielievo. Cambia poco. Quando al 45esimo Busacca ci concede un rigore che il Principe spara sul portiere con scarsa convinzione il destino è già segnato da tempo.
Riassaggiamo il sapore della sconfitta.

Ora, lo so che è un gioco infame, ma non si può esimersi dal farlo: tre mesi prima una squadra di undici uomini disposti a tutto ha giocato una finale con il coltello fra i denti e al top della condizione (raggiunta rischiando tutto in campionato), contro una squadra con la maglia a strisce biancorosse, con un condottiero che a ogni imperfezione saltava in aria gridando indicazioni e spronando la truppa, vincendo 2-0; tre mesi dopo gli stessi (o quasi, anche se è un quasi che pesa) uomini con 30 minuti scarsi nelle gambe (la preparazione atletica mica la programmo io, eh!) e senza palle hanno affrontato una squadra a strisce biancorosse, con un condottiero dallo sguardo bovino che ha assistito inerte a tutto il match senza riuscire a scuotere di un millimetro l’andamento della gara, perdendo 2-0. Il confronto è impietoso.
I due homini novi del ciclo nerazzurro che si va aprendo – Bancaleon e il suo protetto Ciccio Benny – si stanno giocando molto della propria credibilità e del proprio futuro. Sul fronte diretto dal primo le strategie hanno portato al momento a un totale flop o poco ci manca. Sul fronte del secondo il primo obiettivo importante della stagione è andato a ramengo, e dire che gli era stato servito su un piatto d’argento solo da cogliere e degustare. Le prime cartucce sono state buttate nel cesso. E con loro un buon 50% del credito disponibile presso la mia augusta persona e presso la maggior parte dei tifosi.
Nonostante questo è tempo di guardare avanti. Dopo tutto se non avessi postato stamattina tutto si sarebbe risolto per il meglio e molte delle parole dei paragrafi precedenti sarebbero ben diverse. Quindi se dovete lapidare qualcuno, quel qualcuno sono io. Non mi riesco a dare pace, pur con tutte le razionalizzazioni esposte sopra, del mio grossolano errore in ambito scaramantico. Dio perdona. Nero no. Neanche se stesso.

Supercoppa Ignobilis & Inter in wonderland 2010/2011: Il demone blanco, l’incontro con l’hombre horizontal e il quarto titulo

23 Agosto 2010 Commenti chiusi

E fu così che la compagine nerazzurra appena scesa dal palcoscenico del suo tri(3)pudio, proprio nel momento culminante delle proprie epiche imprese, non si avvide della trasformazione avvenuta nel proprio condottiero, della trappola che il crudele destino cinico e baro riserva a ogni eroe alla fine della propria saga, al fine di garantirne un sequel con adeguato ritorno economico. Erano mesi infatti che Gesù da Setubal combatteva contro il Potere corruttore del Demone Blanco e conclusa la sua opera magna, spossato nel corpo e nella mente, il Vate non poté che soccombere ai malefici artefici (alcuni lo chiamano vil danaro, ma tant’è) del demonio spagnolo nella cui magione aveva appena disputato la più importante partita nerazzurra dell’ultimo mezzo secolo.

I tri(3)plici eroi nerazzurri nulla potevano sospettare quando il loro comandante gli mostrò una scricchiolante sudicia porta anziché l’ingresso degli spogliatoi: si infilarono nell’antro oscuro senza alcun timore e fieri di quanto appena compiuto. Sulla soglia, come a guardia di un percorso ancora tutto da intraprendere, restarono il Colosso e l’ingrato Figliol Prodigo: mentre i loro compagni si addentravano nell’oscurità all’uno l’ormai perduto Vate offrì un calice di vino da sorseggiare insieme in una nuova avventura, all’altro uno sputo in faccia, tanto per chiarire. Il Colosso immobile sulla soglia tentennò fino a che i sentimenti (ok, non proprio i sentimenti, ma cominciano lo stesso con la esse) ebbero la meglio sul potere del serpente tentatore: voltò le spalle al mentore e si avviò verso la fine della fila indiana formata dai suoi compagni di squadra. Il Figliol Prodigo come sempre mostrò un ammirevole aplomb cominciando a sbraitare e a spaccare tutto quello che si trovava a portata di mano: per evitare che gli strepiti del disprezzato fuoriclasse mandassero a ramengo tutto il loro piano, le meringhe diaboliche si adoperarono per posizionare il giovane privo di senno su una catapulta in direzione Manciocity, la città dove divertirsi è più difficile che suicidarsi. Come contrappeso sulla catapulta, per far tornare il sorriso anche sul viso distorto dalle grida del fu Figliol Prodigo mononeuronico, un bel saccone di petroldollari, tanto cari anche al mecenate della spedizione nerazzurra così silenziato per tutta la vicenda da mercato del pesce in cui si stava trasformando l’epica impresa del suo club.

Quando i nostri paladini videro il ghigno del loro ormai ex condottiero chiudere l’uscio e farli piombare nel buio più totale seppero di non poter fare altro che continuare ad avanzare, senza macchia e senza paura, consci del loro valore e di poter superare ogni ostacolo. Seguirono quindi un oscuro e tortuoso cunicolo fino a un abisso tremendo e senza fine di fronte al quale si bloccarono meditabondi. Lungo la strada alla compagine si andavano sommando altri personaggi, alcuni con lode (Totò il Folletto, l’Iguana delle Banlieues), altri con infamia (il Fulmine Cieco di Tegucigalpa, la Foca Ammaestrata, il Reprobo Pancione), e altri ancora si sapevano ancora celarsi nell’oscurità guidati dallo Stregatto Nerazzurro, noto anche come il Direttore. Sull’orlo dell’Abisso tutti sapevano di non aver nulla per cui esitare: o l’andava o la spaccava. In entrambi i casi i cocci sarebbero stati nostri (dei tifosi, intendo): e fu così che i nostri eroi si lanciarono nel vuoto di una nuova avventura, sentendo l’aria strappata dai polmoni per la velocità della caduta, la pressione del buio sulla pelle e sui nervi, la tensione di ciò che sarebbe ancora dovuto accadere e che forse non sarebbe potuto accadere mai più.

All’atterraggio di tutta la compagnia pensò l’enorme panza dell’Hombre Horizontal, ampia e comoda come un paterno materasso, elastica come un trampolino: la compagine nerazzurra aveva incontrato il proprio nuovo condottiero, il gemello sconosciuto e sagace di Pinco Panco e Panco Pinco, Benny “Sancho Panza” Hill. Ed è dalla distesa morbida del suo ventre che comincia questa nuova annata di IIW.

Ben ritrovati?

L’euforia per aver evitato danni all’atterraggio sul fondo dell’abisso contagia rapidamente la ciurma nerazzurra che comincia a saltellare sul tappeto elastico adiposo dell’hombre horizontal come bambini appena arrivati al Luna Park. Purtroppo nessuno degli eroi si avvede che sotto i loro piedi sono nel frattempo entrati sul terreno di gioco i soliti teatranti giallorossi, che si rotolano sotto gli innocenti piedi dei tri(3)plici cavalieri del drago. Le novità in campo sono poche: il 4-2-3-1 di Benny presenta una difesa altissima, un gioco rischioso da fare se hai un terzino come Crystal che si fa tagliare fuori 4 volte dallo stesso movimento e due centrali non proprio sprinter; e davanti mi pare che gli automatismi siano ancora da ritrovare, complice anche una forma ancora in ritardo soprattutto per i giocatori più muscolari come il Principe. Ma tutto sommato Benny mantiene fede a quello che ha detto in conferenza: ha cercato di tenere di buono quello che l’Inter già faceva, e ha cercato di aggiungere qualche tocco personale.

Mentre i tifosi discettano di questi nobili argomenti la rometta picchia dentro un gol d’infilata sulle due mezze azioni imbastite, a dispetto del predominio nerazzurro. I nostri eroi cominciano le evoluzioni sui tappeti elastici e il terreno diventa un tritacarne di calcio: in pratica i giallorossi non rivedono più la biglia fino alla fine della partita, incassando tre reti che non diventano il doppio solo grazie alla misericordia dei nostri beneamati. Da segnalare il ferreo cipiglio del direttore di gara e dei responsabili dell’OP che come al solito solertemente hanno sospeso la partita dato il comportamento incivile del pubblico romanista al colmo della frustrazione: una sera come quella di una sfida diretta poteva essere un’ottima occasione per dimostrare con i fatti che si vuole risolvere il “problema stadi”. Ennesima figura debole, ma ci siamo abituati: i “problemi” meglio riempano le pagine di giornale, le soluzioni non interessano a nessuno.

La partita finisce in tripudio per il quarto titulo, non prima di aver rivisto in campo Adriano2, nel senso di un giocatore che pesa come due: e pensare che pensavamo che il Reprobo Pancione fosse il peggio in circolazione quanto a bulimia. Bene così. Se proprio vogliamo fare gli interisti: è evidente che la squadra ha dei margini di miglioramento e che il mercato da questo punto di vista potrebbe dire la sua. Ma per ora i tifosi mi sa che si dovranno contentare di essere satolli di premi e meno di entusiasmanti progettualità. Per quelle stiamo alla finestra.

Il segreto dei suoi occhi

9 Luglio 2010 10 commenti

 

Ieri finalmente dopo tipo un mese sono riuscito ad andare al cinema senza assilli e senza fretta, per vedere un film che avevo preso di mira da un annetto:  El segreto de sus ojos di Juan José Campanella, argentino vero, lui e il film. 

Tutti gli effetti speciali del film si esauriscono nella scena iniziale, ma già dimostrano la voglia disperimentare con il codice cinematografico senza strafare. Tentativo ampiamente riuscito con una pellicola tesa nella sua trama thriller e sospesa sulla passione degli uomini e delle donne. Il film è lungo, ma scorre piacevolmente fino alla fine, con una sorpresina a ogni svolta, toccando i sentimenti degli esseri umani, ciò che li spinge a fare quello che fanno e ad essere quello che sono, la storia dell’argentina e del resto del mondo, delineata con due tratti di dialogo, come si confà a un ottimo racconto che non vuole ammorbare il lettore, ma seminare il dubbio su ciò che è stato nella storia e che forse potrebbe tornare.

Su tutti è bello ricordare il personaggio di Pablo Sandoval, fantastico ubriacone fine e generoso conoscitore del cuore degli uomini, autore della miglior risposta telefonica in un ufficio pubblico di tutta l’Argentina: "Pronto, Banca del Seme, Ufficio Prestiti, desidera?"; e la fantastica scena nello stadio del Racing Club de Avellaneda (originario club di Diego Alberto El Principe Milito, ehehe) o i cinque minuti di monologo sulle differenti tipologie di coglioni presenti sulla Faccia della Terra. Campanella ha molta strada davanti, speriamo che decida di percorrerla tutta 🙂

Voto: 8,5

Categorie:cinema Tag: , ,

L’ennesima alba della dittatura

11 Giugno 2010 4 commenti

 

La cosa ridicola del Paese-che-non-c’è è che quasi ogni giorno si assiste al drammatico annuncio dell’inizio della dittatura. Senza che questo cambi di una virgola le nostra indolenti e sciagurate abitudini. Come in altri tempi: cambia tutto perché non cambi nulla, nel Paese Inesistente, più che Paese Dimezzato. La legge ad personam sulle intercettazioni, mascherata da strumento dei paladini della privacy e in realtà ennesimo schiaffo a difesa dei soliti noti (per arrestare me le intercettazioni non servono, basta aspettare di farmi incazzare durante un corteo, <g>), è l’occasione per l’ennesimo grido d’allarme, che inevitabilmente sarà seguito dalla usuale afasia grassoccia. 

Intendiamoci: io penso seriamente che l’Italia da tempo sia entrata in un regime di democrazia ristretta, dato che sostanzialmente l’esistenza dell’uomo comune è sempre più in balia di decisioni arbitrarie di chiunque gestisca un minimo di potere (divisa o meno). Ma sono molto irritato da chi sventola la bandiera della rivolta con la sola intenzione di tirare acqua al proprio mulino e di difendere il proprio limitato orticello. Perché se questa è la logica, mi pare ovvio che l’orticello di moltissimi abitanti del Paese Inesistente non verrà granché intaccato dalle leggi e leggine di questa dittatura soft. E ne consegue quindi che nessuno si sognerà mai di ribellarsi.

Agli abitanti del Paese Inesistente manca la spina dorsale e la storia di popolo per avere a cuore un concetto relativamente semplice e allettante nella sua accezione pura come la democrazia. Siamo abituati ad arrangiarci e continuiamo ad arrangiarci, incuranti del fatto che l’unico motivo per cui ancora esistiamo sia da attribuire allo status demodé del colonialismo (inteso come invasione fisica) e alle necessità dell’euro di tenerci a galla.  

Più andiamo avanti e più mi auguro di vedere presto un finale simile all’inizio di The Road, fantastico film e fantastico libro, che tra le altre cose stava per non essere distribuito in quanto "troppo deprimente": come si sa il Paese Inesistente è un paese di persone felici, sia mai che qualcuno si accorga di non vivere per niente nel miglior luogo possibile, ma in un luogo in cui prevale l’egoismo, l’indifferenza, la disonestà, il campanilismo becero e provinciale, la miopia rispetto alla res pubblica. 

La verità è che non c’è bisogno di allarmi su allarmi, di parole su parole, ma di fatti. E se i fatti non arrivano, rassegnamoci al fatto che alle persone che ci circondano va bene così. Nessuno però mi rompa i coglioni quando sarà il/la protagonista negativa del prossimo sopruso. Se non prendi mai parola, non farlo neanche per piangere miseria.

 

Categorie:cose dall'altromondo Tag:

La storia non insegna

31 Maggio 2010 1 commento

 

Una notte. Una nave. Decine di uomini e donne che vogliono portare aiuto ad altri uomini e donne. Improvvisamente: spari, bombe, elicotteri, assalti, morti (per ora 19), feriti, un massacro. Uno sterminio. Luci ed esplosioni che squarciano il cielo. Grida e sangue innocente. I visi distorti dalla ferocia.
Non è il racconto dell’attacco notturno di una squadraccia contro i partigiani, o quello di un blitz delle SS per scovare ebrei nascosti in territorio tedesco. È la storia di quello che lo Stato di Israele ha appena compiuto contro una nave di aiuti umanitari diretta verso la Striscia di Gaza.
La Freedom Flotilla è stata assaltata e le persone a bordo massacrate. Le ultime di migliaia di vittime della foga omicida dello Stato di Israele.

Non è un videogame. Non è un incidente. È un atto premeditato di prepotente violenza per mandare un segnale a tutti coloro che non accettano la dittatura di Tel Aviv, che non accettano che milioni di persone siano rinchiuse da anni in un lager a cielo aperto. Senza cibo. Senza medicinali. Senza libertà.
Allo Stato di Israele e a molti dei suoi cittadini e sostenitori la storia non insegna nulla. Un terribile rovesciamento della storia in cui i protagonisti del più grande genocidio si rendono protagonisti a loro volta dell’oppressione e dello sterminio lento e inesorabile di un intero popolo.

La strage della Freedom Flotilla deve riportare Israele e i suoi sostenitori nella storia. E ognuno di noi deve agire perché non si torni più indietro. Torniamo a riempire le piazze. Torniamo a gridare il nostro dolore e la nostra rabbia. Torniamo a vivere la rivolta.

In ogni città. In ogni strada. In ogni quartiere.
Intifada.
Per non dimenticare tutte le vittime del regime israeliano.
Libertà per il popolo palestinese.

Il collettivo di A/I
autistici.org
inventati.org
noblogs.org

Aggiornamenti su: Italy Indymedia
Mobilitazioni: Forum Palestina

La Lega dei Citroni: il sogno più lungo, la notte più breve

24 Maggio 2010 7 commenti

 

E’ difficile decidere da dove cominciare a raccontare. Per noi nerazzurri nati negli anni settanta è l’epilogo di un sogno che pareva non dover giungere mai al suo culmine, un’esperienza ai confini dell’ossessione trasformata nella catarsi più totale di intere generazioni di tifosi. Mourlino lo sa e sa anche che le parole sono la forma più potente di magia: trasforma l’ansia in desiderio, la tensione in energia, gli uomini in guerrieri.

E’ difficile scegliere da dove cominciare. Per me tutto inizia con un viaggio di 17 ore alla volta di Madrid, un viaggio fatto di minuti lunghissimi che attraversano la notte di giovedì e la mattina di venerdì, un viaggio fatto di mezze frasi e di attenzioni morbose a ogni dettaglio, proprio come imposto dal vate di setubal, una odissea fatta di levigamenti del cavallo dei pantaloni e dei maglioni all’altezza del petto, fatto di cori improvvisati e di sagaci intuizioni, un percorso in cui il tuo compagno più fedele è una famiglia di marmotte che cercano repentinamente di infilarsi in ogni pertugio del tuo corpo per contagiarti con il terrore di cui sono alfieri.

E sai di non essere il solo: per le vie di Madrid scorgi Cambiasso sotto più travestimenti dell’ispettore Clouseau, alla ricerca di un’improbabile fuga, immagini – o forse no – Deki calarsi dalla stanza di albergo con una corda fatta di lenzuola e simulare il proprio rapimento. Anche gli eroi tradiscono una certa emozione. E la cosa non ti lascia proprio tranquillissimo. Anche la stregoneria di Mourlino ha i suoi limiti. Ma le ore corrono veloci, più veloci di quanto ti aspettassi. E in un attimo ti trovi a varcare l’ingresso del tempio, con lo stesso spirito con cui per milioni di anni gli esseri umani più umili hanno oltrepassato le soglie di luoghi sacri e terribili, il Santiago Bernabeu.

Sugli spalti ognuno reagisce come può: c’è chi ha passato la giornata a piangere, chi conta i secondi prima di prendere un altro respiro per non dimenticarsene, chi ostenta sicumera impalato come un citrone e ipnotizzato dal manto erboso perfetto, dalla scenografia di un teatro incredibile per una serata che non potrà mai dimenticare.

E poi c’è il fischio d’inizio. E improvvisamente il tempo muta, accelera, lasciandoti indietro senza fiato. Abituato a partite interminabili in cui snocciolare i minuti, ti ritrovi catapultato in una dimensione di immediatezza totale. Niente è come prima. Nulla conta. Nulla. Nel nulla due lampi, due battiti di ciglia, il Principe. Poi nuovamente l’ascesi, il vuoto che riempie la tua vita trascinandoti verso l’illuminazione, bodhisattva nerazzurro. Il triplice fischio arriva troppo in fretta. Non c’è neanche il tempo di pensare a cosa raccontare di quello che è successo sul rettangolo di gioco. Perché non conta nulla. Perché ciò che ti circonda è ormai superfluo, perché l’incantesimo dell’Illuminato portoghese ti ha fatto trascendere quanto di materiale sta intorno a te per trasformarti e trasformarsi in sogno, in molecole oniriche.

Qualcuno piange, qualcuno grida, qualcun altro ride a crepapelle. Il sogno è diventato realtà. Ciò che nessuno di noi credeva possibile è lì davanti ai tuoi occhi, ed è stato così repentino nel suo arrivo da rimpiangere ogni istante che lo ha preceduto, da odiare la tua natura caduca e umana che non ti ha fatto imprimere come ferro ardente nella carne ogni momento che ti ha accompagnato in questo anno incredibile.
Vivo l’ora e mezza di festeggiamenti nello stadio in stato di alterazione di coscienza: sono diventato una sola cosa con tutto lo stadio, con Madrid, con il mondo e con la natura, con gli uomini e con le donne intorno a me. Sono oltre me stesso. Non posso dire di essere emozionato. Sono trasceso, sono trasfigurato. Sono altro da quello che ero prima. Esco. Usciamo.

E la notte è troppo breve. E l’anima dell’uomo è troppo piccola per contenere la memoria delle emozioni di quanto è appena accaduto. Mi posiziono nel firmamento insieme a eroi nerazzurri e stelle passate presenti e future. E guardo verso un minuscolo immenso rettangolo verde circondato da una grande città. Mourlino si toglie i panni dello stregone e ritorna essere umano. L’incantesimo è finito. Anzi, è compiuto. Gli eroi nerazzurri smettono le fattezze fantastiche che li hanno mutati in leggenda e tornano ad abbracciare la loro umanità. Il cielo si riempie di grida, di urla, di metafisiche vesti. E da nero che è si stria lentamente di azzurro. Per sempre.

Sotto la luna crescente attraverso la città. E quando mi sveglio ho fatto altre 15 ore di auto, sono nel mio letto, ebbro e sfinito. Niente sarà più come prima. A terrible beauty is born.

"Cos these are the days of our lives
They’ve flown in the swiftness of time
These days are all gone now but some things remain
When I look and I find no change

Those were the days of our lives – yeah
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one things still true
When I look and I find

I still love you"

 

Categorie:spalti e madonne Tag:

Buone notizie con il contagocce

19 Maggio 2010 2 commenti

 

Le buone notizie, in questo scorcio di nuovo millennio, arrivano. Poche, con il contagocce, ma arrivano. Da mesi non mi interessavo più di cosa stava succedendo a Genova nei processi di appello per quanto successo durante il G8 del luglio 2001: dopo che ai 25 ragazzi usati come capro espiatorio per tutto quanto successo nelle strade di Zena erano stati confermati 100 e rotti anni di carcere, la voglia di combattere ancora nelle aule di tribunale era un po’ scemata… per dirla con un eufemismo.

Fortunatamente gli avvocati e compagni con cui  ho lavorato per anni ai processi di Genova non l’hanno data su, martellando senza demordere (chi più e con più merito, e chi meno). Proprio ieri chiacchieravo con una di loro e tra una cazzata e l’altra mi ha detto: "ah, stasera c’è la sentenza di appello per la Diaz". Dopo anni in cui ho dedicato quasi tutto il mio tempo a quei processi, mi è tornato tutto in mente: quella notte, quello che è successo, quello che ho fatto, quello che ho visto, e quello che è successo negli anni successivi. Le assoluzioni oltraggiose per le teste rotte e le vite distrutte, il ghigno arrogante e beffardo dei principali protagonisti e mandanti della spedizione punitiva al complesso scolastico Pascoli-Pertini (meglio nota come scuola Diaz). 

A distanza di quasi nove anni, finalmente, la sentenza d’appello restituisce un minimo di senso alla parola giustizia. Dei 27 imputati 25 sono stati condannati a pene per complessivi 100 e rotti anni. Soprattutto i capi dell’operazione alla scuola Diaz (Gratteri, Luperi e compagnia) tuttora vertici della polizia e dei servizi italiani hanno dovuto ingoiare un bel rospo. Ora finalmente lo sguardo di odio e di disprezzo che ho scambiato fuori dall’aula del tribunale con l’ex direttore dello SCO non potrà più trasformarsi in un’espressione beffarda di scontata impunità. Capiamoci: a loro non succederà nulla. Tra indulti, prescrizioni e cassazione non avranno certo nel curriculum una condanna da un punto di vista formale. Ma da un punto di vista storico e sostanziale, sarà difficile per questi personaggi ignorare questa sentenza e contemporaneamente addobbarsi del ruolo di uomini di legge e di giustizia. E questo per me vale poco, ma per loro vale tutto. 

Come al solito l’attuale leadership del nostro stato delle banane non manca di far capire la propria scala di valori: Maroni si affretta a dire che nonostante le condanne non verranno rimossi dai loro incarichi (d’altronde se il capo del governo rimane lì nonostante le prove di corruzione e di migliaia di altre nefandezze, perché dovrebbero dimettersi dei miseri poliziotti per quanto in alto nella scala gerarchica). E Cicchitto sbraita che i tribunali hanno accolto "le tesi più estremiste dei no-global". Peccato per Cicchitto che le nostre non siano tesi, ma la verità di quello che abbiamo visto, vissuto, sentito sulla nostra pelle. Che siano sensazioni estreme non ci piove. Che siano colpa nostra, è tutto da discutere. 

Ma non è nelle corde dell’antropologia italiana quella di guardare i fatti della storia e di affrontarli in maniera adulta. Molte cose non ci affliggerebbero ancora. E forse saremmo un paese e un popolo migliore di quello che dimostriamo di essere. Nonostante questo è difficile oggi non andare in giro con un sardonico ghigno sul volto ogni volta che incontro un omino in divisa.

Inter in Wonderland: Masters of Oz!

17 Maggio 2010 2 commenti

 

Carrellata. Il ghigno beffardo e sardonico dell’Acchiappasogni. Il viso plastico del Colosso, le sue smorfie post-ubriachezza. Il sorriso di Matrix. Gli occhi di ghiaccio del Muro. L’espressione scolpita nell’acciaio del Capitano. La faccia da schiaffi del Sindaco. L’ovale sereno del Pelato. Le fattezze gnomesche del folletto Olandese Volante. La concentrazione del Leone. Il broncio atteggiato del Figliol Prodigo. I lineamenti tiratissimi del Principe. E ancora. La testa segnata di Crystal. La marmotta nascosta nelle mutande del Drago. Il ciuffo di Kung-Fu Panda. La determinazione di ogni poro di pelle di Yahvé da Setubal, Mourlino.
I Dominatori della Serie di Oz possono tutto. E vogliono dimostrarlo sul campo nella cinquantacinquesima partita stagionale. Però cominciano male: sotto ritmo, passaggi vicinissimi e molto cauti, Siena in quindici dietro il pallone. Al ventesimo gli eroi nerazzurri cominciano a rullare l’avversario: traversa, palla fuori di un soffio, parate incredibili di Curci. La palla non entra. Sembra una di quelle partite lì. Le bestemmie fioccano.

 

 

Rientriamo in campo sapendo che la Roma è campione d’italia sul campo dei quasi clivensi. Continuiamo a rullare l’avversario: il Colosso si mangia un gol incredibile, altre parate di Curci. Poi si sveglia il Capitano d’Acciaio e inizia a correre più di tutti, più di gente con la metà dei suoi anni. All’ennesima percussione, serve in profondità il Principe che controlla, avanza, e d’esterno batte il portiere dei giallorossi bianconeri. Mourlino subito cambia: fuori il Figliol Prodigo per Kung-Fu Pandev; poi Crystal per il Sindaco autore di una partita modesta, forse deluso dal non esserci a Madrid; poi il Drago con una marmotta nel culo come sempre quando in campo devi metterci tutto quello che hai, al posto di un’Olandesina Volante un po’ sottotono. La squadra rincula per una decina di minuti, e i tifosi cominciano a soffrire: ma come? i dominatori di Oz che controllano un misero uno a zero? Ma buttatela dentro così stiamo tutti sereni, no?

No. Però con il passare dei minuti controlliamo la palla e rischiamo di raddoppiare. Soffriamo solo due occasioni propiziate da un vero romanista in campo: Rosi(ca), nomen omen. Quando dal novantesimo ci piazziamo a far trascorrere i minuti d’esperienza sulla bandierina so che è finita. Fino al triplice fischio di un ottimo Morganti (faccio mea culpa) e al grido liberatorio.

E’ il 18esimo scudetto. Il secondo titulo quest’anno. L’ennesimo di questo ciclo fantastico. Non si può descrivere quello che si prova quando si avvicina l’epilogo di un capitolo di una saga epica. Al tempo stesso senti una gioia immensa in fondo allo stomaco, proprio al centro del tuo corpo, e una leggerezza che non sapresti comprendere. La tensione ti abbandona e ti scopri di nuovo bambino, capace di una felicità incondizionata e incondizionabile. Tifare per gli eroi nerazzurri quest’anno ha voluto dire questo. Indipendentemente da quello che succederà nell’ultima, maledetta, cinquantaseiesima partita. E vincere questo titolo quest’anno è absolutamente fantastico, dopo tutto quello che hanno provato a fare per strapparcelo dalla maglia, e che ancora proveranno a fare quest’estate per farci tornare indietro come gamberi (noi come tutto il Paese peraltro), senza rendersi conto di quanto ridicoli siano e di quanto male stiano facendo anche a sé stessi e a tutto il calcio italiano, e di quanto ne hanno già fatto. Dopo i calendari ad squadram, dopo i regolamenti validi solo per l’Inter, dopo le minacce del sistema mafia-calcio italiano a Yahvé, dopo le malignità a senso unico, l’ipocrisia pelosa di chi per l’ennesimo anno non ha vinto un cazzo. Dopo tutto questo, contro tutto e tutti, la capolista è ancora nerazzurra. Un florilegio di esplosioni di fegato. Una goduria immensa. Dite quello che volete, ma per me, per noi, c’è solo l’Inter!

 

Categorie:spalti e madonne Tag:

Draquila: l’idea del Comitato di Benvenuto Gatling

13 Maggio 2010 1 commento

 

Draquila è un documentario. Anzi una docufiction. Anzi, non è fiction per un cazzo. E’ solo un racconto video, che cerca di ripercorrere in meno di un’ora e mezza tutto il marcio dell’Italia, usando il Grande Evento del terremoto de L’Aquila come occasione per narrarci e narrarsi. E per farti incazzare come una bestia. Il vero problema poi è questo: se siete predisposti naturalmente a infuriarvi come caimani mannari a digiuno da sei mesi, non è il film che fa per voi. Silvio nazionale  direbbe che è istigazione a delinquere, omettendo di notare che sono i fatti narrati nella pellicola che istigano a reazioni violento. Ma non c’è di che preoccuparsi: l’italiano, si sa, si arrangia, e piuttosto che lottare si organizza per sopravvivere. E’ stato così per vent’anni nel passato, sarà ancora così in questo presente e nel prossimo futuro. 

All’uscita io e ppn ci siamo ritrovati a farci la stessa domanda: quando avremo finalmente 70-80 anni? Perché a quel punto che cosa avrò da perdere? Con che cosa cercheranno di ricattarmi e di minacciarmi? La vecchiaia rende liberi? Le risposte a tutti questi quesiti le troverete presto nella serie di racconti del Comitato di Benvenuto Gatling, che spero di riuscire a mettere nero su bianco su blog di blackswift. Nel frattempo godetevi la vostra razione di bile con il trailer di Draquila – L’Italia che trema di Sabina Guzzanti.

Voto: 7,5